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Autore: rose07    17/06/2023    0 recensioni
Valeryn e Vittorio sono due cugini di terzo grado che sono stati travolti da una passione tale da tradire la fiducia del migliore amico di lui e da non pensare alle conseguenze delle loro scelte avventate.
Dopo circa un anno, quelle conseguenze cominciano a palesarsi di fronte ai loro occhi, cambiando in primis la visione della realtà di Valeryn, la quale si ritrova a scoprire un fatto che le cambierà per sempre la vita.
Vittorio deve fare i conti con le volontà della ragazza, ma in momenti di difficoltà alcune persone inaspettate bussano alla porta offrendo una spalla di conforto. Quello che Vittorio troverà in Elia lo lascerà senza difese alcune, permettendo libero sfogo ad un piacere del tutto nuovo, cedendo a delle sensazioni che i due amici avevano da sempre fatto finta di non provare.
Seguito della mia vecchia storia "Splendida Follia", revisionata e corretta. Serie "Ubi Maior Minor Cessat".
Genere: Erotico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ubi maior minor cessat'
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Vittorio si svegliò con un enorme emicrania. Sbuffò passandosi una mano sulla fronte, cercando di tapparsi le orecchie con il cuscino, ma il pianto del bambino era troppo forte, disperato. Si chiese se non fosse dentro la sua testa, ma udendo Ross imprecare dall’altra stanza capì che si trattava di suo nipote. Si alzò dal letto e raggiunse la camera del fratello. La porta era semiaperta, così entrò silenziosamente. Ross aveva tra le braccia il piccolo Claudio che piangeva, e ancora piangeva, sembrava veramente indomabile.
Vittorio, ancora sonnecchiato, sbadigliò e si pasticciò gli occhi.
«Che combini?» chiese mentre quello si voltava a guardarlo in cagnesco per aver parlato ad alta voce.
«Tento di far zittire il moccioso, non vedi?» continuò a sbattere il bimbo di qua e di là, ma Claudio non aveva intenzione di fermarsi. Ross perse la pazienza, come ogni volta che suo figlio piangeva.
«Ma che diavolo ha! Si è svegliato con la luna storta, eh?!» imprecò, iniziando a sudare per la difficoltà della situazione.
Vittorio scosse la testa e decise di dargli una mano dato che era totalmente incapace.
«Devi essere più delicato, così lo ammazzi praticamente» lo prese in braccio premuroso, poi, tentando di farlo calmare, dato che non sembrava voler smettere di piangere, lo dondolò avanti e indietro con le braccia. Non era esperto di bambini, non aveva mai avuto neanche dei cugini più piccoli. Eppure avrebbe dovuto cullare in quel modo suo figlio, esattamente nello stessa maniera in cui stava cullando suo nipote. Si morse il labbro e una sensazione di ansia allo stomaco lo attanagliò.
Sarebbe diventato padre…
Davvero sarebbe diventato padre?

Lui, così giovane, con tutta la vita davanti...
Ross lo guardò stralunato, poi alzò un sopracciglio.
«Certo, pivellino, che non sei male come genitore. Ti avevo sottovalutato» fu il commento pungente del più grande, che infierì come una lama.
Vittorio scrollò le spalle, poi gettò uno sguardo a Claudio che si succhiava il ditino. Era veramente un amore quel bambino, a parte quando frignava. Assomigliava tanto a suo fratello, ma aveva gli occhietti verdi di Nicole.
E suo figlio come sarebbe stato?
Si fermò a fissate il muro per dei secondi, non sentendo Ross che gli parlava. Continuava a pensare al repentino cambiamento di Valeryn, e a quanto male gli stesse facendo. E poi non riusciva a smettere di pensare a loro figlio, non sapeva se sarebbe stato in grado di farlo, il padre, forse era ancora un ragazzo immaturo... D’altronde neanche suo fratello sapeva ancora come comportarsi.
Fare il genitore non te lo insegnava nessuno, né lo si poteva imparare da qualcuno. Con sua madre era sempre in conflitto e lei aveva già i suoi tre figli, quelli naturali...
«Ma ci senti, dammi il bambino, si è addormentato!»
Ross lo distolse bruscamente dai suoi pensieri, prendendosi Claudio in braccio e poggiandolo sulla culla. Si assicurò che stesse effettivamente dormendo, poi lo coprì con la copertina ricamata che Mena gli aveva regalato.
Si voltò verso Vittorio, sbattendo la testa da un lato.
«Dì, ma che pensi alle vacche?» lo apostrofò, poi vedendo l’espressione persa del ragazzo, decise di piantarla.
«Okay, pivello, che ti succede?» incrociò le braccia, sedendosi sul letto.
«Niente...» fu il mormorio che provenne dalla bocca del ragazzo, con ancora lo sguardo vagante nel vuoto.
«Avanti, non dire cavolate, dimmi che c’è!» lo mise con le spalle al muro, e sapava che quando faceva in quel modo non poteva tergiversare.
Tra l’altro, era lui stesso ad averne bisogno, di parlarne con qualcuno; e quando Ross provava a tirargli fuori le cose a lui veniva naturale aprirsi.
Vittorio sospirò sedendosi accanto a lui, prendendo un po’ di tempo a giocherellare con il suo anello di metallo.
«E’ che ho paura, tutto qui» fu quello che riuscì a dire.
«Ah, beh!» esclamò il maggiore con un’espressione ironica «Di che cos’hai paura? Hai solo messo incinta la tua ragazza a soli diciotto anni, ma non preoccuparti, tra nove mesi passa tutto!»
Il ragazzo lo guardò torvo di fronte a quella battuta, poi alzò gli occhi al cielo.
«Grazie fratellone, tu sì che sei d’aiuto» sussurrò, un po’ irritato.
Ross scoppiò a ridere, come se tutta quella situazione fosse estremamente divertente e prendersi gioco di lui migliorava la situazione. Eppure fino a una settimana fa non sembrava l’avesse presa esattamente bene, ricordava di avergli visto raramente in viso quell’espressione preoccupata.
«Ma dai» abbassò la voce per evitare di svegliare Claudio che si muoveva nella sua culla «Ormai il danno è fatto, Vitto. Fa’ finta che vada tutto bene»
Il fatto era che non andava per niente bene. Valeryn era diversa con lui e non sapeva che fare, non sapeva come assicurarsi che le cose andavano ancora bene tra loro. Per quanto si sforzasse a mantenere in piedi quel rapporto, lei faceva dei passi indietro e risultava estremamente irraggiungibile.
Forse era egoista a pensare quelle cose, forse non riusciva a capire la condizione in cui si trovava, la situazione psicologica che stava passando; era incinta e la sua famiglia non l’aveva supportata, l’aveva rimproverata e aveva subíto le ire di suo padre che aveva smesso di parlarle.
Era lei a tenere il peso di quella gravidanza, lo aveva tenuto per settimane senza dirgli niente, e quello non glielo biasimava; ma non sapeva come potersi assicurare che le cose non stessero andando a rotoli, perché era una sensazione che aveva addosso da un po’ e non lo abbandonava un istante.
Ross notò i suoi occhi bassi e l’espressione triste. Sospirò facendo una smorfia rassegnata. Il suo fratellino si era cacciato in un guaio, ancora era un ragazzo ed era troppo per lui tutto quello. D’altronde anche per lui stesso che aveva ventisei anni non era esattamente facile, ogni giorno era una prova con sé stesso e crescere suo figlio era diventata la sua unica priorità nella vita.
Vittorio doveva ancora terminare la scuola superiore, era un ragazzino allegro come un fringuello e aveva sicuramente dei piani per il suo futuro.
Sapeva come un bambino poteva scompigliarli tutti, specie in un’età dove le scelte si rivelavano cruciali.
Doveva aiutarlo, doveva farlo sfogare un po’ per non farlo chiudere troppo in sé stesso e farlo cadere nello stesso baratro in cui si era perso lui stesso.
«D’accordo, pivello, facciamo una cosa» disse d’un tratto.
Vittorio alzò lo sguardo su di lui, interrogativo.
«Adesso noi lasciamo Claudio a nonna Mena, prendo la macchina e ci facciamo un giro in centro» propose, mettendosi in piedi.
Il castano sospirò, massaggiandosi la fronte con una mano.
«No, non è il caso» provò a fermarlo.
Si ritrovava improvvisamente senza forze e non aveva voglia di uscire.
Ross negò con la testa, risoluto.
«Non rompere le palle. Hai bisogno di distrarti, pivello, non puoi lacerarti la testa a diciotto anni, devi vivere!» lo redarguì, molto serio.
Lo prese dal braccio senza dargli tempo di dire qualcosa, Vittorio non riuscì ad opporsi e si fece trascinare piano fuori dalla stanza.
«Birra e panino farcito vanno bene? Oppure preferisci un bicchierino di amaro? Sai, l’altro ieri il Capus ci è andato giù di brutto, è andato a vomitare nel cesso del bar ma non ha fatto in tempo a buttarla nel cesso, capito? E’ rimasto a pulirgli tutto e lo abbiamo preso per il culo due giorni...»
Vittorio sorrise a suo fratello, mentre continuava a raccontargli gli aneddoti più strani dei suoi amici.
Meno male che c’era lui a tirarlo fuori dalle sue paranoie.








Tre ragazze, una con degli occhi verdi intensi, dei capelli castani mossi che le ricadevano sul seno, un’altra con degli occhi scuri come pozzi e dei capelli ricci dello stesso colore, e infine, l’ultima, con degli occhi castani e dei capelli scuri, lunghi e perfettamente lisci, erano sedute sul divano della vecchia casa di Alex, ormai stabilita ufficialmente come luogo di ritrovo.
Valeryn, Maia e Miriana approfittarono di quell’ora in cui i ragazzi erano assenti, occupati dale partite di calcio ai campetti, mentre Conny e Sara erano andate a fare shopping al centro commerciale. Anche Miriel avrebbe voluto andare a comprare una marea di cose, ma Valeryn aveva bisogno d’aiuto e d’altronde aveva intenzione di parlare con lei, dato che non avevano ancora avuto modo e lei quella cosa se l’era segnata al dito.
Maia rovistò nella dispensa tra le cose che avevano comprato qualche giorno fa. Maledì i ragazzi che puntualmente finivano tutto, ingozzandosi come dei maiali. Trovò di commestibile soltanto una scatola di arachidi. Poi aprì il piccolo frigo e tirò fuori un’aranciata.
Portò il vassoio sopra il tavolino e si accomodò sul divano, sedendosi alla sinistra di Valeryn che si torturava le mani, ancora insicura se rivelare tutto alle amiche.
«Lo so che non è il massimo» disse facendo spallucce, notando Miriel che lanciava uno sguardo interrogativo verso gli arachidi «Ma si sono divorati tutto, sono inaffidabili quelli là»
Poi si versò un po’ d’aranciata sul bicchiere, facendo lo stesso con quello delle altre due. Ne porse uno a Valeryn, che lo prese distrattamente.
«Tò, era meglio una coca cola, ma l’unica cosa che c’era era del cuba libre» scosse la testa, pensando a quanto alcolizzati e tossici fossero i loro amici.
Miriel accusò un sorrisino, poi mangiò un po’ di arachidi prima di concentrarsi su Valeryn. Aveva un’espressione preoccupata, i lineamenti del volto erano tesi, con una mano si torturava i capelli.
Scosse la testa, incrociando le braccia, in maniera un po’ altezzosa.
«Allora, si può sapere che ti prende?»
Era sempre stata una ragazza diretta, ma non aveva problemi, nemmeno con Maia che adesso le scoccava uno sguardo torvo.
Valeryn dal suo canto alzò le spalle, non sapendo come rispondere esattamente a quella domanda. La sua testa era così affollata da pensieri che non riusciva nemmeno a capire le sue sensazioni.
«Ecco, io... Non lo so...» fu l’unica cosa che riuscì a pronunciare.
Miriana, che non amava portar le cose alle lunghe, prese nuovamente la parola.
«Andiamo, non incominciare a balbettare, eh?» la rimproverò «Se vuoi dirci qualcosa devi essere esplicita, altrimenti non capiremo niente»
Valeryn le lanciò un’occhiataccia. Odiava chi le si rivolgeva in quel modo. Per diamine, loro che ne potevano capire? Stavano lì a fissarla come se potesse improvvisamente illuminarle con chissà che rivelazione, nessuna di loro era rimasta incinta e si sentiva dannatamente in difficoltà nel provare a spiegare cosa aveva in testa in quel momento, aveva solo un mucchio di confusione. Si ridestò passandosi una mano tra i capelli, tentando di calmarsi.
«Non è facile, okay? Non lo è per niente, anzi...» ebbe uno scatto impulsivo e si alzò dal divano, facendo per andarsene, irritata e anche un po’ ferita.
«Non mi va più di parlare, non ne vale la pena» la sentirono dire.
Maia la trattenne subito da un braccio, la rimise a sedere e si voltò arrabbiata verso l’altra che la fissava con uno sguardo tagliente.
«Miri, evita di comportarti così, non la aiuti per niente!» la rimproverò.
La ragazza emise uno sbuffo e prese a guardarsi le unghie curate.
«Non è colpa mia se è diventata particolarmente sensibile» fu la lapidaria risposta.
Valeryn la guardò infastidita, poi si scostò i capelli dal volto. Adesso stava esagerando usando quei toni, quasi non la riconosceva più. Fece un passo avanti e la fronteggiò, mollando la presa di Maia dal suo braccio.
«Oh, certo!» esclamò con sarcasmo «Non sei tu quella incinta, o sbaglio?»
Miriel si voltò verso di lei con un cipiglio.
«Non sono io quella che combina una cazzata e poi si piange addosso!»
La castana rimase incredula a guardarla. Non poteva immaginare che una delle sue migliori amiche potesse risponderle con quei toni. Se l’era presa molto poiché non le aveva parlato prima della gravidanza, ma non poteva comunque trattarla senza un minimo di tatto. Prima che potesse risponderle, una riccia Maia pose fine a qualunque discussione.
«Ragazze, se dobbiamo litigare possiamo anche andarcene»
«Per me non c’è problema, lo stavo facendo prima che mi fermassi» sibilò Valeryn, con le braccia incrociate. Miriel scosse la testa ed alzò gli occhi al cielo.
Maia scosse la ragazza da un braccio.
«Smettila anche tu, Vale, così non possiamo aiutarti. Devi rilassarti, okay?» tenne gli occhi fissi su quelli dell’amica e poi si rivolse all’altra «E tu, Miriel, sta’ zitta un po’ e lasciala parlare!»
Quella fece una faccia indignata, ma poi si zittì. Appena le acque si furono calmate, la ricciolina tirò un sospiro di sollievo.
«Allora, dicci tutto dall’inizio, siamo qui per ascoltarti» esortò l’amica, facendole un sorriso incoraggiante.
Valeryn prese fiato, scoccò un altro sguardo a Miriel che aveva il broncio, e cominciò a torturarsi i capelli. Poi decise di buttarsi, di raccontare tutto dall’inizio, perché lei stessa sentiva la necessità di mettere insieme tutto quello che stava provando per riuscire a capire come uscirne.
«Dunque, io... Non so esattamente cosa mi prende, so solo che mi sento molto strana...» fu la prima cosa che disse.
Miriel scosse la testa emettendo un suono scettico, mentre Maia assunse subito un’espressione preoccupata.
«Tutto questo è successo troppo velocemente...» fece un cenno alla sua pancia ancora piatta «E... e non so se riuscirò a sopportarlo. E’ come... come un peso per me...»
Miriana la guardò interrogativa, poi mosse di qua e di là i suoi lunghi capelli scuri.
«E adesso che significa che non potrai sopportarlo?»
Valeryn si morse il labbro, iniziando a sentire gli occhi lucidi.
«E’ difficile, ve lo giuro... Mi sento come in gabbia, mi sento cresciuta tutto ad un tratto e… non so che fare...»
Maia, che era molto empatica, fece uno scatto e le strinse una mano, gesto che non sfuggì a Miriel, la quale non riuscì a fare a meno di scoccare uno sguardo irritato alle loro mani intrecciate.
«L’altro giorno ho parlato con mia madre, mi ha detto che dovrò prendermi le mie responsabilità, dovrò dedicarmi sempre a questo bambino. E che dovrò crescere, sono ancora una ragazzina. Io... Io ormai sono segnata, capite? La mia vita non sarà più la stessa...» calde lacrime cominciarono a colarle dagli occhi smeraldini. Maia sospirò abbracciandola e anche Miriel abbassò lo sguardo.
«Ho tanta paura. Non voglio crescere, voglio fare la mia vita normale. Voglio cazzeggiare con voi, voglio fumare, voglio bere, voglio andare alle feste!» tirò su col naso «Quasi voglio tornare a litigare con Daniel...»
«Oh, beh, non preoccuparti, quello non cambierà» ridacchiò amaramente Miriel, scuotendo la testa.
«E... e poi...» si divincolò dall’abbraccio di Maia, puntando gli occhi arrossati verso la vecchia TV che Carmine aveva portato da casa sua. Sospirò pesantemente, si sentiva quasi libera adesso che lo stava dicendo a loro.
«E poi, Vittorio» si fermò a mordersi il labbro, mentre le ragazze si lanciavano uno sguardo confuso e interrogativo.
«V-Vittorio?» boccheggiò Maia, tentando di capire cosa c’era che non andava con lui. Miriel accavallò le gambe, preparandosi a sentire.
«Non lo so... Io sono così confusa...» mormorò.
«Sei confusa...» la riccia esitò un attimo prima di proferire «Sei confusa su quello che provi per lui?»
Quelle parole la colpirono come un pugnale. In fondo non lo aveva mai pensato direttamente, ci girava intorno come se fosse una nota dolente, ma sapeva bene che le sue sensazioni contrastanti riguardavano proprio i suoi sentimenti per lui.
Miriel scattò sull’attenti, la guardò stupita, spiazzata.
«Che cosa?!» chiese, spalancando gli occhi.
Valeryn si morse il labbro in ovvia difficoltà. Non sapeva che rispondere, o per meglio dire, sapeva che una parte di sé si stava allontanando da Vittorio, ma non riusciva a comprendere il motivo. Da quando aveva saputo della gravidanza, la sua testa era piena di dubbi e di esitazioni, si sentiva così terribilmente distante da lui che quasi non riusciva a farsi toccare.
Annuì debolmente decidendo di tirarlo fuori, non poteva nascondere la verità a se stessa ancora per molto.
Maia sospirò passandosi una mano sul bel viso, mentre Miriana boccheggiava, incredula.
«Io... io non ci posso credere!» esclamò, senza riuscire a dire altro.
Valeryn la guardò triste, poi socchiuse gli occhi. Nemmeno lei ci poteva credere, eppure non riusciva più a stare con Vittorio come faceva sempre, c’era qualcosa che la bloccava, si sentiva forzata, si sentiva come se avesse paura di lui, come se la gravidanza l’avesse macchiata.
«Tu stai dicendo che hai intenzione di lasciarlo?» chiese a bruciapelo Miriel con gli occhi ridotti a fessure. Come diavolo poteva pensare una cosa del genere? Proprio in quel momento, che aveva un bambino in grembo e lui era il padre?
Maia intervenne a suo favore per non far degenerare le cose un’altra volta. La situazione era già abbastanza delicata e difficoltosa da gestire per tutti, anche per loro, che non sapevano cosa dirle.
«Fa’ parlare lei, Miri. Cosa ti senti di fare?» le si rivolse apprensiva, cercando in qualche modo di farle capire che l’avrebbe sostenuta a prescindere, ma anche lei stentava a crederci, anche Maia si chiedeva com’era possibile che improvvisamente l’amica avesse tutti quei dubbi su Vittorio con cui aveva tanto lottato per stare insieme.
Valeryn sospirò. Non sapeva proprio cosa fare, percepiva semplicemente una sensazione di rifiuto, era come se avesse bisogno di spazio, di ossigeno.
«Non lo so, ve lo giuro. Sono come... bloccata...» disse,
Miriel negò con la testa, prima di alzarsi e fronteggiarla, puntandole un dito contro.
«Tu sei stupida! Non sei bloccata, sei solo una stupida!» alzò la voce.
Valeryn guardò Maia sconcertata. Adesso si stava toccando veramente il fondo. La riccia le fece cenno di sedersi, ma quella la ignorò
«Non capisci un cazzo, Valeryn! Sei diventata più idiota del previsto, dannazione, ma come puoi? Come puoi pensare una cosa del genere?»
«Miriana, basta!»
Questa si voltò verso la ricciolina che si era messa in piedi e le aveva stretto entrambe le braccia. Si divincolò con un impeto e quasi la fece barcollare.
«Tu sta’ zitta, Maia! Stai zitta! Smettila di difendertela sempre, sai benissimo anche tu che sta sbagliando! E’ inaccettabile!» urlò, il bel viso cosparso di un colorito roseo, segno che la collera aveva preso il sopravvento in lei.
Maia fece per intervenire, ma Valeryn la precedette e si mise in piedi. Non tollerava che nessuno le si rivoltasse contro in quel modo.
Nessuno.
La guardò con gli occhi verdi che sprizzavano scintille, di uno sguardo che avrebbe fatto paura chiunque.
«Non ho chiesto un tuo parere, prima di tutto» sibilò con una nota gelida che mascherava la rabbia «E poi io faccio ciò che mi pare, i problemi ce li ho io, non tu, tesoro, chiaro?»
Miriana incrociò le braccia, con un’espressione di sfida, senza farsi scalfire minimamente.
«Tu non puoi fare una cosa del genere a Vittorio, non puoi lasciarlo!»
«Perché no, sono fatti miei!»
La castana strinse i pugni, serrò i denti ed iniziò a sentire caldo per l’agitazione. Maia, preoccupata, le strinse delicatamente un braccio.
«No, cazzo!» l’altra mandò la sua raffinatezza a quel paese «Lui ti ama, stupida, lo farai soffrire in questo modo! Non capisci? Hai bisogno di lui, è il padre di tuo figlio, non puoi allontanarti da lui proprio in questo momento!»
Voleva solo provare a farla ragionare. Era uno sbaglio, Miriel lo sapeva. Conosceva anche Valeryn da una vita, conosceva quel suo lato impulsivo e tendente a mettersi nei casini, intuiva l’inizio di una serie di conseguenze nefaste. Non era solo una questione personale, del fatto che non le avesse detto niente, o meglio, lo era ma fino ad un certo punto. Era convinta che stesse commettendo un grosso errore che le sarebbe costato caro.
Valeryn guardò Maia in cerca di un aiuto. Quella, però, abbassò lo sguardo non sapendo esattamente come intervenire. Anche lei pensava che l’idea di allontanare Vittorio fosse troppo avventata, fosse qualcosa dovuta ad un momento di sbandamento ma non una scelta da prendere a lungo termine.
Aveva bisogno di condurre una gravidanza serena e con l’aiuto di tutte le persone che tenevano a lei, di sicuro non era una buona idea lasciare il padre del suo bambino. Come avrebbero preso quella scelta in famiglia?
«Io... Io ho bisogno di una pausa per riflettere, che ti piaccia o no, devo capire...» fu quello che riuscì a sussurrare.
«Ma che diavolo c’è da capire?»
La mora sbatté i capelli, innervosita da quello stato di ottusità che pervadeva l’amica in quel momento.
«Sei incinta di lui e lui ti ama da impazzire, si vede da ogni cosa che fa. Dopo tutto quello che avete passato? Dopo che hai messo le corna a Elia, dopo che ha rotto con il suo migliore amico per te, dopo che è andato contro la vostra famiglia perché siete cugini e tuo padre non vi accettava? Lui ti sta vicino come pochi ragazzi farebbero in questo momento. Lui non è andato via! Non è scappato, Valeryn, dopo che gliel’hai detto. E tutto questo perché vuole stare con te!»
La castana fece per risponderle, ma si limitò a mordersi il labbro, consapevole che Miriana aveva messo nero su bianco quello che il suo ragazzo aveva fatto e faceva per lui giornalmente.
«Come puoi ripagarlo così?» la udì sospirare, notando un velo di dispiacere sincero «Vittorio non se lo merita» disse infine.
Aveva ragione. Vittorio non meritava niente di tutto quello. Non meritava di essere allontanato, non meritava di essere tagliato fuori, non meritava di essere considerato un peso, non meritava di avere la colpa se lei era rimasta incinta e ancora lei avrebbe dovuto portare avanti la gravidanza per nove mesi con paura, problemi fisici, dolori, modificando il suo corpo e il suo stile di vita. Ma non riusciva ad immaginarlo al suo fianco, era come se la favola fosse improvvisamente finita e lei si fosse risvegliata nella realtà. Erano dei ragazzini che avevano fatto gli imprudenti e non sapeva cosa voleva. A volte, quando la notte chiudeva gli occhi, si ritrovava persino insicura di volerlo tenere in braccia quel bambino...
Di fronte ad un pensiero forte del genere, ebbe un fremito. Aveva bisogno di pensare alla sua situazione sentimentale, e Miriana non poteva interferire, era una sua amica, ma non aveva il diritto di imporle ciò che fare. Avrebbe scelto con la sua testa, anche se l’avrebbe portata a decisioni sbagliate, perché lei non stava bene psicologicamente e per una volta voleva pensare al suo benessere.
«Farò ciò che mi farà stare bene» annunciò fermamente.
La mora scosse la testa, quasi con disprezzo.
«Sei un’egoista» sputò fuori, fece per andarsene, ma poi si voltò all’improvviso puntandole il dito contro.
«Sai che c’è? Che secondo me hai paura, hai paura di stare con lui perché ti ha messa incinta! E’ a lui che dai la colpa di questo! Perché hai paura di affrontare la gravidanza, hai paura di tutto! Lo vuoi tenere questo bambino, sii sincera!»
Maia spalancò la bocca e si mise tra le due, la tensione era alta e vide Valeryn fare uno scatto verso l’altra che si irrigidì e si sentì agguantare.
«Adesso basta, Miriana, mi hai rotto il cazzo!» l’afferrò da un braccio sentendosi ferita nel profondo, sentendosi toccata, sentendo una freccia che aveva centrato il punto dei suoi problemi.
«Mollami, stronza!» fu la replica dell’altra, che alzò il braccio per levarla via.
La riccia intervenne immediatamente, facendo in modo che non incorressero in nessuno scontro fisico.
«Ora calmatevi tutt’e due, siete pazze? Non ne vale la pena!» urlò, redarguendole.
Miriel continuò a guardarla in cagnesco, mentre quella faceva altrettanto.
«Sei solo una bimbetta infantile che non pensa ad altro che a sé stessa! E te ne pentirai se lascerai Vittorio, quando non saprai che fare con un bambino tra le braccia, vorrai solo tornare da lui!» fu l’ultima cosa che la prima riuscì a dire, prima che la porta di casa si spalancasse e Censeo, Carmine e Daniel entrarono senza tanti complimenti.
Valeryn li guardò con un’espressione allarmata, mentre Miriel sbatteva i capelli, nervosa, e si sedeva, guardandosi distrattamente le unghie per dissimulare il trambusto appena successo.
Dietro di loro, Conny e Sara entravano tutte eccitate con delle enormi buste in mano. Maia guardò la castana con un sospiro e le fece un cenno come per dire che avrebbero parlato un’altra volta.
Sara si avvicinò con un sorriso a trenta denti, mostrando un vestitino verde corto fino al ginocchio.
«Che ve ne pare? E’ spettacolare, vero? Non mi fa nemmeno i fianchi grossi!»
Sorrideva contenta, mentre Maia lo esaminava e Miriel frugava tra le altre buste.
Valeryn si mise a sedere fissando il vuoto, e d’un tratto, fu come se niente fosse appena successo e le ragazze si distrassero dall’ambiente giocoso e chiacchiericcio.
«E questo?» la mora tirò fuori un reggiseno tutto in pizzo, rosso, sicuramente più grande di una misura e la mutandina a brasiliana in coordinato.
Sara glielo tolse subito di mano, imbarazzata.
«Lascialo stare, questo è privato...» borbottò, mentre le ragazze ridacchiavano. Daniel si avvicinò alla sua ragazza facendola spaventare, soffiandole nell’orecchio.
La bionda cacciò un urlo di riflesso e quello rise rumorosamente.
«Dì sei impazzito, per caso?» gli urlò contro.
«E tu sei una grassona» poi le scippò il completino di mano, osservandolo con un’espressione schifata
«Sul serio vorresti mettere questo coso? Ma se sei una balena, pasticcina mia, sarai orrenda conciata così»
Sara gli tirò un calciò arrabbiata, mentre Daniel si scansava e ne approfittava per palpargli il sedere.
«Porco!» lo apostrofò, spingendolo via.
«Bella, amoruccio della mia vita!» unì le labbra e si riavvicinò agguantandola per provare a scipparle un bacio, facendola strillare.
Maia rise, Miriel scosse la testa continuando a frugare tra le borse dell’amica. Valeryn accennò un piccolo sorrisino, mentre la sua testa si perdeva nei pensieri. Voleva tanto scherzare con lui come facevano i loro amici adesso, che, ridendo si baciavano e si abbracciavano. Daniel, a modo suo, era innamorato di Sara.
E lei, invece? Lo era?
Era ancora innamorata di Vittorio come una volta?
Quella domanda la devastava interiormente.
Carmine lanciò uno sguardo dis.ustato ai due piccioncini, poi si sedette sul divano accendendo la TV. Si passò una mano tra i capelli neri e alzò un sopracciglio.
«Certo che fanno proprio cagare» bisbigliò, mentre le ragazze ridacchiavano,
«E poi, Dan, del cuba libre in frigo... Ripeto, cuba libre, no, ma che problemi hai?»
Il castano si staccò bruscamente da Sara, facendola barcollare, con in volto un’espressione accigliata.
«Sei solo geloso, Carminiello» disse con un ghigno «Primo, perché Angelina ti sta mandando in astinenza»
Il moro fece per protestare, ma quello non glielo permise.
«Secondo, perché io so fare i drink, mentre tu no. Sei un buona nulla, ammettilo»
Carmine gli lanciò uno sguardo di fuoco.
«Chiudi quella fogna, idiota, e poi che ne sai tu della mia vita privata?» sibilò, divenuto improvvisamente rosso in viso.
«Io so sempre tutto, mi pare ovvio» rispose il ragazzo con i capelli a caschetto, vantandosi.
Carmine scosse la testa facendo una smorfia irritata, mentre Maia alzava gli occhi al cielo e si sedeva accanto a lui, dandogli un bacetto sulla guancia per calmarlo.
Quell’oggi sembravano tutti così in vena di litigare.
«Lascialo perdere, Mine. Lo sai che è un buffone» gli strinse un braccio, sorridendo.
Daniel si voltò versò di lei, lanciandole uno sguardo truce.
«Oh, tu guarda! Ha parlato la protettrice dei deboli!» la scimmiottò e subito dopo lanciò uno sguardo allusivo a Valeryn, facendo intendere che la debole era lei, che veniva sempre difesa a spada tratta.
La ragazza se ne accorse ma non reagì, emise semplicemente uno sbuffo e si mise in piedi per andare in bagno.
Si sentiva debole, le girava la testa e poi aveva una nausea persistente, era aumentata da dopo la discussione. Si era molto innervosita, forse doveva misurare la pressione, ma dubitava che in quella casa umida ci fosse un misuratore.
Miriel le scoccò uno sguardo sbieco, ma decise di non seguirla. Dopo quello che aveva detto, il suo orgoglio glielo impediva; d’altronde, poteva sempre contare sull’altra sua amica che di sicuro era più gradita di lei, pensò con le braccia incrociata, crucciata da tutta la situazione.
Conny, nel frattempo, tornò dalla cucina insieme a Censeo, che aveva in mano una tavoletta di cioccolato. Si sedette sulla poltrona amaranto, mentre la ramata si accomodava sullo stesso bracciolo.
«Guarda amore, guarda che ho comprato!» esclamò elettrizzata, tirò fuori dei leggins di pelle e un top grigio con le maniche a sbuffo, tutto brillantinato.
La sua moda era caotica e stravagante, un po’ come la sua personalità. Teneva comunque molto al parere del suo ragazzo, ma Censeo era distratto, rivolse un breve sguardo ai vestiti e poi annuì, voltandosi verso i suoi amici che ancora discutevano. Conny rimase spaesata per un attimo di fronte a quel mancato interessamento, non era affatto da lui. Censeo era sempre così attento, dolce e premuroso con lei.
«Ma nemmeno li hai guardati!» esclamò, tirandogli una gomitata sulle costole.
Il biondino fece una smorfia di dolore.
«Teso’, dai, conosco i tuoi gusti. Li vedrò meglio quando li indosserai» rispose addentando il cioccolato.
La ragazza assottigliò gli occhi e lo guardò. Censeo si sentì osservato e ricambiò lo sguardo.
«Ma che c’è?» le chiese, senza capire.
«Sei maleducato» proferì Conny, rimettendo i vestiti dentro le buste con un gesto stizzito.
Censeo alzò gli occhi al cielo, sbuffando. Quando la sua ragazza pretendeva delle attenzioni diventava petulante.
«I tuoi vestiti mi piacciono, amo’. Lo sai. Non c’è bisogno che te la prendi così»
Conny s’irritò maggiormente per il modo superficiale in cui le aveva risposto, così si alzò dalla poltrona, prese le buste e si diresse verso la cucina, delusa.
Pensandoci, non era la prima volta che Censeo provava a minimizzare qualcosa che le stava a cuore. Era davvero insensibile delle volte, non sopportava proprio quella parte di lui che lo rendeva uguale agli altri.
Questi guardò il punto in cui era sparita e fece spallucce, pensando che le sarebbe passata presto, come al solito.
Il campanello suonò, Daniel corse a rispondere. Entrarono Elia e Alex, quest’ultimo infreddolito fino al capo rasato, l’altro con una bottiglia di birra in mano, i capelli biondi con un taglio a tendina che gli stava benissimo.
Daniel gli si avvicinò con una smorfia e lo squadrò con una punta di sana invidia.
«Sempre il solito ubriacone, tu! Con ‘sti capelli da froscio» lo apostrofò, mentre Elia gli dava uno scappellotto alla nuca.
«Che c’è, ti piaccio?» lo provocò con un ghigno mentre si mordeva volutamente il labbro inferiore.
Daniel fece finta di vomitare ficcandosi due dita in gola.
Alex rise, levandosi di dosso il giubbotto e sporgendosi sul divano ad abbracciare e baciare la sua Miriel, ancora visibilmente irritata.
Il ragazzo con i capelli a caschetto si diede un’occhiata intorno e notò che mancava Valeryn nella stanza, così si rivolse nuovamente ad Elia che beveva la sua birra.
«E Vitto dov’è? L’hai lasciato ai lupi?» chiese ironico.
Elia quasi si strozzò con la birra nel sentir nominare il nome del suo migliore amico.
Quel gesto dell’altra sera...
Il cuore prese a battere più veloce del dovuto e iniziò a sentirsi strano.
Se ne vergognò improvvisamente, soprattutto con l’amico di fronte che lo ispezionava in cerca di una risposta.
Non sapeva perché gli faceva quell’effetto, ma il solo pensare a quella carezza dell’altra sera gli faceva venire voglia di scomparire dall’imbarazzo.
«Non lo so...» fu quello che riuscì a mormorare, cercando di nascondere la sua difficoltà all’apparenza immotivata.
Daniel, infatti, stava per chiedergli se aveva ingoiato un porcospino, ma Alex fortunatamente intervenne, alzando le spalle.
«Non era con Valeryn?» chiese, interrogativo.
Che stava succedendo tra quei due? In effetti era il dubbio mastodontico che circolava da un bel po’ di giorni nella testa di tutti quanti.
Elia si levò di dosso la giacca e la lanciò con fin troppo impeto sopra una sedia incustodita. Alex gli lanciò subito uno sguardo preoccupato. Ripensò improvvisamente alle parole che gli aveva confidato l’amico.
Valeryn era diversa con lui, lo teneva a distanza, lo evitava più che poteva. Lui in quel momento aveva bisogno di aiuto, aveva bisogno di consigli, di qualcuno che gli sollevasse il morale.
«No, la pazzerella è in bagno a fare la popò!» udì dire a Daniel.
Il suo sguardo si perse nel vuoto, stringendo le labbra.
Si sentiva così legato a Vittorio che era come se stesse vivendo tutto quello in prima persona e non riusciva a levarsi dalla testa il pensiero dell’amico.
Aveva una brutta sensazione...







Valeryn si appoggiò con le mani al lavandino, ansimando.
Si guardò allo specchio, vedendo un’immagine di sé davvero brutta. Era pallida, aveva la matita sbavata e gli occhi lucidi. Perché era ridotta così? E quella dannata nausea che non le dava tregua, non riusciva quasi a respirare... Si portò istintivamente una mano sopra il suo ventre. Non sapeva se era solo la nausea a ridurla in quel modo, c’era dell’altro. Ed era sicura che avesse a che vedere con le dure parole di Miriel.
Dio, come poteva pensare anche solo minimamente di chiudere con lui? Lei aveva bisogno di lui, lei lo amava, ma non si sentiva più sé stessa da quando lo aveva scoperto. La gravidanza l’aveva sconvolta, stava divorando la sua vita, e lei, ancora così piccola, ancora così indifesa, non sapeva come
Sei un’egoista.”
Cominciò a piagnucolare. Lei non era così, quella non era la vera Valeryn.
Dov’era finita la ragazza di una volta?





Ross parcheggiò la macchina proprio sotto casa di Alex. Rivolse uno sguardo a Vittorio che fumava con il finestrino aperto e scosse la testa, tentando di riscaldarsi con le braccia. Si era fatta sera, erano andati in un pub a bere birra e fare un po’ di casino. Suo fratello doveva distrarsi un po’ da tutta quella situazione. Ross lo capiva, capiva perfettamente che era solo un ragazzo, aveva bisogno anche di quello, forse soprattutto di quello.
«E basta fumare, mi stai impuzzolendo la macchina!» lo rimproverò, poi si strinse nel giubbotto «Peraltro hai il finestrino aperto da mezz’ora e mi hai fatto congelare!»
Vittorio fece spallucce, poi gettò lontano la sigaretta finita. Di solito non esagerava con il fumo, ma in quei giorni era così nervoso che non poteva farne a meno.
Fece per scendere dalla macchina, ma suo fratello lo trattenne da un braccio. Si voltò a guardarlo interrogativo.
«Ehi, nemmeno un “Grazie, Ross. Mi sono divertito tantissimo con te, ti adoro, grazie per avermi pagato le birre, il panino e l’amaro”?» Il più grande alzò un sopracciglio di fronte a quel suo tentativo di sgattaiolare via senza degnarlo di una parola o di uno sguardo.
Vittorio sospirò e fece mezzo sorriso, annuendo.
«Sì, grazie. Sono stato bene» fu l’unica cosa che disse.
Aveva ancora in colpo quell’alcol da metabolizzare, non era semplice affrontare alcun tipo di discorso per lui.
Non fece passare dei secondi in più e scese dall’auto. Il più grande imprecò sonoramente, così lo richiamò, incitandolo a tornare indietro senza esitazioni. Vittorio alzò gli occhi al cielo e si fermò.
«Dimmi, che c’è?» chiese, appoggiando un braccio sul finestrino aperto.
Si guardarono negli occhi senza dire niente.
«Come che c’è?» chiese Ross, dopo un po’, sbalordito «Credevo ti fossi divertito!»
«Infatti mi sono divertito» confermò il castano.
Il fratello scosse la testa emettendo un suono gutturale che significava che non gli credeva affatto.
«E allora perché stai ancora così?»
Vittorio non rispose a quella domanda, solamente abbassò lo sguardo. Si era divertito veramente con lui, in quelle ore in cui aveva bevuto e fatto casino con il “Capus”, il “Prof”, Dado e tutti gli altri suoi amici non aveva pensato a niente. Ma adesso che sapeva che in quella casa c’era lei non poteva essere per niente tranquillo.
Perché erano tutti riuniti lì e lui non poteva fare a meno di salire a salutarli, si preoccupavano a loro volta, i suoi amici.
E’ solo che aveva una sensazione di ansia che riusciva a spiegarsi poco, o meglio, era come una sorta di presagio di ciò a cui sarebbe andato incontro.
«Ho capito» sospirò Ross, rassegnato «Stai così per quello, giusto?»
Continuò a non rispondere, si morse lievemente il labbro.
«Senti, ti dico una cosa» Il fratello maggiore lo guardò negli occhi, risoluto, e poche volte aveva visto quel bagliore negli occhi di Ross, che non faceva altro che prendere la vita alla leggera.
«La devi smettere, Vitto. Qualunque cosa succeda, devi essere forte. Devi farlo per te stesso. Altrimenti non starai più bene, ti lacererai»
«Lo so che non è facile» lo precedette, dato che stava per dire qualcosa «Ma guarda me. Io ce l’ho fatta in qualche modo, ce la farai anche tu. Tu sei ancora meglio di me, pivello. Mi costa dirlo, ma lo sei»
Vittorio annuì con un sorrisino che riuscì a strappargli dopo quella constatazione, poi fu investito da un grande gelo. Si strinse nel giubbotto e si avvicinò al portone, suonando il citofono. La serratura scattò. Un po’ impacciato, tornò indietro, non sapendo bene che parole usare.
«Senti, grazie, eh? Hai ragione» soffiò piano, mentre Ross annuiva, compiaciuto.
«Ah, e un’altra cosa. Mi sono divertito davvero oggi, io... Mi diverto sempre con te» gli rivelò con affetto, poi finalmente voltò le spalle ed entrò in casa, mentre il maggiore sorrideva e metteva in moto.


Proprio in quel frangente, Elia si trovò fuori in veranda a fumare. Aveva visto tutto, aveva sentito ciò che si erano detti. Gettò il fumo piano dalla bocca, che si confuse subito con il gelo dell’aria.
Stava davvero così male, Vittorio? Per lei?
Perché avrebbero avuto un figlio così giovani e Valeryn non lo voleva vicino come avrebbe dovuto...
Era comprensibile, non riusciva invece a comprendere quel suo patetico umore di fronte ad un realtà così oggettiva.
Continuava ancora a sentirsi tradito perché?
Voleva solo tanto aiutare Vittorio in qualche modo, fargli capire che lui gli sarebbe stato sempre accanto.
Ma quello che sentiva in fondo al suo cuore era che voleva Vittorio per sé, e nient’altro.
La mano gli tremò e la sigaretta con gli ultimi aspiri cadde di sotto.
Il castano, nel frattempo, entrò in casa. Daniel lo accolse festosamente, gli altri lo salutarono in coro.
«Bella zi’, aspettavamo solo te!» esclamò estasiato, mentre lui si toglieva il giubbotto e faceva per metterlo via.
«Ma no, da’ qua, faccio io!» glielo tolse dalle mani.
Carmine alzò un sopracciglio nel vedere quella scena.
«To’, ma guarda che servizievole!» commentò con sarcasmo.
«Per tua informazione, io riservo sempre questo trattamento agli amici» si pavoneggiò quello, mentre imboccava il corridoio e portava il giubbotto del castano in un’altra camera.
«Sì, come no, quando ci urli contro ti adoriamo!»
Vittorio lasciò perdere Daniel che, per l’appunto, strepitava contro il povero Carmine per averlo provocato. Qualcuno gli chiese qualcosa e, finito di rispondere, si accomodò vicino a Maia che aveva il cellulare tra le mani.
La riccia alzò lo sguardo su di lui e fu automatico ripensare alle parole dell’amica di poco prima, perciò scosse la testa, dispiaciuta. Vedere Vittorio in quel momento le faceva pensare che Valeryn si era bevuta completamente il cervello. Non poteva lasciarlo... Lui era così bello, così gentile... E in quel momento le sembrava così disperato. Non lo meritava.
Decise di apparire più disinvolta possibile e dirgli qualcosa, ma non potette fare a meno di notare dello sguardo di disappunto che Miriana le aveva lanciato avendo intuito le sue intenzioni. Decise di fare finta di niente e si accinse a rivolgergli un sorriso.
«Ehi, come stai?» gli chiese, piegando la testa di lato.
L’ennesima domanda del genere.
Vittorio abbassò lo sguardo e lei se ne accorse. Come stava? La domanda che più odiava in quei giorni.
Perché non stava bene.
«Bene, grazie, Maia» mentì.
Dopo si guardò intorno per sfuggire dalla sua stessa bugia, ma gli altri erano attenti a guardare la TV. Censeo però gli sorrise, poi gli fece uno cenno seccato verso Daniel e Carmine che discutevano ancora.
Maia continuò a guardarlo. Era caparbia, odiava vedere i suoi amici in quel modo, lei voleva sempre mettere una buona parola con tutti.
«Vitto, noi due siamo amici ormai da un paio d’anni» mormorò, anche se le urla di Daniel e Carmine risuonavano per tutta la casa. Lui le ricambiò lo sguardo interrogativo, era vero che si conoscevano da tanto, al dire il vero quasi tutti erano cresciuti nello stesso quartiere, tre quarti di loro avevano passato la loro infanzia insieme.
«E quindi ci tenevo a dirti che... che se hai bisogno di aiuto, beh, sappi che puoi contare pure su di me» gli venne naturale dirglielo.
Era nella sua indole, era una dote innata quella di preoccuparsi per chi voleva bene.
Lui le sorrise sinceramente. Quella ragazza aveva un cuore d’oro, era sempre dolce e affettuosa con tutti.
«Grazie, che carina che sei» le rispose.
«E un’altra cosa...» aggiunse seria, poi si passò una mano tra i ricci «Lei è in bagno, ti prego, raggiungila, è da tanto che sta chiusa»
Vittorio strinse le labbra e annuì piano. Doveva andarci, non poteva fare finta di niente, doveva incontrarla prima o poi, no? E Maia si stava rassicurando che si prendesse cura di lei.
Dove avere il coraggio di affrontarla, lui era il suo ragazzo.
In un gesto automatico, si alzò di scatti dal divano con il cuore che gli martellava in petto e scomparì nel corridoio.
Elia rientrò dalla veranda proprio in quell’esatto momento. Tutti si voltarono a guardarlo.
«E tu dove stavi, ti eri perso?» chiese Alex, squadrandolo strano. Il biondo negò con la testa, ma non aggiunse niente, concentrato a fissare il punto in cui Vittorio era sparito.
«Ah, a fumare, e quando mai!» constatò l’amico, ironico.
Elia fece ruotare il suo sguardo su Maia, interrogandola con gli occhi. Sentiva il profumo di Vittorio, gli fece girare la testa perché lo avrebbe riconosciuto in una folla di sconosciuti.
Si sedette vicino alla ragazza, nel posto in cui fino a qualche secondo prima c’era seduto lui.
Per un po’ di secondi si torturò le mani e non seppe se era il caso di chiederglielo, ma fu più forte della ragione.
«Dov’è andato? L’ho visto che è salito» sussurrò all’amica e lei lo guardò un tantino perplessa.
Elia si preoccupava tanto per Vittorio. Anche se a volte intravedeva qualcosa in lui di strano, di diverso, in lui. Lo conosceva troppo bene e si preoccupava davvero poco per gli altri, mentre per Vittorio aveva quella sorta di protezione, di devozione, quell’affetto viscerale che lei a volte non se lo spiegava bene.
Decise di non pensarci e gli rispose dicendogli la verità.
«In bagno, da Valeryn»





La ragazza si teneva la fronte, gli occhi socchiusi.
Si sciacquò la faccia per riprendere fiato, era la cosa che odiava di più, vomitare, le faceva ribrezzo. Eppure doveva abituarsi, erano già passate circa quattro settimane. Si sentiva così sola in quel momento, in quel vecchio bagno vuoto.
Ma chi aveva più?
Lei stava crollando a pezzi come un castello di carte.
E dalle persone che potevano salvarla non voleva essere salvata. Era come se avesse trovato confortevole il suo malessere.
Appena prese una tovaglia per asciugarsi, Vittorio aprì piano la porta.
Valeryn si voltò con il cuore in gola scrutandolo dallo specchio, non si aspettava di trovarlo lì. Lui la guardò a sua volta, poi si chiuse la porta alle spalle.
Rimasero fermi a fissarsi senza dirsi nulla per qualche secondo, tutti e due in difficoltà più che mai.
La ragazza si mordeva il labbro nervosa. Non voleva affrontarlo proprio in quel momento, era l’ultima cosa…
Stava male e voleva andare via…
Quel bagno le sembrava troppo stretto, sentiva ansia, disagio, non voleva che si avvicinasse.
Ma lui lo fece, si avvicinò di più a lei.
«Che cos’è successo?» gli chiese, facendo scorrere i suoi occhi per il bagno tentando di collegare
Valeryn non rispose, continuò ad asciugarsi la faccia.
«Hai vomitato, vero?» trattenne il fiato, il fatto che lei non rispondesse gli faceva male. La ragazza gettò uno sguardo al lavandino che aveva appena lavato, poi annuì lentamente, senza guardarlo.
Vittorio si avvicinò a lei poggiandole una mano sulla guancia, preoccupato. Lei alzò lo sguardo su di lui, senza parlare.
«Come stai adesso?» le chiese, spostandole una ciocca di capelli dal volto.
«B-bene...» sussurrò impercettibilmente, poi gli ricacciò piano la mano e andò a posare la tovaglia. Il ragazzo sospirò volgendo gli occhi al cielo, sentì gli occhi lucidi, ma doveva essere forte.
Forte, altrimenti sarebbe crollato su quel pavimento che di pulito aveva ben poco.
Si sarebbe lacerato la carne trapassandola fino al cuore.
«Dimmi qualcosa, Valeryn» sembrava una supplica, anzi, lo era «Dimmi che va tutto bene, ti prego»
Non andava tutto bene.
Non andava tutto bene fuori, non andava tutto bene dentro di lei. Le scese una lacrima traditrice, colpevole. Fece per andarsene, non poteva stare a guardarlo un minuto di più.
Lui, però, la trattenne da un braccio.
«Non andartene via, rimani con me, per favore» sussurrò con la voce incrinata, mentre con una mano la stringeva dalla schiena contro il suo petto.
Non voleva che la pregasse. Era troppo per lei. Senza pensarci, o forse perché in fondo ne aveva bisogno, si alzò leggermente sulle punte per poterlo baciare. Lui chiuse gli occhi, il cuore era impazzito, tutto dentro di lui sembrava impazzito. La strinse forte a sé dalla nuca passandole una mano tra i capelli, non voleva lasciarla mai. Voleva approfondire quel bacio, voleva tanto fare l’amore con lei…
L’afferrò in braccio e la fece sedere sul lavandino, aprendole le gambe ed infilandosi dentro, cercando di trovare un appiglio fisico in quella lontananza mentale che adesso sentivano.
Ma Valeryn bloccò la sua mano che aveva provato ad infilarsi sotto il suo maglione. Si staccò dalle sue labbra con lo sguardo basso, anche se lui non voleva lasciarla andare, la strinse ancora.
«Ti prego...» soffiò tra le sue labbra. I suoi occhi grigi erano tristi, ma poteva leggere tutto l’amore che provava per lei.

Sai che c’è? Che hai paura.”

Sì, aveva paura. Miriana aveva ragione. Aveva paura e non poteva farci niente. Aveva repulsione anche solo se la toccava e non riusciva a fermare quel senso di nausea allo stomaco. Si divincolò dal suo abbraccio.
«No, torniamo di là» disse lapidaria, scansandolo e rimettendosi in piedi.
Vittorio rimase spiazzato, non riusciva quasi a muoversi. La testa già pesante per quel pomeriggio di alcol, iniziò a martellargli.
Si sentiva così male...
Si sentiva così morire dentro.
Perché lei lo aveva rifiutato e poteva percepire tutto il suo disagio anche solo quando la sfiorava dai vestiti.
Valeryn uscì dal bagno, lui la seguì piano, senza dire una parola. Per quanto volesse, le parole non uscivano di bocca, nemmeno quando tornarono in salotto e tutti gli lanciarono delle occhiate apprensive.
Voleva andarsene.
Non voleva stare là.
Non aveva più senso stare là...
Però incontrò lo sguardo cervone di Elia e in quel momento desiderò abbracciarlo con tutto il cuore. Sentire il suo calore, sentirsi protetto.
Sentirsi amato...
Così si sedette accanto a lui, ancora in silenzio. Valeryn era con Maia e teneva gli occhi bassi e arrossati, gli altri li vedeva che facevano finta di niente.
Il biondo lo fissò ancora un po’, non gli aveva levato gli occhi di dosso. Evitò di fargli qualsiasi domanda superflua, solamente lasciò scivolare una mano su quella sua che si trovava appoggiata sul divano.
Vittorio sentì automaticamente un brivido a quel tocco, così alzò gli occhi grigi lucidi e lo guardò, si guardarono e parlarono tacitamente.
Allargò le dita e fece in modo che quelle dell’amico si incastrassero perfettamente alle sue prima di richiuderle.
Elia sentì il fiato mozzarsi.
E rimasero in quel modo.
E Vittorio non andò più via.
E stavolta quella mano la strinse e non ebbe paura.




















   
 
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