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Autore: berettha    21/06/2023    2 recensioni
BARTYLUS, Barty Crouch jr x Regulus Black.
||La vita di Regulus dai primi anni ad Hogwarts, sino alla presa del Marchio Nero ed oltre ancora.||
Dal testo: Portami a casa Sirius, cambiami i vestiti, sistemami i capelli dietro alle orecchie, fammi sentire il tuo tocco sulla pelle, asciugami i capelli e lascia che io posi la testa sulle tue gambe.
Raccontami di Hogwarts, di James Potter e di quella volta che avete volato sopra al Lago Nero: come era il vento? Lo sentivi tra i tuoi capelli? Ti faceva lacrimare gli occhi?
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bartemius Crouch junior, Evan Rosier, Famiglia Black, Regulus Black, Sirius Black
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Traduzioni in italiano dopo le note dell'autrice. <3

La Guerra, capitolo sedici. 
Nel nord della Francia, c’era un ragazzo. 1977.


La neve iniziava a sciogliersi a Londra. Ma se fuori le prime timide gemme iniziavano a schiudersi sugli alberi, dentro Grimmauld Place le finestre erano sempre bagnate per l’umidità, quando addirittura non ghiacciate. 
Il ghiaccio, quello era il problema: non solo Kreacher aveva un sacco di lavoro con lo spargere continuamente il sale sui gradini d’ingresso per evitare che nessuno scivolasse, ma Regulus se lo sentiva anche addosso e nello studio della madre era talmente freddo che pensava che prima o poi anche il suo sangue si sarebbe congelato.
Lavorava tutto il giorno agli Inferi, con le mani screpolate per il freddo e la schiena chinata sulla scrivania: più volte al giorno un Mangiamorte passava da Grimmauld Place, con in braccio dei fagotti neri.
Doveva essere veloce, perché non potevano accumularsi. 
Un’altra Mangiamorte, quando aveva finito, veniva, li prendeva, e si Smaterializzava qualche istante dopo.
Quelle due persone erano l’unico contatto che aveva avuto Regulus durante quelle prime quattro settimane, oltre a Kreacher che scendeva a portargli il pranzo e la cena.
“Deve mangiare Signorino Regulus, avanti, Kreacher è preoccupato, guardi come è magro...” 
Un po’ riusciva a sbocconcellare quello che gli portava l’elfo, poi gli si chiudeva lo stomaco. Ma si sentiva in colpa nei suoi confronti e la maggior parte delle volte Smaterializzava via quello che era rimasto nel piatto, per non farlo preoccupare. “Era buonissimo, grazie Kreacher.”, e lui se ne andava felice, portando via le stoviglie in equilibrio sulla testa.
Sua mamma non gli parlava da tempo: non era riuscita a perdonargli l’aver preso possesso del suo studio. 
Sto facendo tutto quello che mi viene chiesto! Avrebbe voluto urlarle, ogni volta che l’incrociava per il corridoio quando tornava nella sua stanza o la mattina, quando invece si dirigeva nello studio, sto ubbidendo, non era quello che volevi? Non era quello che mi è sempre stato chiesto? 
E invece stava zitto, guardandola passare senza degnarlo di uno sguardo. Iniziava a capire sempre di più Sirius, la strada che aveva scelto.
Se avesse chiuso gli occhi sarebbe riuscito quasi a vederlo, nel suo dormitorio ad Hogwarts, in compagnia dei suoi amici. Non era più arrabbiato, come poteva esserlo? Si era salvato, buon per lui. Non era neanche invidia quella che gli montava in petto quando ripensava a lui: era sollievo. 
Il padre invece lo aveva invitato una volta, nel suo, di studio. 
Il sole che filtrava dalle grandi finestre lo aveva quasi accecato, talmente era abituato a passare le sue giornate nella tenue luce delle lampade ad olio.
“Stai bene, figliolo?” Aveva chiesto, guardandolo serio. 
“Certo.” Si era messo le mani in tasca, vagando per l’ufficio. Non gli avrebbe detto la verità, perché tanto non l’avrebbe capita. Gli aveva invece chiesto, “Hai qualcosa da darmi?” alludendo alle grandi librerie che lo circondavano.
Uscì con Memorie di Adriano sottobraccio, seguito dagli occhi del padre che vagavano sulla sue schiena.
Forse avrebbe voluto domandargli più cose, forse avrebbe voluto parlargli del suo compito o di Sirius o della madre.
Ma era pur sempre un Black, e i Black parlano poco delle loro debolezze.
Regulus lo capiva.

Qualche volta il Mangiamorte veniva portando in braccio uno di loro.
Regulus lo riconosceva dal Marchio sul braccio, quasi mai dal volto. Erano talmente in tanti...
Spesso, invece, erano semplicemente maghi e streghe che avevano avuto la sfortuna di incrociare il loro cammino. Dall’espressione spaventata, gli occhi spalancati, le mani protese contro il petto come a proteggersi e il corpo dilaniato dalle Maledizioni. I più fortunati erano quelli su cui riconosceva l’Avada Kedavra: la loro morte era stata così veloce che sembravano quasi addormentati.
Altre volte, non così rare sebbene Regulus facesse fatica ad ammetterlo, gli portavano dei babbani.
Anche quelli erano facilmente distinguibili: i più spaventati, confusi, quelli con gli occhi chiusi dalla paura e le vesti babbane sporche di umori. Chissà cosa avevano pensato prima di essere colpiti. Di essere pazzi, probabilmente. 
Oppure avevano sperato che nulla di tutto quello che gli stava accadendo era reale, che chiudendo gli occhi e riaprendoli poco dopo si sarebbero trovati nel loro letto, lontano da tutto quello.
Erano quelle le persone contro cui combattevano? Come potevano avere la forza di rubare una bacchetta, di rubar loro la magia? 
Erano anche i corpi con cui Regulus cercava di essere il più gentile possibile.
“Mi dispiace,” diceva loro, mentre sollevava la bacchetta. “Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace.” 
Altre volte, perché non conosceva preghiere o litanie, sussurrava loro i passi che più gli piacevano del libro che stava leggendo: era il suo modo di fare ammenda, di riparare quella che sembrava esser stata una morte nel terrore.
Una parola gentile, prima del vuoto. A lui sarebbe piaciuta riceverla, se si fosse trovato al loro posto.
Tutto quello che riceveva in cambio erano occhi vacui, espressioni spente. Non rispondevano mai, i morti. E come avrebbero potuto? Qualche verso gutturale, quando venivano portati via.
Non che pensasse di meritarsi di meglio, ma gli mancava parlare con qualcuno.
“A cosa servono?” Provò a chiedere una volta alla Mangiamorte.
“Chi si fa poche domande, vive più a lungo.” Rispose lei, coprendosi il viso con la maschera.
✧.·:¨༺ ༻¨:·.✧*̥˚
Regulus iniziò a sbucciare il mandarino sul tavolo della sala da pranzo, lanciando le bucce nel caminetto davanti a lui. 
La madre era dai Malfoy, il padre al Ministero. Da qualche parte a Grimmauld Place, Kreacher stava sistemando la casa, lontano da lui. Avrebbe potuto chiamarlo, ma non aveva voglia di distrarlo dai suoi doveri; e poi, mamma, si arrabbia sempre molto quando Kreacher non finiva di pulire o di cucinare prima del suo ritorno, e non avrebbe potuto sopportare di vedere l’elfo punito per un suo capriccio.
Solo, di nuovo.
Come quando Sirius era andato per la prima volta ad Hogwarts.
Guardò il vecchio pendolo alle sue spalle, erano le quattro del pomeriggio.
Probabilmente Evan stava dirigendo gli allenamenti di Quidditch. Al suo posto, come Cercatore, era intervenuto Parkinson del sesto anno. Barty se lo immaginava invece in biblioteca, seduto ad un tavolo simile al suo, aperti davanti a lui minimo tre volumi e quattro fogli di pergamena riempiti di incantesimi e formule, nella sua scrittura tanto fine quanto caotica.
“Ne vuoi uno spicchio?” Chiese, porgendogli metà mandarino.
Il Barty nella sua testa alzò lo sguardò dai compiti, sorridendogli, “Passa.” Gli rispose, allungando la mano sporca d’inchiostro.
“C’è una poesia sai.” Uno spicchio a lui, l’altro a Barty. 
“Su cosa?” 
“Un’arancia.” 
“Stiamo mangiando un mandarino, non un’arancia.” Il Barty-nella-sua-stessa si mise in bocca lo spicchio, facendo sprizzare il succo ovunque. Si portò la mano alla bocca ridendo, e rise anche Regulus.
“Non essere pignolo, Crouch.”
“Parlamene.” Quasi riuscì a sentire il suo tocco, quando il Barty-nella-sua-testa gli si avvicinò, sfiorandogli le labbra con il pollice, già appiccicoso di succo.
Regulus iniziò a snocciolare la poesia, continuando a dividere il mandarino.
Il Barty-nella-sua-testa lo ascoltava serio, qualche volta lo interrompeva per dargli un bacio sulle labbra, tanto lieve, appena accennato. “...Ti amo, sono felice di esistere.”*
“E’ molto bella, Reg." Poi aggiunse, trattenendo un risata, "Un po' da femmina però.” 
“Lo so. Ma lo intendo davvero, sai? Ti amo.” 
Barty lo guardò triste, sfiorandogli il viso. “Oh. Me lo dirai quando staremo davvero insieme, eh?” 
Gli spicchi di mandarino che gli aveva passato stavano dall’altra parte del tavolo. 
Si asciugò velocemente il volto con il dorso della mano, non si era nemmeno accorto di essersi messo a piangere. 
Li prese, e buttò anche quelli nel fuoco.
Non aveva più molta fame.


̥˚✧.·:*¨༺ ༻¨*:·.✧*̥˚ 

Caro Reg, 
Qua va tutto alla grande. Ho preso sette G.U.F.O, Bart invece ne ha presi ben dodici! Il migliore del nostro anno.
Suo padre lo tiene in casa la maggior parte del tempo, non può neanche passare da me per una partita a Quidditch e non credo possa mandarti qualche lettera.
Vuole mollare Hogwarts, io gliel’ho detto che è un’idea stupida ma non vuole ascoltare nessuno, e così suo padre lo ha punito. È un bel casino, Reg, speriamo che la vecchia Crouch faccia ragionare il marito.
Spero che da te sia un po’ meglio. 
Manchi a tutti, fammi sapere quando posso passare a trovarti.
Evan R.


Evan, 
Sette G.U.F.O! Ne sono immensamente felice.
Se puoi, fai sapere a Barty da parte mia che è un coglione. 
Se non puoi: lo saprà lo stesso. Perché glielo abbiamo detto così tante volte che –e di questo, caro Evan, ne sono convinto- gli basti chiudere gli occhi la notte per sentire le nostri voci all’orecchio che gli sussurrano: Barty! Sei un coglione! 
Anche qua, nulla di nuovo.
Si lavora, qualche volta si sta pure bene. Mi mancate. 
Ti aspetto ogni giorno.
R.A.B 


L’estate era entrata impetuosa nella loro vita come un uragano, le sue piogge avevano riempito i fiumi, le gemme sugli alberi erano finalmente sbocciate e il sole picchiava contro i marciapiedi e le teste delle persone, schiarando i capelli e abbronzando i nasi.
L’ultimo Infero che Regulus dovette creare arrivò quella mattina stessa, assieme alla lettera di Evan. 
Senza la divisa da Mangiamorte faticò quasi a riconoscerla, ma era lei: aveva gli stessi capelli biondo platino, tagliati corti, gli occhi azzurri che facevano capolino dalle fessure della maschera ora sbarrati verso il vuoto. 
Chi si fa poche domande, vive più a lungo, gli aveva detto mesi prima. 
Le uniche battute che si fossero mai scambiati, oltre che a qualche buongiorno ed arrivederci. 
Qualunque cosa stesse architettando Voldemort, non voleva testimoni. 
E fu proprio lui a presentarsi nel suo studio –il suo studio, non quello della madre. Aveva imparato a considerarlo tale-, qualche ora dopo. 
“Verrà ripagato profumatamente, Black, quando avremmo vinto questa guerra.” Gli disse, sfiorando con il piede la creatura che giaceva rannicchiata sul pavimento. 
“Mi basta continuare ad essere al suo fianco, Mio Signore.” Rispose lui, senza scomporsi.

L'estate era il periodo più difficile per lui.
Di quei tempi, solo qualche anno prima, lui e Sirius erano soliti riempire la valigia per la Francia, farsi accompagnare poi a Diagon Alley da Kreacher a prendere quello che mancava: un costume da bagno nuovo, il lucido per il manico di scopa di Sirius. Se erano fortunati, e cioè se la madre quel giorno era talmente occupata da non badare a loro due, potevano fermarsi qualche ora in più, passare all’emporio degli animali per guardare i cuccioli e poi da Florian Fortebraccio per prendere un gelato. 
Regulus lo prendeva sempre panna e fragola, Sirius invece pistacchio e cioccolato.
“Prendine uno anche te Kreacher!” Regulus cercava sempre di convincere l’elfo a mangiare con loro, con Sirius che alzava gli occhi al cielo nascosto dietro al suo cono gigante. 
“Glielo devi ordinare! Sennò non lo fa!” 
“Ma non deve essere un ordine, lo deve prendere solo se gli va!” Rispondeva Regulus, battendo i piedi a terra. 
“E allora si vede che non gli va!” 
Finivano sempre per litigare, e il gelato gli si scioglieva tra le sue mani prima che avesse avuto il tempo di finirlo. Non quello di Sirius, lui il suo se lo divorava. 
Adesso, se la fortuna si voltava casualmente dalla sua parte veniva chiamato in qualche missione. Se lo era un po’ di meno, doveva sopportare le riunioni che si tenevano a Grimmauld Place, sorridere agli ospiti, sedersi con la schiena dritta ascoltando piani d’azione e lo sbuffare annoiato di Rabastan al suo fianco.

̥˚✧.·:*¨༺ ༻¨*:·.✧*̥˚ 
Salì le scale a due a due, ed entrò senza bussare, “Papà?” chiese. 
Orion era chinato su un grosso tomo del Wizengamot, intendo a leggerlo con una lente d’ingrandimento grande quasi la sua testa, “Ci siamo scordati di darti un’educazione per caso?” 
“Ho un favore da chiederti.” 
Il padre sospirò, lasciandosi cadere all’indietro sulla poltrona. “Dimmi, allora.” 
“Fammi andare in Francia. A trovare lo zio Alphard.” 
“Non essere sciocco, Regulus, tuo zio è-” 
“Lo so. La sua tomba, intendevo.” 
Orion rimane in silenzio, giocherellando con la sua barba. Nonostante il caldo, a Grimmauld Place l’abito contava più del monaco, e Regulus si chiese se non stesse sudando sotto al suo panciotto e alla camicia verde smeraldo. 
Anche la madre era ossessionata dall’apparenza: non avrebbe lasciato le lunghe vesti porpora neanche sotto il sole del deserto.
Zio Alphard, invece, permetteva ai ragazzi di vestirsi leggeri, pantaloni e corti e canottiere che lasciavano scoperte interamente le braccia. Gli mancava terribilmente. 
“Non coprirò la tua assenza alla mamm-.” 
“Non mi hai mai coperto, né me né Sirius.” Vide Orion corrucciare le sopracciglia, ed aggiunse veloce, “Ma ti amo lo stesso e ti perdono. Amami e perdona questo mio capriccio.” 
Rimasero entrambi in silenzio, scrutandosi. Nessuno dei due sembrava intenzionato a lasciar cadere lo sguardo per primo.
Alla fine Orion si mise a sfogliare il libro che aveva davanti, strappandone l’ultima pagina, completamente bianca. La piuma incantata che usava per firmare i documenti si mosse su esso, scribacchiando qualcosa. 
Orion piegò il foglio, passandolo al figlio con una smorfia. “Sei cresciuto, Regulus.” Constatò, “Forse più velocemente di quanto avrei voluto.” 

Tre giorni dopo, di prima mattina, una Passaporta lo Materializzò sulla spiaggia di Arromanches-les-Bains.
“Due giorni, Regulus. Il luogo dove riposa Alphard è scritto su questo foglio. Due giorni, ti concedo, non di più. La stessa Passaporta ti riporterà a casa.” Gli aveva detto il padre, prima che Regulus venisse portato via da quella vecchia teiera di latta.
Il vento ululava, e le onde si infrangevano contro quello che rimaneva del porto di Mulberry e Regulus si strinse nel soprabito mentre il mare gli lambiva le caviglie, zuppandogli l’orlo dei pantaloni, i calzini e le scarpe.
Fece un respiro profondo, lasciando che la salsedine gli riempisse i polmoni. Di fronte a lui, la piccola città iniziava a svegliarsi, mentre le campane della chiesa squarciavano il silenzio: qualche luce timida faceva capolino dietro ai vetri delle finestre.
Non avrebbe mai pensato di tornare.
Si voltò verso il mare, dietro la spessa coltre di nuvole si riusciva ad intravedere la Gran Bretagna, la sua casa. Così vicino, allo stesso tempo così lontano.
Sirius pensava sempre che ce l’avrebbe fatta un giorno, a raggiungerla. 
Non la Gran Bretagna, la Francia. Pensava che se si fosse allenato abbastanza, avrebbe potuto tuffarsi in mare e nuotare via da Grimmauld Place, lasciarselo alle spalle e non tornare mai più.
“Ce l’hai fatta, Sirius! Ce l’hai fatta! Te ne sei andato!” Urlò al vento. Calciò un’onda ridendo, e poi cadde di schiena quando questa lo colpì ancora più impetuosa, come una dama offesa dal suo gesto. Si bagnò la giacca, la camicia, i capelli. Lasciò che le onde gli bagnassero il viso, che l’acqua gli entrasse nel naso e lo facesse tossire, amare e salata e terribile. Se fosse passato qualche pescatore, in quel momento, lo avrebbe sicuramente preso per un pazzo.
Nel piano di fuga di Sirius, Regulus, non era mai stato considerato. Regulus, che aveva così paura dell’acqua da non potersi neanche avvicinare alla battigia, non avrebbe mai potuto nuotare per così tanto tempo. E come ne era stato invidioso! 
Si trascinò a carponi fuori dall’acqua, tossendo e sputando quella che aveva bevuto. 
Sono diventato coraggioso anche io, Sirius.

L’indirizzo che gli aveva dato il padre si era cancellato con l’acqua, l’inchiostro si era trasformato in un grosso alone nero e la carta iniziava a disfarsi tra le sue mani, ma poco importava. 
Lo aveva letto così tante volte prima della partenza che ormai lo sapeva a memoria.
Il cimitero si trovava non troppo lontano da dove sorgeva la Magione dei Black, nascosto tra due colline e un campo di grano, poche lapidi messe in fila, circondate dalle alte mura che contenevano ceneri e loculi.
Nella sua immaginazione, la tomba dello zio era piccola, spoglia, abbandonata a sé stessa: non aveva mai sentito sua madre o le sue cugine parlare di venirlo a trovare, non avevano mai spedito dei fiori o dei ceri, e non era a conoscenza di altri Black ancora in vivi in Francia, ma quello che si trovò davanti fu l’esatto opposto. 
Il nome di Alphard era circondato da fiori, conchiglie e foto che lo ritraevano con una grande quantità di persone. 
Sorrideva, in ognuna di esse, e nessuna di loro si muoveva. Erano foto babbane. 
Alphard che rideva abbracciato ad una donna dai capelli ricci. Alphard seduto ad un tavolo, circondato da altri uomini e tutti che mostravano un calice di vino alla fotocamera.
Alphard in costume da bagno, al mare, vicino ad un grosso cane marrone. 
Alphard che era stato amato tanto. Innumerevoli persone continuavano a portare omaggi sulla sua tomba e Regulus non ne aveva mai saputo niente.
Una delle persone che più aveva amato, e non sapeva nulla di lui. 
Si vergognò, perché con sé non aveva portato nulla, neanche un papavero raccolto da terra. 
“Vous connaissiez Alphard?”1
Si girò verso la voce, una donna robusta vestita di bianco, con un grosso mazzo di fiori tra le mani.
“Qui, c’était mon oncle.” Rispose. Provò a sistemarsi gli abiti, preso alla sprovvista.
Aveva allacciato il soprabito in vita in malo modo, e il resto dei suoi vestiti si erano asciugati tutti spiegazzati e con ancora della sabbia tra le pieghe. 
“Inglese! Si sente dall’accento.” Si avvicinò a lui, chinandosi sulla tomba. Si baciò la punta delle dita, per poi trasferire il bacio sulla foto di Alphard. “Devi essere suo nipote, Sirius.” 
“No. Quello è il nome di mio fratello, io sono Regulus.” 
“Oui, oui, duex frères, maintenant je me souviens! Parlava spesso di questi due fratellini inglesi, e quando venivate d’estate era praticamente impossibile contattarlo, viveva solo per voi in quel momento!” 3
“Mi dispiace.” 
“No, non esserlo. Vi amava molto.” Tolse i fiori secchi, passandoli a Regulus, mentre lei puliva la lapide con un fazzoletto. “Ti dispiace darmi una mano?”
“No, affatto.” 
Si sedette di fianco a lei, aiutandola a sistemare, a pulire la cornice di ogni singola foto. 
Era una babbana, ne era sicuro. Quante persone babbane aveva conosciuto Alphard? Loro sapevano di lui? Probabilmente no, avrebbe infranto lo Statuto di Segretezza... 
Era la prima volta che aveva a che fare con una babbana, una babbana viva.
Era così... umana. Lo sorprese.
“Viene qua spesso, signora?” 
“Oh, chiamami pure Alizée, non farmi sentire vecchia con quel signora.” Si pulì le mani al vestito, alzandosi. “Quasi ogni giorno, d’estate. D’inverno lavoro, è più difficile per me ma Pierre, il custode, mantiene tutto così ordinato che non mi cruccio più di tanto.” 
“Che lavoro fa, se posso permettermi?” 
“L’insegnante. Nella scuola elementare del paese, quella davanti alla chiesa, hai presente? È lì che ho conosciuto tuo zio.”
“Anche lui era un insegnante?” 
“Oh no, no, penso che neanche gli piacessero così tanto i bambini, sai? Probabilmente tu e Sirius siete stati gli unici che abbia mai sopportato. No, no, ogni mese veniva a donarci dei libri.” Si girò verso Regulus, sorridendo. La sovrastava di una buona manciata di centimetri, ma la forza che emanava lo avrebbe potuto far vacillare. “Era un bravissimo uomo, tuo zio. Uno dei migliori.” 
“Le meilleur.” Mormorò, osservando la lapide. Alphard Black, amato dai più. Tranne che dalla sua stessa famiglia, che non ci aveva pensato due secondi a toglierlo di mezzo. 
Morto per amore.
“Le meilleur.” Ripeté Alizée. “Posso farti una domanda, Regulus?” Pronunciò il suo nome mangiandosi via la r.
“Ovviamente, mi dica.” 
“Come se ne è andato? Un jour, il était avec nous, l’autre pas. Non ci diamo pace.”4
“Non glielo so dire. La sua morte è stata inaspettata anche per noi.”
“Qualche giorno prima aveva litigato con qualcuno, sai? Uno straniero, che si era presentato giù al paese, gridando il nome di Alphard. Aveva un tatuaggio simile al tuo.” Indicò il Marchio sul braccio di Regulus. 
Regulus non seppe cosa rispondere. Gli sfuggì una lacrima, silenziosa, che andò a posarsi sulla punta del suo naso. In quei giorni stava piangendo veramente troppo.
Alizée gliela portò via allungando la mano verso di lui. “Ne pluere pas, chérie.” Gli disse, “Tu es plus beau quand tu souris.” 5

Aveva ancora un giorno pieno, prima che la Passaporta lo riportasse alla realtà della guerra. 
Affittò una stanza da una locanda sulla costa, il pescatore babbano che si era improvvisato locandiere strabuzzò gli occhi quando per pagare gli offrì dieci galeoni d’oro ma non disse nulla, intascandoseli.
Alzandosi la mattina dopo, di buon’ora, vagò in un lungo e largo per il paese, rubò due fichi al mercato lasciando sul bancone una manciata di galeoni per ripagare il gesto e si diresse verso la piazza principale.
Qui da bambino, assieme allo zio e a Sirius, soleva venire le ultime notti d’estate, prima di tornare a Grimmauld Place. 
Vicino alla chiesa, dei bambini giocavano a calcio e un uomo stanno smontando una bancarella di libri.
Regulus si avvicinò curioso, a una vecchia edizione dell’Iliade. Sorrise, ricordandosi di quando Barty e Evan si era tatuati, quella mattina ad Hogwarts. 
“Je vais démonter, ça t’intéresse?”6 Gli chiese, prendendo una manciata di libri con le mani e caricandoli sul Piaggio alle sue spalle.
“Je n’ai pas d’argent.”7
“Prends-le, petit. C’est foutu, je n’aurais pas pu le vendre.”8
C’era un uomo, non troppo lontano da loro, aldilà del mare, che progettava di ucciderli tutti. E loro, stupidi e fragili babbani, non lo sapevano. Quindi regalavano libri a ragazzi che non se li potevano permettere, vendevano frutta fresca, raccoglievano fiori da portare alle tombe dei loro cari e scendevano in mare con i pantaloni tirati su alle ginocchia per prendere i molluschi attaccati agli scogli... Si raccoglievano fuori dai bar per giocare a delle carte che non esplodevano, scattavano foto che non si muovevano ed erano gentili e vivi e umani.
“Merci.” Rispose, tenendosi stretto il libro al petto. L’uomo lo liquidò con un gesto della mano, continuando a riordinare.
Entrò in una posta babbana, pensando che se le lettere ricevute via gufo da Barty venivano controllate dal padre, avrebbe potuto raggirare il problema con una lettera inviata al modo dei babbani.
Si fece aiutare dalla signora al bancone, che lo aiutò a scrivere l’indirizzo e ad applicare il francobollo su una busta, in cui avrebbe poi infilato il libro.
Si prese anche qualche minuto, per scrivere una piccola dedica, sulla prima pagina. 
Il sole splendeva forte, il vento non era freddo e tagliente come quello di Londra, ma un caldo Scirocco e riusciva a capire come mai suo zio aveva voluto trasferirsi lì.
Magari, un giorno, finita la guerra, ci avrebbe portato anche Bart e Evan. 
Un giorno.






Note: Capitolo un po' lunghino, ma perché in realtà avrebbero dovuto essere due, ma uno era tanto striminzito che ho deciso di metterli insieme. :) 
E' uno dei miei preferiti, ho amato descrivere il breve soggiorno di Reggie in Francia, ho amato i personaggi babbani che ho dovuto descrivere, ho amato Reggie che piange davanti alla tomba dello zio. 
Se potessi tatuarmelo sulla schiena, lo farei. 
Smack. 


(*) La poesia è dei primi anni 2000, perdonatemi la licenza poetica. 
Traduzioni: 
1- Conoscevate Alphard? 
2- Sì, era mio zio.
3- Certo certo, due fratelli, adesso ricordo!
4- Un giorno era qua con noi, quello dopo no.
5- Non piangere più, amore. Sei più bello quando sorridi.
6- Sto smontando, ti interessa qualcosa?
7- Non ho soldi.
8- Prendilo pure, ragazzo. Tanto è tutto rovinato, non avrei potuto venderlo.

 
   
 
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