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Autore: Jamie_Sand    24/06/2023    5 recensioni
Nel pieno della seconda guerra magica, lontano dalla famiglia, senza più una fidanzata e con ben pochi amici rimasti al suo fianco, il giovane Percy Weasley cerca di fare del suo meglio per limitare i danni.
Poi, una notte di fine ottobre, l'incontro con una babbana di nome Audrey Manning.
Genere: Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Audrey, Famiglia Weasley, Percy Weasley | Coppie: Audrey/Percy
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
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Capitolo 12

 

L’aria gelida le riempì i polmoni e le fece lacrimare gli occhi. Senza il cappotto giallo a proteggerla dalle intemperie, Audrey sentiva freddo. 

- È comparsa dal nulla! All’improvviso! Lo giuro! - 

- È sangue quello? - 

- Qualcuno chiami la polizia e un’ambulanza… - 

- Riesci a capirmi? Parli la mia lingua? -

Se ne stava lì, ferma, sdraiata e tremante sull’asfalto al centro di un marciapiede, con la bussola ancora stretta in mano e circondata da decine di persone preoccupate; persone che quella sera avevano portato la propria metà a cena fuori decisamente senza aspettarsi di imbattersi in una ragazzina ricoperta di sangue e apparsa dal nulla. 

Con il terrore ancora negli occhi Audrey tentò di guardarsi intorno, scorgendo dei turisti, una fila di case color pastello, alcuni negozi e ristoranti.

Notting Hill. 

Percy.

Percy viveva non lontano da lì. 

La bussola l’aveva portata esattamente dove doveva essere

Esalò un faticoso respiro, iniziando a percepire di nuovo ogni parte del suo corpo, come se si stesse ricomponendo dopo essere andata in frantumi. Si sentiva senza forze, le faceva male la schiena e soprattutto la gola, dove erano comparsi dei vistosi segni rossi. 

Si mise seduta a fatica, lo sguardo di tutti ancora addosso e, quando un uomo dai capelli bianchi e la faccia cordiale allungò una mano verso di lei, si ritrasse allarmata. 

- No… - Disse flebile.

Era fuori di sé, fuori di sé dallo spavento, come se non riuscisse più a trattenere tutta la paura accumulata. Teneva quasi di esplodere, di disintegrarsi o di prendere fuoco, voleva urlare e allo stesso tempo sparire, evaporare, diventare niente. 

Forse sarebbe impazzita. Anzi, sarebbe impazzita di sicuro. 

Era un dolore troppo grande, quello, per essere sostenuto da una persona sola. 

Nonna Harriette era morta. 

Nonna Constance era morta. 

Elijah invece era stato portato via. 

E lei era sopravvissuta. 

Era sopravvissuta, era ancora viva. 

Qualcuno le mise una giacca di renna sulle spalle e Audrey sobbalzò. 

- Non… non t-toccatemi! - Tentò di dire scoppiando in lacrime. 

Si alzò, traballante e con le mani avanti, pronta a scattare se solo qualcuno le si fosse avvicinato ancora più del dovuto, mentre l’uomo dalla faccia cordiale si fece di nuovo avanti con cautela. - Sono un medico, posso aiutarti. - Le disse, allungando una mano nella sua direzione. - Sei ferita? -

Audrey piegò le labbra verso il basso e scosse la testa. Nessuno poteva aiutarla.

- Qualcuno chiami la polizia! - Si mise in mezzo una signora anziana, guardando Audrey con circospezione. 

- Ci penso io. - Disse un ragazzo, correndo verso il pub più vicino. 

La giovane si portò una mano alla gola e singhiozzò forte. Non riusciva a parlare senza provare dolore, di certo non aveva le forze per rispondere alle domande di qualche agente babbano che di sicuro l’avrebbe presa per pazza e magari trattenuta.

In fin dei conti cosa avrebbe potuto dire? “Oh salve, agente potenzialmente razzista! Le sembrerà incredibile, ma tre uomini seguaci di un mago oscuro sono entrati a casa mia e hanno dimezzato la mia famiglia! Uno di loro voleva addirittura mangiarmi!”

Audrey si fece spazio tra la folla incredula e poi corse, corse fino a farsi bruciare i polmoni, rotta e confusa, fino a che non raggiunse un vicolo deserto in cui, stremata, si lasciò scivolare contro il ruvido muro di un palazzo. 

Doveva concentrarsi, capire esattamente dove fosse e poi raggiungere casa di Percy senza farsi ammazzare o arrestare lungo il tragitto. Strinse la bussola che aveva ancora in mano come se fosse l’unico appiglio che le era rimasto con l’esistenza e poi la guardò, sperando che le indicasse la via. In quel momento però sembrava un comunissimo oggetto babbano, seppur molto vecchio, una semplice bussola che puntava semplicemente a nord. 

Audrey respirò a fondo e chiuse gli occhi. Da lontano si sentiva il suono fastidioso delle sirene che si avvicinavano: forse qualcuno aveva davvero chiamato la polizia. Quando li riaprì raccolse le forze e si costrinse ad alzarsi in piedi. 

Riprese a correre.

 

Nel frattempo, a qualche isolato da lì, c’era un ragazzo che, svegliato dal via vai di macchine della polizia e ambulanze, se ne stava sdraiato nel suo letto con lo sguardo rivolto al soffitto. 

Se c’era una cosa che Percy detestava del suo monolocale era proprio il quartiere in cui era situato e la vita notturna che si svolgeva proprio sotto alla sua finestra. La gente si ubriacava e litigava, qualcuno chiamava la polizia e il trambusto che conseguiva puntualmente ridestava Percy dalle sue solite otto ore di sonno. 

A Penny, invece, la frizzantezza di Notting Hill era sempre piaciuta. Percy l’aveva accontentata e per questo adesso si ritrovava sveglio e irritato dai lampeggianti blu delle auto della polizia che, filtrando tra le tende, illuminavano il soffitto. 

Sbuffando, il giovane si mise seduto e si voltò verso la sveglia. Era passata l’una da poco. 

La luce che proveniva dall’esterno gettava il monolocale in una quieta penombra che svelava solo i contorni del mobilio. Dal suo letto, Percy riusciva a vedere il tavolo della cucina su cui aveva abbandonato il mazzo di peonie che aveva preso per Audrey e che però non aveva avuto il coraggio di consegnare.

Aveva anche tentato di scrivere un biglietto, prima di rendersi conto che presentarsi da lei con dei fiori il giorno di San Valentino sarebbe stato un po’ traviante. Così, dopo essere passato un paio di volte davanti al bistrot in cui la ragazza lavorava senza trovare però il coraggio di entrare, Percy era tornato a casa, aveva cenato insieme alla sua solita solitudine ed era andato a letto presto come tutte le sere. Era stato un giorno come un altro, quello appena passato, un giorno in più in cui era stato vittima della sua codardia. 

Era in momenti come quello che Percy avrebbe dato qualsiasi cosa per essere meno simile a sé stesso. Se solo fosse stato un tipo più spigliato allora si sarebbe presentato da lei senza nessun timore, le avrebbe consegnato quelle dannate peonie e le avrebbe chiesto di aspettarlo, di aspettare la fine della guerra per provare a stare insieme, o magari se ne sarebbe fregato, l’avrebbe baciata senza remore davanti a quel belloccio idiota che ci provava con lei a lavoro, ribaltando persino la sua avversione verso certe effusioni in pubblico. 

Ma non sarebbe stato da lui. 

Percy si alzò in piedi, indossò gli occhiali e raggiunse la finestra, diede una breve sbirciata fuori per tentare di capire cosa stesse succedendo e, nello stesso istante, la porta bussò forte alle sue spalle, facendolo sobbalzare. 

Il ragazzo esitò per una manciata di secondi, poi afferrò la bacchetta appoggiata sul comodino e si avvicinò furtivo alla porta. Guardò al di là tramite lo spioncino e quando notò Audrey dall’altra parte della soglia si affrettò ad aprire e ad accendere la luce. 

Lei entrò in fretta, come se temesse di rimanere su quel pianerottolo un secondo di più, e quando Percy si voltò a guardarla dopo aver richiuso la porta alle proprie spalle, si sentì gelare: attraverso lo spioncino non l’aveva notato, ma Audrey era coperta di sangue come se fosse scampata per un pelo a una tragica mattanza. C’era del sangue sui suoi jeans, schizzi scarlatti sulla maglietta che indossava e sul viso, mentre le mani tremanti erano completamente ricoperte come se le avesse infilate nelle viscere di un animale. La giacca di renna che indossava, invece, era pulita come se qualcuno gliela avesse gettata addosso solo in seguito, ed era almeno di due taglie più grande. 

Audrey aveva i suoi soliti disarmanti occhi verdi, ma spalancati, lucidi e pieni di puro terrore, puntati su di lui come armi. Sul collo, infine, aveva dei vistosi segni che non lasciavano presagire nulla di buono. 

- Cosa è… c-cosa… - Balbettò lui, facendo istintivamente un passo verso di lei che, di rimando, ne fece uno indietro. 

Percy venne colpito prima dalla paura: - Sei ferita? - Le domandò spaventato. Poi fu il turno della rabbia: - Dimmi chi è stato. - 

Audrey scosse la testa e poi si portò una mano al collo. Aprì la bocca per poter dire qualcosa, producendo un flebile suono. - Ti prego… aiutami. - Riuscì a dire piano, prima di scoppiare in lacrime. 

Il giovane boccheggiò. Mai, in tutta la sua vita, aveva visto una persona piangere in quel modo. Era come ritrovarsi davanti ad un animale indifeso e ferito, non sembrava nemmeno più lei, come se della ragazza che aveva conosciuto non fosse rimasto nient’altro che i contorni un po’ sfocati. Un forte senso di impotenza gli strizzò le viscere. Fece un altro passo in avanti e lei di nuovo si ritrasse. 

- Adesso sei al sicuro. - Le disse, tentando di mantenere un atteggiamento calmo e controllato, guidandola nel frattempo verso il divano. - Siediti… prendo dell’acqua. - 

- No. - Lo fermò lei. - Non andare via… non lasciarmi sola. - 

Percy aggrottò le sopracciglia e la scrutò con apprensione. Forse aveva perso il senno, visto che la cucina si trovava a pochi passi da lì, nella stessa grossa stanza che costituiva il suo monolocale. - Rimango qui con te. - Le assicurò, senza sindacare. 

Lei annuì e basta, poi abbassò lo sguardo sulle proprie mani, ancora sporche del sangue di nonna Harriette. 

Il suo petto si alzò e si abbassò velocemente: le mancava l’aria e le girava la testa, forse stava per morire, o magari era già morta, ma restava il fatto che non riusciva a respirare tanto era sopraffatta. Tutto le sembrava irreale, tutto tranne quel sangue, la sensazione di quel liquido una volta viscoso che si era seccato sulla sua pelle e sui suoi vestiti, l’odore di quel lupo mannaro che sembrava averle impregnato le narici per sempre. Si sentiva sporca, contaminata, compromessa. Non sarebbe mai più riuscita a togliersi da davanti agli occhi l’immagine del corpo martoriato di Harriette, ne era certa. 

- Audrey. - La chiamò Percy, tirandola fuori dall’oscurità in cui stava scivolando senza mai toccare davvero il fondo. - Guardami. Guardami e spiegami cosa è successo. -  

Lei scosse la testa, strinse i pugni e serrò gli occhi. Non poteva farcela, non poteva ripercorrere tutto, non poteva dirlo ad alta voce; non poteva nemmeno rimanere lì. 

- Dobbiamo andare via… o mi uccideranno… morirai anche tu se ci trovano insieme… - Prese a farneticare agitata, scattando in piedi. 

- Audrey, devi stare calma e pensare lucidamente. - 

- Non voglio stare calma! Sono ricoperta del sangue di mia nonna! - Scattò lei, alzandosi in piedi e toccando subito dopo la sua gola dolorante, gli occhi rossi per il pianto e il viso stravolto. - È morta, hai capito?! Sono tutti morti… - 

Percy tirò quasi un sospiro di sollievo nel constatare finalmente che non era di Audrey tutto quel sangue, che almeno fisicamente lei stava bene, anche se la sua anima sembrava distrutta. 

Lei singhiozzò forte e si portò una mano alla bocca. Dirlo ad alta voce faceva davvero tutto un altro effetto. 

Dopo un attimo di esitazione Percy abbandonò la bacchetta sul divano e si alzò senza dire una parola, si avvicinò a lei e la abbracciò di colpo prima che potesse ritrarsi, fregandosene del rischio di sporcarsi col sangue di Harriette, e con l’imbarazzo e la goffaggine di chi non è abituato a quel tipo di contatto. 

Che diamine stai cercando di fare, stupido idiota? Si maledì, quando la sentì irrigidirsi tra le sue braccia. Poi lei ricambiò quella stretta ancorandosi a lui come se ne valesse della sopravvivenza dell’intera razza umana. 

- Moriremo tutti… ci uccideranno. - Disse, disperata. 

Percy rimase zitto, consapevole che nessuna parola avrebbe avuto il potere di farla star meglio o di convincerla che lì era al sicuro. Si staccò da lei quel tanto che bastava per poterla guardare negli occhi e semplicemente scosse la testa. 

- Invece sì! - Ribatté lei, singhiozzando forte. - Se qualcuno ci vedesse insieme allora tu raggiungeresti mio zio ad Azkaban! E loro mi uccideranno! -

- Audrey, devi fidarti di me. Per stanotte resterai qui, ma conosco un posto sicuro, una mia amica ospita chi ne ha bisogno nella sua fattoria in Galles... - 

Audrey scosse la testa interrompendolo. - Non posso… io non posso… perché… il sangue… - Iniziò a vaneggiare, facendo un passo indietro, guardando le proprie mani e le macchie sui suoi vestiti. - Sono ricoperta di sangue… io… sangue… - 

- Lo so… - Fece lui, guidandola piano piano verso il bagno nascosto dietro una porticina dall’altra parte della stanza. - Adesso lo facciamo sparire. Ti darò dei vestiti puliti e ti sentirai subito meglio. - 

Lei non ebbe la forza di obiettare. Aveva la mente totalmente annebbiata. 

Quando si ritrovò davanti allo specchio appeso sopra il lavandino del bagno di Percy, quasi faticò a riconoscersi. Aveva un aspetto orribile, con i capelli sparati da tutte le parti, gli occhi gonfi dal pianto e quel brutto livido sul collo. 

Percy aprì il rubinetto, prese entrambe le mani di Audrey e le pose sotto il getto gelido dell’acqua, lavando via il sangue. - Vedi? Viene via. Andrà tutto bene. - Disse, ma ad Audrey sembrò quasi che stesse consolando sé stesso. 

Tuttavia annuì, con le labbra serrate e piegate verso il basso, lasciandosi finalmente andare alle cure di lui.

Era al sicuro, si ripeteva come un mantra mentre l’acqua diventava rossa e spariva giù nello scarico, senza però portarsi via nemmeno un po’ del macigno che sentiva sul cuore in quel momento.

Percy le pulì via il sangue che aveva sul viso e sul collo con l’aiuto di un asciugamano, con sorprendente intimità e delicatezza. Era inaspettatamente portato per la cura; forse l’avere ben quattro fratelli più piccoli l’aveva reso naturalmente incline all’accudimento o magari era Audrey quella poco abituata a gesti e attenzioni che nessuno le aveva mai dato. 

- Ti uccideranno… loro ti uccideranno se vengono a sapere che mi stai aiutando, Perce. - Continuava a ripetere lei, con gli occhi pieni di lacrime. 

Percy trovava surreale il fatto che Audrey si stesse preoccupando per lui mentre tremava spaventata dopo essere scampata a qualcosa che doveva essere stata davvero molto brutta da vivere. 

Fu una delle rarissime occasioni in cui Percy Weasley non trovò nulla da dire, anche perché lei non sembrava affatto disposta ad ascoltare.

- Ci uccideranno… vogliono ucciderci… - Ripeteva in continuazione, come un mantra.

Alla fine lui le fornì uno dei pigiami che Penny aveva lasciato in casa, raccattato in fondo all’armadio ma che aveva lo stesso profumo del resto dei vestiti di Percy e infine le preparò una pozione che le diede uno strano senso di pace che le fece tirare un grosso sospiro di sollievo.

- Che roba era? - Domandò Audrey con aria assente, quando finì di bere, seduta su una delle due sedie che circondavano il tavolo della cucina. 

- Voi babbani direste che era un ansiolitico, ma i maghi la chiamano “bevanda della pace”. - Rispose Percy, mentre nel frattempo metteva a posto gli ingredienti e un vecchio e ammaccato calderone in una credenza. 

Lei non rispose. Se ne stava lì, in silenzio, a fissare il bicchiere vuoto con aria assente, facendo temere a Percy di aver esagerato con le radici di valeriana. 

- Forse è meglio se dormi un po’. - Le suggerì lui. 

Di nuovo, Audrey non aprì bocca. 

- Pensavo di raggiungere la fattoria di Katie sul presto, domani mattina; non posso mancare dal lavoro senza destare sospetti… non ho mai saltato un giorno negli ultimi tre anni. - Proseguì Percy. 

- Come arriviamo in Galles? - 

- Ci smaterializziamo. - Rispose lui, per poi sedersi sull’altra sedia, dall’alta parte del tavolo rispetto a lei. - So che quella volta è stato parecchio traumatizzante per te, quindi se non te la senti… il mio amico Oliver vola molto bene. - 

Audrey si voltò a guardare Percy come se avesse detto qualcosa di folle. - Vola… vola su una scopa? - Si accertò. 

- Sì. - 

- È meglio se ci smaterizziamo. - 

- Ottimo. - Commentò Percy. - È decisamente molto più sicuro. -

Lei annuì e non parlò, tornando a fissare il bicchiere vuoto appoggiato sul tavolo. Si sentiva così strana… i suoi pensieri si muovevano lenti e densi nella sua testa e aveva la sensazione di non essere del tutto padrona di sé stessa, ma non era certa che le piacesse: aveva perso il controllo per la prima volta nella sua vita e, anche se non poteva sentirlo a pieno, questo la terrorizzava.

Dopotutto però era sempre meglio del terrore con cui era entrata in quella casa qualche ora prima. 

- Sono stanchissima. - Mormorò tra sé e sé. 

- Te l’ho detto, devi provare a dormire un po’. - 

Audrey sembrò pensarci su, poi annuì e si alzò un po’ traballante. - Userò il tuo divano, allora. - Disse. 

- No, sarei un pessimo padrone di casa se ti lasciassi dormire su quel vecchio e scomodo divano. - Ribatté Percy, alzandosi anche lui per poi guidarla verso il letto. 

Audrey non obiettò e si lasciò cadere sul materasso non appena lo raggiunse. - Qui c’è abbastanza spazio per tutti e due. - Constatò. 

Il giovane mugugnò sconclusionato e le rimboccò le coperte. - Sì, sì… - Buttò lì con fare evasivo. - Tu però dormi adesso. - 

- Resta qui. - 

- Solo finché non ti addormenti. - La accontentò lui.

- Possiamo tenere la luce accesa? - 

Percy sospirò e annuì. Era palese che quella notte lui non avrebbe chiuso occhio. 

Alla fine si sdraiò accanto a lei, che a sua volta chiuse gli occhi. 

- Sono fatta. - La sentì sussurrare.

Lui aggrottò la fronte. - Fatta? Cos’è fatta? - 

- È un modo di dire… sai, quando fai uso di droghe… sei fatto. - Spiegò Audrey, nascondendo il viso contro il cuscino. 

- Non me ne intendo, mi dispiace. - 

Lei fece una mezza specie di sorriso avvicinandosi un po’. - Certo che no. Sei un bravo ragazzo, tu. - Gli disse.

- Perché, tu hai fatto uso di molte droghe nella tua vita? - 

- No, non molto. - Raccontò lei con leggerezza. - Insieme a mio zio ogni tanto capitava di fumare qualcosa, oppure c’erano le benzodiazepine di mia madre in casa. - 

- Benzodiazepine. Un termine stranissimo. - 

- Comunque non mi piace perdere il controllo. - Riprese Audrey. - Insomma, tu in questo momento potresti fare di me qualsiasi cosa e io non avrei la forza di oppormi. - 

- Nessuno farebbe mai una cosa del genere. - 

- Te l’ho detto: sei un bravo ragazzo. - Sospirò lei, raggomitolandosi proprio contro di lui. 

Percy avrebbe pagato per avere anche metà della rilassatezza che aveva Audrey in quel momento, ma di certo non potevano essere “fatti” in due. 

Era preoccupato da morire, soprattutto perché lei non si era nemmeno lontanamente azzardata a svelare cosa le fosse accaduto. Non aveva idea di chi le avesse fatto del male, sebbene avesse formulato diverse ipotesi, e questo non poteva far altro che aumentare la tensione che percepiva. 

Da chi si stava nascondendo Audrey? 

- Audrey… ti va di dirmi cosa è successo? - Chiese di getto. 

Quella domanda sembrò riscuotere Audrey dal sonno. Aprì gli occhi e lo guardò per un attimo. No che non le andava di dire cosa era successo, ma quasi più per pigrizia che per dolore: non provava nient’altro che stanchezza in quel momento, nessun dolore, nessuna paura. 

- C’erano i mangiamorte. - Disse semplicemente. - Uno di loro era un mostro e ha mangiato nonna Harriette. L’ha aperta come se si trattasse di un animale da macello, c’era sangue da tutte le parti… mentre nonna Constance… lei credo sia stata uccisa con un incantesimo. Poi gli altri due mangiamorte hanno portato via Elijah e mi hanno lasciata con il mostro. - 

Percy si sentì attraversare da un fremito. Quel racconto non lasciava dubbi su chi fosse questo fantomatico mostro di cui parlava Audrey. Aveva sentito così tante storie simili a quella, ma non riusciva a sopportare che fosse successo proprio a lei.

- Che cosa ti ha fatto? - Domandò, brusco e non del tutto sicuro di volerlo sapere. 

- Ha tentato di uccidermi, ma la bussola di mio zio mi ha salvata. Mi ha fatto arrivare qui da te. - Rispose Audrey. 

- La bussola? Che bussola? - 

- Elijah ha incantato una bussola per far sì che mi portasse esattamente dove dovevo essere. - Illustrò lei. - E dovevo essere qui, a quanto pare. - 

Percy rimase zitto a fissarla. Era sceso a patti già da parecchio tempo con il fatto che si sentisse attratto da lei, ma ciò che stava provando in quel momento… be’, quello era tutt’altra cosa. Aveva rischiato di perderla, di non rivederla mai più e di non sentire mai più il suono della sua voce. Lei si era salvata per un pelo e forse non sarebbe nemmeno stata più la stessa, e ci era voluto tutto questo per far capire a Percy Weasley che quelli che provava per lei erano proprio dei sentimenti, sentimenti reali. 

Fu una dolorosa rivelazione. Non poteva di certo finire per innamorarsi di lei, non in quel momento in cui la storia remava contro a entrambi, anzi forse proprio mai, perché Audrey era decisamente fuori da ogni piano. 

Sfuggiva continuamente dal suo controllo, lo portava all’esasperazione per convincerlo a fare tutto ciò che voleva, aveva quell’umorismo pungente e fastidioso, per non parlare del fatto che si azzardava a correggerlo con quell’aria da maestrina e che voleva fare la cantante invece di trovarsi un lavoro vero. Era affascinante, ma non bella come Penny, non aveva lo stesso viso angelico e tanto meno l’atteggiamento della donna ideale che Percy aveva sempre pensato di desiderare, quella da far conoscere ai propri genitori e da esporre come una sorta di trofeo a quelle pompose cene al Ministero.

Audrey era imperfetta, era babbana e lontana da qualsiasi programma, eppure sembrava quasi tutto già scritto, ineluttabile. 

E a quanto pare lo sapeva persino la bussola di Elijah. 


 

Ehilà, persone!

Okay, questo capitolo è stato particolarmente difficile da scrivere, in fatto nella mia testa c’erano molte più cose che proprio non sono volute venire fuori, quindi temo che sia un po’ scarno di tristezza e angoscia, forse sono andata troppo veloce, non saprei… 

Comunque la parte più complicata è stata capire come dividerlo: in realtà doveva essere più lungo di così, ma poi ho deciso di dividerlo in due parti, quindi la buona notizia è che il prossimo capitolo è già pronto e corretto. 

Bo, non ho molto da dire. Non vedo l’ora che questa parte passi per andare al post battaglia perché credo che quella sarà la mia parte preferita, ma vabbé, niente spoiler (e comunque non ho deciso niente di certo, magari do di matto e me ne esco con qualche colpo di scena senza senso). 

Adesso che è arrivata l’estate e io ho molto più tempo libero (e meno voglia di uscire di casa perché fa troppo caldo) è probabile che gli aggiornamenti saranno più frequenti, ma non vi prometto niente. 

Alla prossima,

J.

 
   
 
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