Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Jamie_Sand    30/06/2023    4 recensioni
Nel pieno della seconda guerra magica, lontano dalla famiglia, senza più una fidanzata e con ben pochi amici rimasti al suo fianco, il giovane Percy Weasley cerca di fare del suo meglio per limitare i danni.
Poi, una notte di fine ottobre, l'incontro con una babbana di nome Audrey Manning.
Genere: Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Audrey, Famiglia Weasley, Percy Weasley | Coppie: Audrey/Percy
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 13

 

Il mattino seguente Audrey si svegliò con un forte mal di testa e con la sensazione di aver dormito davvero poco. Quando aprì gli occhi la prima cosa che vide furono le iridi gialle del gufo di Percy, che la stava fissando appollaiato sul davanzale della finestra da cui stavano entrando i primi raggi d’alba. Poi udì alle sue spalle il rumore di una radio che tentava di prendere il segnale. 

Quando si voltò notò Percy, che se ne stava seduto al tavolo della cucina già vestito di tutto punto, seppur con due paia di occhiaie violacee sotto gli occhi chiari sormontati da quella montatura di corno, a testimoniare che probabilmente non avesse dormito un granché. Il ragazzo stava battendo la bacchetta su una vecchia radiolina facendo girare le manopole. Ancora abbandonato sul tavolo, infine, c’era il mazzo di peonie che Audrey la sera prima quasi non aveva notato. 

Una cascata di ricordi inondò la mente di Audrey di colpo, ricordi sfogati e lontani, un po’ come un film, come se non fossero capitati per davvero e proprio a lei, come se la sua psiche stesse tentando di proteggerla dal dolore che si accompagnava a essi. 

Si sentiva però molto più lucida: si chiese se fosse il caso di mettersi in contatto con suo padre o con zia Tamica, se qualcuno avesse già trovato i corpi di nonna Harriette e nonna Constance, se la stessero cercando. 

Come se avesse avvertito lo sguardo di lei, Percy alzò gli occhi incrociandoli con quello di Audrey. Lei aveva l’aspetto un po’ stracciato della sera prima, il volto gonfio di sonno, le labbra screpolate e gli occhi arrossati, i capelli che erano schiacciati da un lato e gonfi e cespugliosi dall’altro.

- Oh, sei sveglia. - Constatò Percy, alzandosi in piedi. - Come… come stai? - 

Come stai? Hai davvero chiesto “come stai?” a una persona che ha perso metà della sua famiglia e che è quasi rimasta uccisa in un attacco da parte di mangiamorte solo la sera prima? Pensò Percy, sentendosi arrossire di colpo. 

- Normale, credo. - Rispose Audrey, e la sua voce risuonò bassa e un po’ gracchiante.

- Ho fatto il caffè. - Disse lui, pur di non star zitto. - Prendine una tazza, se ti va… so che preferisci il tè, ma ho finito tutte le bustine. - 

- Il caffè va bene. - Lo tranquillizzò lei. - Che cosa stai facendo alla radio? - 

- Tento senza successo di collegarmi a radio Potter. - Spiegò Percy con un sospiro, guardando l’apparecchio. - Ci provo da mesi, ma sono molto bravi a proteggere le loro trasmissioni. -

- Lucy è fortissima ad azzeccare la parola d’ordine. - Disse Audrey, mettendosi seduta con le gambe fuori dal letto. - Spesso usano i nomi dei membri morti dell’Ordine della Fenice. A settembre hanno usato quello di quel tale… l’assassino. Che poi in realtà non era davvero un assassino… come si chiama? Aveva un nome strano… - 

- Sirius Black? - 

- Sì, lui. - Annuì Audrey. - Conosci qualche altro caduto dei loro? - 

Percy ci pensò su. - Be’... c’è Alastor Moody, venuto a mancare in estate. - Disse, battendo la bacchetta sulla radio. - Moody… no… Alastor? Niente… Malocchio? - 

La radio fece un suono strano, poi una voce metallica iniziò a parlare: - … ci scusiamo per il programma frammentato di questa notte, ma abbiamo avuto un incontro molto ravvicinato con alcuni Mangiamorte, dei veri simpaticoni. - Stava dicendo. 

Percy sgranò gli occhi e le sue orecchie si fecero subito rosse. Conosceva bene quella voce. - È Fred! - Esclamò. 

- Uno dei tuoi fratelli? - 

Percy annuì in fretta e alzò il volume.

- Ora siamo in un posto sicuro, ma prima di salutarci vorrei dedicare la nostra attenzione ai caduti degli attacchi di massa di questa notte. - Proseguì la voce di Fred.

- È così incosciente! - Sbraitò Percy, indignato. - Esporsi in questo modo…! Che ha in testa? -

- Sshh! - Lo zittì Audrey, saltando giù dal letto e raggiungendo il tavolo della cucina mentre la voce alla radio elencava i nomi delle vittime: 

- Ci hanno lasciato Jessica e Sara Wilson, sorelle nate babbane di Leeds, Jason Foley, rinomato medimago del San Mungo, Luke, Muriel e Clay Mulligan, scovati e uccisi nello Yorkshire mentre cercavano di raggiungere un posto sicuro e in fine la famiglia… come si pronuncia? N…krumah? - 

- Credo sia N'krumah, tutto attaccato. - Rispose un’altra voce. 

- È Remus Lupin! - 

- Shhh!

- La famiglia… N'krumah, Harriette e Constance, per la precisione. Il figlio Elijah, noto sostenitore della nostra resistenza, è stato purtroppo deportato ad Azkaban, mentre la nipote babbana, Audrey, risulta tutt’ora scomparsa. -

Percy guardò Audrey cercando di decifrare qualcosa nel suo sguardo perso e nelle labbra contratte. Se la sera prima lei era stata totalmente presa dal panico, in quel momento era impenetrabile. 

- Non supererò mai questa cosa. - Disse piano, lasciandosi cadere sulla sedia.

Percy spense la radio, anche se a malincuore. Gli sarebbe piaciuto rimanere ad ascoltare la voce di suo fratello ancora per un po’. - Tu superi tutto. - Le disse. - Lo hai detto tu, non ti lasci cambiare dagli eventi, no? Per questo hai quel tatuaggio sulla schiena. -

- ‘Stavolta è diverso. - Ribatté lei, scuotendo la testa e posando lo sguardo sul mazzo di fiori abbandonato sul tavolo: quelle peonie avevano sicuramente visto giorni migliori. - Questo è… troppo. È troppo anche per me. Non so cosa fare… - 

Percy fece per allungare una mano nella sua direzione, ma poi si ritrasse dandosi dello stupido. - Non voglio sembrare presuntuoso, ma io so cosa fare, invece. - Le disse. - Ho avvertito la mia amica del nostro arrivo, ci stanno aspettando. Rimarrai in Galles fino alla fine della guerra, lì sarai al sicuro. -

- E se non finisse mai? - Domandò Audrey. - Se vincesse Tu-Sai-Chi… -

- In tal caso aiuterò te e Lucy a lasciare il paese, ma non accadrà. - Assicurò lui. - Devi fidarti di me. Fidati di me. -

Fu lei questa volta ad allungare una mano verso di lui. Percy, dopo un attimo di esitazione, la afferrò e la strinse brevemente nella sua. Proprio come a Natale, quel contatto fu naturale e spontaneo come se si fossero già incontrati e presi per mano un’infinità di altre volte in un’altra vita. 

- Io mi fido di te. - Mormorò Audrey, ritirando la mano per poi sfiorare i petali vellutati di una delle peonie. 

Percy si sentì arrossire di botto. Chissà cosa pensava Audrey del fatto che lui tenesse in casa un mazzo dei fiori di cui lei portava il nome. 

- Erano per te… le peonie. Le ho prese ieri per scusarmi. - Le disse rigidamente, pur di dare una spiegazione, sebbene lei non avesse fatto nessuna domanda. - Temo che io ti abbia offesa, in un certo senso, quell’ultima sera in cui sono stato ospite a casa tua. - 

Audrey mugugnò sommessamente, un suono che poteva dire qualsiasi cosa, e non lo guardò. In quei due mesi aveva sperato con tutto il cuore di non incappare mai in quel discorso.

- Tra noi le cose sono diventate strane, dopo, e io sono consapevole di aver sbagliato le parole. - Proseguì lui. - Ti avrò dato l’impressione di essere un fanatico del sangue puro, ma sappi che il fatto che non sia una strega non c’entra niente, o almeno non come pensi tu. - 

Audrey sospirò e finalmente alzò lo sguardo. - Non mi devi nessuna spiegazione, lo so che non sei uno di quelli. - Disse. - È stato tutto un grosso e imbarazzante errore di comunicazione. Io non ci ho mai provato con te, quella sera. - Proseguì, abbozzando un piccolo sorriso. - Alla fine credo che sia tu quello che ha frainteso. - 

Sul viso di Percy passò una sequenza di espressioni diverse in una manciata di secondi. Divenne sorpreso, pensieroso e poi deluso, alla fine si ritrovò a guardare Audrey negli occhi, con le labbra semi aperte come se fosse sul punto di dire qualcosa e avvampò vistosamente.

Quanto era stato stupido e pieno di sé per arivare a pensare che una come lei potesse anche solo lontanamente interessarsi a uno come lui? 

Non era mica bello come Bill, lui, non era divertente come il resto dei suoi fratelli, non era affascinante e nemmeno coraggioso, di certo Audrey poteva aspirare a qualcuno che fosse di gran lunga migliore di lui: un ragazzo che la facesse ridere e che fosse capace di capire la musica e l’arte come lui invece non riusciva a fare, uno che fosse bello e prestante e spigliato. 

- Quindi tu non… - 

- Abbiamo passato molto tempo insieme, mentirei se ti dicessi che l’idea non mi sia mai balenata di mente… ma no. - Lo anticipò Audrey. - Pensandoci lucidamente ho capito che siamo troppo diversi per andare oltre. Lo hai detto tu, sono babbana e tu un mago. - 

- Ma questo non implica un problema in tempi di pace… - Tentò di dire lui. 

Audrey fece un cenno con la mano, fermandolo con aria perentoria. - Veniamo da due mondi diversi, siamo diversi sotto ogni punto di vista, ma anche se non fosse così non ci sarebbe spazio per altro, né ora né mai. Siamo entrambi decisamente troppo incasinati. -

Percy rimase zitto e impassibile, assumendo l’espressione stoica che aveva imparato a piantarsi in faccia durante quegli ultimi mesi al Ministero. 

- Se sono stata un po’ fredda… - Continuò Audrey. - Be’, diciamo che sentirsi sbattere in faccia quanto tu sia poco desiderabile sia sempre un po’ dura, non credi? Una questione di orgoglio. - 

- Ma tu sei desiderabile! - Esclamò Percy. - Sei molto desiderabile! O almeno credo che tu lo sia per gli altri. - Si affrettò ad aggiungere.

Lei scrollò le spalle e basta. 

- Quindi tu quella sera non ci stavi provando con me. - Si accertò lui.

- Direi proprio di no. - Assicurò Audrey, con talmente tanta sicurezza che quasi si convinse da sola. - Non devi preoccuparti: non mi sono presa una imbarazzante quanto inopportuna cotta per te. Sarebbe davvero troppo strano. - 

- Oh. - Fece lui, e poi annuì. - Ottimo. -

- Sì. - 

- È un bene. - 

- Lo è. -

- Sarebbe stato davvero complicato, altrimenti, con la guerra e Penny e il resto. - 

- Mhmh. - Tagliò corto Audrey, alzandosi in piedi. - Prendo un po’ di caffè. - Disse, nel tentativo di sembrare rilassata e a proprio agio. - Comunque i fiori sono carini, peccato che tu non me li abbia portati. - 

- Forse se fossi passato a casa tua le cose sarebbero andate in modo diverso… forse avrei potuto… limitare i danni. - 

Audrey si versò il caffè e poi si voltò nuovamente verso di lui. - Possiamo non parlarne? - Domandò, seria. - Non ce la faccio, per adesso. - 

Percy annuì e basta.

Lei si portò la tazza alle labbra e bevve. Per qualche istante ci fu silenzio, ma non un silenzio pesante e difficile da sopportare. Era il silenzio di chi aveva raggiunto ormai un adeguato livello di intimità. 

- Partiamo non appena sei pronta. - Disse poi Percy.

Audrey lasciò la tazza nel lavabo, prese un respiro profondo annuì. - Io sono pronta. - 

 

Comparvero in cima a una collinetta al sorgere del sole, lei stretta nella giacca di renna che qualche sconosciuto le aveva messo sulle spalle la sera prima, lui avvolto in un pesante mantello di lana. Ormai smaterializzarsi per Audrey era diventato quasi normale, seppur sempre molto spiacevole. 

Faceva freddo, il vento profumava di mare anche se il mare non si vedeva. Audrey si guardò attorno, notando che non c’era traccia di anima viva e tanto meno di una fattoria. Erano nel bel mezzo del nulla, vicini a un grosso faggio spoglio che dominava quella bassa collina, l’erba secca sotto le loro scarpe era ghiacciata, ma c’erano delle premure che spuntavano qua e là dando del colore alla terra spenta. 

- Abbiamo avuto un atterraggio perfetto, stavolta. - Dichiarò Percy, soddisfatto. - Avanti, andiamo. - 

Lei aggrottò. - Dov’è la fattoria? - Chiese, perplessa, quando lui iniziò a incamminarsi. 

- Prenditi del tempo e poi la vedrai. - Rispose Percy, senza fermarsi. 

Audrey sospirò e lo seguì, camminando sul terreno scosceso con un po’ di difficoltà. Si poteva dir tutto su di lei tranne che fosse una ragazza di campagna. Poi, all’improvviso, qualcosa accadde: come se fosse stato messo lì da una mano invisibile uscita dal folto strato di nuvole grigie sopra le loro teste, comparve dal nulla un enorme casolare rosso mattone a poco meno di cento metri da lì. Più Audrey si avvicinava, gli occhi sgranati dalla sorpresa e la bocca semi aperta dallo stupore, più spuntavano dettagli: la staccionata bianca tutt’attorno alla proprietà, un’altra piccola struttura adiacente a quella principale simile a una stalla, un paio di mucche che pascolavano in un recinto insieme ad alcune capre, delle galline che si aggiravano libere, beccando proprio davanti al portico. C’era anche una vecchia altalena appesa a uno dei rami più bassi della quercia che cresceva in giardino.

Quando arrivarono alla staccionata, Percy aprì una sorta di cancelletto di legno ed entrò nel cortile, mentre Audrey esitò su quella soglia.

- Allora? - La spronò lui, voltandosi a guardarla con un sopracciglio alzato. 

- Io… hem… galline. - Mugugnò Audrey, facendo un cenno verso i volatili. 

Percy fece una faccia perplessa. - Le galline? - Ripeté. 

Lei annuì. Era piuttosto certa di non aver mai avuto a che fare con una gallina viva prima d’ora e no, quei loro occhietti, quelle zampe artigliate e i loro becchi non la convincevano affatto. - Puoi mandarle via, per favore? - 

Percy si lasciò scappare un sorrisetto divertito, poi scacciò gli animali al grido di “sciò, sciò!” e subito dopo la porta d’ingresso del casolare si spalancò. Una ragazza dai capelli castani e lisci raccolti in una lunga treccia venne fuori, fermandosi sotto il portico di legno. Indossava una di quelle lunghe vesti da strega ed era piuttosto alta e altrettanto magra, tuttavia aveva una faccia molto comune. 

- Ce l’avete fatta. - Esordì. - Stavo quasi per volare fino a Londra per venirvi a cercare. - 

- Scusaci, Katie, ma è stata una nottata difficile. - Rispose Percy, prima di voltarsi verso Audrey, che se ne stava ancora al di là della staccionata. - Audrey, lei è Katie. Katie… - 

- Molto piacere. - Si fece avanti la strega. - Sono davvero dispiaciuta per la tua perdita, dev’essere stato terribile. Sappi che qui nessuno potrà farti del male. - 

Audrey indugiò per un secondo, guardando l’altra con un’espressione difficile da decifrare. Era questo ciò che la attendeva da adesso in poi? Sconosciuti a cui dispiaceva per la sua perdita e frasi fatte a cui non sapeva come rispondere?

Si limitò ad annuire evasiva, poi strinse la mano di Katie e si presentò. 

- Percy mi ha parlato così tanto di te che mi sembra di conoscerti già. - Le disse poi la giovane, con un bel sorriso che le allargò il viso sottile. - Vieni, andiamo dentro. - 

- In realtà non parlò così tanto di te. - Si affrettò a chiarire Percy, camminando al fianco di Audrey verso l’entrata. 

L’interno del casolare era proprio come ci si aspettava che fosse una casa di campagna. La rustica cucina era la prima cosa che si vedeva non appena si varcava la soglia: una grande stanza con al centro un lungo tavolo di legno dall’aria vissuta e circondato da sedie del medesimo materiale, un piano cottura da un lato e un camino acceso dall’altro, il lavello pieno di piatti che si stavano man mano lavando da soli. 

Era tutto molto caotico, diverso dalla casa di nonna Harriette. L’aria non profumava di spezie ma bensì di porridge e legna arsa. 

Seduto a capotavola, vestito come si vestirebbe un qualsiasi contadino babbano, c’era un uomo di mezza età alto e secco come Katie, ma con i capelli color paglia e gli occhi chiari, che stava facendo colazione. 

- Buongiorno, signor Bell. - Lo salutò Percy non appena lo vide. 

- Weasley. - Fece l’uomo. Poi guardò Audrey. - Un altro dei tuoi trovatelli, mh? - 

- È la ragazza di cui abbiamo parlato, papà. - Disse Katie, alzando gli occhi al cielo senza farsi notare. 

- Ah, certo, la babbana. - Annuì. - Nessun pregiudizio, mia moglie era come te. Abbiamo persino l'elettricità, eh. Falle vedere, Tittie. - 

Katie sbuffò e poi illuminò la cucina premendo l’interruttore. - Abbiamo l’elettricità. - Ripeté scocciata, prima di rivolgersi a Audrey. - Vuoi far colazione o preferisci che ti mostri subito la tua stanza? Sarai esausta... - 

Lei si voltò a guardare Percy come se si aspettasse che fosse lui a rispondere al suo posto. Quando lui fece una faccia eloquente, come per dire “allora?”, Audrey decise per la seconda opzione. 

- Io non… non ho molta fame. - Disse.

- Bene, andiamo su, allora. - Decise Katie. 

L'afferrò per una mano come se fossero amiche da una vita e la trascinò al piano di sopra, seguite da Percy. Salirono le scale e poi si ritrovarono all’inizio di un lungo corridoio con quattro porte da un lato e quattro dall’altro.

- Sei stata fortunata, non abbiamo molti ospiti in questo momento. - Raccontò la padrona di casa, muovendosi lungo di esso. - Ogni tanto Oliver dorme qui, lo conosci già Oliver, no? Gli unici residenti fissi, a parte me e mio padre, sono i Cattermole: padre, madre e i tre figli. Spero che ti piacciano i bambini. - 

- Non ho nessun problema con i bambini. - Buttò lì Audrey. - In realtà volevo ringraziarti per l’ospitalità… spero di esservi utile in qualche modo, anche senza una bacchetta. - 

Katie sorrise. Intanto avevano raggiunto l’ultima porta sulla destra, la più lontana dalle scale. - Abbiamo già ospitato dei babbani prima d’ora, il lavoro che c’è alla fattoria non fa differenze. Puoi fare praticamente tutto, ma prenditi il tuo tempo per ambientarti. - Rispose. - E non devi ringraziarmi, assolutamente: facciamo quello che possiamo per limitare i danni. - 

Mise una mano sulla maniglia e spalancò la soglia. Dentro la camera si presentava arredata con il minimo essenziale: un letto con la spalliera in ferro, un armadio di legno, una scrivania e una sedia. Le pareti erano di un bianco sporco, non c’erano appesi dei quadri, ma la finestra che dava sul giardino inondava lo spazio di luce grazie ai raggi del sole appena sorto. 

- Eccoci qua. - Fece Katie. - Nell’armadio ci sono vestiti puliti, in bagno troverai uno spazzolino nuovo, sapone... una sorta di kit di benvenuto, ecco. Se hai bisogno di qualcosa di specifico ti basta chiedere, il paese dista da qui una ventina di minuti di cammino. Per quanto riguarda i pasti… si pranza a mezzogiorno e mezza, si cena alle sette in punto. Ultimamente sta cucinando il signor Cattermole, qualche giorno fa ha fatto una shepherd pie perfetta. - 

- Reginald Cattermole cucina? - Domandò Percy, perplesso. 

- Sì, ed è anche bravo, te l’ho detto. Però ti conviene stare alla larga dalla cucina finché lui sarà ospite qui, non vorrei che ti avvelenasse. - Rispose Katie, facendo un sorrisetto divertito. Poi si rivolse a Audrey. - Quando il signor Cattermole lavorava alla manutenzione, al Ministero, Percy lo trattava malissimo. - Spiegò.

- Non lo trattavo malissimo, solo che… - Percy abbassò la voce per non farsi sentire. - È proprio incapace. Mi sono dovuto sbarazzare da solo dell’infestazione di doxy nel mio ufficio perché lui non sapeva come fare, per non parlare della pioggia nell’ufficio di Runcorn. - 

- Eri una persona orribile, ecco la verità. - Ribadì Katie. Dopo si voltò a guardare Audrey e aggiunse: - Non ti preoccupare, adesso è cambiato, è una persona completamente diversa da quel ragazzino insopportabile e pieno di sé che era qualche anno fa. - 

Non sapendo cosa rispondere, Audrey si limitò ad annuire. 

- Comunque adesso ti lascio sistemare. - Proseguì Katie, con apprensione. - Tu lavori oggi, Weasley? - 

- Sì, meglio non destare sospetti, lo sai. - Rispose lui. 

Katie annuì, fece un ultimo sorriso a Audrey e poi lasciò quella stanza lasciandoli soli. 

Dopo un po’ Audrey sospirò e si lasciò cadere sul letto con aria stanca. - Devi andartene per forza, vero? - Domandò, alzando lo sguardo su Percy. 

Lui annuì e poi si sedette al suo fianco. - Verrò qui a trovarti ogni sera. - Assicurò. - Ti ambienterai presto, vedrai. - 

Lei annuì. - Potresti far sapere a Lucy che sto bene? Se dovesse aver sentito il programma alla radio di questa mattina sarà preoccupatissima. - 

- Certo, ci penso io. - 

- Non so come comportarmi con mio padre, invece. - Proseguì Audrey. - L’unico modo che ho per contattarlo è tramite un telefono, ma ho paura che fargli sapere che sono viva possa metterlo nei guai. -

- Credo che per ora sia meglio per te sparire di scena, almeno per un po’. - Le consigliò Percy. 

Audrey annuì nuovamente, ma stavolta non parlò. 

Anche lui tacque, guardandola di tralice e percependo una strana ma tanto agognata atmosfera di calma attorno a loro, come il silenzio dopo un violento acquazzone. Forse per questo non voleva andarsene, non voleva lasciarla lì da sola, ma voleva solo toccarla, abbracciarla come la notte precedente. 

Questo lo faceva sentire stupido e anche un po’ in colpa, perché lei era triste, era distrutta, mentre lui non riusciva a far altro che pensare a quanto la desiderasse. 

Non ci poteva essere spazio per certe cose in guerra. 

E poi, ormai lo sapeva, lei per lui non provava nulla di tutto questo. 

Doveva farsela passare.

- È meglio che vada. - Disse Percy, alzandosi in piedi. 

Audrey mugugnò in risposta e poi mosse la mano come per dire ciao. 

Fu difficile per Percy lasciare quella stanza, ma lo fece, chiudendosi la porta alle spalle. Una volta rimasta sola, Audrey si tolse di dosso la giacca di renna che stava indossando, abbandonandola sul letto, poi si alzò. Diede un’occhiata ai vestiti nell’armadio scoprendo che consistevano quasi tutti in abiti da strega che sembravano venire da un’altra epoca, lunghe gonne e qualche raro jeans troppo grande per starle bene addosso. Poi aprì la porta del bagno, dove scoprì la presenza di una piccola vasca. Audrey aprì l’acqua e usò tantissimo sapone per creare la schiuma. Si spogliò lasciando sul pavimento il pigiama che Percy le aveva dato la sera prima e si specchiò attentamente passando la punta delle dita sui segni che aveva sul collo, scoprendo anche qualche livido. 

Percepiva il suo corpo in modo diverso, si sentiva diversa. 

Era diversa. 

Forse dopotutto si era lasciata cambiare dagli eventi. 

Alle fine si immerse nella vasca riempita quasi fino all’orlo e lì vi rimase assaporando un senso di solitudine mai sperimentato prima. Era viva, ma lontana da tutto e da chiunque la amasse. Si domandò se qualcuno la stesse già cercando, se suo padre fosse già stato informato e se sua madre fosse preoccupata almeno un po’, anche se le risultava difficile crederlo. 

Audrey rimase a mollo finché l’acqua non divenne fredda. Uscì dalla vasca, si asciugò e indossò una di quelle lunghe gonne e un maglione infeltrito. Quando si affacciò alla finestra notò che il sole era ormai sorto del tutto anche quella mattina e che, in giardino, c’erano tre bambini, un maschio e due femmine, che giocavano come se il mondo non fosse appena finito. 



 

Ehilà, care persone!

Questo è un capitolo di passaggio ma direi decisamente necessario. Non ho grandi considerazioni per oggi, ma se vi va fatemi sapere cosa ne pensate, sia del capitolo che della storia in generale, sarebbe bello. 

Grazie per aver letto fin qui, come al solito ❤️

Alla prossima,

J.

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Jamie_Sand