La
sconfitta del capo dei Fearling, l’Uomo Nero,
come
l’aveva ribattezzato la stampa, aveva mandato i giornalisti
in visibilio,
soprattutto per la succosissima scoperta della sua identità.
L’opinione
pubblica era spaccata a metà: fra chi riteneva orribile quel
che il procuratore
aveva fatto e chi non si dispiaceva poi troppo del suo metodo di pulizia.
Quello che tutti ancora non sapevano era che, per dimostrare alla
procura la
loro totale collaborazione, ovviamente in accordo con la ragazza
salvata, la
polizia aveva deciso di non divulgare cosa stesse facendo Claude Frollo
quando
era stato incastrato: nessuno aveva intenzione di ricevere una pioggia
di
ricorsi per i processi seguiti da lui che erano, di fatto,
innumerevoli. Certo,
vista la quantità di persone coinvolte, era
pressoché impossibile che una cosa
del genere rimanesse segreta a lungo, l’importante era che
ci rimanesse abbastanza.
Questo segno di pace, tuttavia, non impedì alle previsioni
di Elsa di
avverarsi: non solo non le fu concessa di effettuare
l’autopsia sul suo
cadavere, non venne neanche ammessa ad assistere. Jane
l’aveva vista così
furiosa ben poche volte: il fatto che il risultato tardasse ad arrivare
non
aiutava a ridistendere il suo umore. C’era, inoltre,
un’altra persona molto
agitata: il signor Bunnymund era arrabbiato, sì, ma per una
volta ce l’aveva
con la procura: non era davvero colpa dei suoi agenti se il loro tanto
decantato procuratore era un assassino egomaniaco, perciò
aveva messo sotto
torchio Jack e Kristoff, non perché non fosse contento del
loro operato –
sebbene continuasse a non vedere di buon occhio l’irruenza
del detective
Overland, in cui trascinava il detective Bjorgman – ma
perché voleva essere
inattaccabile sotto ogni punto di vista. Per questo la vita di Claude
Frollo
era stata rivoltata da cima a fondo e ora i due erano, con una squadra
della
scientifica, a battere ogni centimetro del suo appartamento.
C’era voluto un
po’ ma, in una zona inusuale, avevano finalmente trovato
quello che stavano
cercando: la cassaforte.
Jackson annuì all’agente che lo aveva appena
aggiornato e si avvicinò a
Kristoff. «Ovviamente è un modello di ultima
generazione, ci vorrà del tempo
per capire come aprirla. Il resto della casa? »
L’altro scosse il capo. «Niente di rilevante:
alcuni documenti del tribunale,
un’invidiabile collezione di orologi… »
Jack sbuffò. «Non che non lo comprenda ma questo
eccesso di zelo comincia a
darmi sui nervi. »
«Io te l’avevo detto… » Gli
rinfacciò, dando un’occhiata ai suoi appunti.
«Era
chiaro che fossero necessarie tutte le prove. »
«Il rifugio nel bosco, con il sotterraneo segreto dove
c’era tutta
l’attrezzatura con cui uccideva le sue vittime e i
ritrovamenti di
fenilciclidina non bastano? »
«Il fuoco ha ripulito tutto, non ci sono prove che Lionheart
e Sabor siano
stati portati lì. Abbiamo solo Esmeralda…
»
«Solo?! Che la notizia non sia stata divulgata non la rende
meno reale: quella
ragazza ha rischiato grosso! Ha usato lo stesso modus operandi!
»
«Sì, ma lei non è una criminale e si
è mosso in solitaria… »
Jack sgranò gli occhi. «Per forza! Quei due sono
in galera… »
«Per questo è di fondamentale importanza
collegarlo a loro e alla De Vil. »
«Vogliamo davvero dire che i registri del suo racket segreto,
trovati nella sua
magione, dove tutte le vendite di fenilciclidina sono associate allo
stesso
riferimento e il fatto che quei due lasciassero l’auto sempre
in zone vicino al
rifugio siano solo un caso? »
Kristoff si strinse nelle spalle. «Ovvio che no ma la procura
vorrà di più,
guarda cosa è successo con Elsa… »
Jackson strinse i denti. «Già. Dobbiamo trovare il
collegamento dei soldi, così
– forse – si metteranno l’anima in
pace… »
«Detective, vi prego di indossare queste. » Gli
disse un agente della
scientifica, porgendo ad entrambi un paio di cuffie protettive.
Kristoff le prese. «Volete far saltare la cassaforte?
»
«E’ l’unico modo: non
c’è possibilità di aprirla altrimenti,
è troppo avanzata.
»
La stessa cosa fece anche Jack. «Avete preso tutte le
precauzione del caso? E’
di vitale importanza che ciò che c’è
dentro non si danneggi. »
«Lo sappiamo, detective. » Gli confermò
quello. «Puntiamo a far saltare le
poche giunture, così da fare perno ed aprirla. »
Controllò l’orologio. «La
detonazione avverrà fra cinque minuti: abbiamo
già informato la concierge
affinché avvisasse gli inquilini, così da non
creare allarmismi. »
«Bene, proseguite pure. » Lo congedò
Kristoff, spostandosi un poco. «A proposito di
concierge… »
Ghignò, alzando un pochino la voce per
farsi sentire dall’altro al di là delle cuffie.
«Com’è finita la faccenda dei biglietti?
»
Jack arricciò le labbra in una smorfia. «Non mi
dire niente, mi sono costati un
occhio della testa. »
«Ah, quindi hai mantenuto la promessa! »
«Certo, alla fine avevo dato la mia parola…
»
«Avrei scommesso di no. » Sghignazzò
quello.
L’altro lo guardò storto. «Tu hai una
pessima idea di me… »
Kristoff rise. «Non direi o non mi sarei preso un colpo di
fucile per t… »
In quel momento, la cassaforte brillò.
«Detective Overland, Bjorgman! Venite, presto! »
Si precipitarono nell’altra stanza, il fumo della detonazione
riempiva ancora
tutta l’area.
«Che cosa abbiamo? »
«Un libretto che, probabilmente, fa riferimento a conti in
paradisi fiscali e
banconote, tante! »
«Bingo! » Esclamò Jackson.
«Con un po’ di fortuna, i numeri di serie
combaceranno con quelli degli agenti corrotti di polizia
giudiziaria… »
«E i conti potranno tracciare i movimenti di denaro.
» Concluse per lui
Kristoff. «Ottimo lavoro ragazzi. Penso che possiamo andare
adesso, il Signor
Bunnymund vorrà di sicuro sapere queste novità.
» Non ottenendo risposta, si
girò verso il suo compagno di squadra. «Ehi, Jack!
Tutto a posto? »
«Non direi… » Sussurrò
l’altro, lo sguardo incollato ad una vecchia fotografia
dove, fra un gruppo di ragazzi, spiccava la figura di Claude Frollo
vicino ad
un altro giovane, la cui identità era facilmente
riconoscibile nonostante
l’età: Kozmotis Pitchiner.
«Chissà
perché non mi stupisce il trovarti qui. »
Robert Locksley alzò gli occhi dalla lapide in marmo rosa
che aveva di fronte e
li posò sull’uomo che aveva appena parlato.
«Richard… »
«Ti dispiace? » Gli chiese lui, facendogli cenno
verso il mazzo di fiori che
aveva in mano: margherite, le sue preferite.
Scosse il capo, scostandosi un poco per farlo passare, mostrandogli
così che lo
stesso fiore era già stato posato sulla fredda e lucida
superficie della tomba.
«Neppure questo mi stupisce. » Sorrise appena.
«Vieni sempre qui tutti i
giorni? »
Robert alzò le spalle. «Ogni volta che posso. Tu
come mai sei qui, oggi? »
«Marian era una cara amica, quasi una figlia per me. Ora che
il caso
Fearling si è concluso, penso possa
finalmente riposare in pace.
»
«Lo spero tanto anche io… » Disse
mestamente.
Richard gli posò una mano sulla spalla. «E anche
per te è giunto il momento di
rimetterti in sesto, lei non avrebbe voluto vederti così.
» Cercò di dargli
conforto. «Perché non vieni a lavorare per me?
Potresti ricoprire il suo ruolo,
secondo me ne sarebbe felice: porteresti avanti la sua impronta.
»
Robert assunse un’espressione malinconica. «Non
sarei mai bravo quanto
lei. » Espressione che, d’improvviso, si accese di
furbizia. «Temo, poi, che
lavorare per una multinazionale rischi di macchiare irrimediabilmente
la mia
reputazione. »
L’altro sorrise. «Ecco, ora lo riconosco lo sguardo
di chi ha quasi distrutto
la mia compagnia… »
«Ma è ricresciuta più forte e,
soprattutto, migliore. »
«E questo grazie a te, » Strinse un pochino di
più la presa sulla sua spalla.
«E a lei. »
L’altro guardò la foto della donna sulla lapide e
ricambiò il sorriso che gli
stava rivolgendo. «Lei rendeva tutto migliore…
»
«E può continuare a farlo: tramite te! Risollevati
Robert, c’è ancora un sacco
di povera gente che bisogno del suo Robin Hood. »
«Robin Hood? » ripeté quello stranito,
un sopracciglio inarcato. «Un moderno
Robin Hood… » Disse ancora una volta,
assaporandone il significato. «Mi piace
come idea ma, sia chiaro, io la calzamaglia non la metto. »
Jackson
entrò in tribunale con un mix di emozioni in testa e
nel cuore. Da una parte era sollevato che la tanto agognata autopsia
fosse
finalmente arrivata, confermando – nonostante tutto
– la loro versione dei
fatti. Perciò, se, in aggiunta ad Esmeralda e a tutto il
resto delle prove che
avevano
raccolto, ancora non fosse bastato a far stare buona la procura,
potevano anche
andare a farsi fottere. Dall’altra, però, era
irritato perché
a nulla erano valse le ricerche allo studio e
all’appartamento del dottor
Kozmotis Pitchiner: era sparito nel nulla.
Così, aveva deciso di riprendere in mano i documenti che
Elsa gli aveva portato
quella fatidica sera: aveva studiato a lungo quei codici, alcuni
più lunghi,
altri più corti ma, nonostante le varie ricerche, capirne il
significato era
pressoché impossibile senza la giusta chiave di lettura. Si
era, perciò, mosso
con circospezione e, dopo aver studiato quale fosse il giorno
più adatto, aveva
deciso di andare ad ispezionare, in via del tutto informale, il vecchio
ufficio
di Iduna che non era più stato assegnato, in segno di
rispetto per la sua
tragica dipartita. Non che sperasse di trovare qualcosa di
significativo per il
caso, né lei né Agnarr sarebbero stati tanto
stupidi da lasciare informazioni
così delicate sotto agli occhi di tutti, ma almeno sperava
di carpirne il
metodo.
Entrare in quella stanza gli fece lo stesso effetto di entrare in un
museo e,
per un attimo, la sua memoria gli diede l’illusione di
riuscire ancora a
percepire il suo profumo. Iduna era una donna gentile e dallo spirito
leggero,
si era sempre sentito in sintonia con lei e non aveva mai dato, neanche
per un
momento, l’idea di provare rammarico per le condizioni
economiche della
famiglia Overland. A differenza di Agnarr che
proveniva da una famiglia
facoltosa da generazioni, lei si era costruita il suo benessere
completamente
da sola, non rinnegando mai le sue origini rurali. Mise da parte i
ricordi e
ispezionò subito le librerie ma i tomi presenti erano tutti
prettamente
accademici: ne controllò alcuni, per verificare se fra le
loro pagine non
potesse esserci qualche nota dimenticata ma, come era facile
aspettarsi, nessun
colpo di fortuna venne in suo soccorso. Si dedicò, quindi,
alla scrivania: i
cassetti erano aperti e, purtroppo, vuoti. Sbuffò: quindi,
quell’ufficio era
solo una facciata e tutto ciò che era appartenuto ad Iduna
era già stato tolto
e archiviato da qualche parte, di sicuro inaccessibile tramite canali
non
ufficiali. Un buco nell’acqua annunciato ma per cui valeva la
pena tentare.
Sperò, in cuor suo, che Elsa avesse più successo
nella visita allo studio dei
suoi genitori nella loro casa.
«Sta cercando qualcosa? »
Jack trasalì, concentrato com’era nella ricerca di
un possibile indizio, non
era riuscito a percepire l’arrivo di un’altra
persona. «In realtà, no. »
Mentì
con una certa naturalezza, voltandosi verso l’ingresso.
«Conoscevo la giudice quando
ero un ragazzo, penso che oggi mi abbia guidato qui un po’ di
nostalgia. »
Nel vederlo in faccia, il giudice Weselton –
perché di lui si trattava – lo
riconobbe. «Lei è il detective che era con Elsa
quel giorno, non immaginavo
conoscesse da tempo la famiglia. »
«Sì, io e Elsa andavamo a scuola insieme.
» Il resto decise saggiamente di non
rivelarlo. «Jackson Overland, piacere. » Si
presentò, porgendogli la mano. «Lei
è il giudice Weselton, suppongo. »
Quello annuì, accettando la sua stretta. «Compagno
di scuola, eh? A volte il
destino sa essere davvero buffo. Non mi pare, però, di
averla mai vista prima
di quella volta. »
«Sono stato lontano dalla città per molto tempo,
è il mio primo anno qui. »
L’altro sorrise. «Arrivo provvidenziale: mi hanno
detto che lei e il detective
Bjorgman siete stati determinanti per la soluzione del caso Fearling.
»
Sospirò. «Claude, chi l’avrebbe
immaginato mai? Sembrava così integerrimo nei
suoi principi… »
Jack alzò le spalle. «Il potere sa dare alla
testa, a volte. »
Il giudice si trovò d’accordo. «Ha
saputo cosa è successo alla casa dei Bleket?
» Lo vide annuire. «Pare proprio che quelle
benedette ragazze non possano avere
un attimo di pace. Come l’hanno presa? »
«Non bene, temo. »
«Scommetto che la più scossa è stata
Elsa: non è mai riuscita a superare quello
che è accaduto. »
L’altro piegò appena il capo. «Non
è facile venire a patti con il non sapere:
erano i suoi genitori. »
«Mi rendo conto. » Convenne Weselton. «Ma
anche trasformarlo in un’ossessione
non è salutare. » Rafforzò appena la
presa sul plico di fogli che aveva
sottobraccio. «Se è davvero suo amico,
l’aiuti a superare questa cosa: si è
logorata per così tanti anni, né Agnarr
né Iduna avrebbero voluto vederla così.
»
Jack avrebbe voluto dissentire poiché Elsa non avrebbe
accettato
mai di rimanere all’oscuro, non l’aveva fatto per
vent’anni, non avrebbe di certo
cominciato adesso. «Farò del mio meglio.
» Disse, invece, e il fatto, che
quello che intendesse fosse esattamente il contrario di ciò
che il giudice
suggeriva, non era importante farglielo sapere.
§
Che
l’agente Sunlight amasse la stagione estiva non era un
mistero per nessuno. L’estate era scolpita nel suo DNA, come
la sua data di
nascita testimoniava, e l’attendeva con trepidazione ogni
anno. Amava le
giornate più lunghe e, nonostante la sua chioma di capelli
fluenti, non ne
temeva affatto il calore, anzi, la prendeva come una sfida
nell’escogitare,
ogni volta, una nuova acconciatura per raccoglierli. Poi, beh, il
caldo era la
scusa perfetta per concedersi un grande, anzi, enorme gelato ricoperto
da una
cascata di fragole e panna.
«Quant’è? » Chiese al cassiere.
«Faccio io! » L’anticipò una
voce alle sue spalle. «Può aggiungere un
caffè, per
favore? »
Rapunzel si girò, riconoscendo immediatamente il tono
scanzonato di colui che
aveva appena parlato. «Rider! »
Lui le sorrise. «Biondina… » La
salutò, pagando il conto. «Dove ci sediamo?
»
le chiese, poi, prendendo il vassoio con il loro ordine.
«Se non ti dispiace, andrei fuori. » Propose lei,
ancora incredula di quel che
stava succedendo.
«Prego. » Acconsentì, facendole cenno di
fargli strada.
Si accomodarono ad uno dei tavolini, all’ombra di una grossa
tenda a righe
bianche e rosse.
«Non lo mangi? » Le chiese Flynn, prendendo un
sorso del suo caffè. «Si
scioglierà tutto… »
Lei prese il cucchiaino in mano, dubbiosa. «Come faccio a
sapere che i soldi che
hai usato per offrirmelo non siano rubati? »
Lui alzò le spalle. «Non puoi, ma non sono
così sadico dal rovinarti
l’esperienza usando del denaro sporco… »
Punzie s’illuminò e, finalmente,
assaggiò il suo gelato.
«… Non tutto, almeno. »
Completò lui, guardandola di sottecchi.
Per poco non si strozzò.
Flynn Rider scoppiò a ridere. «Scherzo, scherzo!
Non c’è un solo centesimo
rubato. »
Lei lo guardò storto e, in tutta risposta, prese un altro
cucchiaio. «Quindi,
il noto ladro Flynn Rider mi sta davvero offrendo un gelato? »
«Non raccontarlo in giro: distruggerebbe la mia
reputazione. »
Rapunzel alzò gli occhi al cielo.
«Ehi, una falsa reputazione è tutto
quello che un uomo ha. » Le fece
presente, dando un altro sorso al suo caffè.
«Se lo dici tu. » Concesse. «Allora ti
stai dando ufficialmente alla
carriera di stalker? »
Lui inarcò le sopracciglia. «Eh? »
«Oh, mi vuoi dire che questo incontro è solo colpa
del caso? »
«Ero curioso di incontrarti senza la tua padella…
»
«Allora lo ammetti! » Bofonchiò,
puntandolo con il cucchiaino.
Rider strizzò appena gli occhi. «Biondina, hai un
po’ di panna qui! » Si sporse
verso di lei e le pulì l’angolo della bocca con un
tovagliolino.
Punzie avvampò, facendo scivolare rumorosamente la sua sedia
all’indietro. «Che
fai?! »
«Ti ho pulito, te l’ho detto. » Le
ripeté, tornando al suo posto. In mano
aveva, adesso, un cellulare. Armeggiò un attimo con lo
schermo e, poi, lo girò
verso di lei: il riconoscimento facciale lo sbloccò e un
allegro camaleonte
apparve sullo sfondo.
«Ehi! » Comprese lei. «Quello
è mio! Come hai fatto? »
L’altro ghignò. «Sono un ladro, ricordi?
» Digitò alcune cose.
«Che stai facendo? »
«Ti segno il mio numero, caso mai volessi chiamarmi per una
consulenza sul come
mettere in sicurezza il tuo appartamento, la tua bicicletta, qualsiasi
cosa… »
Finì il suo caffè e si alzò.
«Ora devo andare, biondina, ma sono stato davvero
felice d’incontrarti, soprattutto senza la tua padella.
»
Rapunzel ridacchiò appena. «Dove vai? »
«Faccio il cameriere in un ristorante qui dietro, fra poco
inizia il mio turno.
»
Lei inarcò un sopracciglio. «E’ un
codice per nascondere qualche malefatta? »
«Puoi non crederci o puoi venire una sera a cena. »
Celiò, facendole un
occhiolino.
«Hai davvero deciso di cambiare vita? »
«Chi lo sa? Forse sì, forse no…
Arrivederci biondina, spero userai quel
numero, così non sarai più tu a dover stalkerare
me. »
Punzie arrossì. «Allora arrivederci Flynn Rider e
grazie per il gelato. »
«Chiamami Eugene… »
«Come? »
«Eugene Fitzherbert, è il mio vero nome.
»
«Dottoressa
Bleket, aspetti! »
In procinto di entrare in un negozio, Elsa si bloccò:
conosceva bene
quella voce. «Dottor Pitchiner… » Si
voltò e si allontanò un poco dalla porta,
in una posizione più appartata, portando istintivamente mano
alla borsa, in
cerca del cellulare.
«Non faccia mosse avventate. » Le
suggerì pacato. «Sono qui solo per parlare.
»
«Parlare? » Si guardò attorno,
era pomeriggio appena iniziato e c’era molta gente
in
giro.
Lui sorrise. «Non sono qui per farle del male, se
è di questo che ha paura. »
«Tutte le forze di polizia della città la stanno
cercando, lo sa? »
«Per cosa? L’aver scoperto che io e Claude Frollo
ci conoscevamo? »
L’altra assottigliò gli occhi. «Pensa
sia così stupida dal credere che foste
solamente conoscenti? »
Kozmotis scosse il capo. «Non credo affatto sia stupida,
anzi, tutto il
contrario. Anche lei lo conosceva bene, sono sicuro non
l’abbia stupita il
fatto che fosse proprio lui il fantomatico Uomo Nero.
L’immacolato
alfiere di Dio: curioso il destino, no? »
Elsa fu d’accordo a metà.
«Ho sempre trovato il procuratore Frollo al
limite del fanatismo, ma che si sarebbe spinto fino a questo punto
andava ben
oltre le mie capacità di immaginazione. Quello che mi
domando è: perché proprio
ora? » Lo guardò dritto negli occhi.
«E’ come se qualcuno avesse soffiato sul
suo ego, gonfiandolo a tal punto da farlo scoppiare. »
Inarcò un sopracciglio.
«Sa cosa credo? Che l’Uomo Nero
sia ancora in libertà. Lei che ne
pensa? »
«Vuole provare a fare la psichiatra con me? »
Lei fece un segno di diniego con la testa. «Temo di non
averne le
capacità, ma lo sa meglio di me: lui
è qui e non sono io. »
Il dottor Pitchiner sorrise. «Peccato che non bastino le sue
convinzioni per
farmi finire in manette. »
Elsa sospirò. «Su questo ha ragione. Allora
ragioniamo per ipotesi: supponiamo
lei sia davvero l’Uomo Nero e che con i suoi Fearling punisca
con la paura i
criminali rimasti impuniti, affinché paghino per il dolore
inflitto alle
famiglie delle loro vittime. Perché Frollo? Era un suo
amico, lo ha sacrificato
alla sua causa… »
«Sacrificato? » L’altro rise e lei
trattenne a stento un brivido. «Come dice, supponiamo
che io sia veramente l’Uomo Nero. Davvero crede che la mia
scelta sarebbe stata
casuale? Ci rifletta un momento: Claude Frollo era davvero bravo nel
suo lavoro
ma non penserà mica che fosse, sul serio, guidato dalla mano
di Dio? Non si è
mai chiesta da dove venisse questa sua incredibile carriera?
»
Ghignò. «Era un
asso, certo, ma sapeva anche come far girare i giusti
ingranaggi… »
«Che intende dire? »
«Minacce agli imputati, manipolazione di prove…
»
L’altra sgranò gli occhi. «Che cosa?
»
Kozmotis ignorò la sua domanda. «Supponiamo che,
come ha detto, noi fossimo amici e ci
conoscessimo fin da bambini. » Alzò un poco le
spalle. «Immaginiamo che il suo
carattere fosse già ben definito allora. Ipotizziamo che,
quando uccisero mia
moglie e mia figlia
e catturarono il colpevole, abbia giurato di aiutarmi ad ottenere
vendetta. E che, non potendo
seguire direttamente il caso, avesse provato a manipolare le prove
per assicurarsi che
quel maledetto non uscisse più di prigione, ma venendo
scoperto.
La sua stella
brillava già troppo in alto per far sì che si
spegnesse con uno scandalo di
tale portata: la procura mediò con la difesa e
l’assassino fu libero, in cambio
del suo silenzio. » Strinse i denti. «Si finse pure
dispiaciuto e si offrì di
starmi vicino, mi disse di non demordere, che un giorno avrei ottenuto
giustizia.
Pensava non lo avrei mai scoperto, si è sopravvalutato ma,
alla fine,
ha avuto ragione.
»
«Se la procura insabbiò tutto, come ha fatto a
scoprirlo? »
«Lo spirito di sopravvivenza rende le persone estremamente
collaborative, non
lo sa? »
Non poteva riferirsi a Frollo, dato che era morto fra le fiamme proprio
davanti
agli occhi di Jack e Kristoff: comprese. «Lei ha ucciso
l’assassino di sua
moglie e sua figlia? »
«Se anche l’avessi fatto, avrei solamente reso il
mondo un posto migliore… »
Elsa scosse il capo. «Io posso capirla, comprenderla persino
ma non posso
condividere quello che ha fatto. Le conseguenze delle sue azioni si
sono
ripercosse su persone innocenti… » Il rapimento di
Freja ancora ben stampato
nella sua mente, così come il salvataggio di quella ragazza
sul filo del
rasoio. «Perché è venuto da me oggi?
»
Kozmotis Pitchiner la guardò con i suoi occhi dorati.
«Perché noi ci
assomigliamo… »
Lei sgranò gli occhi. «Assomigliamo? Io non ho mai
ucciso nessuno. »
«No, ma se avessero fatto del male a sua nipote ne sarebbe
stata capace: è
stata molto chiara in merito. E sa, dottoressa, nel suo sguardo ho
visto
che non
mentiva. »
Deglutì, incapace di ribattere.
«Se io fossi l’Uomo Nero, come dice, ci sarebbe
anche un’altra cosa ad
accomunarci. I Fearling. Anche se lei, in realtà, ne ha solo
uno. »
«Non so di cosa parla. »
«Il detective Overland! Quando siete venuti nel mio studio,
non si può certo
dire mi avesse preso in simpatia. Tuttavia, non aveva modo di
orientarsi su di
me per le sue indagini. Eppure, pochi giorni dopo il nostro
incontro,
eccomi convocato in centrale come indiziato numero uno. Lei
lo ha
indirizzato verso di me e lui ha risposto solerte alla sua chiamata.
»
«Io non manipolo Jack. »
Lui la soppesò. «Forse non lo fa di proposito,
glielo concedo ma non può negare
che lui faccia tutto quello che gli chiede. »
Elsa strinse i denti. «Si sbaglia! Se Jack decide di fare
quello che gli dico è
perché ci crede, non perché asseconda tutto
ciò che voglio. Non ha paura di
rovesciarmi addosso tutto il suo disappunto, quando non condivide le
mie scelte
e, soprattutto, non ucciderebbe mai perché glielo chiedo io.
»
«Ne è sicura? L’amore sa attanagliare il
cuore tanto quanto la paura, non
trova? »
«Dovrò chiamare la polizia, lo sa? »
Lui sorrise. «Oh sì, lo chiami pure: ma quando lui
accorrerà da lei, non mi
troverà. »
«Che cosa ha in mente Pitchiner? »
«Ho ancora un conto in sospeso qui… »
«Che cosa? »
Kozmotis ghignò ancora una volta.
«Perché non prova a scoprirlo? »
John, seduto a fianco a lei, sorrise. «Tecnicamente, in ammollo non ci sei ancora… »
Lei ricambiò il sorriso. «Ma ci finirò presto. » Sentì l’aria sferzarle il viso, il motoscafo stava prendendo velocità.
«Con questo caldo l’idea non è così terribile, no? »
«Non lo so… » Disse a denti stretti, la paura dello sgancio imminente sempre crescente. «Sarà sicuro? » Deglutì.
John appoggiò una mano sulla sua, stretta saldamente all’imbragatura. «Non ti metterei mai in pericolo… »
Il sorriso dolce che avrebbe voluto rivolgergli si trasformò, invece, in una smorfia di puro terrore: li avevano sganciati. Quando il paracadute finì di gonfiarsi e il vuoto della salita s’impadronì del suo petto: urlò.
«Dovresti aprire gli occhi. » Gli gridò lui poco dopo, per sovrastare il rumore del vento ed il ronzio del motoscafo sotto di loro. «Non sai cosa ti stai perdendo. »
Jane alzò appena una palpebra e, non appena mise a fuoco lo spettacolo che aveva davanti, aprì anche l’altra di scatto. «Sembra di volare! E’ bellissimo! » Urlò piena di gioia, questa volta, e aveva proprio ragione.
Il lago era magnifico, le sue acque blu rilucevano di infiniti riflessi, i boschi sul limitare erano verdi e rigogliosi, le spiagge non ancora troppo affollate e il sole brillava potente sopra le loro teste.
John la guardò risplendere. «Tu sei bellissima… »
«Hai detto qualcosa? » Disse lei di rimando, non avendo colto quel che aveva detto.
L’altro scosse il capo e non si ripeté, improvvisamente impaurito da quelle parole: forse troppo banali, forse troppo intime per una conoscenza ancora così acerba, addirittura fuori luogo per il modo in cui si erano conosciuti. Inspirò a fondo e lasciò andare i pensieri in balia dell’aria, mentre la felicità di Jane al suo fianco diventava la sua.
Quando il giro finì, erano zuppi ma sorridenti.
«Avevi ragione! E’ stata un’esperienza magnifica! » Gli disse euforica, avvolta in un morbido asciugamano. «Sembrava di volare e la vista, wow, era mozzafiato! »
L’altro sorrise. «Passata la paura, eh? »
«Oh sì, lo rifarei anche subito! » Gli confermò con una risata cristallina.
E, a quel punto, lui non resistette più: si sporse verso di lei e la baciò.
Jane sgranò gli occhi, presa completamente in contropiede. Lo sentì staccarsi, forse allarmato dalla reazione che aveva avuto.
«Scusami… » Balbettò, infatti, in imbarazzo. «Non avrei dovuto… »
Non gli diede il tempo di finire la frase, unendo di nuovo la bocca alla sua, in un buffo passaggio di sorpresa che si trasformò in un sorriso sulle labbra di entrambi mentre, mano nella mano, si dirigevano alla macchina per tornare a casa.
Jack
rientrò a casa sfinito: Elsa aveva informato sia lui che
Kristoff del suo incontro con Kozmotis Pitchiner. Certo, era solo la
sua parola
e, di fatto, lui non aveva confessato nulla ma, per una volta, avevano
deciso
di mettere al corrente il signor Bunnymund della cosa. Avevano
setacciato la
città in lungo e in largo, assieme ad un discreto numero
di pattuglie ma non
erano riusciti a trovarlo da nessuna parte: neppure Rapunzel lo aveva
scovato
infiltrandosi nei vari circuiti di sorveglianza. A quanto pareva, il
soprannome
di Uomo Nero, che la stampa aveva creato per Claude
Frollo, si cuciva
alla perfezione su Kozmotis Pitchiner, abilissimo nel nascondersi fra
le ombre
della città. Tutto perché lui aveva detto di
avere ancora un conto in sospeso,
ma con chi? Avrebbe colpito ancora? Direttamente o aveva altri Fearling
fra le sue fila?
Si levò la giacca ma l’unico accenno di relax che
si concesse fu quello di un
ghiacciato bicchiere d’acqua perché, nel
constatare che l’omicida di Seraphina
ed Emily Jane Pitchiner sembrasse misteriosamente scomparso nel nulla
da anni,
gli era finita sottomano la copia del tribunale relativa
al
processo, viziato dall’intervento illegale del procuratore, e
una minuscola
scritta in basso a destra aveva catturato la sua attenzione.
Prese al volo gli appunti di Iduna e Agnarr, stando ben attento a non
bagnarli
con la condensa del bicchiere, e i suoi occhi si illuminarono: la
colonna di
codici più brevi era perfettamente compatibile con quella
dei documenti che
aveva consultato quel giorno. Quello era il codice di classificazione
interno
al tribunale, da sempre inutile per le sue indagini da poliziotto ma,
ora più
che mai, fondamentale per la risoluzione del cold case che aveva
tormentato
Elsa per anni.
C’era ancora la seconda serie di codici da decifrare ma,
ancora una volta, il
caso Fearling venne in suo soccorso e, recuperato il suo taccuino, li
confrontò
con i numeri trovati nel libro contabile di Claude Frollo: chiaramente
non erano
identici ma, di sicuro, molto simili. Decise di scommettere
tutto
sul
fatto che fossero transizioni bancarie. Si sedette e
riguardò i fogli: da una
parte aveva i processi, dall’altra uno spostamento di soldi.
Che cosa poteva
significare?
Posò la testa sul tavolino, stanco, abbassò le palpebre fino a chiuderle e
girò il viso, mettendo a
contatto la guancia con la superficie fresca.
Corruzione.
La parola gli saettò nella mente, facendogli aprire di colpo
gli occhi e, solo grazie
al riflesso della luce sul foglio e a quella particolare posizione, si
accorse
che nell’angolo in basso erano presenti alcuni
piccoli solchi. Si
alzò di scatto e recuperò al volo una matita,
facendola scorrere piano sulla superficie.
La calligrafia di Agnarr gli mostrò una chiara parola di
quattro lettere.
Prese il telefono e chiamò.
Quando Elsa
arrivò sola alla casa dei suoi genitori stava
calando la sera. Era consapevole di essersi accordata con Jack per non
fare nulla
fino al mattino seguente: avevano appuntamento per colazione, in una
caffetteria a metà strada fra gli appartamenti di entrambi,
e l’idea era quella
di stabilire un piano per le loro prossime mosse. Se davvero si parlava
di
corruzione ai piani alti della giustizia, beh, non potevano davvero
rendere le
loro indagini ufficiali: chiunque fosse quella persona senza volto, non
aveva
alcuno scrupolo e lei lo sapeva molto bene. Aveva persino pensato di
chiedere a
Jack di coinvolgere l’agente Sunlight, di sicuro troppo
giovane per essere
immanicata nel caso dei suoi genitori e, doveva ammetterlo –
fastidio a parte –
se lui si fidava così tanto di lei, un motivo doveva pur
esserci. Tuttavia non
era certa che il suo intervento avesse potuto risolvere qualcosa: le
banche dei
paradisi fiscali avevano sistemi di sicurezza sofisticatissimi, chiavi
uniche e
monouso, pressoché impossibili da hackerare senza lasciare
traccia: non
potevano permettersi un incidente internazionale ma, ancor meno,
potevano
muoversi per vie ufficiali, almeno per il momento. Il tribunale,
inoltre, aveva
fatto molta resistenza al passaggio al digitale ed era una pratica
iniziata
solo in tempi recenti, perciò dubitava fortemente che i casi
menzionati dai
suoi
genitori, risalenti ad almeno vent’anni prima, fossero
già stati digitalizzati.
Dovevano, per forza di cose, presentarsi all’archivio del
tribunale, ma sul come
avessero potuto giustificare la loro presenza lì, senza
destare sospetti, era
tutto un altro paio di maniche.
Per questo era andata nella sua vecchia casa quella sera: frustrata dal
non
vedere una possibile via d’uscita, si era aggrappata con
tutte le sue forze
alla pulce nell’orecchio che la sua memoria le aveva messo
non appena Jack le
aveva svelato ciò che aveva rinvenuto sul foglio: duca.
Era sicura di aver già letto da
qualche parte quel
titolo, o soprannome, ed era
più che mai convinta che la risposta si nascondesse nello
studio dei suoi
genitori. Quando varcò la soglia, la malinconia - che da
sempre le cresceva nel
petto di fronte al loro ricordo – questa volta condivise lo
spazio con la
trepidazione di una scoperta imminente. Cercò fra i tomi
riversi sul pavimento
e i pochi rimasti sulle mensole delle librerie ma non riusciva a
trovare quel
che stava cercando, finché l’occhio non le cadde
sotto alla scrivania e, finalmente,
il suo sguardo brillò.
Sfogliò il volume redatto dall’università
di sua madre che racchiudeva i volti e
le storie dei suoi studenti più meritevoli che, nel corso
degli anni, avevano
intrapreso carriere straordinarie. Le si inumidirono gli occhi quando
passò con
affetto la mano sul volto sorridente di Iduna, nel vano tentativo di
ricordarsi
come fosse il contatto con quella pelle tanto amata. Sospirò
e scosse il capo,
doveva tornare più indietro e, quando trovò quel
che stava cercando, il cuore
le si spezzò.
Nella foto che aveva di fronte, un uomo giovane di bassa statura le
sorrideva
affabile. Portava già gli occhiali ma i capelli erano folti
e biondi, il suo
viso rasato e il nome non mentiva: Alan Weselton, detto il
duca,
campione di polo in gioventù e giudice rispettabile in
età adulta.
Il click di un cane che si armava le fece scivolare il libro di mano.
«Così l’hai scoperto. » Le
disse Weselton, puntandole contro la canna di una
pistola. «Ti ho gentilmente suggerito più e
più volte di lasciar perdere
questa faccenda ma tu, no, dovevi per forza scoprire cosa fosse
successo ai
tuoi genitori. Sei fin troppo simile a tua madre in questo. »
Sospirò. «Ed è un
peccato perché avrei davvero voluto evitarti la sua stessa
fine. »
Elsa strinse i denti. «Abbia almeno la decenza di non
fingersi dispiaciuto: con
che coraggio ha continuato a frequentarmi dopo averli uccisi?
»
«Tecnicamente non sono stato io ad ucciderli. » La
corresse, perfido. «Ho solo
dato l’ordine di farlo. Se ho continuato a frequentarti
è stata solo colpa tua…
» Le svelò. «Se ti fossi messa
l’anima in pace, come tua sorella, mi avresti
visto il minimo indispensabile, invece, ti sei incaponita e io dovevo
tenerti d’occhio.
» Ridacchiò. «Sono curioso: dove hai
trovato i documenti che cercavo da vent’anni?
Lo so che lo hai fatto, quelli che provano il mio coinvolgimento con i
Westergard. »
Lei soppesò se fosse il caso di dirglielo o meno ma, poi,
optò per guadagnare
tempo. «Erano in camera di Anna, nel suo baule dei
giochi… »
Weselton scosse il capo. «Credo seriamente di dover cambiare
collaboratori… »
Quindi era vero, era per quelli che avevano praticamente distrutto la
casa. Ora sì che riusciva a capire quale fosse il suo reale interesse dietro a tutte quelle domande sulla loro possibile vendita.
«Perché lo ha fatto? » Gli chiese,
cercando di capire come riuscire ad usare il proprio cellulare senza
farsi
sparare. «Non mi sembra abbia mai avuto problemi di soldi,
perché immischiarsi
con una delle più potenti famiglie malavitose della
città? »
Lui alzò le spalle. «I soldi non sono mai
abbastanza, tuttavia non sono tutto…
» La guardò negli occhi, sempre tenendola sotto
tiro. «Ma il potere sì! »
«Di che altro potere aveva bisogno? »
Ribatté, disgustata.
Il giudice soppesò la sua domanda. «Posso anche
dirtelo, dato che morirai. » Prese
fiato. «Mi aspettava un ingresso trionfale nella carriera
politica, con il
supporto dei Westergard, avrei avuto questa città in mano e,
forse, anche di più. I
tuoi genitori, però, mandarono tutto a rotoli e neanche
sbarazzarsi di loro
bastò, perché quei documenti erano un pericolo
troppo grande. A chi li hai
dati? » Le chiese. «A quel detective della omicidi
scommetto. Ecco perché è
venuto a ficcare il naso nell’ufficio di tua madre.
» Ragionò un attimo.
«Chiamalo e faglieli portare qui. Non fare scherzi, non ho
nessun problema a
dare ordine di irrompere in casa di tua sorella. » Le fece
presente,
maledettamente serio. «La stampa ci sguazzerà,
quando troveranno i vostri
corpi: il brillante medico legale ucciso dall’amore malato di
un detective di
polizia che, incapace di resistere al rimorso, si toglie la vita lui
stesso. »
Elsa strinse i denti, di fronte alla sua risata malvagia.
Alzò il braccio per
mettere mano alla borsa ma, anziché prendere il cellulare
come lui le aveva
chiesto, gliela lanciò addosso con tutta la sua forza,
cercando di guadagnare l’uscita.
Il colpo di pistola le rimbombò nelle orecchie e la fece
congelare sul posto.
Incredibile, si disse, essere colpiti da una pallottola non procurava
alcun
dolore: abbassò lo sguardo sul proprio petto ma non
trovò macchie ad
allargarsi sui suoi vestiti.
Sentì un rantolo e si girò, riportando la sua
attenzione su Alan Weselton: aveva
gli occhi sgranati e un rivolo di sangue vermiglio gli usciva dalla
bocca.
Crollò a terra senza emettere suono ulteriore: sulla soglia
dello studio si
stagliava la magra e oscura figura di Kozmotis Pitchiner, la pistola
fumante
ancora stretta nella sua mano. La guardò con i suoi occhi
dorati che brillavano
sotto alla luce artificiale. «Questo è per sua
nipote, non sarebbe dovuto succedere.
Ora siamo pari. »
Lei annuì, ancora troppo scossa.
«Grazie… » Riuscì a dire,
infine, con un soffio di voce ma lui se n’era già
andato.
§
«Elsa!
» La richiamò Jack, non appena la scorse sulla
porta della
stanza in cui l’avevano fatta accomodare, prima di
interrogarla: lo sguardo
pieno di preoccupazione. «Stai bene? Sei ferita? »
Lei scosse il capo. «No, sto bene. » Gli disse,
mentre le si sedeva accanto. Lo
vide scrutarla da capo a piedi, per niente convinto, e un piccolo
sorriso le
increspò le labbra. «Sto bene, ti dico.
» Si rabbuiò un poco. «E’
stato il
dottor Pitchiner a renderlo possibile: ha sparato a Weselton prima che
lui
sparasse a me. »
Jackson inarcò le sopracciglia, stupito.
«Pitchiner? » Ripeté, già
pronto ad
alzarsi per inseguirlo.
Elsa gli posò una mano sul braccio a bloccarlo.
«E’ inutile, » Gli fece
presente, avendo chiaramente intuito le sue intenzioni. «Se
n’è già andato da
un pezzo. »
«Perché era qui? » Chiese, confuso: non
che fosse scontento che l’avesse
salvata, anzi. Certo, avrebbe preferito farlo lui stesso ma che lei
fosse incolume
proprio lì davanti era l’unica cosa che contava al
momento.
«Ha saldato il suo debito… »
Sospirò. «Non sono certa si ripeterà in
futuro. »
«Non gli daremo modo di farlo ripetere. »
Affermò, risoluto.
Elsa prese un grosso respiro. «Grazie! »
Buttò fuori d’un fiato, causandogli
un’espressione stupita. «Grazie per avermi aiutato
a trovare l’assassino dei
miei genitori. Se ripenso a tutte le volte che, dopo la loro morte, ho
parlato
e pranzato con lui, mi viene da vomitare. Quanto sono stata sciocca?
»
Jack le prese le mani nelle sue. «Sciocca? Era un amico di
famiglia, gli volevi
bene: come avresti potuto immaginarlo? »
«Di sicuro ha sempre recitato con talento la parte del nonno
amorevole: quello
che noi non abbiamo mai avuto. Forse mi sono aggrappata troppo a questo
desiderio inconscio e lui ne è sempre stato ben consapevole:
mi domando di chi
ci si possa realmente fidare, a questo punto… »
L’altro le sorrise. «Qualche idea ce
l’avrei: Anna, Kristoff, Freja… » Me,
ti puoi fidare di me.
Elsa comprese perfettamente quelle parole, anche se lui non le disse e
ricambiò
il suo sorriso. «Della tua principessa.
» Aggiunse maliziosa.
Jack sgranò gli occhi. «Pensi che
l’abbia coinvolta? Era una tua
faccenda personale, non l’avrei fatto senza prima
chiedertelo. » Le fece
presente, sincero. Poi, un ghigno si disegnò sul suo viso.
«Ma dimmi, sono curioso:
com’è che ti infastidisce così tanto il
fatto che la chiami principessa?
Sei gelosa, per caso? »
Lei inarcò appena un sopracciglio.
«Forse… » Confessò in un
soffio.
Il cuore di Jackson fece un triplo salto mortale nella gabbia della sua
cassa
toracica. Si portò le mani di lei, ancora fra le sue, alle
labbra e vi posò un
bacio. «Non devi. Se solo non odiassi qualsiasi tipo di
nomignolo, Fiocco di
Neve, » Le disse, irriverente come al solito,
avvicinando un poco il viso
al suo. «Saresti la regina, lo sai.
» La mia.
Elsa non si ritrasse. «Dei ghiacci?
» Gli chiese, ripensando alle parole
di sua sorella.
Lui si bloccò ad un soffio dalle sue labbra, stranito.
«Di cosa? »
«Lascia perdere… »
«Elsa! » La voce di Kristoff fece trasalire
entrambi: si staccarono di scatto,
in imbarazzo. «Finalmente ti ho trovata. Stai ben…
? » Si bloccò, il quadro
perfettamente chiaro ai suoi occhi.
Lei annuì, le gote arrossate. Jackson sbuffò
appena e si alzò. «A quanto pare è
arrivata la cavalleria. » Celiò. «Ti
lascio nelle buone mani di tuo cognato:
vado a vedere se i ragazzi hanno bisogno di me… »
Si avviò verso la porta: quando passò al fianco
del suo compagno di squadra,
gli diede un paio di sonore pacche sulla spalla e si
congedò.
Kristoff tremò, stavano per baciarsi e lui li aveva
interrotti: Anna lo avrebbe
ucciso, ne era certo.
§
Jack era troppo
agitato per prendere sonno, il pensiero fisso
sulle labbra di Elsa ad un soffio dalle sue, il suo respiro addosso.
Non si
erano chiariti, era vero, ma era maledettamente sicuro che, in quel
momento,
anche lei volesse la stessa cosa: se solo non fosse arrivato
Kristoff…
Eppure ne avevano passate così tante in quel periodo che non
riusciva del tutto
a mettere a tacere il dubbio che quel gesto, magari, fosse
più dettato
dall’adrenalina di essere scampata alla morte; di aver
trovato la soluzione di
quel quesito che la tormentava da una vita; di aver
finalmente un nome
per l’assassino dei suoi genitori che non da un certo tipo di
sentimento che
poteva provare per lui.
Aveva finito, così, per addormentarsi di un sonno leggero e
agitato, appoggiato
allo schienale del suo divano.
Per questo non percepì subito il bussare alla sua porta,
incapace di
distinguere se quel ticchettio fosse sogno o realtà.
D’altra parte, se c’era
qualcuno perché diavolo non suonava il campanello?
Aprì gli occhi di scatto solo quando i colpi si fecero
più insistenti: guardò l’orologio
e si rese conto che era davvero molto tardi, forse era proprio per
quello che
il suo inaspettato visitatore aveva deciso di non far trillare
insistentemente quell’aggeggio
infernale. Assonnato e vagamente allarmato, per poco non gli prese un
colpo nel
riconoscere la figura al di là della porta. La
aprì. «Elsa,
che cosa ci fai qui? È il cuore
della notte!»
Lei non fece un fiato ed entrò in casa senza troppi
complimenti, si voltò verso
di lui solo quando lo sentì chiudere l’uscio
dietro di sé: aveva lo sguardo
arrossato dalla stanchezza, era agitata tanto quanto lui, forse di
più.
«Avevi ragione, su tutto. » Confessò
subito, non senza fatica. Abbassò lo
sguardo. «Quando ti vidi baciare quella ragazza, mi fece
male, molto: mi sono
sentita tradita in un momento in cui ero già disperata.
» Deglutì. «Ma, in
verità, ne fui anche sollevata: lasciarti andare non mi
avrebbe procurato alcun
rimpianto. Perché il dolore di quello stupido bacio, di te
che eri poco più di
un ragazzo arrabbiato con una fidanzata testarda e impossibile,
non
sarebbe mai stato grande quanto quello che avrei provato nel momento in
cui ti
saresti stufato di me e dei miei fantasmi o, ancor peggio, se ti fosse
accaduto
qualcosa come ai miei genitori. Non potevo proteggermi
dall'eventualità di
perdere Anna, è mia sorella. Tu, invece... Solo
l’idea di cosa avrei potuto
provare mi pietrificava. » Prese fiato. «Quando sei
quasi morto in quel lago, per
salvare tua sorella, ancora non ti conoscevo e, per assurdo,
è stato proprio
quell'incidente a portarti in classe da me, ma quando ti ho visto in
quella
ghiacciaia io, io... Avrei voluto parlarti in ospedale ma eri con
Rapunzel, ho
frainteso tutto e… » Tornò a guardarlo
negli occhi, con i suoi velati di
lacrime. «Ho avuto altri uomini dopo di te, sì,
forse più di quanti immagini. »
Gli spiattellò in faccia, senza rigiri di parole.
«Ma non appena capivo che per
loro cominciava ad essere qualcosa di più del solo sesso,
sparivo senza dargli
alcuna possibilità di ritorno. Sai
perché?» Lo sfidò, il mento ben
sollevato.
Jack finalmente mosse un passo verso di lei.
«Perché? » Un altro passo, sempre
più vicino.
«Perché nessuno di loro era te. » Lo
sentì scostarle una ciocca di capelli dal
viso, indugiando un poco nel carezzarla con le dita. «Quasi
lo odio questo
effetto che hai su di me... » Borbottò, ridendo
appena, nel vano tentativo di
rilasciare quella pressione crescente.
Lui sorrise a sua volta e andò a baciarle delicatamente una
guancia umida di
lacrime. «Che effetto ho su di te? » Le
sussurrò sulla pelle, prima di passare
dall'altra parte.
Elsa sospirò, socchiudendo gli occhi. «Non lo
vedi? »
I piedi scalzi di Jackson si fermarono a mezzo millimetro dalla punta
delle sue
scarpe. Le sollevò il mento con le dita e posò le
labbra sulle sue. «Elsa...» Sospirò,
staccandosi un poco prima di baciarla ancora. «Non ho il
potere di dirti che
non ti deluderò più...» E ancora.
«Di assicurarti che non litigheremo... » E
ancora. «O che non soffrirai
più… » Ancora una volta. «Ma
prometto che farò qualsiasi cosa per far sì
che tutto questo accada il meno possibile.
Mi sono maledetto
non so quante volte per averti lasciata andare; per essere stato
così debole da
farmi schiacciare dall’astio di tuo nonno; così
orgoglioso da non sottrarmi da
quel bacio che neanche volevo; così stupido da non lottare
abbastanza. Ora,
però, sono qui, per darti tutto l'amore e il rispetto che
meriti. » Tacque per
un attimo, andando ad appoggiare la fronte alla sua. «Ti
chiedo una cosa
soltanto in cambio: non decidere più per me, non chiudermi
più fuori. »
Lei alzò le mani a circondargli il viso. «Non lo
farò. »
E fu il suo turno di unire le labbra a quelle di lui. Ma il bacio,
questa
volta, non mantenne nulla di delicato, travolto dall’irruenza
del bisogno
di entrambi.
Impegnata com'era a ricambiare con decisione ognuno dei suoi assalti,
si
accorse di non indossare più la camicetta solo quando lui
abbandonò la sua
bocca per lasciarle sul collo una scia di baci roventi, scivolando
sulla
morbidezza di un seno e sempre più giù. Quando
crollò in ginocchio, schiudendo
le labbra sul suo ombelico, lei ritirò appena la pancia,
fremente e senza
fiato. Le mani di lui si chiusero sulla rotondità dei suoi
fianchi, più che mai
intenzionate a non lasciarla allontanare e,
in un
attimo, fecero scorrere la zip della gonna che cadde a terra senza
bisogno di
ulteriori sforzi. La bocca di lui cominciò un delizioso
percorso inverso,
tornando ad unirsi con la sua.
Elsa lo spinse un poco, per liberarlo dalla canottiera che portava come
pigiama:
improvvisamente stufa di quella leggera barriera di cotone che lo
teneva
lontano dalla sua pelle. Per questo non oppose resistenza quando lui la
issò
verso di sé, anzi, andò a cingergli la schiena
con entrambe le gambe. Si
ritrovò intrappolata fra la fredda parete e la sua
eccitazione: un gemito le
sfuggì dalle labbra.
Jack le lambì la carne della clavicola con i denti e,
roteando su se stesso, le cercò nuovamente la lingua con la
sua. Scivolò
rapido verso l'oscurità della
camera da letto, concentrato solo su quel bisogno pressante di perdersi
totalmente nel calore di quelle cosce che lo stringevano forte: la luce
dell'ingresso finì con l'essere dimenticata accesa.
«Non
riesci a dormire? »
Kristoff chiuse la porta del frigo, trovandosi di fronte il volto
assonnato
della moglie. «Avevo sete. » Le spiegò,
mostrandole la bottiglia gelata che
aveva appena preso. «Il caldo mi sta già uccidendo
ed è appena cominciato. »
Lei sorrise di rimando. «Ne versi un bicchiere anche a me,
per favore? »
L’altro annuì. «Mi dispiace, non volevo
svegliarti. » Le disse, passandole ciò
che aveva chiesto. «Freja? » Chiese, prima di
portarsi la bottiglia alle labbra
e svuotarla in un attimo.
«Dorme tranquilla, non preoccuparti. »
«E tu? Sei tranquilla? »
Anna tirò appena le labbra di lato.
«Insomma… » Gli confessò,
giocherellando
con una ciocca dei suoi capelli. «Prima Freja viene rapita,
poi Jack finisce in
una ghiacciaia, ti prendi un colpo di fucile in pieno petto…
» Continuò,
guardandolo minacciosamente. «E, per finire, Elsa ha
rischiato di essere uccisa
da una persona che credevamo amica, la stessa che ha dato
l’ordine di uccidere
i nostri genitori. » Tacque un attimo, improvvisamente seria.
«Io l’ho sempre
spronata a lasciar perdere, ad andare avanti e, invece, aveva
ragione… »
Kristoff le passò una carezza sul viso. «Ehi, non
colpevolizzarti: pensavi di
fare la cosa giusta. »
Lei portò una mano sulla sua, a trattenerla, muovendo appena
il viso per
ricevere ancora più conforto da quel tocco.
«Sì ma avrei dovuto supportarla,
anziché ostacolarla… »
Kristoff sorrise. «Ostacolarla? Quando mai Elsa si
è fermata davanti a qualcosa?
»
Anna si lasciò contagiare dal suo sorriso.
«Vero… »
«L’importante è che, ora, sia tutto
finito. »
Lei annuì. «Vorrei tanto che potesse tornare ad
essere felice come un tempo. »
Confessò malinconica.
«Io penso abbia già cominciato. » Le
disse il marito con un ghigno furbetto.
L’altra s’illuminò. «Che
intendi? »
«Potrei aver visto un quasi bacio fra
lei e Jack… »
«Quasi? »
Lui strizzò gli occhi, impaurito. «Temo di averli
interrotti sul più bello. »
Ci fu silenzio, molto silenzio. Azzardò ad aprire una
palpebra: lei era sempre
lì, di fronte a lui, felice. «Non hai intenzione
di farmi una parte per questo?
»
«Naaah… » Rise quella. «Sono
certa che non si faranno mancare altre occasioni.
L’importante è che abbiano rotto il ghiaccio.
»
«Posso farti una domanda? » Le chiese, sinceramente
curioso. «Perché ci tenevi
così tanto a farla tornare con Jack? Da quel che dice Elsa,
non ti stava così
simpatico… »
«Questo non è del tutto vero. »
Confessò. « A me Jack, per Elsa, »
Specificò.
«E’ sempre piaciuto. Anche se, delle volte, avrei
davvero voluto prenderlo a
ceffoni, soprattutto quando si è fatto baciare da
un’altra. » Disse con una
smorfia. «Ma, in verità, è che ero un
po’ gelosa del loro rapporto. Elsa
passava molto tempo con lui e meno con me e, poi…
ecco… ero anche un po’ invidiosa. Lei non
è mai stata un tipo particolarmente romantico,
cercava la sua
realizzazione, l’amore era l’ultimo dei suoi
pensieri e, invece, le è capitato
questo ragazzo che, seppur coi suoi difetti, la guardava come fosse la
cosa più
preziosa di questo mondo. » Arrossì, in imbarazzo.
«Invece io, che avrei fatto
carte false per trovare il mio principe azzurro, trovavo solo dementi
interessati, per lo più, ad infilarmi le mani nel
reggiseno. » Serrò le
labbra. «E non solo… »
«Ehi, gradirei non dovermi immaginare mani di altri nelle tue
mutandine,
grazie. »
«Non puoi essere geloso, non ti conoscevo neanche
all’epoca. »
«Non sono geloso… » Borbottò
Kristoff, mettendo su un piccolo broncio.
Lei gli si avvicinò. «E fai bene:
d’altra parte, tu sei stato il primo… »
L’altro sgranò gli occhi. «Cosa? Non mi
sembrava proprio… »
Anna assottigliò gli occhi e gli rifilò uno
scappellotto sulla nuca. «Non in
quel senso, scemo! Se mi facessi finire… » Lo
rimproverò. «Tu sei stato il
primo a guardarmi così e continui a farlo ancora adesso.
»
Lui sorrise e le baciò teneramente le labbra.
«Perché tu sei davvero la cosa
più preziosa che ho, assieme al piccolo uragano che dorme di
sopra. »
Ridacchiò.
«A proposito di Freja. » Gli disse lei, prendendolo
per mano per accompagnarlo
verso il divano. «Sai cosa mi ha chiesto ieri? »
Lui fece segno di no col capo
e si sedette. «Mi ha chiesto quando le facciamo un
fratellino. »
Kristoff, per poco, non si strozzò con la sua stessa saliva.
«Cosa? » Bofonchiò
fra un colpo di tosse e l’altro, mentre lei lo spingeva fra i
cuscini. «Ehi,
non avrai mica intenzione di farglielo adesso?
»
Anna rise, salendo a cavalcioni su di lui e creando un delizioso
contatto fra i
loro bacini. «No, direi che non è proprio il
momento di avere un altro figlio,
adesso. » Si sfilò la maglia del pigiama,
rimanendo con i soli pantaloncini a
coprirla. «Ma questo non ci impedisce di fare un
po’ di pratica, no? »
Lui si alzò quel tanto che bastava per guardarla dritta
in viso. «Sei
sicura? E’ tanto che non… »
Lanciò un’occhiata eloquente verso le scale.
«Molto sicura. » Affermò, unendo la
bocca alla sua.
§
Jack in quel sorriso si sciolse e le si avvicinò, andando a sedersi sullo sgabello accanto al suo. «Devo ammettere che per un attimo l’ho creduto… » Confessò, tirando appena le labbra in una piccola smorfia.
«Niente ripensamenti. » Lo rassicurò lei, stringendogli una mano. «Quello che ti ho detto ieri sera è sempre valido. »
Lui ricambiò la sua stretta, per poi inarcare un sopracciglio davanti al contenuto della tazza che era evidentemente lì ad attenderlo. «Mi hai preparato l’uovo sbattuto con lo zucchero?» Le chiese stupito, trattenendo a stento una risata.
Lei annuì, divertita. «Sì: ho pensato avessi bisogno di recuperare energie dopo questa notte. » Gli sorrise maliziosa. «Sai com’è, non sei più un giovincello. »
Jackson assottigliò lo sguardo. «Bleket, ti ricordo che hai solo un anno in meno di me. » La sfidò, abbassandosi verso di lei.
Elsa si spinse in avanti, quasi a sfiorargli il naso con il suo. «Mi stai dando della vecchia, Overland?»
«Non proprio della vecchia… » Ribatté, piegando appena la testa. «Della matura, magari… »
Lei scansò il bacio in arrivo con finta indignazione e si alzò. «Vuoi finire sul mio tavolo, per caso?»
Jack l’agguantò veloce per un polso e la tirò un poco, in modo da farla sedere su di sé. «L’idea di essere sdraiato nudo, con te sopra di me, mi alletta in effetti… ma preferirei che in mano, al posto del bisturi, avessi altro. » Le soffiò vicino all’orecchio.
Elsa gli circondò il collo con le braccia. «Comincio a credere che mia sorella abbia ragione e tu sia davvero un idiota…»
Lui piegò la bocca in un sorriso furbo. «Ma è anche per questo che mi ami, ammettilo. »
«Non confermerò, né smentirò questa tua affermazione… » gli rispose a fior di labbra.
La baciò, questa volta senza incontrare alcuna resistenza.
Quando si staccarono, lei scosse appena il capo e, con un sorriso radioso, lo posò sulla sua spalla.
Jackson le passò una carezza sulla schiena e le lasciò un altro bacio fra i capelli, felice. «Vuoi farti una doccia mentre faccio colazione?»
L’altra si drizzò di colpo, sorpresa. «Le tue capacità deduttive questa mattina lasciano decisamente a desiderare: perché credi non l’abbia ancora fatta?» Gli chiese maliziosa.
Il detective sgranò gli occhi, folgorato dalla comprensione, e trangugiò in un sorso tutto il contenuto della sua tazza. «Andiamo! »
Elsa non poté fare a meno di sghignazzare ma per un momento soltanto, ben presto in balia di tutt’altro tipo di sensazioni, fomentate dall’eccitazione del suo compagno che ben cominciava a percepire sotto di sé. Si strinse a lui maggiormente e avvicinò ancora una volta il viso al suo, andando a racchiudere con la bocca il labbro superiore di lui, a pulire via i rimasugli di crema che ancora lo sporcavano. «Andiamo… »
Ciao a tutti!
E via, un momento Kristanna, dolce e piccante al tempo stesso, ci stava
bene.Io non so se ve l'aspettavate o se sia stata una grande sorpresa ma, dopo più di un anno, questa storia è finita! Probabilmente ho un abbonamento con il non poter andare oltre ai dieci capitoli di una long (prologo compreso, in questo caso) ma questo progetto, in realtà, è il più grande che abbia portato a termine sino ad ora perché, come avrete notato, i capitoli sono più corposi delle storie precedenti. Forse certi aspetti avrebbero potuto essere approfonditi ma, tutto sommato, sono contenta del risultato finale poiché il tempo e le energie sono quello che sono ç_ç Spero che questo ultimo capitolo, così come la storia intera, abbia soddisfatto anche voi! Nonostante tutto ho voluto dare una conclusione, o meglio, un nuovo inizio per tutti i personaggi che hanno preso parte in questa storia. Robert, il nostro Robin, pare aver ritrovato la voglia di andare avanti dopo la perdita della sua Marian. Punzie ha incrociato nuovamente il suo cammino con un certo affascinante ladro... secondo voi ci andrà a quel ristorante? Io dico di sì ù_ù Jane e John stanno cominciando la loro storia d'amore e io non posso che essere felice per questo (spero anche voi) e, dato che non potevo farli sfrecciare fra le liane, ho pensato che il parasailing potesse essere un degno sostituto XD Ma veniamo ad una delle parti più succose del capitolo: Pitch! Ebbene sì, era lui il grande burattinaio dietro alle azioni di Frollo ma si può dire che non collaborassero affatto e fosse tutto un suo piano per vendicarsi anche di lui. Tuttavia, qui, Pitch non è il gran cattivone canonico del film delle Cinque Leggende ma rimane un personaggio grigio, almeno per adesso, e con una certa condotta... vi aspettavate che sarebbe stato lui a salvare Elsa dalle grinfie del perfido Weselton? Perché sì, l'affabilità del caro giudice non era che tutta una maschera - come avevate sospettato in molti - e c'era proprio lui dietro alla morte di Agnar e Iduna, assieme alla sua sete di potere. E, poi, che dire: finalmente - e dico - finalmente (!!!) abbiamo avuto la svolta Jelsosa perché, sì, Jack in gioventù avrà anche tradito (più o meno volontariamente) Elsa, ma lei aveva già deciso di lasciarlo andare per paura di soffrire perché, lo sappiamo, la nostra Elsa non è solo la regina dei ghiacci ma anche quella dei muri: alti e belli spessi. Chi avrebbe voluto dare una testata a Kristoff per averli interrotti, alzi la mano! Ma direi che, poi, hanno abbondantemente recuperato (e ancora lo faranno, capite a me). Spendo ancora qualche parola sul titolo perché ne sono molto orgogliosa (mi crogiolo con poco, che vi devo di'): Cold Case, non si riferisce solo al caso dei genitori di Elsa ma anche a quello di Marian, dei signori Greystoke, del figlio di Kala e la vendetta di Pitch che, ognuno a modo suo, ha trovato la sua conclusione. Inoltre, il concetto comprende anche la crisi sentimentale di Jack ed Elsa che si protrae dall'alba dei tempi ed il fatto che siano entrambi decisamente cold nel loro canon (ma anche molto hot). Se ve lo chiedevate è così che funziona la mia testa, spero non cambierete opinione su di me per questo ù_ù Come sempre, più e più riferimenti Disneyani sono presenti fra queste righe e alcuni spunti della terza serie di Body of Proof sono facilmente riconoscibili, altrimenti non sarebbe stata una BodyOfProof!AU ;) Insomma, sarà meglio chiudere qui perché ho già scritto anche troppo. Perciò: grazie, grazie davvero per avermi accompagnato fino a qui! Il vostro supporto è stato fondamentale per arrivare in fondo e spero davvero di non avervi deluso! Un abbraccio a tutti e alla prossima storia. ♥ Cida |