Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: Cida    01/07/2023    5 recensioni
[BodyOfProof!AU]
Quando il detective Overland decide di tornare a casa, il medico legale Bleket non ne è particolarmente felice, soprattutto perché alcuni misteriosi omicidi li costringono ad essere a stretto contatto. Ferite mai rimarginate tornano a sanguinare, mentre un nuovo tipo di giustizia si fa largo in città.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Anna, Elsa, Kristoff
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 8

 

La sconfitta del capo dei Fearling, l’Uomo Nero, come l’aveva ribattezzato la stampa, aveva mandato i giornalisti in visibilio, soprattutto per la succosissima scoperta della sua identità. L’opinione pubblica era spaccata a metà: fra chi riteneva orribile quel che il procuratore aveva fatto e chi non si dispiaceva poi troppo del suo metodo di pulizia. Quello che tutti ancora non sapevano era che, per dimostrare alla procura la loro totale collaborazione, ovviamente in accordo con la ragazza salvata, la polizia aveva deciso di non divulgare cosa stesse facendo Claude Frollo quando era stato incastrato: nessuno aveva intenzione di ricevere una pioggia di ricorsi per i processi seguiti da lui che erano, di fatto, innumerevoli. Certo, vista la quantità di persone coinvolte, era pressoché impossibile che una cosa del genere rimanesse segreta a lungo, l’importante era che ci rimanesse abbastanza. Questo segno di pace, tuttavia, non impedì alle previsioni di Elsa di avverarsi: non solo non le fu concessa di effettuare l’autopsia sul suo cadavere, non venne neanche ammessa ad assistere. Jane l’aveva vista così furiosa ben poche volte: il fatto che il risultato tardasse ad arrivare non aiutava a ridistendere il suo umore. C’era, inoltre, un’altra persona molto agitata: il signor Bunnymund era arrabbiato, sì, ma per una volta ce l’aveva con la procura: non era davvero colpa dei suoi agenti se il loro tanto decantato procuratore era un assassino egomaniaco, perciò aveva messo sotto torchio Jack e Kristoff, non perché non fosse contento del loro operato – sebbene continuasse a non vedere di buon occhio l’irruenza del detective Overland, in cui trascinava il detective Bjorgman – ma perché voleva essere inattaccabile sotto ogni punto di vista. Per questo la vita di Claude Frollo era stata rivoltata da cima a fondo e ora i due erano, con una squadra della scientifica, a battere ogni centimetro del suo appartamento. C’era voluto un po’ ma, in una zona inusuale, avevano finalmente trovato quello che stavano cercando: la cassaforte.
Jackson annuì all’agente che lo aveva appena aggiornato e si avvicinò a Kristoff. «Ovviamente è un modello di ultima generazione, ci vorrà del tempo per capire come aprirla. Il resto della casa? »
L’altro scosse il capo. «Niente di rilevante: alcuni documenti del tribunale, un’invidiabile collezione di orologi… »
Jack sbuffò. «Non che non lo comprenda ma questo eccesso di zelo comincia a darmi sui nervi. »
«Io te l’avevo detto… » Gli rinfacciò, dando un’occhiata ai suoi appunti. «Era chiaro che fossero necessarie tutte le prove. »
«Il rifugio nel bosco, con il sotterraneo segreto dove c’era tutta l’attrezzatura con cui uccideva le sue vittime e i ritrovamenti di fenilciclidina non bastano? »
«Il fuoco ha ripulito tutto, non ci sono prove che Lionheart e Sabor siano stati portati lì. Abbiamo solo Esmeralda… »
«Solo?! Che la notizia non sia stata divulgata non la rende meno reale: quella ragazza ha rischiato grosso! Ha usato lo stesso modus operandi! »
«Sì, ma lei non è una criminale e si è mosso in solitaria… »
Jack sgranò gli occhi. «Per forza! Quei due sono in galera… »
«Per questo è di fondamentale importanza collegarlo a loro e alla De Vil. »
«Vogliamo davvero dire che i registri del suo racket segreto, trovati nella sua magione, dove tutte le vendite di fenilciclidina sono associate allo stesso riferimento e il fatto che quei due lasciassero l’auto sempre in zone vicino al rifugio siano solo un caso? »
Kristoff si strinse nelle spalle. «Ovvio che no ma la procura vorrà di più, guarda cosa è successo con Elsa… »
Jackson strinse i denti. «Già. Dobbiamo trovare il collegamento dei soldi, così – forse – si metteranno l’anima in pace… »
«Detective, vi prego di indossare queste. » Gli disse un agente della scientifica, porgendo ad entrambi un paio di cuffie protettive.
Kristoff le prese. «Volete far saltare la cassaforte? »
«E’ l’unico modo: non c’è possibilità di aprirla altrimenti, è troppo avanzata. »
La stessa cosa fece anche Jack. «Avete preso tutte le precauzione del caso? E’ di vitale importanza che ciò che c’è dentro non si danneggi. »
«Lo sappiamo, detective. » Gli confermò quello. «Puntiamo a far saltare le poche giunture, così da fare perno ed aprirla. » Controllò l’orologio. «La detonazione avverrà fra cinque minuti: abbiamo già informato la concierge affinché avvisasse gli inquilini, così da non creare allarmismi. »
«Bene, proseguite pure. » Lo congedò Kristoff, spostandosi un poco. «A proposito di concierge… » Ghignò, alzando un pochino la voce per farsi sentire dall’altro al di là delle cuffie. «Com’è finita la faccenda dei biglietti? »
Jack arricciò le labbra in una smorfia. «Non mi dire niente, mi sono costati un occhio della testa. »
«Ah, quindi hai mantenuto la promessa! »
«Certo, alla fine avevo dato la mia parola… »
«Avrei scommesso di no. » Sghignazzò quello.
L’altro lo guardò storto. «Tu hai una pessima idea di me… »
Kristoff rise. «Non direi o non mi sarei preso un colpo di fucile per t… »
In quel momento, la cassaforte brillò.
«Detective Overland, Bjorgman! Venite, presto! »
Si precipitarono nell’altra stanza, il fumo della detonazione riempiva ancora tutta l’area.
«Che cosa abbiamo? »
«Un libretto che, probabilmente, fa riferimento a conti in paradisi fiscali e banconote, tante! »
«Bingo! » Esclamò Jackson. «Con un po’ di fortuna, i numeri di serie combaceranno con quelli degli agenti corrotti di polizia giudiziaria… »
«E i conti potranno tracciare i movimenti di denaro. » Concluse per lui Kristoff. «Ottimo lavoro ragazzi. Penso che possiamo andare adesso, il Signor Bunnymund vorrà di sicuro sapere queste novità. » Non ottenendo risposta, si girò verso il suo compagno di squadra. «Ehi, Jack! Tutto a posto? »
«Non direi… » Sussurrò l’altro, lo sguardo incollato ad una vecchia fotografia dove, fra un gruppo di ragazzi, spiccava la figura di Claude Frollo vicino ad un altro giovane, la cui identità era facilmente riconoscibile nonostante l’età: Kozmotis Pitchiner.

§ 

«Chissà perché non mi stupisce il trovarti qui. »
Robert Locksley alzò gli occhi dalla lapide in marmo rosa che aveva di fronte e li posò sull’uomo che aveva appena parlato. «Richard… »
«Ti dispiace? » Gli chiese lui, facendogli cenno verso il mazzo di fiori che aveva in mano: margherite, le sue preferite.
Scosse il capo, scostandosi un poco per farlo passare, mostrandogli così che lo stesso fiore era già stato posato sulla fredda e lucida superficie della tomba.
«Neppure questo mi stupisce. » Sorrise appena. «Vieni sempre qui tutti i giorni? »
Robert alzò le spalle. «Ogni volta che posso. Tu come mai sei qui, oggi? »
«Marian era una cara amica, quasi una figlia per me. Ora che il caso Fearling si è concluso, 
penso possa finalmente riposare in pace. »
«Lo spero tanto anche io… » Disse mestamente.
Richard gli posò una mano sulla spalla. «E anche per te è giunto il momento di rimetterti in sesto, lei non avrebbe voluto vederti così. » Cercò di dargli conforto. «Perché non vieni a lavorare per me? Potresti ricoprire il suo ruolo, secondo me ne sarebbe felice: porteresti avanti la sua impronta. »
Robert assunse un’espressione malinconica. «Non sarei mai bravo quanto lei. » Espressione che, d’improvviso, si accese di furbizia. «Temo, poi, che lavorare per una multinazionale rischi di macchiare irrimediabilmente la mia reputazione. »
L’altro sorrise. «Ecco, ora lo riconosco lo sguardo di chi ha quasi distrutto la mia compagnia… »
«Ma è ricresciuta più forte e, soprattutto, migliore. »
«E questo grazie a te, » Strinse un pochino di più la presa sulla sua spalla. «E a lei. »
L’altro guardò la foto della donna sulla lapide e ricambiò il sorriso che gli stava rivolgendo. «Lei rendeva tutto migliore… »
«E può continuare a farlo: tramite te! Risollevati Robert, c’è ancora un sacco di povera gente che bisogno del suo Robin Hood. »
«Robin Hood? » ripeté quello stranito, un sopracciglio inarcato. «Un moderno Robin Hood… » Disse ancora una volta, assaporandone il significato. «Mi piace come idea ma, sia chiaro, io la calzamaglia non la metto. »

§

Jackson entrò in tribunale con un mix di emozioni in testa e nel cuore. Da una parte era sollevato che la tanto agognata autopsia fosse finalmente arrivata, confermando – nonostante tutto – la loro versione dei fatti. Perciò, se, in aggiunta ad Esmeralda e a tutto il resto delle prove che avevano raccolto, ancora non fosse bastato a far stare buona la procura, potevano anche andare a farsi fottere. Dall’altra, però, era irritato perché a nulla erano valse le ricerche allo studio e all’appartamento del dottor Kozmotis Pitchiner: era sparito nel nulla.
Così, aveva deciso di riprendere in mano i documenti che Elsa gli aveva portato quella fatidica sera: aveva studiato a lungo quei codici, alcuni più lunghi, altri più corti ma, nonostante le varie ricerche, capirne il significato era pressoché impossibile senza la giusta chiave di lettura. Si era, perciò, mosso con circospezione e, dopo aver studiato quale fosse il giorno più adatto, aveva deciso di andare ad ispezionare, in via del tutto informale, il vecchio ufficio di Iduna che non era più stato assegnato, in segno di rispetto per la sua tragica dipartita. Non che sperasse di trovare qualcosa di significativo per il caso, né lei né Agnarr sarebbero stati tanto stupidi da lasciare informazioni così delicate sotto agli occhi di tutti, ma almeno sperava di carpirne il metodo.
Entrare in quella stanza gli fece lo stesso effetto di entrare in un museo e, per un attimo, la sua memoria gli diede l’illusione di riuscire ancora a percepire il suo profumo. Iduna era una donna gentile e dallo spirito leggero, si era sempre sentito in sintonia con lei e non aveva mai dato, neanche per un momento, l’idea di provare rammarico per le condizioni economiche della famiglia Overland. A differenza di Agnarr che proveniva da una famiglia facoltosa da generazioni, lei si era costruita il suo benessere completamente da sola, non rinnegando mai le sue origini rurali. Mise da parte i ricordi e ispezionò subito le librerie ma i tomi presenti erano tutti prettamente accademici: ne controllò alcuni, per verificare se fra le loro pagine non potesse esserci qualche nota dimenticata ma, come era facile aspettarsi, nessun colpo di fortuna venne in suo soccorso. Si dedicò, quindi, alla scrivania: i cassetti erano aperti e, purtroppo, vuoti. Sbuffò: quindi, quell’ufficio era solo una facciata e tutto ciò che era appartenuto ad Iduna era già stato tolto e archiviato da qualche parte, di sicuro inaccessibile tramite canali non ufficiali. Un buco nell’acqua annunciato ma per cui valeva la pena tentare. Sperò, in cuor suo, che Elsa avesse più successo nella visita allo studio dei suoi genitori nella loro casa.
«Sta cercando qualcosa? »
Jack trasalì, concentrato com’era nella ricerca di un possibile indizio, non era riuscito a percepire l’arrivo di un’altra persona. «In realtà, no. » Mentì con una certa naturalezza, voltandosi verso l’ingresso. «Conoscevo la giudice quando ero un ragazzo, penso che oggi mi abbia guidato qui un po’ di nostalgia. »
Nel vederlo in faccia, il giudice Weselton – perché di lui si trattava – lo riconobbe. «Lei è il detective che era con Elsa quel giorno, non immaginavo conoscesse da tempo la famiglia. »
«Sì, io e Elsa andavamo a scuola insieme. » Il resto decise saggiamente di non rivelarlo. «Jackson Overland, piacere. » Si presentò, porgendogli la mano. «Lei è il giudice Weselton, suppongo. »
Quello annuì, accettando la sua stretta. «Compagno di scuola, eh? A volte il destino sa essere davvero buffo. Non mi pare, però, di averla mai vista prima di quella volta. »
«Sono stato lontano dalla città per molto tempo, è il mio primo anno qui. »
L’altro sorrise. «Arrivo provvidenziale: mi hanno detto che lei e il detective Bjorgman siete stati determinanti per la soluzione del caso Fearling. » Sospirò. «Claude, chi l’avrebbe immaginato mai? Sembrava così integerrimo nei suoi principi… »
Jack alzò le spalle. «Il potere sa dare alla testa, a volte. »
Il giudice si trovò d’accordo. «Ha saputo cosa è successo alla casa dei Bleket? » Lo vide annuire. «Pare proprio che quelle benedette ragazze non possano avere un attimo di pace. Come l’hanno presa? »
«Non bene, temo. »
«Scommetto che la più scossa è stata Elsa: non è mai riuscita a superare quello che è accaduto. »
L’altro piegò appena il capo. «Non è facile venire a patti con il non sapere: erano i suoi genitori. »
«Mi rendo conto. » Convenne Weselton. «Ma anche trasformarlo in un’ossessione non è salutare. » Rafforzò appena la presa sul plico di fogli che aveva sottobraccio. «Se è davvero suo amico, l’aiuti a superare questa cosa: si è logorata per così tanti anni, né Agnarr né Iduna avrebbero voluto vederla così. »
Jack avrebbe voluto dissentire poiché Elsa non avrebbe accettato mai di rimanere all’oscuro, non l’aveva fatto per vent’anni, non avrebbe di certo cominciato adesso. «Farò del mio meglio. » Disse, invece, e il fatto, che quello che intendesse fosse esattamente il contrario di ciò che il giudice suggeriva, non era importante farglielo sapere.

 §

Che l’agente Sunlight amasse la stagione estiva non era un mistero per nessuno. L’estate era scolpita nel suo DNA, come la sua data di nascita testimoniava, e l’attendeva con trepidazione ogni anno. Amava le giornate più lunghe e, nonostante la sua chioma di capelli fluenti, non ne temeva affatto il calore, anzi, la prendeva come una sfida nell’escogitare, ogni volta, una nuova acconciatura per raccoglierli. Poi, beh, il caldo era la scusa perfetta per concedersi un grande, anzi, enorme gelato ricoperto da una cascata di fragole e panna.
«Quant’è? » Chiese al cassiere.
«Faccio io! » L’anticipò una voce alle sue spalle. «Può aggiungere un caffè, per favore? »
Rapunzel si girò, riconoscendo immediatamente il tono scanzonato di colui che aveva appena parlato. «Rider! »
Lui le sorrise. «Biondina… » La salutò, pagando il conto. «Dove ci sediamo? » le chiese, poi, prendendo il vassoio con il loro ordine.
«Se non ti dispiace, andrei fuori. » Propose lei, ancora incredula di quel che stava succedendo.
«Prego. » Acconsentì, facendole cenno di fargli strada.
Si accomodarono ad uno dei tavolini, all’ombra di una grossa tenda a righe bianche e rosse.
«Non lo mangi? » Le chiese Flynn, prendendo un sorso del suo caffè. «Si scioglierà tutto… »
Lei prese il cucchiaino in mano, dubbiosa. «Come faccio a sapere che i soldi che hai usato per offrirmelo non siano rubati? »
Lui alzò le spalle. «Non puoi, ma non sono così sadico dal rovinarti l’esperienza usando del denaro sporco… »
Punzie s’illuminò e, finalmente, assaggiò il suo gelato.
«… Non tutto, almeno. » Completò lui, guardandola di sottecchi.
Per poco non si strozzò.
Flynn Rider scoppiò a ridere. «Scherzo, scherzo! Non c’è un solo centesimo rubato. »
Lei lo guardò storto e, in tutta risposta, prese un altro cucchiaio. «Quindi, il noto ladro Flynn Rider mi sta davvero offrendo un gelato? »
«Non raccontarlo in giro: distruggerebbe la mia reputazione. »
Rapunzel alzò gli occhi al cielo.
«Ehi, una falsa reputazione è tutto quello che un uomo ha. » Le fece presente, dando un altro sorso al suo caffè.
«Se lo dici tu. » Concesse. «Allora ti stai dando ufficialmente alla carriera di stalker? »
Lui inarcò le sopracciglia. «Eh? »
«Oh, mi vuoi dire che questo incontro è solo colpa del caso? »
«Ero curioso di incontrarti senza la tua padella… »
«Allora lo ammetti! » Bofonchiò, puntandolo con il cucchiaino.
Rider strizzò appena gli occhi. «Biondina, hai un po’ di panna qui! » Si sporse verso di lei e le pulì l’angolo della bocca con un tovagliolino.
Punzie avvampò, facendo scivolare rumorosamente la sua sedia all’indietro. «Che fai?! »
«Ti ho pulito, te l’ho detto. » Le ripeté, tornando al suo posto. In mano aveva, adesso, un cellulare. Armeggiò un attimo con lo schermo e, poi, lo girò verso di lei: il riconoscimento facciale lo sbloccò e un allegro camaleonte apparve sullo sfondo.
«Ehi! » Comprese lei. «Quello è mio! Come hai fatto? »
L’altro ghignò. «Sono un ladro, ricordi? » Digitò alcune cose.
«Che stai facendo? »
«Ti segno il mio numero, caso mai volessi chiamarmi per una consulenza sul come mettere in sicurezza il tuo appartamento, la tua bicicletta, qualsiasi cosa… » Finì il suo caffè e si alzò. «Ora devo andare, biondina, ma sono stato davvero felice d’incontrarti, soprattutto senza la tua padella. »
Rapunzel ridacchiò appena. «Dove vai? »
«Faccio il cameriere in un ristorante qui dietro, fra poco inizia il mio turno. »
Lei inarcò un sopracciglio. «E’ un codice per nascondere qualche malefatta? »
«Puoi non crederci o puoi venire una sera a cena. » Celiò, facendole un occhiolino.
«Hai davvero deciso di cambiare vita? »
«Chi lo sa? Forse sì, forse no… Arrivederci biondina, spero userai quel numero, così non sarai più tu a dover stalkerare me. »
Punzie arrossì. «Allora arrivederci Flynn Rider e grazie per il gelato. »
«Chiamami Eugene… »
«Come? »
«Eugene Fitzherbert, è il mio vero nome. »


 §


«Dottoressa Bleket, aspetti! »
In procinto di entrare in un negozio, Elsa si bloccò: conosceva bene quella voce. «Dottor Pitchiner… » Si voltò e si allontanò un poco dalla porta, in una posizione più appartata, portando istintivamente mano alla borsa, in cerca del cellulare.
«Non faccia mosse avventate. » Le suggerì pacato. «Sono qui solo per parlare. »
«Parlare? » Si guardò attorno, era pomeriggio appena iniziato e c’era molta gente in giro.
Lui sorrise. «Non sono qui per farle del male, se è di questo che ha paura. »
«Tutte le forze di polizia della città la stanno cercando, lo sa? »
«Per cosa? L’aver scoperto che io e Claude Frollo ci conoscevamo? »
L’altra assottigliò gli occhi. «Pensa sia così stupida dal credere che foste solamente conoscenti? »
Kozmotis scosse il capo. «Non credo affatto sia stupida, anzi, tutto il contrario. Anche lei lo conosceva bene, sono sicuro non l’abbia stupita il fatto che fosse proprio lui il fantomatico Uomo Nero. L’immacolato alfiere di Dio: curioso il destino, no? »
Elsa fu d’accordo a metà. «Ho sempre trovato il procuratore Frollo al limite del fanatismo, ma che si sarebbe spinto fino a questo punto andava ben oltre le mie capacità di immaginazione. Quello che mi domando è: perché proprio ora? » Lo guardò dritto negli occhi. «E’ come se qualcuno avesse soffiato sul suo ego, gonfiandolo a tal punto da farlo scoppiare. » Inarcò un sopracciglio. «Sa cosa credo? Che l’Uomo Nero sia ancora in libertà. Lei che ne pensa? »
«Vuole provare a fare la psichiatra con me? »
Lei fece un segno di diniego con la testa. «Temo di non averne le capacità, ma lo sa meglio di me: lui è qui e non sono io. »
Il dottor Pitchiner sorrise. «Peccato che non bastino le sue convinzioni per farmi finire in manette. »
Elsa sospirò. «Su questo ha ragione. Allora ragioniamo per ipotesi: supponiamo lei sia davvero l’Uomo Nero e che con i suoi Fearling punisca con la paura i criminali rimasti impuniti, affinché paghino per il dolore inflitto alle famiglie delle loro vittime. Perché Frollo? Era un suo amico, lo ha sacrificato alla sua causa… »
«Sacrificato? » L’altro rise e lei trattenne a stento un brivido. «Come dice, supponiamo che io sia veramente l’Uomo Nero. Davvero crede che la mia scelta sarebbe stata casuale? Ci rifletta un momento: Claude Frollo era davvero bravo nel suo lavoro ma non penserà mica che fosse, sul serio, guidato dalla mano di Dio? Non si è mai chiesta da dove venisse questa sua incredibile carriera? » Ghignò. «Era un asso, certo, ma sapeva anche come far girare i giusti ingranaggi… »
«Che intende dire? »
«Minacce agli imputati, manipolazione di prove… »
L’altra sgranò gli occhi. «Che cosa? »
Kozmotis ignorò la sua domanda. «Supponiamo che, come ha detto, noi fossimo amici e ci conoscessimo fin da bambini. » Alzò un poco le spalle. «Immaginiamo che il suo carattere fosse già ben definito allora. Ipotizziamo che, quando uccisero mia moglie e mia figlia e catturarono il colpevole, abbia giurato di aiutarmi ad ottenere vendetta. E che, non potendo seguire direttamente il caso, avesse provato a manipolare le prove per assicurarsi che quel maledetto non uscisse più di prigione, ma venendo scoperto. La sua stella brillava già troppo in alto per far sì che si spegnesse con uno scandalo di tale portata: la procura mediò con la difesa e l’assassino fu libero, in cambio del suo silenzio. » Strinse i denti. «Si finse pure dispiaciuto e si offrì di starmi vicino, mi disse di non demordere, che un giorno avrei ottenuto giustizia. Pensava non lo avrei mai scoperto, si è sopravvalutato ma, alla fine, ha avuto ragione. »
«Se la procura insabbiò tutto, come ha fatto a scoprirlo? »
«Lo spirito di sopravvivenza rende le persone estremamente collaborative, non lo sa? »
Non poteva riferirsi a Frollo, dato che era morto fra le fiamme proprio davanti agli occhi di Jack e Kristoff: comprese. «Lei ha ucciso l’assassino di sua moglie e sua figlia? »
«Se anche l’avessi fatto, avrei solamente reso il mondo un posto migliore… »
Elsa scosse il capo. «Io posso capirla, comprenderla persino ma non posso condividere quello che ha fatto. Le conseguenze delle sue azioni si sono ripercosse su persone innocenti… » Il rapimento di Freja ancora ben stampato nella sua mente, così come il salvataggio di quella ragazza sul filo del rasoio. «Perché è venuto da me oggi? »
Kozmotis Pitchiner la guardò con i suoi occhi dorati. «Perché noi ci assomigliamo… »
Lei sgranò gli occhi. «Assomigliamo? Io non ho mai ucciso nessuno. »
«No, ma se avessero fatto del male a sua nipote ne sarebbe stata capace: è stata molto chiara in merito. E sa, dottoressa, nel suo sguardo ho visto che non mentiva. »
Deglutì, incapace di ribattere.
«Se io fossi l’Uomo Nero, come dice, ci sarebbe anche un’altra cosa ad accomunarci. I Fearling. Anche se lei, in realtà, ne ha solo uno. »
«Non so di cosa parla. »
«Il detective Overland! Quando siete venuti nel mio studio, non si può certo dire mi avesse preso in simpatia. Tuttavia, non aveva modo di orientarsi su di me per le sue indagini. Eppure, pochi giorni dopo il nostro incontro, eccomi convocato in centrale come indiziato numero uno. Lei lo ha indirizzato verso di me e lui ha risposto solerte alla sua chiamata. »
«Io non manipolo Jack. »
Lui la soppesò. «Forse non lo fa di proposito, glielo concedo ma non può negare che lui faccia tutto quello che gli chiede. »
Elsa strinse i denti. «Si sbaglia! Se Jack decide di fare quello che gli dico è perché ci crede, non perché asseconda tutto ciò che voglio. Non ha paura di rovesciarmi addosso tutto il suo disappunto, quando non condivide le mie scelte e, soprattutto, non ucciderebbe mai perché glielo chiedo io. »
«Ne è sicura? L’amore sa attanagliare il cuore tanto quanto la paura, non trova? »
«Dovrò chiamare la polizia, lo sa? »
Lui sorrise. «Oh sì, lo chiami pure: ma quando lui accorrerà da lei, non mi troverà. »
«Che cosa ha in mente Pitchiner? »
«Ho ancora un conto in sospeso qui… »
«Che cosa? »
Kozmotis ghignò ancora una volta. «Perché non prova a scoprirlo? »

 §

«Quando hai detto che mi avresti portato in un posto diverso dal solito, non pensavo sarei finita in ammollo… » disse Jane, guardando dubbiosa il ragazzo che le stava sistemando con attenzione l’imbragatura.
John, seduto a fianco a lei, sorrise. «Tecnicamente, in ammollo non ci sei ancora… »
Lei ricambiò il sorriso. «Ma ci finirò presto. » Sentì l’aria sferzarle il viso, il motoscafo stava prendendo velocità.
«Con questo caldo l’idea non è così terribile, no? »
«Non lo so… » Disse a denti stretti, la paura dello sgancio imminente sempre crescente. «Sarà sicuro? » Deglutì.
John appoggiò una mano sulla sua, stretta saldamente all’imbragatura. «Non ti metterei mai in pericolo… »
Il sorriso dolce che avrebbe voluto rivolgergli si trasformò, invece, in una smorfia di puro terrore: li avevano sganciati. Quando il paracadute finì di gonfiarsi e il vuoto della salita s’impadronì del suo petto: urlò.
«Dovresti aprire gli occhi. » Gli gridò lui poco dopo, per sovrastare il rumore del vento ed il ronzio del motoscafo sotto di loro. «Non sai cosa ti stai perdendo. »
Jane alzò appena una palpebra e, non appena mise a fuoco lo spettacolo che aveva davanti, aprì anche l’altra di scatto. «Sembra di volare! E’ bellissimo! » Urlò piena di gioia, questa volta, e aveva proprio ragione.
Il lago era magnifico, le sue acque blu rilucevano di infiniti riflessi, i boschi sul limitare erano verdi e rigogliosi, le spiagge non ancora troppo affollate e il sole brillava potente sopra le loro teste.
John la guardò risplendere. «Tu sei bellissima… »
«Hai detto qualcosa? » Disse lei di rimando, non avendo colto quel che aveva detto.
L’altro scosse il capo e non si ripeté, improvvisamente impaurito da quelle parole: forse troppo banali, forse troppo intime per una conoscenza ancora così acerba, addirittura fuori luogo per il modo in cui si erano conosciuti. Inspirò a fondo e lasciò andare i pensieri in balia dell’aria, mentre la felicità di Jane al suo fianco diventava la sua.
Quando il giro finì, erano zuppi ma sorridenti.
«Avevi ragione! E’ stata un’esperienza magnifica! » Gli disse euforica, avvolta in un morbido asciugamano. «Sembrava di volare e la vista, wow, era mozzafiato! »
L’altro sorrise. «Passata la paura, eh? »
«Oh sì, lo rifarei anche subito! » Gli confermò con una risata cristallina.
E, a quel punto, lui non resistette più: si sporse verso di lei e la baciò.
Jane sgranò gli occhi, presa completamente in contropiede. Lo sentì staccarsi, forse allarmato dalla reazione che aveva avuto.
«Scusami… » Balbettò, infatti, in imbarazzo. «Non avrei dovuto… »
Non gli diede il tempo di finire la frase, unendo di nuovo la bocca alla sua, in un buffo passaggio di sorpresa che si trasformò in un sorriso sulle labbra di entrambi mentre, mano nella mano, si dirigevano alla macchina per tornare a casa.


 §


Jack rientrò a casa sfinito: Elsa aveva informato sia lui che Kristoff del suo incontro con Kozmotis Pitchiner. Certo, era solo la sua parola e, di fatto, lui non aveva confessato nulla ma, per una volta, avevano deciso di mettere al corrente il signor Bunnymund della cosa. Avevano setacciato la città in lungo e in largo, assieme ad un discreto numero di pattuglie ma non erano riusciti a trovarlo da nessuna parte: neppure Rapunzel lo aveva scovato infiltrandosi nei vari circuiti di sorveglianza. A quanto pareva, il soprannome di Uomo Nero, che la stampa aveva creato per Claude Frollo, si cuciva alla perfezione su Kozmotis Pitchiner, abilissimo nel nascondersi fra le ombre della città. Tutto perché lui aveva detto di avere ancora un conto in sospeso, ma con chi? Avrebbe colpito ancora? Direttamente o aveva altri Fearling fra le sue fila?
Si levò la giacca ma l’unico accenno di relax che si concesse fu quello di un ghiacciato bicchiere d’acqua perché, nel constatare che l’omicida di Seraphina ed Emily Jane Pitchiner sembrasse misteriosamente scomparso nel nulla da anni, gli era finita sottomano la copia del tribunale relativa al processo, viziato dall’intervento illegale del procuratore, e una minuscola scritta in basso a destra aveva catturato la sua attenzione.
Prese al volo gli appunti di Iduna e Agnarr, stando ben attento a non bagnarli con la condensa del bicchiere, e i suoi occhi si illuminarono: la colonna di codici più brevi era perfettamente compatibile con quella dei documenti che aveva consultato quel giorno. Quello era il codice di classificazione interno al tribunale, da sempre inutile per le sue indagini da poliziotto ma, ora più che mai, fondamentale per la risoluzione del cold case che aveva tormentato Elsa per anni.
C’era ancora la seconda serie di codici da decifrare ma, ancora una volta, il caso Fearling venne in suo soccorso e, recuperato il suo taccuino, li confrontò con i numeri trovati nel libro contabile di Claude Frollo: chiaramente non erano identici ma, di sicuro, molto simili. Decise di scommettere tutto sul fatto che fossero transizioni bancarie. Si sedette e riguardò i fogli: da una parte aveva i processi, dall’altra uno spostamento di soldi. Che cosa poteva significare?
Posò la testa sul tavolino, stanco, abbassò le palpebre fino a chiuderle e girò il viso, mettendo a contatto la guancia con la superficie fresca.
Corruzione.
La parola gli saettò nella mente, facendogli aprire di colpo gli occhi e, solo grazie al riflesso della luce sul foglio e a quella particolare posizione, si accorse che nell’angolo in basso erano presenti alcuni piccoli solchi. Si alzò di scatto e recuperò al volo una matita, facendola scorrere piano sulla superficie.
La calligrafia di Agnarr gli mostrò una chiara parola di quattro lettere.
Prese il telefono e chiamò.

 §


Quando Elsa arrivò sola alla casa dei suoi genitori stava calando la sera. Era consapevole di essersi accordata con Jack per non fare nulla fino al mattino seguente: avevano appuntamento per colazione, in una caffetteria a metà strada fra gli appartamenti di entrambi, e l’idea era quella di stabilire un piano per le loro prossime mosse. Se davvero si parlava di corruzione ai piani alti della giustizia, beh, non potevano davvero rendere le loro indagini ufficiali: chiunque fosse quella persona senza volto, non aveva alcuno scrupolo e lei lo sapeva molto bene. Aveva persino pensato di chiedere a Jack di coinvolgere l’agente Sunlight, di sicuro troppo giovane per essere immanicata nel caso dei suoi genitori e, doveva ammetterlo – fastidio a parte – se lui si fidava così tanto di lei, un motivo doveva pur esserci. Tuttavia non era certa che il suo intervento avesse potuto risolvere qualcosa: le banche dei paradisi fiscali avevano sistemi di sicurezza sofisticatissimi, chiavi uniche e monouso, pressoché impossibili da hackerare senza lasciare traccia: non potevano permettersi un incidente internazionale ma, ancor meno, potevano muoversi per vie ufficiali, almeno per il momento. Il tribunale, inoltre, aveva fatto molta resistenza al passaggio al digitale ed era una pratica iniziata solo in tempi recenti, perciò dubitava fortemente che i casi menzionati dai suoi genitori, risalenti ad almeno vent’anni prima, fossero già stati digitalizzati. Dovevano, per forza di cose, presentarsi all’archivio del tribunale, ma sul come avessero potuto giustificare la loro presenza lì, senza destare sospetti, era tutto un altro paio di maniche.
Per questo era andata nella sua vecchia casa quella sera: frustrata dal non vedere una possibile via d’uscita, si era aggrappata con tutte le sue forze alla pulce nell’orecchio che la sua memoria le aveva messo non appena Jack le aveva svelato ciò che aveva rinvenuto sul foglio: duca.
Era sicura di aver già letto
da qualche parte quel titolo, o soprannome,  ed era più che mai convinta che la risposta si nascondesse nello studio dei suoi genitori. Quando varcò la soglia, la malinconia - che da sempre le cresceva nel petto di fronte al loro ricordo – questa volta condivise lo spazio con la trepidazione di una scoperta imminente. Cercò fra i tomi riversi sul pavimento e i pochi rimasti sulle mensole delle librerie ma non riusciva a trovare quel che stava cercando, finché l’occhio non le cadde sotto alla scrivania e, finalmente, il suo sguardo brillò.
Sfogliò il volume redatto dall’università di sua madre che racchiudeva i volti e le storie dei suoi studenti più meritevoli che, nel corso degli anni, avevano intrapreso carriere straordinarie. Le si inumidirono gli occhi quando passò con affetto la mano sul volto sorridente di Iduna, nel vano tentativo di ricordarsi come fosse il contatto con quella pelle tanto amata. Sospirò e scosse il capo, doveva tornare più indietro e, quando trovò quel che stava cercando, il cuore le si spezzò.
Nella foto che aveva di fronte, un uomo giovane di bassa statura le sorrideva affabile. Portava già gli occhiali ma i capelli erano folti e biondi, il suo viso rasato e il nome non mentiva: Alan Weselton, detto il duca, campione di polo in gioventù e giudice rispettabile in età adulta.
Il click di un cane che si armava le fece scivolare il libro di mano.
«Così l’hai scoperto. » Le disse Weselton, puntandole contro la canna di una pistola. «Ti ho gentilmente suggerito più e più volte di lasciar perdere questa faccenda ma tu, no, dovevi per forza scoprire cosa fosse successo ai tuoi genitori. Sei fin troppo simile a tua madre in questo. » Sospirò. «Ed è un peccato perché avrei davvero voluto evitarti la sua stessa fine. »
Elsa strinse i denti. «Abbia almeno la decenza di non fingersi dispiaciuto: con che coraggio ha continuato a frequentarmi dopo averli uccisi? »
«Tecnicamente non sono stato io ad ucciderli. » La corresse, perfido. «Ho solo dato l’ordine di farlo. Se ho continuato a frequentarti è stata solo colpa tua… » Le svelò. «Se ti fossi messa l’anima in pace, come tua sorella, mi avresti visto il minimo indispensabile, invece, ti sei incaponita e io dovevo tenerti d’occhio. » Ridacchiò. «Sono curioso: dove hai trovato i documenti che cercavo da vent’anni? Lo so che lo hai fatto, quelli che provano il mio coinvolgimento con i Westergard. »
Lei soppesò se fosse il caso di dirglielo o meno ma, poi, optò per guadagnare tempo. «Erano in camera di Anna, nel suo baule dei giochi… »
Weselton scosse il capo. «Credo seriamente di dover cambiare collaboratori… »
Quindi era vero, era per quelli che avevano praticamente distrutto la casa. Ora sì che riusciva a capire quale fosse il suo reale interesse dietro a tutte quelle domande sulla loro possibile vendita. «Perché lo ha fatto? » Gli chiese, cercando di capire come riuscire ad usare il proprio cellulare senza farsi sparare. «Non mi sembra abbia mai avuto problemi di soldi, perché immischiarsi con una delle più potenti famiglie malavitose della città? »
Lui alzò le spalle. «I soldi non sono mai abbastanza, tuttavia non sono tutto… » La guardò negli occhi, sempre tenendola sotto tiro. «Ma il potere sì! »
«Di che altro potere aveva bisogno? » Ribatté, disgustata.
Il giudice soppesò la sua domanda. «Posso anche dirtelo, dato che morirai. » Prese fiato. «Mi aspettava un ingresso trionfale nella carriera politica, con il supporto dei Westergard, avrei avuto questa città in mano e, forse, anche di più. I tuoi genitori, però, mandarono tutto a rotoli e neanche sbarazzarsi di loro bastò, perché quei documenti erano un pericolo troppo grande. A chi li hai dati? » Le chiese. «A quel detective della omicidi scommetto. Ecco perché è venuto a ficcare il naso nell’ufficio di tua madre. » Ragionò un attimo. «Chiamalo e faglieli portare qui. Non fare scherzi, non ho nessun problema a dare ordine di irrompere in casa di tua sorella. » Le fece presente, maledettamente serio. «La stampa ci sguazzerà, quando troveranno i vostri corpi: il brillante medico legale ucciso dall’amore malato di un detective di polizia che, incapace di resistere al rimorso, si toglie la vita lui stesso. »
Elsa strinse i denti, di fronte alla sua risata malvagia. Alzò il braccio per mettere mano alla borsa ma, anziché prendere il cellulare come lui le aveva chiesto, gliela lanciò addosso con tutta la sua forza, cercando di guadagnare l’uscita.
Il colpo di pistola le rimbombò nelle orecchie e la fece congelare sul posto. Incredibile, si disse, essere colpiti da una pallottola non procurava alcun dolore: abbassò lo sguardo sul proprio petto ma non trovò macchie ad allargarsi sui suoi vestiti.
Sentì un rantolo e si girò, riportando la sua attenzione su Alan Weselton: aveva gli occhi sgranati e un rivolo di sangue vermiglio gli usciva dalla bocca. Crollò a terra senza emettere suono ulteriore: sulla soglia dello studio si stagliava la magra e oscura figura di Kozmotis Pitchiner, la pistola fumante ancora stretta nella sua mano. La guardò con i suoi occhi dorati che brillavano sotto alla luce artificiale. «Questo è per sua nipote, non sarebbe dovuto succedere. Ora siamo pari. »
Lei annuì, ancora troppo scossa.
«Grazie… » Riuscì a dire, infine, con un soffio di voce ma lui se n’era già andato.

 §

«Elsa! » La richiamò Jack, non appena la scorse sulla porta della stanza in cui l’avevano fatta accomodare, prima di interrogarla: lo sguardo pieno di preoccupazione. «Stai bene? Sei ferita? »
Lei scosse il capo. «No, sto bene. » Gli disse, mentre le si sedeva accanto. Lo vide scrutarla da capo a piedi, per niente convinto, e un piccolo sorriso le increspò le labbra. «Sto bene, ti dico. » Si rabbuiò un poco. «E’ stato il dottor Pitchiner a renderlo possibile: ha sparato a Weselton prima che lui sparasse a me. »
Jackson inarcò le sopracciglia, stupito. «Pitchiner? » Ripeté, già pronto ad alzarsi per inseguirlo.
Elsa gli posò una mano sul braccio a bloccarlo. «E’ inutile, » Gli fece presente, avendo chiaramente intuito le sue intenzioni. «Se n’è già andato da un pezzo. »
«Perché era qui? » Chiese, confuso: non che fosse scontento che l’avesse salvata, anzi. Certo, avrebbe preferito farlo lui stesso ma che lei fosse incolume proprio lì davanti era l’unica cosa che contava al momento.
«Ha saldato il suo debito… » Sospirò. «Non sono certa si ripeterà in futuro. »
«Non gli daremo modo di farlo ripetere. » Affermò, risoluto.
Elsa prese un grosso respiro. «Grazie! » Buttò fuori d’un fiato, causandogli un’espressione stupita. «Grazie per avermi aiutato a trovare l’assassino dei miei genitori. Se ripenso a tutte le volte che, dopo la loro morte, ho parlato e pranzato con lui, mi viene da vomitare. Quanto sono stata sciocca? »
Jack le prese le mani nelle sue. «Sciocca? Era un amico di famiglia, gli volevi bene: come avresti potuto immaginarlo? »
«Di sicuro ha sempre recitato con talento la parte del nonno amorevole: quello che noi non abbiamo mai avuto. Forse mi sono aggrappata troppo a questo desiderio inconscio e lui ne è sempre stato ben consapevole: mi domando di chi ci si possa realmente fidare, a questo punto… »
L’altro le sorrise. «Qualche idea ce l’avrei: Anna, Kristoff, Freja… » Me, ti puoi fidare di me.
Elsa comprese perfettamente quelle parole, anche se lui non le disse e ricambiò il suo sorriso. «Della tua principessa. » Aggiunse maliziosa.
Jack sgranò gli occhi. «Pensi che l’abbia coinvolta? Era una tua faccenda personale, non l’avrei fatto senza prima chiedertelo. » Le fece presente, sincero. Poi, un ghigno si disegnò sul suo viso. «Ma dimmi, sono curioso: com’è che ti infastidisce così tanto il fatto che la chiami principessa? Sei gelosa, per caso? »
Lei inarcò appena un sopracciglio. «Forse… » Confessò in un soffio.
Il cuore di Jackson fece un triplo salto mortale nella gabbia della sua cassa toracica. Si portò le mani di lei, ancora fra le sue, alle labbra e vi posò un bacio. «Non devi. Se solo non odiassi qualsiasi tipo di nomignolo, Fiocco di Neve, » Le disse, irriverente come al solito, avvicinando un poco il viso al suo. «Saresti la regina, lo sai. » La mia.
Elsa non si ritrasse. «Dei ghiacci? » Gli chiese, ripensando alle parole di sua sorella.
Lui si bloccò ad un soffio dalle sue labbra, stranito. «Di cosa? »
«Lascia perdere… »
«Elsa! » La voce di Kristoff fece trasalire entrambi: si staccarono di scatto, in imbarazzo. «Finalmente ti ho trovata. Stai ben… ? » Si bloccò, il quadro perfettamente chiaro ai suoi occhi.
Lei annuì, le gote arrossate. Jackson sbuffò appena e si alzò. «A quanto pare è arrivata la cavalleria. » Celiò. «Ti lascio nelle buone mani di tuo cognato: vado a vedere se i ragazzi hanno bisogno di me… »
Si avviò verso la porta: quando passò al fianco del suo compagno di squadra, gli diede un paio di sonore pacche sulla spalla e si congedò.
Kristoff tremò, stavano per baciarsi e lui li aveva interrotti: Anna lo avrebbe ucciso, ne era certo.

 §

Jack era troppo agitato per prendere sonno, il pensiero fisso sulle labbra di Elsa ad un soffio dalle sue, il suo respiro addosso. Non si erano chiariti, era vero, ma era maledettamente sicuro che, in quel momento, anche lei volesse la stessa cosa: se solo non fosse arrivato Kristoff…
Eppure ne avevano passate così tante in quel periodo che non riusciva del tutto a mettere a tacere il dubbio che quel gesto, magari, fosse più dettato dall’adrenalina di essere scampata alla morte; di aver trovato la soluzione di quel quesito che la tormentava da una vita; di aver finalmente un nome per l’assassino dei suoi genitori che non da un certo tipo di sentimento che poteva provare per lui.
Aveva finito, così, per addormentarsi di un sonno leggero e agitato, appoggiato allo schienale del suo divano.
Per questo non percepì subito il bussare alla sua porta, incapace di distinguere se quel ticchettio fosse sogno o realtà. D’altra parte, se c’era qualcuno perché diavolo non suonava il campanello?
Aprì gli occhi di scatto solo quando i colpi si fecero più insistenti: guardò l’orologio e si rese conto che era davvero molto tardi, forse era proprio per quello che il suo inaspettato visitatore aveva deciso di non far trillare insistentemente quell’aggeggio infernale. Assonnato e vagamente allarmato, per poco non gli prese un colpo nel riconoscere la figura al di là della porta. La aprì. «
Elsa, che cosa ci fai qui? È il cuore della notte!»
Lei non fece un fiato ed entrò in casa senza troppi complimenti, si voltò verso di lui solo quando lo sentì chiudere l’uscio dietro di sé: aveva lo sguardo arrossato dalla stanchezza, era agitata tanto quanto lui, forse di più.
«Avevi ragione, su tutto. » Confessò subito, non senza fatica. Abbassò lo sguardo. «Quando ti vidi baciare quella ragazza, mi fece male, molto: mi sono sentita tradita in un momento in cui ero già disperata. » Deglutì. «Ma, in verità, ne fui anche sollevata: lasciarti andare non mi avrebbe procurato alcun rimpianto. Perché il dolore di quello stupido bacio, di te che eri poco più di un ragazzo arrabbiato con una fidanzata testarda e impossibile, non sarebbe mai stato grande quanto quello che avrei provato nel momento in cui ti saresti stufato di me e dei miei fantasmi o, ancor peggio, se ti fosse accaduto qualcosa come ai miei genitori. Non potevo proteggermi dall'eventualità di perdere Anna, è mia sorella. Tu, invece... Solo l’idea di cosa avrei potuto provare mi pietrificava. » Prese fiato. «Quando sei quasi morto in quel lago, per salvare tua sorella, ancora non ti conoscevo e, per assurdo, è stato proprio quell'incidente a portarti in classe da me, ma quando ti ho visto in quella ghiacciaia io, io... Avrei voluto parlarti in ospedale ma eri con Rapunzel, ho frainteso tutto e… » Tornò a guardarlo negli occhi, con i suoi velati di lacrime. «Ho avuto altri uomini dopo di te, sì, forse più di quanti immagini. » Gli spiattellò in faccia, senza rigiri di parole. «Ma non appena capivo che per loro cominciava ad essere qualcosa di più del solo sesso, sparivo senza dargli alcuna possibilità di ritorno. Sai perché?» Lo sfidò, il mento ben sollevato.
Jack finalmente mosse un passo verso di lei. «Perché? » Un altro passo, sempre più vicino.
«Perché nessuno di loro era te. » Lo sentì scostarle una ciocca di capelli dal viso, indugiando un poco nel carezzarla con le dita. «Quasi lo odio questo effetto che hai su di me... » Borbottò, ridendo appena, nel vano tentativo di rilasciare quella pressione crescente.
Lui sorrise a sua volta e andò a baciarle delicatamente una guancia umida di lacrime. «Che effetto ho su di te? » Le sussurrò sulla pelle, prima di passare dall'altra parte.
Elsa sospirò, socchiudendo gli occhi. «Non lo vedi? »
I piedi scalzi di Jackson si fermarono a mezzo millimetro dalla punta delle sue scarpe. Le sollevò il mento con le dita e posò le labbra sulle sue. «Elsa...» Sospirò, staccandosi un poco prima di baciarla ancora. «Non ho il potere di dirti che non ti deluderò più...» E ancora. «Di assicurarti che non litigheremo... » E ancora. «O che non soffrirai più… » Ancora una volta. «Ma prometto che farò qualsiasi cosa per far sì che tutto questo accada il meno possibile. Mi sono maledetto non so quante volte per averti lasciata andare; per essere stato così debole da farmi schiacciare dall’astio di tuo nonno; così orgoglioso da non sottrarmi da quel bacio che neanche volevo; così stupido da non lottare abbastanza. Ora, però, sono qui, per darti tutto l'amore e il rispetto che meriti. » Tacque per un attimo, andando ad appoggiare la fronte alla sua. «Ti chiedo una cosa soltanto in cambio: non decidere più per me, non chiudermi più fuori. »
Lei alzò le mani a circondargli il viso. «Non lo farò. »
E fu il suo turno di unire le labbra a quelle di lui. Ma il bacio, questa volta, non mantenne nulla di delicato, travolto dall’irruenza del bisogno di entrambi.
Impegnata com'era a ricambiare con decisione ognuno dei suoi assalti, si accorse di non indossare più la camicetta solo quando lui abbandonò la sua bocca per lasciarle sul collo una scia di baci roventi, scivolando sulla morbidezza di un seno e sempre più giù. Quando crollò in ginocchio, schiudendo le labbra sul suo ombelico, lei ritirò appena la pancia, fremente e senza fiato. Le mani di lui si chiusero sulla rotondità dei suoi fianchi, più che mai intenzionate a non lasciarla allontanare e, in un attimo, fecero scorrere la zip della gonna che cadde a terra senza bisogno di ulteriori sforzi. La bocca di lui cominciò un delizioso percorso inverso, tornando ad unirsi con la sua.
Elsa lo spinse un poco, per liberarlo dalla canottiera che portava come pigiama: improvvisamente stufa di quella leggera barriera di cotone che lo teneva lontano dalla sua pelle. Per questo non oppose resistenza quando lui la issò verso di sé, anzi, andò a cingergli la schiena con entrambe le gambe. Si ritrovò intrappolata fra la fredda parete e la sua eccitazione: un gemito le sfuggì dalle labbra.
Jack le lambì la carne della clavicola con i denti e, roteando su se stesso, le cercò nuovamente la lingua con la sua. Scivolò rapido verso l'oscurità della camera da letto, concentrato solo su quel bisogno pressante di perdersi totalmente nel calore di quelle cosce che lo stringevano forte: la luce dell'ingresso finì con l'essere dimenticata accesa.

 §

«Non riesci a dormire? »
Kristoff chiuse la porta del frigo, trovandosi di fronte il volto assonnato della moglie. «Avevo sete. » Le spiegò, mostrandole la bottiglia gelata che aveva appena preso. «Il caldo mi sta già uccidendo ed è appena cominciato. »
Lei sorrise di rimando. «Ne versi un bicchiere anche a me, per favore? »
L’altro annuì. «Mi dispiace, non volevo svegliarti. » Le disse, passandole ciò che aveva chiesto. «Freja? » Chiese, prima di portarsi la bottiglia alle labbra e svuotarla in un attimo.
«Dorme tranquilla, non preoccuparti. »
«E tu? Sei tranquilla? »
Anna tirò appena le labbra di lato. «Insomma… » Gli confessò, giocherellando con una ciocca dei suoi capelli. «Prima Freja viene rapita, poi Jack finisce in una ghiacciaia, ti prendi un colpo di fucile in pieno petto… » Continuò, guardandolo minacciosamente. «E, per finire, Elsa ha rischiato di essere uccisa da una persona che credevamo amica, la stessa che ha dato l’ordine di uccidere i nostri genitori. » Tacque un attimo, improvvisamente seria. «Io l’ho sempre spronata a lasciar perdere, ad andare avanti e, invece, aveva ragione… »
Kristoff le passò una carezza sul viso. «Ehi, non colpevolizzarti: pensavi di fare la cosa giusta. »
Lei portò una mano sulla sua, a trattenerla, muovendo appena il viso per ricevere ancora più conforto da quel tocco. «Sì ma avrei dovuto supportarla, anziché ostacolarla… »
Kristoff sorrise. «Ostacolarla? Quando mai Elsa si è fermata davanti a qualcosa? »
Anna si lasciò contagiare dal suo sorriso. «Vero… »
«L’importante è che, ora, sia tutto finito. »
Lei annuì. «Vorrei tanto che potesse tornare ad essere felice come un tempo. » Confessò malinconica.
«Io penso abbia già cominciato. » Le disse il marito con un ghigno furbetto.
L’altra s’illuminò. «Che intendi? »
«Potrei aver visto un quasi bacio fra lei e Jack… »
«Quasi? »
Lui strizzò gli occhi, impaurito. «Temo di averli interrotti sul più bello. »
Ci fu silenzio, molto silenzio. Azzardò ad aprire una palpebra: lei era sempre lì, di fronte a lui, felice. «Non hai intenzione di farmi una parte per questo? »
«Naaah… » Rise quella. «Sono certa che non si faranno mancare altre occasioni. L’importante è che abbiano rotto il ghiaccio. »
«Posso farti una domanda? » Le chiese, sinceramente curioso. «Perché ci tenevi così tanto a farla tornare con Jack? Da quel che dice Elsa, non ti stava così simpatico… »
«Questo non è del tutto vero. » Confessò. « A me Jack, per Elsa, » Specificò. «E’ sempre piaciuto. Anche se, delle volte, avrei davvero voluto prenderlo a ceffoni, soprattutto quando si è fatto baciare da un’altra. » Disse con una smorfia. «Ma, in verità, è che ero un po’ gelosa del loro rapporto. Elsa passava molto tempo con lui e meno con me e, poi… ecco… ero anche un po’ invidiosa. Lei non è mai stata un tipo particolarmente romantico, cercava la sua realizzazione, l’amore era l’ultimo dei suoi pensieri e, invece, le è capitato questo ragazzo che, seppur coi suoi difetti, la guardava come fosse la cosa più preziosa di questo mondo. » Arrossì, in imbarazzo. «Invece io, che avrei fatto carte false per trovare il mio principe azzurro, trovavo solo dementi interessati, per lo più, ad infilarmi le mani nel reggiseno. » Serrò le labbra. «E non solo… »
«Ehi, gradirei non dovermi immaginare mani di altri nelle tue mutandine, grazie. »
«Non puoi essere geloso, non ti conoscevo neanche all’epoca. »
«Non sono geloso… » Borbottò Kristoff, mettendo su un piccolo broncio.
Lei gli si avvicinò. «E fai bene: d’altra parte, tu sei stato il primo… »
L’altro sgranò gli occhi. «Cosa? Non mi sembrava proprio… »
Anna assottigliò gli occhi e gli rifilò uno scappellotto sulla nuca. «Non in quel senso, scemo! Se mi facessi finire… » Lo rimproverò. «Tu sei stato il primo a guardarmi così e continui a farlo ancora adesso. »
Lui sorrise e le baciò teneramente le labbra. «Perché tu sei davvero la cosa più preziosa che ho, assieme al piccolo uragano che dorme di sopra. » Ridacchiò.
«A proposito di Freja. » Gli disse lei, prendendolo per mano per accompagnarlo verso il divano. «Sai cosa mi ha chiesto ieri? » Lui fece segno di no col capo e si sedette. «Mi ha chiesto quando le facciamo un fratellino. »
Kristoff, per poco, non si strozzò con la sua stessa saliva. «Cosa? » Bofonchiò fra un colpo di tosse e l’altro, mentre lei lo spingeva fra i cuscini. «Ehi, non avrai mica intenzione di farglielo adesso? »
Anna rise, salendo a cavalcioni su di lui e creando un delizioso contatto fra i loro bacini. «No, direi che non è proprio il momento di avere un altro figlio, adesso. » Si sfilò la maglia del pigiama, rimanendo con i soli pantaloncini a coprirla. «Ma questo non ci impedisce di fare un po’ di pratica, no? »
Lui si alzò quel tanto che bastava per guardarla dritta in viso. «Sei sicura? E’ tanto che non… » Lanciò un’occhiata eloquente verso le scale.
«Molto sicura. » Affermò, unendo la bocca alla sua.

 

§

Jackson uscì dalle braccia di Morfeo con un leggero mugolio. Senza neanche il bisogno di aprire gli occhi, le sue labbra si piegarono in un leggero sorriso che, tuttavia, si spense non appena si accorse di essere solo nel letto del suo appartamento. Vagamente deluso si tirò a sedere, guardandosi attorno. Per amor degli inquilini dei palazzi di fronte si premurò di indossare una canottiera e un paio di boxer puliti, onde evitare di apparire nudo in salotto: data la luce che irrompeva dalla porta, di sicuro non aveva tirato le tende la sera precedente, impegnato com’era a concentrarsi su altro. Cercò di mantenere alto lo spirito e di non perdere la speranza, eppure non provenivano rumori dal bagno e, quindi, anche l’ipotesi che lei stesse facendo una doccia andò miseramente in fumo. Sempre più abbattuto si spostò verso la cucina ma un certo tipo d’indumenti sparsi sul pavimento, uniti ad un buon profumo nell’aria, ebbero il potere di riaccendere il suo sguardo e il suo entusiasmo. Fece scorrere la porta socchiusa e, finalmente, la trovò seduta su uno degli sgabelli del bancone, a sorseggiare il suo caffè mentre, con un dito posato sul tablet, scorreva in maniera distratta chissà cosa. Le gambe lunghe e snelle erano nude, i piedi scalzi e a coprirla aveva una delle sue t-shirt che riusciva a sostenere il suo compito giusto per un pelo. Quando si accorse della sua presenza, alzò lo sguardo azzurro su di lui e sorrise sarcastica. «Ti vedo sorpreso Overland, pensavi me ne fossi andata via come una ladra? »
Jack in quel sorriso si sciolse e le si avvicinò, andando a sedersi sullo sgabello accanto al suo. «Devo ammettere che per un attimo l’ho creduto… » Confessò, tirando appena le labbra in una piccola smorfia.
«Niente ripensamenti. » Lo rassicurò lei, stringendogli una mano. «Quello che ti ho detto ieri sera è sempre valido. »
Lui ricambiò la sua stretta, per poi inarcare un sopracciglio davanti al contenuto della tazza che era evidentemente lì ad attenderlo. «Mi hai preparato l’uovo sbattuto con lo zucchero?» Le chiese stupito, trattenendo a stento una risata.
Lei annuì, divertita. «Sì: ho pensato avessi bisogno di recuperare energie dopo questa notte. » Gli sorrise maliziosa. «Sai com’è, non sei più un giovincello. »
Jackson assottigliò lo sguardo. «Bleket, ti ricordo che hai solo un anno in meno di me. » La sfidò, abbassandosi verso di lei.
Elsa si spinse in avanti, quasi a sfiorargli il naso con il suo. «Mi stai dando della vecchia, Overland?»
«Non proprio della vecchia… » Ribatté, piegando appena la testa. «Della matura, magari… »
Lei scansò il bacio in arrivo con finta indignazione e si alzò. «Vuoi finire sul mio tavolo, per caso?»
Jack l’agguantò veloce per un polso e la tirò un poco, in modo da farla sedere su di sé. «L’idea di essere sdraiato nudo, con te sopra di me, mi alletta in effetti… ma preferirei che in mano, al posto del bisturi, avessi altro. » Le soffiò vicino all’orecchio.
Elsa gli circondò il collo con le braccia. «Comincio a credere che mia sorella abbia ragione e tu sia davvero un idiota…»
Lui piegò la bocca in un sorriso furbo. «Ma è anche per questo che mi ami, ammettilo. »
«Non confermerò, né smentirò questa tua affermazione… » gli rispose a fior di labbra.
La baciò, questa volta senza incontrare alcuna resistenza.
Quando si staccarono, lei scosse appena il capo e, con un sorriso radioso, lo posò sulla sua spalla.
Jackson le passò una carezza sulla schiena e le lasciò un altro bacio fra i capelli, felice. «Vuoi farti una doccia mentre faccio colazione?»
L’altra si drizzò di colpo, sorpresa. «Le tue capacità deduttive questa mattina lasciano decisamente a desiderare: perché credi non l’abbia ancora fatta?» Gli chiese maliziosa.
Il detective sgranò gli occhi, folgorato dalla comprensione, e trangugiò in un sorso tutto il contenuto della sua tazza. «Andiamo! »
Elsa non poté fare a meno di sghignazzare ma per un momento soltanto, ben presto in balia di tutt’altro tipo di sensazioni, fomentate dall’eccitazione del suo compagno che ben cominciava a percepire sotto di sé. Si strinse a lui maggiormente e avvicinò ancora una volta il viso al suo, andando a racchiudere con la bocca il labbro superiore di lui, a pulire via i rimasugli di crema che ancora lo sporcavano. «Andiamo… »



Ciao a tutti!
Io non so se ve l'aspettavate o se sia stata una grande sorpresa ma, dopo più di un anno, questa storia è finita!
Probabilmente ho un abbonamento con il non poter andare oltre ai dieci capitoli di una long (prologo compreso, in questo caso) ma questo progetto, in realtà, è il più grande che abbia portato a termine sino ad ora perché, come avrete notato, i capitoli sono più corposi delle storie precedenti.
Forse certi aspetti avrebbero potuto essere approfonditi ma, tutto sommato, sono contenta del risultato finale poiché il tempo e le energie sono quello che sono ç_ç  Spero che questo ultimo capitolo, così come la storia intera, abbia soddisfatto anche voi!
Nonostante tutto ho voluto dare una conclusione, o meglio, un nuovo inizio per tutti i personaggi che hanno preso parte in questa storia.
Robert, il nostro Robin, pare aver ritrovato la voglia di andare avanti dopo la perdita della sua Marian.
Punzie ha incrociato nuovamente il suo cammino con un certo affascinante ladro... secondo voi ci andrà a quel ristorante? Io dico di sì ù_ù
Jane e John stanno cominciando la loro storia d'amore e io non posso che essere felice per questo (spero anche voi) e, dato che non potevo farli sfrecciare fra le liane, ho pensato che il parasailing potesse essere un degno sostituto XD
E via, un momento Kristanna, dolce e piccante al tempo stesso, ci stava bene.
Ma veniamo ad una delle parti più succose del capitolo: Pitch! Ebbene sì, era lui il grande burattinaio dietro alle azioni di Frollo ma si può dire che non collaborassero affatto e fosse tutto un suo piano per vendicarsi anche di lui. Tuttavia, qui, Pitch non è il gran cattivone canonico del film delle Cinque Leggende ma rimane un personaggio grigio, almeno per adesso, e con una certa condotta... vi aspettavate che sarebbe stato lui a salvare Elsa dalle grinfie del perfido Weselton? Perché sì, l'affabilità del caro giudice non era che tutta una maschera - come avevate sospettato in molti - e c'era proprio lui dietro alla morte di Agnar e Iduna, assieme alla sua sete di potere.
E, poi, che dire: finalmente - e dico - finalmente (!!!) abbiamo avuto la svolta Jelsosa perché, sì, Jack in gioventù avrà anche tradito (più o meno volontariamente) Elsa, ma lei aveva già deciso di lasciarlo andare per paura di soffrire perché, lo sappiamo, la nostra Elsa non è solo la regina dei ghiacci ma anche quella dei muri: alti e belli spessi. Chi avrebbe voluto dare una testata a Kristoff per averli interrotti, alzi la mano! Ma direi che, poi, hanno abbondantemente recuperato (e ancora lo faranno, capite a me).
Spendo ancora qualche parola sul titolo perché ne sono molto orgogliosa (mi crogiolo con poco, che vi devo di'): Cold Case, non si riferisce solo al caso dei genitori di Elsa ma anche a quello di Marian, dei signori Greystoke, del figlio di Kala e la vendetta di Pitch che, ognuno a modo suo, ha trovato la sua conclusione. Inoltre, il concetto comprende anche la crisi sentimentale di Jack ed Elsa che si protrae dall'alba dei tempi ed il fatto che siano entrambi decisamente cold nel loro canon (ma anche molto hot). Se ve lo chiedevate è così che funziona la mia testa, spero non cambierete opinione su di me per questo ù_ù
Come sempre, più e più riferimenti Disneyani sono presenti fra queste righe e alcuni spunti della terza serie di Body of Proof sono facilmente riconoscibili, altrimenti non sarebbe stata una BodyOfProof!AU ;)
Insomma, sarà meglio chiudere qui perché ho già scritto anche troppo. Perciò: grazie, grazie davvero per avermi accompagnato fino a qui! Il vostro supporto è stato fondamentale per arrivare in fondo e spero davvero di non avervi deluso!
Un abbraccio a tutti e alla prossima storia. ♥
Cida

  
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