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Autore: AlbAM    09/07/2023    11 recensioni
Alba e Azaele finalmente si sono ritrovati e la loro storia sembra filare a gonfie vele. Ma la vita non è mai semplice e i problemi sono sempre dietro l'angolo, soprattutto se il protagonista è un diavolo innamorato e talmente sbadato da rischiare di provocare una nuova "Grande Guerra" tra Inferno e Paradiso. Ma che diavolo avrà combinato stavolta Azaele?
La scombinata banda di Demoni e Angeli di Un diavolo a Roma è tornata più in forma e incasinata che mai!
Genere: Azione, Commedia, Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Universo Aza&Miky'
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Capitolo 21

Antichi rancori


Zamesh finì di leggere l'ultimo aggiornamento normativo infernale, sbuffò, spense il portatile e si alzò dalla poltroncina in pelle non meglio identificata (e sulla quale nessuno osava fare domande) del suo ufficio di Responsabile dell'Ottavo Girone. Si avvicinò allo specchio che occupava l'intero sportello di una delle librerie in pregiato ciliegio del Giardino dell'Eden e grugnì soddisfatto alla sua immagine riflessa. Era bello, nonostante la cicatrice lasciata molti millenni prima da un'artigliata di Akenet. Aveva un viso ovale e delicato, folti ricci castani e due grandi occhi color miele che gli davano un aspetto dolce, se non si faceva caso allo sguardo freddo e duro.

Zamesh era crudele, terribilmente crudele, ma non da sempre, lo era diventato quando era iniziata la Grande Guerra e aveva scoperto che torturare e uccidere i suoi "fratelli" gli dava piacere, a differenza di Akenet, che faceva tanto il duro ma non era neanche capace di carbonizzare a morte i suoi sottoposti. Finiva sempre per risanarli perché in fondo non era che un debole.

Passò una mano sulla cicatrice. Anche quella non era altro che la dimostrazione della debolezza del suo avversario millenario.

Emise un ringhio sommesso, quel vigliacco non si meritava di comandare il Nono Girone. Non era abbastanza duro. Certo, era stato il guerriero più forte e quello che aveva ottenuto più vittorie, ma lui aveva ottenuto poche vittorie in meno ed era molto più crudele. Meritava molto di più il trono del Nono Girone.

Una rabbia fredda pervase Zamesh che non tollerava più di essere sempre un passo indietro ad Akenet.

Questa volta avrebbe dimostrato a Lucifero chi dei due aveva realmente la stoffa per essere il suo secondo in comando, avrebbe ottenuto il trono del Nono Girone e mostrato come si comportava un vero Responsabile infernale! La festa sarebbe finita e anche dal Nono Girone si sarebbero innalzati urla e lamenti disperati, come era giusto che fosse!

«Signore!» Lo chiamò Aluaryel rimanendo rispettosamente ferma sulla porta dell'ufficio.

Zamesh si girò, la demone era accompagnata dell'umano di nome Eymerich.

«Ho portato il dannato come da lei richiesto».

Zamesh osservò l'inquisitore; era piuttosto mal ridotto: il suo corpo era ricoperto di piaghe.

L'Arcidiavolo chiuse il pugno destro e lo riaprì di scatto. Le piaghe sul corpo del dannato sparirono. Non l'aveva fatto per pietà, ma per utilità, il dannato gli serviva ancora, era intelligente per essere un umano e crudele quanto bastava per poterlo considerare un servitore fidato. Era stato proprio lui a intuire dove avrebbero potuto trovare la compagna di Azaele dopo l'improvvisa sparizione da Roma. «Ritengo che questa storia si chiuderà dove è iniziata, li cercherei nelle campagne tra Mentana e Monterotondo». Aveva suggerito con estrema sicurezza.

E aveva avuto ragione, c'erano voluti solo due giorni perché le spie di Zamesh individuassero la fattoria dove si erano nascosti Azaele e i suoi alleati. L'arcidiavolo aveva atteso che Gabriel e Safet fossero lontani e poi aveva ordinato a Eymerich di attaccare. Ma evidentemente qualcosa era andato storto.

«Chi ti ha ridotto in questo stato?» domandò seccato..

«Quel traditore di Akenet!» rispose l'umano stizzosamente.

Gli occhi di Zamesh si infiammarono di rabbia, ancora una volta Akenet si era intromesso tra lui e il suoi obiettivi.

Ma sarebbe stata l'ultima. Ormai era arrivato il momento di scoprire chi meritava davvero il comando del Nono Girone, e non aveva dubbi a riguardo.


#


Akenet era steso sul letto, malgrado la ferita alla spalla gli facesse ancora male, stava molto meglio. L'umore invece non era dei migliori, il che era comprensibile visto che grazie all'intervento di suo zio Gabriel era caduto prigioniero di una banda di eroi sgangherati. Si liberò dalle coperte scalciando innervosito al ricordo di come l'Arcangelo l'aveva messo al tappeto.

Qualcuno bussò alla porta; allungò la mano verso i pantaloni buttati su una sedia accanto al letto ma sentì immediatamente una dolorosa fitta alla spalla.

«Fanculo, pensò, «Vuol dire che chiunque sia mi vedrà in mutande!»

«Avanti!» ruggì sdraiandosi di nuovo.

La porta si aprì e entrò Gabriel, il che mise ulteriormente di malumore l'Arcidiavolo che si aspettava di vedere Palletta.

«Cosa vuoi?» domandò sgarbatamente.

Gabriel non se la prese, non si aspettava che il nipote lo accogliesse diversamente.

«Volevo sapere come stavi» rispose calmo.

«E poi?» Ringhiò l'Arcidavolo.

«E poi, cosa?» domandò Gabriel.

«Non trattarmi da idiota, zio!» Ringhiò Akenet sedendosi sul bordo del letto.

Gabriel sospirò, stava per rispondere ma il nipote lo anticipò. «Comunque la risposta è no. Scordatelo, non ho intenzione né di aiutarvi, né di rinunciare a prendermi il figlio di Azaele».

Gabriel sospirò di nuovo, Kenni era sempre stato molto sveglio. «È una bambina»

Akenet ebbe un attimo di incertezza da cui si riprese subito. «E quindi? È anche meglio, le ragazzine sono molto più sveglie dei maschietti».

«Kenni, vuoi davvero fare una cosa del genere a tuo cugino?»

L'Arcidiavolo sorrise crudelmente. «Sopravviverà come sono sopravissuto io»

Gabriel lo guardò severamente. «Iliadel non era tua figlia! E nemmeno tua sorella, anche se la consideravi come tale»

Akenet si alzò in piedi di scatto e per quanto l'essere in mutande gli togliesse un po' di autorevolezza, riuscì a far arretrare leggermente lo zio. «Oh, quindi siccome non eravamo consanguinei, non avrei dovuto soffrire come un cane quando me l'avete portata via? Io volevo bene a quei mocciosi. Prima me li avete affidati e poi me li avete portati via. Tutti, anche Iliadel. Lei piangeva disperata quando il suo tutore se l'è presa, ma a quegli stronzi dei suoi genitori non è importato nulla né dei miei sentimenti né dei sentimenti della piccola! A nessuno di voi è importato nulla del dolore dei vostri figli, vi siete comportati come dei pezzi merda…»

Gabriel impallidì, non poteva dar torto a suo nipote, in fondo, anche se in modo un filo più diplomatico, anche lui aveva espresso il medesimo pensiero ai suoi fratelli.

«Abbiamo commesso un grave errore, non posso darti torto, ma…»

Akenet lo interruppe furioso. «Il vostro “errore” ci ha fatto finire tutti all'Inferno e mentre noi siamo stati puniti per aver sbagliato, voi siete ancora tutti lì!»

«Non siete finiti tutti all'Inferno» puntualizzò lo zio.

«Oh, scusami tanto se avevo dimenticato Yliel “la perfettina”, quella che vi ha dato tanta soddisfazione mollando il suo ragazzo da un giorno all'altro per diventare un Arcangelo, e tutti quelli di noi che si sono risparmiati la condanna eterna crepando nella Grande Guerra o sparendo nel nulla come Iliadel!»

«Anche noi Arcangeli abbiamo avuto la nostra parte di dolore!»

«Ma non siete stati gettati all'Inferno dal Padre o, peggio ancora, da vostra madre, come è successo a me! É colpa sua se i miei occhi sono così!» ruggì Akenet indicando rabbiosamente gli occhi completamente neri.

«Sei ingiusto, Kenni, sai bene che tutti i ribelli che hanno cercato di opporsi alla loro caduta sono stati inceneriti e che Medeaiel ti ha salvato la vita!»

«È stata una loro scelta e almeno si sono evitati la vita di merda che tutti noi stiamo conducendo da millenni! Lei mi ha tradito due volte, zio. La prima quando mi ha abbandonato che ero solo un ragazzino e la seconda facendomi precipitare all'Inferno dopo aver finto di tendermi la mano per aiutarmi!»

Gabriel si avvicinò a suo nipote e fissandolo negli occhi gli domandò «Quindi per vendicarti degli errori di noi padri e madri vuoi distruggere la famiglia di Azaele e causargli un ulteriore dolore oltre a quelli che ha già dovuto patire?»

«Stai parlando di lui o di te?» Rispose Akenet con un sorriso cattivo e gli occhi rossi.

L'Arcangelo impallidì leggermente e suo nipote lo incalzò. «Fammi capire, zio. Per quale motivo dopo millenni di completo disinteresse, di punto bianco ti importa di tuo figlio? Hai davvero tanta paura che la nostra schiera possa vendicarsi dei torti subiti?»

«Che mi sia disinteressato di Azaele è solo una tua convinzione e per quanto riguarda il mito dell'Alfiere del male, sappi che non credo affatto in quella stronzata e sono certo che non ci creda neanche tu, sei troppo intelligente!» ribatté Gabriel.

Akenet andò a recuperare i vestiti, se li infilò nervosamente e si voltò di nuovo verso suo zio emettendo un gemito di dolore nel chiudersi la cerniera dei pantaloni.

«Quindi vuoi farmi credere che hai deciso di intervenire perché tieni al cuginetto? Non sarà piuttosto che hai deciso che era arrivato il momento di lavarti la coscienza?»

Gabriel si irrigidì ma mantenne la calma. «Attento Kenni, ti voglio bene, ma la mia capacità di perdonare le tue offese ha un limite, e per quanto riguarda la mia coscienza, non ho nulla da rimproverarmi, io ho votato contro quella decisione».

Akenet si avvicinò allo zio. Scintille di fuoco stavano cominciando a zampillargli dall'aureola spezzata e dalle mani rivelando che stava faticando a tenere la rabbia sotto controllo. «Oh, sei davvero convinto che aver “votato contro” basti a scaricarti dalle tue responsabilità? Dimmi zio, cosa hai fatto di realmente concreto per evitare che la tua compagna e tuo figlio soffrissero?» domandò con cattiveria.

«Ho fatto tutto ciò che ho potuto!» rispose Gabriel con una calma che se Akenet non fosse stato sopraffatto dalla rabbia, avrebbe interpretato come il segno che stava per oltrepassare il limite.

«Bé, non è stato abbastanza! È colpa della tua mancanza di palle se zia Galadriel è morta!»

Quell'accusa tanto crudele quanto ingiusta fece perdere definitivamente la pazienza all'Arcangelo. «Ho ascoltato abbastanza stupidaggini, moccioso. Non ti permetto di scaricare su di me la responsabilità della morte di Galadriel. Ti sei scordato che gli angeli che hanno ucciso tua zia erano sotto il tuo comando?»

Akenet vide l'aureola di Gabriel illuminarsi, le sue grandi ali bianche aprirsi e emettere lampi azzurrini mentre una luce bianca e celestiale cominciava a sprigionarsi dal suo corpo.

«DIMMI AKENET, COSA HAI FATTO TU, PIUTTOSTO, PER EVITARE CHE LA CIRCONDASSERO IN VENTI E LA COLPISSERO A MORTE?» Tuonò l'Arcangelo nell'antico verbo, posando una mano sull'elsa della sua spada e facendo un passo avanti.

Akenet si rese conto di aver esagerato. Parzialmente accecato dalla luce celestiale emessa dallo zio, arretrò di un passo e istintivamente circondò il suo corpo di fiamme infernali.

L'Arcangelo sbatté le grandi ali dai riflessi azzurrini provocando uno spostamento d'aria che spinse l'Arcidiavolo contro il muro, quindi sguainò la spada angelica e la puntò contro il cuore di Akenet che, conscio di trovarsi per la seconda volta in una posizione di debolezza rispetto allo zio, spense le fiamme infernali.

«Hai perso la tua baldanza, Arcidiavolo?» domandò sarcastico l'Arcangelo.

Akenet si limitò a indicare con un cenno del viso la spalla sinistra che aveva ricominciato a sanguinare. Era sudato fradicio per lo sforzo che gli stava costando mantenere il controllo per evitare di reagire all'attacco dello zio e per il dolore dovuto alla riapertura della ferita.

La vista del sangue che colava sul braccio del demone calmò Gabriel che rinfoderò la spada e riacquistò il suo aspetto umano.

«Quando questa storia sarà finita potrai tornartene all'Inferno. Nel frattempo, sarai mio prigioniero. Ti sconsiglio di tentare la fuga, questa stanza è stata preparata per essere la tua prigione per cui non faresti una bella fine. E non preoccuparti, comunque vada questa storia, non vedrai più la mia faccia!»

Qualcuno bussò alla porta. Gabriel indietreggiò senza perdere di vista il nipote che lo osservava con un'espressione indecifrabile.

L'Arcangelo aprì la porta solo il tanto da permettere a Renzo Galletti di affacciarsi sulla stanza. L'uomo appariva piuttosto turbato.

«Suo figlio e gli altri sono tornati. Forse è meglio che venga di là, il suo amico Safet non sta molto bene»

Gabriel scambiò un ultimo sguardo con Akenet e poi uscì senza aggiungere una parola.

L'arcidiavolo aspettò che Gabriel chiudesse la porta dietro di sé poi si avvicinò alla porta finestra che dava sul giardino. Gli bastò un'occhiata per constatare che un incantesimo impediva di aprirla. Lo zio non aveva bluffato.

Improvvisamente gli sembrò di cogliere un movimento all'esterno. Guardò verso il giardino e vide un ragazzino dai lunghi capelli neri e mossi, gli occhi color pervinca e due ali candide.

Sorpreso, si chiese cosa ci facesse lì fuori.

Il ragazzino sorrise e volò ad abbracciare una coppia di Arcangeli: Gabriel e Galadriel. Lei era bellissima, aveva lunghi capelli neri e ricci, gli occhi nerissimi e il sorriso allegro ereditato da Azaele.

Akenet si avvicinò ai vetri esterrefatto e di colpo sparirono tutti e tre. Sospirò tristemente, ciò che aveva appena visto non era che l'immagine di un ricordo lontano.

Abbassò il capo mortificato. Si era appena reso conto di aver parlato in quel modo con suo zio solo per il gusto di farlo soffrire quando in realtà avrebbe dovuto dirgli molte altre cose.

Avrebbe dovuto dirgli, per esempio, che non pensava affatto quello che aveva detto poco prima e che sapeva benissimo che la zia era morta per colpa di un gruppo di suoi subordinati aizzati da Zamesh.

Avrebbe dovuto dirgli che anche lui era arrivato troppo tardi e che dall'alto lo aveva visto piangere per la sua compagna ferita a morte.

Avrebbe dovuto dirgli che lo aveva protetto da Zamesh per permettergli di stringere tra le braccia Galadriel e darle l'ultimo saluto e che quel vigliacco portava ancora i segni dei suoi artigli sul viso.

Avrebbe dovuto dirgli che non era riuscito a piangere la morte della zia, perché dopo essersi concesso un ultimo pianto di fronte ad Atriel, molti millenni prima, aveva deciso che dai suoi occhi non sarebbe più uscita nemmeno una lacrima e che a causa di quella decisione aveva finito perfino per dimenticarsi come si fa a piangere.

Avrebbe dovuto dirgli, infine, che se c'era qualcuno a cui voleva ancora un po' di bene, tra tutti gli Arcangeli, era proprio lui, Gabriel.

Ma non l'aveva fatto, non aveva detto nulla di tutto ciò, perché era un Arcidiavolo e doveva difendere il suo stupido, inutile orgoglio.


#


Gabriel entrò nella sala in cui Safet riposava steso su un divano. Un'occhiata tra lui e Razel gli fece capire che la situazione era molto grave. Almeno erano tornati anche Azaele, Michele e Yetunde; con loro c'era una giovane demone che Gabriel aveva l'impressione di conoscere e che non sembrava ostile, al contrario appariva molto preoccupata per Safet.

Aurora era seduta sul divano, era bianca in viso e stava trattenendo a stento le lacrime mentre carezzava delicatamente la fronte pallida e madida di sudore di Safet. Gabriel si avvicinò al suo vecchio amico e notò che era sporco di sangue, la sua pelle era bianca come quella di un cadavere e ricoperta di venature nere dall'aspetto orribile.

Alba e Elena erano chine sul demone per cercare di capire l'origine del male che lo stava uccidendo.

«Ci avete capito qualcosa ragazze? Pensate di poterlo aiutare?» Domandò Razel cupo.

Elena scosse la testa. «Qualcosa di orribile e demoniaco lo sta divorando da dentro Razel, ma chiunque gli abbia messo in corpo questa mostruosità è troppo forte per me. Alba purtroppo è ancora troppo inesperta per intervenire e non abbiamo abbastanza tempo per fare dei tentativi a vuoto che potrebbero farlo soffrire ancora più di quanto non stia già soffrendo. Temo che non ci sia modo di salvarlo!»

Gabriel, diede un pugno contro il muro, sfondando la parete. Poi scivolò sulle ginocchia.

Azaele corse da lui e lo abbracciò, senza parlare.

«È sicuramente opera di Zamesh, il professore mi ha detto che è stato lui a torturarlo» disse Atriel, in lacrime come tutti gli altri.

Adel e Kafresh, che fino a quel momento si erano limitati a osservare la scena in silenzio, si scambiarono uno sguardo d'intesa.

La piccola demone uscì silenziosamente dalla stanza, corse verso la camera dove era tenuto prigioniero Akenet e entrò senza neanche bussare.

«Come hai fatto ad aprire la porta?» Le domandò l'Arcidiavolo, era ancora accanto alla porta finestra e la stava osservando stupito.

Lei lo guardò esitante.

«Perché stai piangendo, che ti succede?» Domandò ancora Akenet notando gli occhi rossi e il viso bagnato di Adel.

«Safet sta morendo Signore. Crediamo che Zamesh gli abbia messo dentro qualcosa che lo sta divorando».

«E perché sei venuta a dirlo a me?» domandò lui freddamente.

«La prego, lo aiuti!».

«Che c'entra Zamesh?» domandò ancora l'Arcidiavolo girando intorno al letto e fermandosi di fronte ad Adel.

«Safet ha detto ad Atriel che si è alleato con Zoel e Krastet. È stato lui a ordinare di catturarlo e poi lo ha torturato personalmente per ore. La prego Signore, non abbiamo molto tempo!»

Akenet rifletté sulla richiesta di Adel. Safet, era uno dei pochi demoni che stimava e verso cui provava della simpatia, oltre a questo odiava Zamesh, sia per quello che aveva fatto a Galadriel, sia perché sapeva molto bene che pur non avendo né le sue qualità di leader né la sua forza, aspirava ad ottenere il comando del Nono Girone. Non ci voleva molto a capire che l'alleanza con Krastet e Zoel era l'ennesimo tentativo di usurpargli il trono.

«E va bene. Portami da Safet» le disse al termine di quelle riflessioni. «Poi dovrai anche spiegarmi come mai tu puoi girare dove ti pare e io no» aggiunse freddamente.

Adel fece cenno di si e poi gli fece strada fino alla sala dove riposava Safet. All'Arcidiavolo si presentò una scena abbastanza inusuale: demoni, angeli e umani erano tutti silenziosi e in lacrime intorno a Safet. Indubbiamente, pensò Akenet, il supervisore sa farsi voler bene.

Gabriel vedendolo entrare si era alzato in piedi stupito e pronto a combattere, ma Akenet allargò le braccia in segno di pace. «Sono qui per il vecchio, non ti agitare!»

«Pensi di poterlo aiutare?» Domandò Azaele speranzoso. Akenet notò la somiglianza tra lui e Gabriel e non poté fare a meno di sogghignare, si strinse nelle spalle e rispose. «Chi pensi sia più forte tra me e quella mezza sega di Zamesh, cuginetto?»

«Allora, ti prego, aiutalo prima che sia troppo tardi!» Intervenne Aurora.

Akenet si voltò verso di lei e la osservò perplesso. «Quindi saresti tu la compagna umana di Safet? È meglio che esca da qui, non sarà un bello spettacolo»

«Non ho alcuna intenzione di abbandonarlo in un momento simile!» Replicò lei decisa.

«Ottimo, mi mancava proprio di avere intorno un'umana che strilla isterica mentre cerco di concentrami!» commentò lui.

«Immagino che ti abbiano già detto che possiedi gli stessi modi cortesi di un troll?» ribatté lei passandosi una mano sul viso per asciugare le lacrime.

Una luce divertita brillò negli occhi di Akenet. «No. Chissà perché, la gente tende a evitare di dirmi cose che potrebbero irritarmi» rispose avvicinandosi al divano.

Ad Aurora sfuggì un piccolo sorriso mentre si alzava per fargli spazio.

L'Arcidiavolo si sedette al suo posto e diede uno schiaffetto a Safet che aprì gli occhi e disse debolmente. «Sarei stato torturato abbastanza per oggi, Signore. Se non le dispiace eviterei di essere anche carbonizzato!»

L'Arcidiavolo sorrise, una delle caratteristiche che apprezzava di più del Supervisore era che non perdeva mai il suo senso dell'umorismo, nemmeno nelle situazioni più difficili. «Non ho intenzione di carbonizzarti vecchio. Ora ti tiro fuori la porcheria che ti sta divorando, ma ti avverto che ti farà molto, molto male. Sei pronto?»

«No!» rispose Safet. «Ma va bene lo stesso, proceda pure».

Akenet ne osservò il corpo martoriato per qualche istante, poi le dita della sua mano sinistra si trasformarono in cinque artigli neri e acuminati, gli salì in grembo e poggiò la mano destra sul suo petto, infine si concentrò per non pensare al dolore alla spalla e gli affondò gli artigli nello stomaco.

Safet iniziò a urlare e tentare di contorcersi ma l'arcidiavolo gli bloccava i movimenti tenendolo stretto tra le ginocchia e schiacciandolo contro i cuscini mentre gli rigirava gli artigli nello stomaco. Fiotti di sangue nero schizzarono da tutte le parti, ma Akenet continuò a frugargli dentro senza badarci. Improvvisamente sul suo volto comparve un ghigno soddisfatto, si bloccò per un istante e infine cominciò a ritirare lentamente gli artigli dallo stomaco di Safet trascinando fuori un'orripilante creatura nera dotata di tentacoli ricoperti di ventose piene di aculei. La creatura si contorceva nel tentativo inutile di liberarsi dalla sua stretta emettendo versi striduli e sprizzando scintille infuocate.

Quando finalmente Akenet riuscì a estrarla del tutto dal corpo di Safet, la incenerì con una fiammata.

Safet, mormorò un debole «Grazie!» e perse i sensi. Aurora fece per avvicinarsi, ma l'Arcidiavolo le fece cenno di aspettare. Poggiò una mano sulla ferita aperta, la massaggiò per qualche istante e quando fu sicuro di aver riparato il macello interno, la richiuse.

«Adesso puoi avvicinarti» disse lasciandole il posto al fianco del supervisore. La professoressa, che non aveva emesso una sillaba per tutto il tempo che aveva visto il suo compagno urlare e contorcersi, strinse la mano di Akenet tra le sue in segno di ringraziamento e si chinò ad abbracciare Safet.

Akenet si avvicinò a Gabriel e facendo un cenno verso Aurora commentò. «È in gamba l'umana di Safet!»

«Lo so!» rispose laconicamente l'Arcangelo. Zio e nipote si guardarono imbarazzati.

«Mi dispiace che la tua ferita si sia riaperta» disse Gabriel. «Prima ho esagerato, scusa!»

L'Arcidiavolo fece spallucce e guardò lo zio dritto negli occhi «Ho ripensato alla tua proposta e ho deciso che vi darò una mano a combattere quei quattro sfigati che vogliono rapire la piccoletta»

«Davvero?» domandò stupito Gabriel.

«Si, ma sia chiaro che dopo che li avremo fatti a pezzi sarà Tana libera tutti»

«Cosa intendi?» Domandò Gabriel.

«Lo sai cosa intendo!» Rispose Akenet.

Gabriel esitò.

«Per me va bene. Tana libera tutti e poi si vedrà!» Rispose debolmente Safet dal divano.

Gabriel porse la mano al nipote che la strinse e poi si diresse fuori dal salone. Mentre usciva lanciò uno sguardo ad Atriel per invitarla a seguirlo e fece un cenno di saluto a Safet e Aurora. La Professoressa gli sorrise e non poté fare a meno di pensare che Akenet, con quel suo passo lento e sicuro di sé e quei modi bruschi ma leali, le ricordava un leone della savana africana.

Adel osservò Atriel e Akenet uscire insieme dalla sala. L'Arcidiavolo non l'aveva più degnata di uno sguardo da quando erano usciti dalla sua camera. Molto probabilmente non si fidava più di lei e comunque era abbastanza ovvio che preferisse la compagnia di Atriel alla sua.

Sospirò e cercò di trattenere le lacrime. Kafresh se ne accorse, le circondò le spalle con un braccio e le sussurrò. «Non piangere, ricordati che tu sei la sua Palletta!»

«Cosa vuoi dire?» domandò lei un po' imbarazzata.

«Ma, davvero non l'hai capito?» ridacchiò lui scompigliandole i capelli affettuosamente.

«Ehem, buonasera, voi chi sareste?» domandò Renzo Galletti dietro di loro.

Adel si voltò. Sulla soglia della sala vide Ariel e Eowynziel. Insieme a loro c'erano una guerriera dal seno più grande che Adel avesse mai visto, un'Arcangelo identica a Eowynziel ma dallo sguardo decisamente più sveglio e un angelo biondo dagli occhi azzurri e le labbra carnose con una chitarra elettrica appesa sulle spalle.

Razel sorrise. «Sò, arrivati i rinforzi, finalmente!»

Aveva appena finito di dirlo che anche un altro Arcangelo varcò la soglia della sala. Era una guerriera alta più di due metri, dagli occhi verde smeraldo e i capelli rosso scuro raccolti in una lunga treccia, una spada dall'elsa finemente decorata pendeva dal suo fianco destro.

Diede un'occhiata a Safet e commentò. «Tutto bene, marito?»

Nella sala calò un silenzio imbarazzato.





   
 
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