Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: berettha    10/07/2023    3 recensioni
BARTYLUS, Barty Crouch jr x Regulus Black.
||La vita di Regulus dai primi anni ad Hogwarts, sino alla presa del Marchio Nero ed oltre ancora.||
Dal testo: Portami a casa Sirius, cambiami i vestiti, sistemami i capelli dietro alle orecchie, fammi sentire il tuo tocco sulla pelle, asciugami i capelli e lascia che io posi la testa sulle tue gambe.
Raccontami di Hogwarts, di James Potter e di quella volta che avete volato sopra al Lago Nero: come era il vento? Lo sentivi tra i tuoi capelli? Ti faceva lacrimare gli occhi?
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bartemius Crouch junior, Evan Rosier, Famiglia Black, Regulus Black, Sirius Black
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Tw. Sesso -sì, di nuovo-, suicidio, derealizzazione, braccia rotte e sangue. 
E grazie a Silvia e ad Eddie per avermi supportato per la scrittura di questo capitolo. 
Vi voglio bene. <3


Barty, Per il ragazzo di Glasgow.


L'estate se la dividevano tra casa Crouch, quando il padre di Barty era impegnato al Ministero, e casa Rosier, nel piccolo campo da Quidditch di fianco alla proprietà.
Casa Crouch era un tripudio di musica anni sessanta, Rosa approffitava dell'assenza del marito per salire a piedi nudi sopra al letto matrimoniale, sporgersi per raggiungere la sommità dell'armadio a ponte che si trovava sopra esso per prendere il vecchio giradischi e i suoi vinili.
Evan portava i dischi, le braccia cariche che dolevano sotto tutto quel peso, mentre Barty galoppava dietro la madre tenendo il giradischi in equilibrio sulla testa, nonostante le raccomandazioni di quest'ultima -"Lo farai cadere! Per l'amore del cielo, Barty!"-.
Mina, Città vuota, Parole parole e Nessuno e Rosa cominciava a roteare con le braccia aperte per la cucina, seguita dal figlio e dai suoi improbabili passi di danza, mentre Evan si lasciava cadere sul pavimento, la pancia nuda contro le fresche mattonelle in cotto e leggeva il retro delle copertine, curiosava tra i testi e alzava la testa solo quando Rosa Crouch, sudata e con le stesse guance arrossate di Barty non lo chiamava per chiedergli se voleva un bicchiere di limonata. E certo che lo voleva, era assolutamente squisita.
Spesso gli lasciava portare a casa qualche disco, con la promessa di trattarli bene, anche se a casa lui il giradischi adatto non lo aveva e si accumolavano sulla sua libreria, di fianco a qualche vecchio tomo di Pozioni o il Dizionario Merfolk appartenuto al bisnonno.
I suoi genitori non avevano idea di cosa fossero e lo guardavano con aria stranita, mentre saliva le scale due a due, quasi a corsa, con qualche vinile nascosto sotto la maglietta.
A casa Rosier invece si spalmavano al sole come due lucertole, le spalle scottate e quasi sempre spellate, imparando a girare un J e diventando sempre -o almeno così credevano- più bravi, tiro dopo tiro, mentre le palpebre si facevano pesanti e gli occhi si arrossavano.
Evan triturava la mista tra le mani, una chiusa a coppa e l'altra che cercava di spezzettare ogni filamento, rigirandoselo tra le dita, mentre Barty era sempre l'incaricato al filtro che ricavava dai biglietti di King's Cross.
La sera scendevano in città, Barty sempre tremante nei suoi pantaloncini corti, perché si rifiutava ogni volta di portarsi la giacca a vento e allora era Evan che "Segaiolo del cazzo, prendi la mia, tanto mica c'ho così freddo."
"Nemmeno io ho freddo."
"Seh.".
La luce dei lampioni brillava sull'asfalto, spesso lucido di pioggia, dei vetri delle auto che i tifosi del Chelsea avevano spaccato dopo il derby, della birra che cadeva dalla bottiglia di Barty perché doveva tenersi la pancia con entrambi le mani per quanto rideva.
E rideva anche Evan, in bocca il sapore dell'alcol, delle canne del pomeriggio, lo stomaco che ogni tanto gorgogliava ricordandogli quanto noiosa era la chimica.(*)
Erano le estati, il suo periodo preferito. Certo, gli mancava Regulus, la libertà che sembrava concedergli Hogwarts, lontano dai suoi genitori, dalle assurde idee del padre di voler recuperare il prestigio della famiglia Rosier unendosi ad un suo vecchio compagno di scuola -come aveva detto che si chiamava? Riddle? Aveva sentito i suoi genitori parlarne, qualche mese prima, dopo cena. Li aveva lasciati discutere, ritirandosi piano piano in camera sua, senza farsi sentire-.
Ma nulla lo faceva sentire parte di qualcosa come sdraiarsi a letto, poggiare i piedi nudi sulla pancia di Barty che invece si stendeva dalla parte opposta, con le braccia a mo' di cuscino dietro la testa: parlare del più e del meno, ridere di come Xenophilius li aveva fregati per l'ennesima volta vendendoli un'erba che era più semi che altro, assopirsi durante le ore più calde della giornata, quando dalla finestra spalancata non sembrava entrare un filo d'aria.
Svegliarsi con le coperte leggere appiccicate alla pelle, la testa leggera.
"Ev?"
Barty gli stuzzicò il piede, obbligandolo ad aprire gli occhi. "Ev?" Chiese nuovamente, con una certa insistenza.
"Ma che vuoi?" Chiese l'altro, con la bocca impastata di sonno.
"Forza bello, apri quell'ombrello, son le nove…"(**)
"Ma vaffanculo."

Quando Evan Rosier morì, un banale venerdì di inizio gennaio, il sole era già tramontato da un pezzo.
Il giradischi era sopra l'armadio, nascosto dietro una scatola zeppa di fascicoli dall'Ufficio Auror, i limoni ancora sull'albero, ma piccoli e rinsecchiti per le gelate dei giorni precedenti.
Barty tirò su col naso, entrando in casa. Si sentiva le palpebre pesanti, gli occhi arrossati, per altre ragioni che nulla avevano a vedere con quelle delle estati passate assieme al suo migliore amico.
Papà scribacchiava seduto al tavolo della cucina, la cena intoccata e ormai fredda ancora davanti a lui.
Senza salutare mamma, che era invece rannicchiata sul divano a leggere una rivista di moda, filò subito in camera sua, chiudendosi la porta alle spalle.
L'aria era pesante, viziata, nessuno aveva pensato ad aprire le finestre dopo che lui e Regulus se n'erano andati.
Non si sedette sul letto, non si sedette né alla scrivania né tanto meno a terra. Il suo corpo gli sembrava ingombrante, non sapeva cosa farsene.
Dovunque si girasse, occupava troppo spazio. Era la camera ad essersi rimpicciolita o lui ad essersi gonfiato?
Ingombrante anche quel peso che si portava in gola, che provò a far uscire infilandosi due dita in gola.
Niente.
"Barty?" La voce della mamma arrivò attuita, da dietro la porta. Probabilmente era stata attirata dai suoi conati. "Tesoro, tutto bene? Posso entrare?"
Il ragazzo aprì la porta, il movimento del braccio estraneo alla sua mente. Ma cosa stava facendo?
"Cosa c'è che non va amore?"
Rosa lo guardava preoccupata, minuscola dentro alla vestaglia di pile cremisi. Non aveva detto niente, papà? Impossibile che lui non lo sapesse di Evan.
Impossibile che fosse stato capace di rimanere impassibile davanti alla morte del ragazzino che aveva alloggiato a casa sua decine e decine di volte, che aveva mangiato alla sua tavola, che aveva riaccompagnato a casa durante le vacanze di Natale, seppur sbuffando e lamentandosi.
Una nuova carica di odio iniziò a montargli nel petto, la bacchetta nella tasca dei suoi pantaloni sembrò bruciare dalla voglia che aveva di afferrarla.
Li odiava, li odiava tutti quanti. Si credeva i buoni, capito? Ma intanto era morto. Intanto, lo avevano assassinato.
"Perché sono così, mamma?" Mormorò invece.
"Così come, tesoro?"
Barty alzò le spalle, "Così." Sputò fuori.
Rosa rimase zitta qualche secondo, lo sguardo distante anni luce. "Sei perfetto amore mio."
Ti amo, ma non mi conosci.

La mattina dopo arrivò Alastor Moody in persona, una grossa benda sporca di sangue raffermo a nascondergli metà volto.
Barty lo aveva guardato discutere per una buona mezz'ora con suo padre, seduto al tavolo della cucina, prima che l'uomo lo degnasse di un saluto.
"Forse hai capito perché sono qua."
L'Auror gli si sedette davanti, trascinando una gamba. Sprofondò nella sedia con un suono che fece nauseare Barty.
"No." Rispose lui.
"Ieri un suo ex compagno di scuola, Rosier, è stata ucciso per aver resistito ad un arresto del Ministero. Stava tenendo un'imboscata con altri Mangiamorte. Ne sai qualcosa, Bart?"
Non chiamarmi in quel modo. "No. Non frequento più Hogwarts."
"Ma eri suo amico. Tu, Rosier e Black. Dicono foste un bel gruppetto."
"Sì."
"Anche la famiglia Black sembra essere immischiata con i Mangiamorte. Ne sai qualcosa?"
"Ho già detto che non frequento più Hogwarts. Non parlo con lui da anni." Poi alzò lo sguardo verso il padre, che in piedi dietro Malocchio Moody si mangiava nervoso le unghie di una mano. "Pà? Perché mi volete interrogare?"
"Non ti sto interrogando," Rispose al suo posto l'Auror, "Sto cercando di capire le prossime mosse dei Mangiamorte. Se eri amico di Rosier, fors-"
"Ma non sono suo amico."
Osservò Malocchio non riuscire a trattenere un sorriso, congiungere le mani di fronte a lui, sul tavolo di legno. "Crouch, mi va a prendere la giacca per favore? Rosa è stata così gentile da portarla nella stanza degli ospiti, mi pare. Ha ragione, suo figlio ha messo la testa a posto dopo Hogwarts. Un bravo ragazzo. Non ho più niente da chiedergli."
Aspettò che il padre lasciasse la stanza, sorridente e compiaciuto di come aveva cresciuto il figlio, di come bravo era stato a tirarlo fuori da quella brutta, brutta compagnia di Serpeverde, prima di lasciarsi cadere nuovamente sulla sedia, "Hai la faccia come il culo, Bart, o sei davvero il caro figlio di papà che tutti pensano?"
Fu il turno di Barty a non riuscire a trattenere il sorriso che iniziava a nascergli sulle labbra, "Sono un bravo ragazzo." T'ammazzo. T'ammazzo come hai ammazzato Ev.
"Voglio crederci."
"Lo faccia, signor Moody."
Dall'altra stanza si sentiva la madre canticchiare, mentre rassettava il bagno. I passi del padre si stavano allontanando, lungo il corridoio.
"Cosa nascondi sotto quell'adorabile maglioncino di lana, Bart?" Allungò una mano, non prima di prendere la bacchetta dal fodero, sul suo fianco dentro. La punta di essa vagò la dove si trovava il suo ombelico, nascosto dalla trama colorata del tessuto, ghirigori azzurri, marroni e gialli, per poi posarsi sull'avambraccio. "Qualche tatuaggio interessante?"
Barty si alzò dalla sedia, facendola stridere contro il pavimento, "Vuole vedere?" Si sollevò un lembo del maglione, scoprendo il ventre. "E' per questo che è qui realmente?" Sorrise, mordendosi il labbro inferiore, gustandosi la confusione sul volto dell'uomo, le sue labbra farsi sottili e le pupille dilatarsi.
"Vuole vedere se ho veramente la faccia come il culo?" Aggiunse poi, in un sussurro rabbioso, le parole che uscivano come veleno dalla sua bocca. "Ho ricevuto complimenti per entrambi, di recente."
"Barty?!"
Suo padre era in piedi alla fine del corridoio, che reggeva la giacca dell'Auror stritolandola tra le mani, le nocche quasi bianche.
"Stavamo parlando del maglioncino, Crouch. L'ha fatto sua moglie? Le scoccerebbe chiederle qualcosa anche per me? Una sciarpa di lana, magari." Alastor parlò senza staccare gli occhi di dosso dal ragazzo, che se li sentiva bruciare sul petto, assieme al fastidio, alla rabbia e all'odio che covava dal giorno prima. T'ammazzo, continuava a ripetersi. Prima o poi t'ammazzo.
"No, lo ha fatto mia sorella." Qualche secondo di silenzio, "La zia di Barty." Aggiunse poi, come se non fosse già abbastanza chiaro.
Inetto.
"Ah! Ma pensa! Le faccia i complimenti da parte mia, allora. E grazie per la giacca, queste gambe non lavorano più come dovrebbero. Ci vediamo a lavoro, eh?"

Barty si tolse il maglione in bagno, gettandolo nel cesto della biancheria sporca.
Non pensava che l'avrebbe mai più indossato, dopo quella volta.
Aveva giusto il tempo per una doccia veloce, prima di infilarsi qualcosa di elegante per Smaterializzarsi a Grimmauld Place, da Regulus. Il funerale di Evan si sarebbe tenuto tra qualche ora, a Glasgow. Non potevano ritardare.
Il suo sguardo fu catturato però dallo specchio, il riflesso del bagno coperto da un volto che sembrava non riconoscere, che lo guardava in mezzo alle piccole macchie di dentifricio sulla sua superficie, che si muoveva esattamente come lui, che socchiudeva gli occhi quando lo faceva lui.
Il suo corpo non era il suo corpo, il suo volto era quello di un estraneo e forse aveva voglia di piangere, forse no.
Solo la rabbia, quella sì che sapeva riconoscerla come sua.
Tutta da lui, proveniva.
Un bel mucchio di fili aggrovigliati, incadescenti come la lava, che bruciavano nel suo stomaco, acido che liquefaceva i suoi organi, un po' alla volta.
Di nuovo, forse aveva semplicemente voglia di piangere. Si chiese se non avesse bisogno di Regulus, per quello.
Lasciarsi andare era molto più facile, al suo fianco.
Da quando si era scoperto davanti ad Alastor, qualche istante prima, qualcosa sotto l'elastico delle mutande non aveva ancora smesso di pulsare. Quasi faceva male, a quel punto.
La sua mano scivolò fin lì, pensando che molto probabilmente gli avrebbe fatto bene concedersi qualche minuto per sé.
Avrebbe cercato di piangere più tardi.

 

 

La Guerra, capitolo diciannove.
Per il ragazzo di Doncaster.

A qualche chilometro di distanza, nella fumosa e gelata Londra, Regulus si chiudeva anch'esso in bagno, mentre l'acqua iniziava a riempire la vasca.
Si tolse la camicia, gettandola lontano sul pavimento in marmo, e abbassò lo sguardo sul proprio corpo: una fitta costellazione di cicatrici, quali più grandi, quali più piccole, attorno ai suoi fianchi, sul suo petto, nascoste tra le costole.
Le sfiorò con la punta delle dita, le mani pallide che tremavano.
Si soffermò poi su quella che aveva sul braccio, gonfia di inchiostro; si muoveva piano sulla superficie della sua pelle, come fosse viva: pulsava di morte, di orrore.
Regulus si disgustava.
Il suo occhio venne attirato dalla lama che usava per radersi, che sembrava quasi brillare di luce propria, sopra il lavabo.
Un oggetto tanto comune quanto affascinante.
Regulus sapeva che sarebbe bastato allungare la mano, un taglio deciso, per togliersi dalla pelle il ricordo costante delle vite che aveva preso, maledetto, distrutto.
E di quelle che aveva perso.
Forse era semplicemente la sua punizione per non aver seguito Sirius, anni prima. Per aver invece seguito il sentiero che la madre aveva con tanta cura segnato per lui anziché avere il coraggio di gettarsi a capofitto nella foresta come aveva fatto il fratello.
Più pensava ad Evan e più il senso di colpa che portava nel petto sembrava farsi più pesante. Invadeva il suo petto, lo affondava e immaginava ci fosse solo un modo per alleggerire il carino, per trovare un po' di pace.
E se fosse stato coraggioso lo avrebbe già fatto, lo sapeva.
Il Marchio sembrò sorridergli, beffardo. Se fosse stato meno codardo, meno spaventato, meno piccolo, stupido, atterrito…
"Signorino Regulus?" La voce stridula di Kreacher arrivò dall'altra parte della porta, attuita dal legno che li separava. "Il Signorino Barty Crouch è qui, ha mandato Kreacher a chiamare Padron Regulus."
"Fallo aspettare nella mia camera. Venti minuti e arrivo, grazie Kreacher."
Si immaginò l'elfo prostrarsi sul pavimento, prima di Materializzarsi da Barty. 
✧.·:¨༺ ༻¨:·.✧*̥˚
Il funerale di Evan Rosier si tenne il pomeriggio seguente, a casa dei suoi genitori, in una Glasgow grigia e piovosa: una cerimonia organizzata in tutta fretta, con il corpo recuperato in segreto dal vicolo in cui si era consumato l’attacco, cercando di non attirare l’attenzione del Ministero.

Abitava in periferia, in una villa circondata da campi: il giardino sul retro, costellato di erbacce e fiori spontanei, sembrava esser stato trasformato in un piccolo campo da Quidditch, e accanto al capanno degli attrezzi stava a prendere l’acqua una vecchia scopa con il manico consumato. Probabilmente Evan l’ultima volta che l’aveva usata si era scordato di metterla nuovamente a posto.
Magari era uscito di fretta, pensando di tornare quella sera stessa. 
Regulus si ricordava come ad Hogwarts era solito scendere prima di colazione giù al campo per fare un giro di campo con la scopa, forse aveva mantenuto la stessa abitudine anche a casa.
La bara era chiusa, circondata da qualche mazzo di fiori di campo. Una piccola foto poggiata su essa con Evan che sorrideva alla fotocamera e al fianco una sciarpa dei Puddlemore United.
Poche persone, Barty, Regulus e una manciata di parenti stretti: nessuno voleva andare ai funerali dei Mangiamorte.
La madre venne ad abbracciarli, con il volto gonfio di lacrime e il rossetto indossato in malo modo, spreciso sulle sue labbra piene di rughe. Dall’ultima volta che Regulus l’aveva vista, a casa sua, sembrava invecchiata di una decina d’anni. “Grazie per essere venuti.” Barty si lasciò andare ad un singhiozzo, affondando il volto nei capelli della donna, che lo cullò come se fosse stato suo figlio.
“Vi amava, vi amava così tanto.”
“Noi amavamo lui.” La voce di Barty era uscita con un soffio, insieme ad un altro singhiozzo. 
“Lo so tesoro mio.”
C'era qualcosa di così intimo, nel loro abbraccio, che fece sentire Regulus un estraneo. La mano che aveva sollevato precedentemente, per posarla sulla spalla di Barty, ricadde al suo fianco, immobile.
Il cumolo di ghiaccio posato nel suo petto si fece un po' più pesante.
Il padre di Evan, invece, era una maschera di dolore.
Regulus si vergognò quasi, di essere ancora vivo. Avrebbe dovuto esserci lui, al suo posto, perché se fosse toccato a lui venir ucciso suo padre non avrebbe mai sofferto così tanto, ne era sicuro.
Il corpo venne sepolto poco lontano da casa, sotto un grosso castagno. 
Di nuovo, nessuno voleva saperne dei Mangiamorte. Il custode dell’unico cimitero magico della Scozia, che si trovava a qualche chilometro da Glasgow, non aveva permesso la sepoltura all’interno dei confini di esso. Non c’era pietà per loro, nemmeno se il Mangiamorte era a malapena maggiorenne, nemmeno se il suo sogno era stato quello di giocare a Quidditch in modo professionistico, e non certamente di combattere.
Dopo la funzione, la mamma di Evan li invitò entrambi in casa, aprendo loro le porte della camera del figlio: “Prendete pure qualcosa, se volete, a lui non servirà più sicuramente...” Aveva quasi bisbigliato, come se avesse potuto disturbare quel poco che rimaneva di Evan se avesse parlato un poco più ad alta voce. Regulus si guardò intorno, entrando con circospezione: il letto era ancora sfatto, come se si fosse alzato quella mattina stessa, con il pigiama gettato in un angolo della camera, le scarpe da ginnastica che spuntavano da sotto la cassettiera.
“A Evan piaceva la musica babbana, buffo vero? Un controsenso che i suoi gli facessero tenere questa roba.” Disse Barty, sfiorando con la punta delle dita un mobile alto contenente un sacco di vinili, simili a quelli magici. 
“Che tipo di musica è?” 
Regulus non aveva mai avuto quella conversazione con lui. Adesso che se n’era andato sembrava non avessero parlato quasi di nulla. Che musica ascoltava? Qual era stata la sua materia preferita? Le domande più banali e scontate che si era scordato di chiedere.
E di cui non avrebbe mai più potuto ascoltare la risposta.
“Oh, qui abbiamo Mina, Gino Paoli, uhm, Romina Power...” Barty continua a snocciolare nomi di babbani che non significavano assolutamente nulla per Regulus. 
Ma lo conformatava sentirlo parlare.
Si sedette sul letto, e il profumo di Evan lo colpì come un pugno allo stomaco. Lo seguì anche Barty, lasciando cadere la testa sulla spalla di Regulus.
Timide, in attesa di lasciarsi andare al minimo rumore, le loro mani si intrecciarono, trovando forza l’una nell’altra.
“Se ne è andato davvero, Reg.” 
Se ne era andato davvero. 

✧.·:¨༺ ༻¨:·.✧*̥˚

Una cosa che Regulus dovette imparare in fretta, è che la guerra non si fa certamente attendere, e non ha rispetto per lutti e sepolture. 
E che tutti i giorni la gente muore, in continuazione. Muore quella della fazione nemica, se sei fortunato. Della tua, se lo sei un po’ meno. E non c’è tempo per
piangere i propri cari, per ripulirsi le mani dalla terra –o dal sangue-.
Regulus si calò la maschera sul volto, annuendo a Lucius che era pronto a Materializzarsi.
Apparvero in un vicolo poco illuminato di Londra, la strada pervasa dall’odore di fritto per i vari ristoranti sparsi nel quartiere. 
Bellatrix fece scoppiare la luce in ogni lampione, lasciandoli completamente al buio. “Andiamo?” Ululò, facendo oscillare la bacchetta verso di loro. Una scintilla si piantò tra i piedi di Regulus, mancando di colpirlo per poco.
Si incamminarono dietro di lei, lungo la strada, “Dorcas, amore? Dove sei?” canticchiava. “Moooody!” Di tanto in tanto faceva esplodere una vetrina di un negozio, o i fanali di una macchina babbana. 
Il Signore Oscuro li seguiva ad una certa distanza, ancora non aveva detto una parola. Regulus ne sentiva i passi alle sue spalle, lenti, misurati. 
Come la mamma di Evan anche lui era cambiato drasticamente negli ultimi tempi, ma non avrebbe saputo dire cosa esattamente lo avesse cambiato.
Gli occhi, sempre rossi e fiammeggianti, più affossati, la pelle più cadaverica, forse erano i suoi tratti ad essersi assottigliati imitando quelli di un serpente.
Probabilmente non era l’unico ad essersene accorto: assieme a coloro che il Signore Oscuro aveva scelto personalmente per la missione, si erano uniti alcuni volontari, Mangiamorte più anziani che Regulus aveva visto andare e venire a Grimmauld Place quando era più piccolo, e tutti sembravano aver paura di anche solo guardarlo per troppo tempo. 
La passione che provavano per la sua persona si era tramutato in cieco e puro terrore.
Dorcaaaas?” Cinguettò nuovamente Bellatrix, fermandosi davanti alla serranda di un negozio, dall’aria fatiscente. Bussò qualche volta, ridendo.
Nessuno, dall’altra parte, rispose. 
“Non vogliamo entrare senza essere invitati, tesoro! Forza apri la porta!”
Regulus la osservò, mentre si lasciava cadere con tutto il corpo sulla serranda, poggiando l’orecchio su essa come se stesse origliando.
“Spostati Bella.” Ordinò il Signore Oscuro, mettendosi davanti a loro.
Era una bella notte. La luna era quasi totalmente piena, la costellazione di Orione svegliava su di loro, luminosa e terribile sotto le Pleiadi.
Più in basso, nascosto tra i palazzi, Sirio. Regulus cercò di non pensarci. Non era neanche freddo, per essere febbraio. La neve si era sciolta da tempo e il vento quella notte sembrava aver dato loro una tregua. 
Voldemort levò la bacchetta davanti a lui, contro la serranda. “Bombarda.”, e quella esplose con un rumore sordo. “Andiamo.” 

Bellatrix fu la prima a lanciarsi al suo interno, seguita da Lucius. Regulus tossì un paio di volte per la polvere che aveva alzato l’esplosione, prima di gettarsi all’interno del negozio con gli occhi lacrimanti.
Iniziarono i primi incantesimi, lanciati sia da una parte che dall’altra. Evitò una Fattura, lanciandosi a terra all’ultimo secondo, e ricambiò con una Maledizione.
Si alzò di scatto, correndo verso il centro del locale, “Crucio!” Colpì qualcuno, che cadde a terra urlando. Rodolphus, che comparve con un balzo dietro di lui, lo finì. 
Si scrollò il fastidio di dosso, cercando di non pensarci troppo.
Sono le stesse persone che hanno ucciso Evan. Se lo meritano.
Facendo lo slalom tra i corpi che iniziavano ad impilarsi sul pavimento, reso scivoloso dal sangue, continuava a scagliare Maledizioni.
Un uomo dall’aspetto tozzo gli si piantò davanti, il volto arrabbiato parzialmente coperto da una benda, che con un Levicorpus lo sollevò in aria, sbattendolo contro il muro adiacente.
L’impatto gli fece perdere il respiro, e nemmeno si accorse di essere caduto nuovamente per terra fino a quando piccole meteore di dolore non gli esplosero dietro gli occhi. 
Era caduto di schiena, il braccio piegato dolorosamente sotto di essa. Si morse la lingua per evitare di urlare e il sapore del sangue gli riempì quasi immediatamente la bocca. 
Fa male, era l’unica cosa a cui riusciva a pensare. Fa male, fa male, fa terribilmente male.
Con l’altro braccio, l’unico che riuscisse a muovere, cercò la bacchetta che gli era scivolata di mano quando era stato attaccato: le sue dita si muovevano fra i detriti, graffiandosi su chiodi e schegge di mattoni, senza riuscire a trovarla. 
Accio bacchetta!” Urlò, continuando a cercarla. Il locale era illuminato solo dalla luce degli incantesimi, rendendo la ricerca ancora più ardua. “Accio bacchetta! Accio bacchetta!” 
Ma la sua mano rimase vuota. 
Provò ad alzarsi, ma un’ondata di nausea lo fece ricadere a terra, scosso dai conati. 
Togliendosi prima la maschera e gettandola lontana si portò la mano funzionante alla testa, sentendosi i capelli bagnati. Era caduto in una pozzanghera? Stava piovendo? No, non era nel villaggio in Cornovaglia. Quello era stato anni fa.
Era sangue, che scorreva a fiotti dai suoi capelli, inzuppandogli la veste e la schiena.
Concentrati, Regulus. Tirati in piedi e concentranti.
Il braccio pulsava, inerte al suo fianco, e la testa si stava facendo sempre più pensante.
Il suo intero corpo sembrava esser stato immerso nell'acido, tanto era il dolore. 
Si costrinse ad alzarsi, strisciando contro il muro. Un Mangiamorte cadde di fronte a lui, ucciso sul colpo, e ne approffittò per rubargli la bacchetta, che teneva stretta nei pugni.
Il mondo vorticava ad ogni passo, e iniziava a sentirsi sempre più debole. Concentrati, Reg.
Scagliò una Maledizione contro una strega, colpendola di striscio, ma lo sforzo lo fece piegare su se stesso, e il suo corpo rigettò tutto quello che aveva mangiato le ore prima.
Almeno Barty è al sicuro. Fu l’ultimo suo pensiero, prima che le tenebre lo avvolgessero.

Aprì gli occhi a fatica, incollati dal sangue. Il braccio sembrava avvolto da una cortina di bruciore, e forse fu proprio quel dolore a farli riaffiorare la conoscenza.
Andava e veniva, Regulus, mentre attorno a lui i rumori della battaglia iniziavano a scemare.
Si voltò verso la sua destra, dove sentiva ancora delle voci, ma lontane, come se fossero dentro ad una bolla. Aveva le labbra secche, la bocca impastata di polvere e bile.
Sembrava ci fosse sangue ovunque, dentro e sotto e sopra di lui.
“Non puoi combattere per sempre, Voldemort. Consegnati, è finita.” 
Una ragazza, giovanissima e della stessa bellezza terribile -quasi terrificante, quella di una bestia selvaggia, di un fiume in piena, di una tempesta- che associava a Barty, levava la bacchetta di fronte sé, puntandola verso il Signore Oscuro.
Non si mosse di un centimetro quando lui le si avvicinò, non una goccia di sudore spuntò sulla sua fronte. 
“Stai provando pietà? Per me? Non sono io doverla ricevere.” Rise di gusto, avvicinandosi sempre di più a lei, il braccio che teneva la bacchetta lungo il fianco.
“No. Ti sto dando una seconda possibilità, prima di ucciderti. Perché non sono come te. Non sono un mostro.”
Tutto si fece nero, mentre Regulus faticava per rimanere cosciente. Il sangue continuava a scorrere, lento ed inesorabile, sporcandogli la guancia. Era tutto bagnato. Se chiudeva poteva far finta di essere in Francia, giù in spiaggia, sdraiato in battigia... No. Non ora.
Avada Kedrava.” Un lampo di luce verde uscì dalla bacchetta della donna, andando a colpire Voldemort nel petto.
E’ finita, pensò Regulus, un tuffo al cuore e il respiro che gli moriva in gola. La guerra è finita.
Ma lui non cadde. Non indietreggiò nemmeno. Si portò una mano nel punto dove era stato colpito, sorridendole.
“Meadowes,” Mormorò, “Debole, proprio come tutti gli altri.”
L’Auror strabuzzò gli occhi, scagliando altre Maledizioni. Tutte, tutte, colpirono Voldemort. Ognuna di esse.
La disperazione nella voce dell'Auror si faceva sempre più evidente, i movimenti della sua bacchetta incerti.
I suoi occhi scuri, spalancati, tradivano tutto il terrore che la possedeva. 
Regulus dovette trattenersi con tutto sé stesso, per non rimettere nuovamente. Non era possibile. Quello che stava vedendo non era reale. 
Avada Kedavra.” Anche la Maledizione scagliata da Voldemort fece centro, ma al contrario di quelle di Dorcas Meadowes non fallì nell’uccidere l’Auror.
Cadde all’indietro, senza un lamento, mentre Regulus perdeva nuovamente conoscenza. L’ultima cosa che vide fu la sua pelle scura, cadere nelle polvere.

 

Si risvegliò nuovamente, per vomitare.
Il sole stava sorgendo, illuminando il locale. 
“Piano, tesoro, hai un braccio rotto.” Una voce gentile gli solleticò l’udito, mentre delle mani altrettanto gentili si posarono sulla sua testa, tirandogli i capelli indietro. Finì di liberarsi, bile mischiata a sangue e a polvere, tutto quello che sembrava esser rimasto in Regulus. 
“Chi sei?” 
La donna portava una maschera argentata, ma non aveva la veste. Aveva i capelli corti rossi, rasati, e gli occhi castani più gentili che Regulus avesse mai visto.
“Un’amica. Mi hanno mandato a recuperare i corpi, e ne ho visto uno che respirava ancora.” Gli posò l’indice sulla fronte, “La testa adesso dovrebbe essere apposto, ma non sono brava con le ossa e hai perso molti liquidi. Ti accompagno a casa, cosa ne dici?” 
Parlare gli provava dolore, la gola riarsa bruciava ad ogni parola, quindi si limitò ad annuire.
“Sei il piccolo Black, giusto? Andiamo a Grimmauld Place?” 
Regulus scosse la testa, “Doncaster.” Sussurrò, “Casa Crouch.” 
“Come vuoi.”

Un’altra donna era al suo capezzale, questa volta con dei ricci biondi e senza maschera al coprirne il volto.
Tra le ciglia, riuscì a vedere che teneva piano il suo braccio in grembo, passandoci sopra la bacchetta. Non provava più dolore, ma era così stanco. Avrebbe aspettato ancora un po’ prima di aprire gli occhi...
“Se tuo padre lo vede saranno guai, Barty! A cosa stavi pensando?” Sussurrava con un forte accento italiano, ad un’ombra dietro di lei.
“L’ho trovato sul vialetto, mamma, ed è mio amico.” Rispose l’ombra. La sua voce fece sciogliere un nodo nel petto di Regulus, che nemmeno sapeva di avere, “Non potevo lasciarlo così!”
“Hai idea di cosa significhi il simbolo sul suo braccio?” Non sembrava arrabbiata, quanto preoccupata.
“Si sta svegliando, mamma.” 
La sua copertura era saltata. Aprì gli occhi, piano, pensando di venire travolto nuovamente dalla nausea. Fortunatamente non successe.
Lo salutò un soffitto azzurro cielo, un vecchio poster dei Weezard. E una mano gentile sul suo volto.
“Reg? Stai bene? Mi senti?” 
“Barty Crouch.” Si voltò verso di lui, accennando un sorriso. Doveva avere un aspetto orribile, a giudicare da come lo guardava preoccupato. “Buongiorno.”
La madre si alzò dal suo letto, dove era seduta al suo fianco, “Vado ad arrangiare qualcosa per colazione. Torno tra poco.” E lanciò un’occhiata penetrante al figlio, che Regulus riuscì a leggere tra le righe e poi se ne deve andare.
“Che è successo, Reg?” Si inginocchiò di fianco a lui, prendendogli la mano fra le sue. Sentì le sue labbra avvicinarsi per baciargli ogni nocca, mentre i ricordi della sera prima cominciavano ad affiorare.
“Dobbiamo scappare, amore.” Un singhiozzo gli morì in gola, “Dobbiamo andarcene. Tutto questo non finirà mai. E’ immortale, quell’uomo, capisci?”
“Alastor Moody?” Lo guardava sconcertato, pulendoli le lacrime dal viso con la manica della felpa.
“No, no, il Signore Oscuro. Dobbiamo scappare. Tutto questo non finirà mai. Andiamo in Francia.”
“Reg, certo che finirà. Vinceremo. E finirà.” 
“No Bart, non vinceremo.” Si tirò su con i gomiti, per guardarlo in faccia. “Il Signore Oscuro è immortale. Continuerà a uccidere, e nessuno, nessuno può fermarlo. Dorcas Meadowes lo aveva preso, lo ha colpito. Ma è vivo.” 
“Reg,” La sua voce si fece più dura. Una nube passò sopra i suoi occhi, indecifrabile. “Non scapperò. Vinceremo. Evan non è morto per-” 
“Ma non importa più, ormai. Lo capisci che è solo morto?” Lo afferrò per il bavero del colletto, ansimando una parola tra un singhiozzo e l’altro. “E’ morto, e basta! Morto. Abbiamo perso Evan per sempre. E morirai anche tu e anche io e nessuno può fermarlo. Non saremo mai liberi, perché non riesci a capirlo? In ogni caso, quelli come noi, non vincono mai.” 
“Reg, calmati.” Gli afferrò le braccia, portandole lontane da lui.  “E’ questo il problema? Pensi che io possa morire?” 
“Barty, ti amo. Ti amo, ti amo e ti amo e non finirà mai e non potrò mai amarti come realmente desidero.”
Il suo sguardo si addolcì, lo vide avvicinarsi per un bacio. E si lasciò baciare, Regulus, perché in quel momento ne aveva veramente bisogno.
“Troveremo un modo, okay?” Mormorò, interrompendosi per un altro bacio, “Non si può sempre perdere nella vita. La ruota gira per tutti.” 
Troveremo un modo.
Cercò di calmare il respiro, prima di rispondergli, “Okay.” perché in quel momento non riusciva a dirgli altro. Regulus aveva sempre ubbidito, perché non pensava di non poter essere come Sirius. Non si sentiva coraggioso, intraprendente, forte, come Sirius.
Ma la differenza, tra loro due, è che fino a quel momento non aveva mai avuto nulla per cui combattere a differenza del fratello. 
Ora l’aveva. Lì, davanti a lui, che lo scrutava preoccupato.
Ed era coraggioso.
Ed era forte.
Avrebbe trovato un modo.
Avrebbe ucciso lui stesso, Lord Voldemort, se era quello che doveva esser fatto.
La sua redenzione. "Ti amo."
“Ti amo anche io, Reg.”



(*)= Fame chimica.
(**)= Adoro l'headcanon secondo cui Barty è italiano da parte di madre. Non so come mai, lo amo e basta. Il testo in corsivo è una parte di canzone Apri quell'Ombrello di Romina Power e Albano, nella mia testa Barty la canticchiava in italiano per svegliare Evan ma ahimè, essendo tutto scritto in italiano questo dettaglio va un po' a perdersi.


Note: AaaaAAAllora, uno: no, non è mercoledì. Ma mi sentivo un po' pazza, quindi eccoooo l'aggiornamento ben due giorni in anticipo! Hurrà! 
Also:
E' stato veramente un capitolo faticoso da scrivere, ci sono tornata su mille e mille volte.

Un altro appunto: la scena tra Riddle e Dorcas è pienamente frutto della mia fantasia, ho immaginato come -SECONDO ME- avrebbe funzionato essere solo un corpo senz'anima pensando agli Inferi.
Un Infero non puoi ucciderlo con la Maledizione Mortale perché già morto, ergo senz'anima. L'anima di Voldemort è talmente distrutta, frammentata e corrotta che ho immaginato funzionasse allo stesso modo anche lui.
Ma comunque non c'è nulla di canon, è solo la mia rivisitazione!
Detto ciò: eccolo qua.
Spero di aver reso giustizia, sia a Barty che a Regulus.
E a Evan, a cui è stato molto difficile dover dire addio.

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: berettha