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Autore: Ladyriddle    11/07/2023    5 recensioni
Riprendo una frase della mia dolce Roby: ''Perché il lieto fine non esiste: esiste solo il punto in cui decidiamo di smettere di raccontare la storia''
Raccolta di Os
Post Vaiolo di Drago
Pairing: James/Scorpius – Louis/Ian
|OC: Rigel Malfoy Potter; Nathan Tristane Nott|
Un po' tutti.
Genere: Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Famiglia Malfoy, Famiglia Nott, Famiglia Potter, James Sirius Potter, Scorpius Malfoy
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Foglie di magnolia e fiori di ciliegio'
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Capitolo3
 
    Semmai dovessi parlare di amore e di stelle... uccidetemi!
Charles Bukowski

Sam/Rigel 


“Quando hai la tua Passaporta?” La voce di suo padre Marcus, da dietro la porta del bagno, distrasse Sam dai suoi pensieri. 
    “Tra due ore” rispose, sistemando nella borsa la pochette che aveva tirato fuori per applicare il rossetto – un leggero magnolia molto delicato.
    Era stata in banca, quella mattina, aveva svolto alcune faccende urgenti a lavoro, cose non rimandabili e che doveva fare lei stessa: firmato documenti, chiuso pratiche per la Camera di Commercio e chiesto al suo segretario di spostare tutti gli appuntamenti sulla sua agenda da lì a una settimana.  
    Prima di partire aveva pensato di darsi una rinfrescata a casa dei suoi in modo che potesse anche salutarli – suo padre Oliver si lamentava sempre di non vederla mai, anche se cenavano insieme almeno una volta a settimana.
    “Fatto.” Uscì dal bagno e Marcus Flint la studiò.
    “Allora?” Chiese nervosa. Era meglio se avesse incontrato il ministro dell’economia francese il giorno dopo, come avrebbe dovuto fare, piuttosto che andare al suo appuntamento
    Marcus osservò il blazer turchese con camicetta e pantaloni morbidi, entrambi di un tenue crema, con occhio critico, poi annuì. “Meglio, almeno non sembri un’arpia.”
    “Ah-Ah” gli fece verso. Quando era entrata in casa e si era tolta il soprabito, un cappotto bianco a doppio petto, Marcus Flint aveva strabuzzato gli occhi e messo su un’espressione schifata che l’aveva offesa a morte. Nonostante ciò aveva tirato dalla borsa uno dei cambi che aveva deciso di portarsi dietro ed era andata a cambiarsi.
    “Quel tubino mi stava benissimo” gli disse comunque, perché era vero. “Me l’ha detto anche Ian. Anzi, è con lui che l’ho scelto.” E suo padre poteva detenere il titolo di molte cose, ma il re della moda restava sempre Ian Nott.
    Marcus arricciò di nuovo il labbro. “Incantevole, ma mi hai sbloccato un ricordo, anzi, un incubo” mormorò in tono ironico. 
    Sam ignorò il riferimento a Galatea. Diede un’altra veloce occhiata allo specchio del corridoio, si girò a tre quarti, e pensò di doversi legare i capelli, li prese in una mano e fece per sollevarli. 
    “Lasciali sciolti.”
    E Sam lo fece. Si guardò ancora allo specchio, poi sbottò. “Sono orribile, non mi piace!” E si chiuse in bagno, ignorando le proteste di suo padre. 
    Frugò nella meravigliosa borsa da lavoro verde con cui era uscita quella mattina. Conteneva documenti importanti sul davanti con la cerniera che poteva essere aperta solo da lei e, nello scomparto interno, un’incantesimo estensivo Irriconoscibile la rendeva una perfetta valigia. Dentro aveva l’equivalente per cambiarsi due volte al giorno per quindici giorni, ma considerando che doveva stare via solo una settimana… Forse avrebbe dovuto portare con sé altri due o tre completi. Cinque o sei, tanto per stare tranquilla. 
    Indossò un abito Chemisier bianco con colletto camicia e cintura in vita lungo fino al polpaccio – se fosse stato più corto almeno la gente avrebbe saputo che si depilava ogni tre settimane, cioè, si sottoponeva a pratiche di tortura volentieri, ma doveva essergli riconosciuto, per Merlino! In ogni caso, vista l’occasione, quella lunghezza era decisamente più appropriata.
    Scelse delle scarpe in corda che le davano un’aspetto sofisticato e affidabile, almeno sperò, e indossò un paio di orecchini a bottone e il bracciale d’oro che aveva ricevuto in dono per il suo diciassettesimo compleanno da Scorpius, Ian ed Etienne. 
    Uscì dal bagno e si mostrò a suo padre. “Allora?” Allargò le braccia e fece una piroetta. 
    “Sembri una quasi trentenne in carriera nel suo giorno libero…”
    Sam sorrise felice. “Perfetto, questa doveva essere l’idea.”
    “… che sicuramente si macchierà entro ora di cena” concluse suo padre con un sorriso perfido.     
    Gli fece una smorfia. “Mi smacchierò con un Incantesimo! Ora, controlla bene, si vede la biancheria?”    
    “No, ma spero che la indossi.”
    Mise su un’espressione offesa. “Certo, io la indosso sempre, cosa credi?! E, giusto per precisare, quella di oggi è anche nuova, lavata e inamidata, e anche molto composta.”
    “Buon per te, amore!”
    “Non fare lo scemo, controlla bene se il vestito è trasparente che se lo è lo attorciglio attorno al collo della sarta!”
    “Voltati un po’. Ok, non si vede, inclinati un po’, così, no, niente. Fa una cosa: mettiti a quattro zampe”
    Semipiegata, sollevò un sopracciglio, si voltò e osservò l’espressione divertita di suo padre. “Mi stavi prendendo in giro, vero?”
    “IO? No! Cosa te lo fa pensare?”
    “Sei proprio uno stronzo!”
    Lui rise e sembrò molto più giovane. “Sam, dai, passi la maggior parte del tempo con persone ricche e influenti e hai paura di un ragazzino di nove anni!” 
    “I ricchi e influenti passano il loro tempo a leccarmi il sedere, con lui mi sembra che sia io a leccare il suo – con scarsissimi risultati, per altro” gli disse, recuperando la borsa dal bagno e seguendolo al piano di sotto. 
    “È proprio qui che sbagli.”
    Si arrestò sull’ultimo gradino delle scale. “Dici?”
    Marcus si voltò di tre quarti. “Già.”
    “E che devo fare?” Domandò, l’ansia che aumentava. “Vorrei andarci d’accordo anche se…”
    “Se?”
    Si morse il labbro. “Ecco. Non lo so, mi fa sentire un po’ a disagio, come se fossi sbagliata. Nel senso,” aggiunse ad un’occhiata interrogativa di suo padre, “mi sento sempre in difetto quando James e Scorpius mi chiamano ‘la mamma’ e lui invece non mi chiama proprio e, vuoi sapere la cosa peggiore? Neanche ci rimango male: io non mi sento sua madre. Non fraintendermi: voglio bene a Rigel, davvero, cioè, sono molto fiera di lui: è educato, carino, intelligente e sono felice che abbia due genitori come James e Scorpius, ma sono loro i genitori, io non mi ci sento.”
    “Non ti ci senti perché non lo sei. Tu lo sai, lui lo sa. In realtà lo sanno anche James e Scoprius, ma è bello che vogliano dare a loro figlio una figura materna. Il problema è che tu senti il ragazzino un paio di volte a settimana e perché o tu chiami Scorpius o Scorpius chiama te e ti passano il bambino e, quante volte lo vedi? Tre, quattro volte l’anno?” Marcus incrociò le braccia e lei si sentì come quando da bambina le faceva uno dei rari rimproveri.
    “Vado ogni volta che posso.” Ed era vero: Rigel viveva a New York e lei a Londra, aveva un lavoro a tempo pieno, se avesse voluto una famiglia, insomma, si sarebbe sposata. 
Però lo sentiva ogni settimana, ma era sempre per via dei genitori, e lo vedeva quando Scorpius e James tornavano in Inghilterra, a Natale, o se poteva, andava lei a trovarli e si interessava a lui, si accertava che stesse bene e si preoccupava continuamente di fargli sapere che c’era, anche se sospirava di sollievo quando quelle proposte venivano ignorate.
    “Lo so, ma non è abbastanza per stringere un rapporto” gli fece notare suo padre, più gentile. “Sam, non sei all’altezza, ma non è che sia un problema: il ragazzino dei genitori li ha già e non vuole sostituire loro con te, come tu, insomma, non vuoi fare davvero la mamma e ci sta, non è che tutte debbano avere per forza l’istinto materno. Forse lo avrai più avanti o magari non lo avari mai, ma questo non fa di te tua madre.” Gli disse, e quello, sì, proprio quello, la tranquillizzò.
Lei non voleva figli suoi, non si sentiva tagliata per crescerli ed era troppo egoista per rinunciare alla propria vita, ma e a volte si sentiva in colpa e temeva che questo potesse essere spia di un’inquietante somiglianza con Galatea Selwyn. 
    Suo padre le sorrise. “Ovviamente mi lamenterò ogni volta che indosserai un tubino ma... Sam, non devi sentirti in colpa se non sei quello che la società si aspetta da te. Sei felice e soddisfatta? Ottimo, va bene così. In piccola parte, grazie a te, i tuoi amici hanno la famiglia che disideravano e il bambino che non vuoi, esiste, ed è nato e cresciuto da due genitori amorevoli e affettuosi. Non sarai la sua mamma, ma tu puoi essere una figura femminile se solo la smettessi di leccargli il culo o essere terrorizzata da lui. Guarda che intelligente: se ne accorge e ti trova noiosa.”
    “Wow, che bello.” Rigel le ricordava in modo sinistro e inquietante Albus. Forse perché era sempre imbronciato o per via degli occhi verdi. Sì, erano gli occhi, lo stesso verde intenso di Albus Potter, maledizione a lui!
    “Non è difficile andare d’accordo con Rigel.”
    Sam sbuffò. “Certo, come no.” 
    “No, davvero.” Marcus aggrottò le sopracciglia. 
    Sam lo fissò. 
    “E tu che ne sai?” Per quanto ne sapeva lei, i suoi genitori, andavano spesso a New York a trovare Rigel, soprattutto suo padre Oliver che allenava la nazionale irlandese e aveva più tempo libero di suo padre Marcus che invece faceva il procuratore sportivo. Spesso, papà Oliver ci andava addirittura da solo. Era strano come, nonostante lei non si sentisse madre, i suoi genitori pensassero a loro stessi come a dei nonni e come tale si comportavano. O forse no, forse andava bene così.
    “Io ci parlo con lui.”
    “Tu?” Domandò incredula. Neanche Oliver Baston, che piaceva a tutti i ragazzini, forse perché lo era rimasto, riusciva a legare con Rigel e quello era un motivo di incredibile disperazione per il genitore. Eppure era strano, da bambino, fino a tre, quattro anni, Rigel era affettuoso e dolce con tutti, poi era diventato un ragazzino scostante e quella tenerezza la riservava solo a Scorpius e a James. 
    “Sì. Io. Perché? Che c’è di strano?”
    “E quando ci parleresti?”
    “Tutti i giorni.”
    “Tu?” Ripetè, sempre più incredula. 
    Suo padre lasciò andare un sospiro esasperato. “Io. Sam. Ci parlo tutti i giorni.” Marcus estrasse dalla tasca del pantalone un cellulare di ultima generazione. Suo padre con un telefono cellulare Babbano!
    “E quello?”
    “Il ragazzino mi ha insegnato ad usarlo quando sono andato lì l’ultima, no, la penultima volta. Ci facciamo le chat.
    Sam spalancò gli occhi. “Non ti sei fatto il cellulare neanche quando ce l’avevo io.”
    Marcus la guardò. “Nipote batte figlia.”
    “Ma cos’è? Una gara?” gli disse spalancando gli occhi. 
    Lui gongolò. “Assolutamente sì” confermò. “E comunque, tu non mi hai mai mostrato come si usa e soprattutto perché non hai mai fatto mistero che io non sono il tuo genitore preferito” fece, arricciando il naso. 
    Vero, ma solo per una sorta di affinità caratteriale. A suo padre era sempre bruciato il rapporto che aveva con papà Oliver, ma se l’era anche voluto lui – aveva fatto di tutto per demandare qualsiasi ruolo decisionale all’altro e adesso cosa pretendeva? 
    Marcus stirò un ghigno, come a dire che si stava prendendo la sua rivincita – lui che aveva un rapporto col ragazzino, mentre lei era terrorizzata da lui. Sempre molto maturo, papà, grazie.
    Sam non cadde nella provocazione. “E cos’è che gli dici?” Cambiò argomento.
    Scrollò le spalle e sembrò tornare un adulto. “Niente. Lui mi contatta e io gli rispondo.”
    “Lui contatta te?”
    “Sì, Sam” ripetè paziente. “Sono quello che se lo fila di meno e non sembra fare a gara per avere le sue attenzioni. Forse ha cominciato a farlo per noia o curiosità, ma adesso mi contatta tutti i giorni: mi chiede cosa faccio, mi dice cosa fa lui, mi manda le foto delle mostre e dei musei che visita con Malfoy e mi dice dei ristoranti in cui lo portano i suoi. Niente di che.”
    Sam rivolse a suo padre uno sguardo tra il sorpreso e il basito. Forse non era nulla di che per chiunque, ma visto che si trattava di Rigel, era parecchio. 
Nonni, zii, cugini. Rigel era educato e cortese con tutti, ma una cortina di diffidenza si allargava tra lui e gli altri e la distanza non aiutava. Eppure era stato un bambino dolcissimo. E, Scorpius assicurava, lo era ancora. 
    Ian, che era padrino di Rigel, andava a New York almeno una volta al mese ed elemosinava attenzioni che tornavano al mittente senza grande entusiasmo. 
    Anche Nate, il fratellino di Ian, amichevole e dolce come pochi altri bambini, aveva provato a far amicizia con Rigel, ma si era sempre scontrato contro un muro di diffidenza. Per non parlare della piccola Leni, la figlia di Victoire e Ted Lupin, una creatura deliziosa e amabile che durante le ultime vacanze di Natale era stata incollata a Rigel e rimbalzata senza tanti complimenti.     
    “Sarà…” mormorò Sam. 
    Marcus sollevò un sopracciglio. “È diffidente e anche molto introverso, ma non è difficile andarci d’accordo.”
    “Per te, forse. Siete uguali” realizzò. Aveva sempre associato Rigel ad Albus, ma no, ecco, no. Rigel era scontroso, non apatico; con un’educazione più seccata che impostata e invece che disinteressato e annoiato era ruvido e imbronciato. Cavolo, era un Flint!
    Suo padre rise. “No, Sam, in realtà, la persona a cui somiglia di più non sono io né Potter né il biondino, ma tu” le disse, lasciandola sola e stupita, sull’ultimo gradino della scala in marmo. 




La casa di Scorpius e James era una palazzina in mattoni a quattro piani sulla 70th strada. Dall’aria antica, tradizionale, stretta e lunga con la tipica linea apprezzata dai ricchi newyorkesi, sembrava più indicata per una grande famiglia composta da genitori di mezza età impegnati a lavorare nella City e almeno tre figli con un cane e servitù. 
    Invece, i Potter– Malfoy erano solo in tre e non avevano animali né elfi domestici.
    James Potter era un promettente Guaritore in carriera, ma aveva un’aria noncurante che non doveva renderlo degno di considerazione ai vicini e il fatto che Scorpius sembrasse bloccato in un’età sospesa tra l’adolescenza e quella adulta, li rendeva un po’ stonati in quel ricco quartiere. 
    L’abitazione era stata un regalo di Draco ‘per Rigel’, così aveva detto quasi cinque anni prima, ma Sam sapeva che era stato Scorpius a pestare i piedi e a James quella cosa ancora non andava giù, ma aveva ingoiato l’orgoglio e si limitava a mettere il broncio ogni volta che ci pensava. 
    Sam amava quella casa. Amava il fatto che ci fosse una camera per lei e che fosse solo sua. Quando Scorpius gliel’aveva detto si era un po’ commossa. Forse per lui non era una gran cosa che, su sei camere da letto, una fosse per lei, ma Sam era rimasta colpita. Era bello pensare che, se fosse successo qualcosa ai suoi genitori, dove anche lì aveva ancora la sua camera da bambina, avrebbe avuto comunque un posto per sé.
    Bussò al campanello. Attese. Premette di nuovo il dito, più a lungo. Finalmente, la porta si aprì. 
    James Potter era come il vino: migliorava con gli anni, osservò. Doveva aver messo su almeno dieci kg da quando aveva finito Hogwarts ed era meno atletico, più robusto, e i lineamenti duri si erano ingentiliti tanto che gli sembrò bello, molto più di quanto non fosse stato a scuola.
Lui la guardava un po’ sorpreso. Probabilmente non la aspettava prima di un’ora abbondante. 
    “Dimmi un po’” gli disse con un sorriso, “perché io e te un figlio non l’abbiamo fatto come da tradizione?”
    “Perché tu non volevi cagare un bambino.” La citò e Sam ridacchiò, lasciando che James la stringesse come avrebbe fatto con Lily. In un’altra vita, forse, avrebbero potuto essere fratelli, pensò, abbracciandolo a sua volta, più forte e James dovette sentirlo perché le serrò le braccia attorno alla vita, e si piegò un po’ di più. Annusò il suo profumo e, sorprendentemente, era così simile a quello di Albus.
    Accidenti a tutti i Potter. 
    “La verità è che ho sempre preferito immaginarti al di sopra delle mie aspettative: se mi avessi deluso sarei morta dal dolore, Poo.” Lo chiamò col nomignolo che utilizzava a scuola quando lui era il suo dispotico capitano e lei lo chiamava PooPoo nella sua mente, Poo, per non rischiare di farsi ammazzare. All’epoca, lei era una cretina e James una testa di… PooPoo
    James rise. Aveva una bella risata, calda e allegra che si estendeva agli occhi nocciola. “Vieni, accomodati. Hai fatto prima?”
    “Sì, l’Ufficio Passaporte di Londra ha cambiato l’orario, il mio segretario me l’ha comunicato questa mattina e non ho fatto in tempo ad avvisare.” Seguì James nel salone, un grande spazio arredato con finiture classiche e tocchi moderni che rendeva l’ambiente fresco e giovanile, seppur ricercato. C’era la borsa da lavoro e il soprabito di James su una delle poltrone segno che fosse appena rientrato dall’ospedale e piccoli indizi di una casa vissuta: una rivista abbandonata sul tavolino, il caricatore di un cellulare Babbano sul mobile, un paio di occhiali da sole che forse erano stati dimenticati.
    “Il Ministero inglese fa sempre pasticci con le Passaporte” Osservò James, facendole staccare gli occhi dalle fotografie che decoravano il marmo sopra il camino. “A noi è capitato di perderne parecchie. Comunque, accomodati, Scorpius e Rigel saranno qui tra poco”
    Sam si sedette su una poltroncina giallo . “Bene. Che mi dici? Scorpius come sta?”
    Il sorriso di James si inclinò appena. “Se lo vedi sembra un fiore, ma gli ultimi controlli non mi piacciono molto. Voglio che lo vedano alcuni colleghi in sud Africa, sono specializzati nelle malattie magiche. Sarà un ricovero breve, basteranno tre giorni, quattro al massimo…”
    “James,” Sam lo interruppe, “non è un problema: ho liberato l’agenda per una settimana e se ce ne fosse bisogno posso liberare anche l’altra.”
    Lui sorrise, grato. “Mi spiace comunque crearti casini, ma io e Scorpius abbiamo pensato che se fosse rimasto coi suoi si sarebbe insospettito e sono anni che diciamo che prima o poi dovete passare qualche giorno insieme.”
    “Quindi lui non sa proprio niente?”
    “No.” James scosse il capo. “Ma penso che sospetti qualcosa, Scorpius dice di no e ne è convinto, ma sono certo che ha capito tutto e non lo da a vedere per non farlo preoccupare.”
    “Scusa, e cosa te lo fa pensare?”
    “Mi tiene il muso” fece, poi alzò la testa, come richiamato da un rumore familiare, conosciuto, di una porta che sbatteva, un cigolio, forse di un armadio a muro, la voce di Scoprius che lo chiamava, chiedendogli se fosse tornato. “Sono nel salone, c’’è Sam!” Rispose James
    Sam si lisciò la gonna del vestito e sorrise a Scorpius che entrò nella stanza con un luminoso sorriso. 
    “Ehi! Sei arrivata prima. Che bella che sei!” Gli abbracci di Scorpius e il suo profumo… Sam voleva bene a James e le piaceva punzecchiarlo e litigarci bonariamente, ma era Scorpius il suo preferito. 
    Lo strinse forte e si sentì sussurrare all’orecchio: “Sei qui da tanto?”
    “No, stavo circuendo tuo marito, ma è tempo sprecato” rispose al suo orecchio, i capelli biondi di Scoprius le accarezzavano il viso e il suo odore che le riempiva le narici. “E mi sa che è lo stesso anche con te, ma che ci faccio qui?” Sussurrò, facendolo ridere.
    L’osservò per un secondo. Sì, stava bene, un fiore, come aveva detto Potter. Nessun ombra sul viso o segno di stanchezza, il colorito era pallido, ma sano e anche gli occhi erano vispi e allegri, illuminati dalla luce che si era accesa con la nascita di Rigel e che non si era più spenta.
    Sam era convinta che quella piccola cosa, che nulla le era costato, in realtà era stata una delle azioni migliori che avesse fatto. 
    Sciolse l’abbraccio e si dedicò al ragazzino che sembrava volersi nascondere dietro Scorpius.
    “Ehi, ciao!” Il cuore accelerò il battito e stirò un'espressione allegra e nervosa che Rigel ricambiò con una specie di smorfia che poteva passare per un sorriso.
    Era cresciuto di un paio di centimetri, osservò Sam mentre Scorpius posava una mano sulla spalla di Rigel e lo invitava ad avvicinarsi a lei. 
Era un bel bambino con lucidi capelli castani, lisci e tagliati di fresco, la pelle dorata, come se avesse passato qualche giorno al mare, gli occhi verdi col taglio un po’ allungato, e i lineamenti del viso che ricordavano quelli di James. Non c’era traccia di lei sul suo volto e probabilmente nessuno a guardarli per strada avrebbe detto che fossero parenti. E, infatti, non lo erano. Forse. Boh!
    “Stai diventando un gigante.” Gli tese le braccia e Rigel si avvicinò, si lasciò abbracciare, baciare prima una guancia, poi l’altra. “Tra poco sarai più alto di me, anche se non ci vuole molto.”
    Rigel si guardò i piedi, come se non sapesse bene cosa dire per non sembrare maleducato. “Non sono il più alto tra i miei compagni di scuola” decise di dire.
    “Di sicuro crescerai ancora, e meno male: essere bassi è un disagio” scherzò lei e James, di nascosto, le fece un cenno di incoraggiamento col pollice. “Ti ho portato un regalino, spero ti stia, ma per fortuna ho preso una taglia in più.” E per fortuna non l’aveva scelto lei, ma Ian, e infatti Rigel apprezzò il chiodo di pelle nera e le regalò un vero sorriso
    Mentre Scorpius proponeva di andare a cena fuori, Sam seguì lo sguardo di Rigel posato sul risvolto del suo abito bianco. Il costoso abito bianco che aveva fatto confezionare e che aveva una bella macchia sul bavero e non sapeva come se la fosse procurata. Grandioso!


 
*



Nonno Draco aveva comprato una piccola villetta sul mare negli Hamptons quasi quattro anni prima. L’aveva acquistata per sé, sì, proprio per se stesso. Aveva specificato che aveva bisogno di riposo, sole e aria di mare e quindi si era fatto un piccolo regalo perché ‘gli affari in America andavano benone’. Questa era stata la scusa perché, gli aveva detto papà Scorpius, suo padre James avrebbe dato di matto se il nonno avesse comprato un’altra casa per loro, ma non poteva dire nulla se l’acquisto era stato fatto per se stesso e se, di tanto in tanto, l’avrebbero usata loro sarebbe andato bene.
    Draco Malfoy non c’era andato neanche una volta, ma Rigel e Scorpius ci erano stati spessissimo anche solo per un giorno, per rientrare a New York per l’ora di cena. Col tempo, ma sempre con il muso lungo, anche suo padre James aveva finito per cedere e passare lì i suoi week and liberi da lavoro e lì avevano costruito tanti ricordi e bei momenti. 
    La casa era stata costruita su una morbida collinetta a pochi passi dal mare, immersa in un erba verde che a mano a mano si diradava svelando una sabbia bianchissima e sottile. Poteva dire di essere davvero felice in quel posto e i suoi genitori lo sapevano, ecco perché lo avevano mandato lì con Lei.
    La scusa era di passare tempo insieme, conoscersi, come se non lo avessero fatto ogni volta che Lei andava a trovarli o trascorreva qualche giorno con loro. Una volta erano andati anche a San Diego, a Disneyland, un posto che suo padre Scorpius aveva definito ‘di plastica e stucchevole’, ma che a Rigel era piaciuto tanto, anche se Lei era stata tra i piedi tutto il tempo. 
    Non aveva nulla contro: se ai suoi piaceva, andava benissimo e finché si sentivano per telefono non era neanche troppo spiacevole, tanto le telefonate duravano sempre pochi minuti e si sforzava di essere educato e gentile, ma era strana e frequentarla era noioso. Impacciata, imbranata, goffa e inopportuna, ecco cos’era. 
    A Rigel ricordava singolarmente nonno Oliver con la differenza che Oliver Baston era stato un famoso campione del mondo di Quidditch e l’allenatore della nazionale irlandese. Era decisamente troppo appiccicaticcio, sì, ma lo sopportava per amor di nonno Marcus.
    La gente imbranata o eccessivamente espansiva o che provava ad imporgli simpatia gli faceva venire la pelle d’oca. Escluso i suoi genitori, non andava particolarmente d’accordo col resto della famiglia, forse perché erano tutti troppo felici, allegri, affettuosi. Grifondoro sì, era quello il problema. 
    Ovviamente faceva eccezione suo nonno Harry perché era… Harry Potter! Al Salvatore del mondo Magico si perdonava qualsiasi impaccio o timidezza: solo quello bastava a portarlo in cima alla sua lista dei preferitissimi. Valeva la pena fare di cognome Potter solo per poter dire di essere il nipote del Prescelto. 
    E poi era il padre di suo padre, era impossibile che avesse difetti!
    I genitori di suo padre Scorpius erano quelli che vedeva più spesso e sì, erano decisamente invadenti, ma votavano la loro esistenza alla realizzazione di ogni più piccolo desiderio quindi, cosa poteva dire contro di loro? E poi suo nonno Draco era come Mida: qualunque cosa toccasse diventava oro, come faceva a non ammirarlo?
    Gli altri nonni erano decisamente troppo (e troppo anonimi) per interessarlo. Era gentile ed educato con loro perché gli era stato insegnato così, e perché i suoi genitori ci sarebbero rimasti male, ma la loro lontananza non gli procurava particolare angoscia, anzi! 
    Li vedeva due volte l’anno ed era già tanto.
    Faceva eccezione zio Ian che usava ogni scusa buona per andarli a trovare, ma rimaneva al massimo due giorni. 
    “New York è fantastica, ma è troppo inquinata” diceva. “Mi si rovinano i polmoni.”
    “Ha paura che Louis si abitua alla sua assenza. Quello o che qualcuno lo rapisca.” Obbiettava suo padre James. 
    In ogni caso le visite di zio Ian non erano sgradite: portava sempre regali bellissimi e passava la metà del tempo a trascinarli da un negozio all’altro comprando qualunque cosa per se stesso, per lui e suo padre Scorpius e per chiunque gli venisse a mente. Chiunque avrebbe sopportato i suoi isterismi solo per tornare a casa con il tassista magico che doveva fare tre o quattro viaggi per portare dentro tutti i pacchetti; peccato che spesso ad accompagnarlo c’era quella lagna di suo fratello!
    Quella, invece, andava a trovarli un paio di volte l’anno. E insieme agli abbracci schiacciossa di nonna Molly e le chiacchiere di zia Lily o la risata stridula di nonna Ginny, era la cosa più irritante a cui dovesse sottostare. 
    Non capiva proprio con che criterio i suoi l’avevano scelta come materiale biologico o, quello che era. La salvava solo lo status di sangue e il padre figo – l’altro padre faceva parte del pacchetto e, ok, se lo teneva –, ma lei era un caso disperato…
    E Rigel sentiva chiaramente quanto anche lei fosse a disagio in sua presenza. Come se lui fosse l’effetto collaterale del passare un po’ di tempo con i suoi. E ok, poteva anche capirlo, era reciproco, ma chi voleva imparare a conoscerla prima che andasse a Illvermory? Lui no di certo!
    Aveva capito benissimo che c’era qualcosa che non andava con suo padre Scoprius e non volevano dirglielo, non volevano farlo preoccupare e lui non voleva far preoccupare loro, di conseguenza, l’unica con cui potesse prendersela, era quella. 
    Ovviamente era troppo ben educato per fare capricci e scenate e poi, non avrebbe ma dato agio a quella di lamentarsi con i suoi genitori, ma non aveva nessuna intenzione di essere collaborativo e accettare le sue proposte per passare il tempo. 
    Voleva tornare a casa sua.
    Dai suoi papà.
    E sperava che andasse tutto bene.


Sam stava lavorando su alcuni documenti che gli erano stati spediti via mail dal suo assistente. Sì, aveva voluto un assistente Nato Babbano e avvezzo alla tecnologia perché questo le permetteva di poter lavorare, anche se era in vacanza. 
    Se si svegliava alle quattro del mattino aveva tre ore di produttività e Rigel, come un bravo bambino, andava a dormire alle dieci, e fino a mezzanotte erano altre due. Quattro ore di sonno erano più che sufficienti: il sonno era un lusso sopravvalutato mentre cinque misere ore di lavoro erano il minimo sindacale.
    La verità era che le vacanze erano per i lavativi e non avrebbe mai permesso a se stessa di non controllare che tutto fosse sotto il suo controllo.
    C’erano persone che criticavano chi vivesse del loro lavoro e poi quelle erano le stesse che avevano dedicato la vita a compagni e famiglia, e magari i figli erano cresciuti e i compagni se n’erano andati con ragazze di dieci anni più giovani e si erano ritrovati nulla in mano. 
    Il suo lavoro non le avrebbe mai messo le corna, né l’avrebbe mai delusa se non fosse stata lei stessa a fallire e quello non era assolutamente contemplato. Era brava in quello che faceva, anzi, no, era la migliore. Si circondava di giovani ambiziosi, ma non aveva remore a metterli gli uni contro gli altri per capire chi fosse più bravo – o più meritevole o, peggio, se ci fosse qualche talpa – e tutto il suo tempo libero lo dedicava a studiare per essere quanto più autosufficiente possibile.
    Mentre stava ricontrollando per la seconda volta il rendiconto giornaliero, un leggero rumore attirò la sua attenzione. 
    “Rigel.” Controllò l’orologio. Le sei. Si tolse gli occhiali da lettura fissò il bambino avvolto nel suo costoso pigiama celeste polvere. “Tutto bene? Hai avuto un…” Si arrestò, cosa avevano i bambini di solito? “Hai avuto un incubo?”
    Lui imbronciò le belle labbra e poi scosse il capo. Era evidente che fosse preoccupato, ma non aveva nessuna intenzione di condividere i suoi pensieri con lei. 
    Ecco perché non poteva fare la mamma a tempo pieno: i ragazzini erano decisamente problematici, per lei era meglio un lavoro a tempo pieno che almeno sapeva fare e non le faceva venire l’ansia. 
    “Hai fame? Vuoi fare colazione?” Propose, a disagio, ma Rigel scosse il capo. “Stai bene?”
    “Certo.”
    Lei sospirò. In quei giorni aveva provato a ignorare la cosa, a mantenere la versione di James e Scorpius, ma era evidente che Rigel sapesse e che il ragazzino si sforzasse – con loro– di mostrarsi tranquillo, sereno e apparentemente ignaro.
    “Un giorno sarai un Serpeverde coi fiocchi e forse imparerai a mentire per bene, ma non è questo il giorno.”
    Rigel le rivolse uno sguardo corrucciato. “Perché?”
    “Perché so che lo sai ed è stranamente Grifondoro, per te, questo tuo modo di affrontare la cosa, anche se fulminare me con lo sguardo e detestare ogni momento non aiuterà. In ogni caso, i tuoi genitori torneranno presto e forse sarebbe meglio se chiedessi a loro di parlarti di come stanno le cose: tu ti tranquillizzerai e loro impareranno a trattarti in modo diverso.”
    Rigel sembrò pensarci poi annuì e Sam considerò una vittoria personale che non la mandasse a quel Paese. Non si azzardò a sorridergli – era ancora troppo spaventata per farlo – ma lo osservò guardare la tavola colma di fogli su cui aveva trasferito le mail con un semplice incantesimo. 
    “Cosa fai?” Le chiese, sopraffatto dalla curiosità.
    Quella domanda la sorprese. “Oh! Nulla, approfittavo che dormivi per sbrigare alcune cose di lavoro” fece, ripescando i fogli. Li rimise in ordine con attenzione, per macro e micro sezioni, allineando con cura i fogli. 
    Rigel osservava con una curiosità che non gli aveva visto negli ultimi tre giorni. “Cos’è?” Chiese indicando uno dei report che stava leggendo.
    “Una relazione sulla produzione mensile di Galeoni, Falci e Zellini in base all’esigenza del Paese e alle regole europee.”
  "E quello?"
    "Una proposta di legge per aumentare la pena per chi mette in circolazione oro dei lepricani."
    “Le stai studiando?”
    “Sì, le devo approvare.”
    Rigel sollevò le sopracciglia. “Tu?”
    “Sì, io. Perché?”
    “Non lo so. Fa parte delle tue mansioni?”
    Fu il turno di Sam di sollevare le sopracciglia. “Questo e molte altre cose."
    “È un po’ impegnativo per una segretaria.”
    Una segretaria?! L’espressione basita di Sam dovette sorprendere Rigel, che aggiunse: “Zio Ian ha detto che lo sei. La sua segretaria. Che questo fai alla banca.”
    “Ha detto così? Quello stronzo! La segretaria, gli faccio vedere io.” Recuperò il cellulare e fece segno a Rigel di stare zitto. Adesso era questione di principio. 
    Cercò il numero e avviò la videochiamata.
     Nate rispose al primo squillo.
    “Ciaoooo!” Le sorrise. Se non fosse stato per qualche piccola differenza – occhi a mandorla, capelli di un castano più chiaro, naso all’insù – la somiglianza con Ian sarebbe stata inquietante. Una somiglianza solo fisica perché Nate non aveva le ansie, le sovrastrutture e tutti i tormenti di Ian. Un Nott felice era quasi un abominio, almeno è quello che diceva Ian, ma sembrava tutt’altro che insoddisfatto di tale esito. I due erano molto uniti, tanto che Nate preferiva trascorrere tempo con Ian e Louis piuttosto che con sua madre, con cui aveva comunque un bellissimo rapporto. 
    “Ciao, tesoro.” Andare d’accordo con Nate era facile: era dolce, affettuoso, allegro. “Mi passi quel finocchio di tuo fratello?”
    Nate rise ma Rigel spalancò gli occhi. “Non si dice quella parola!” 
    “Io posso. Specie con Nott.” Precisò Sam e, dall’altra parte dello schermo, il sorriso di Nate si allargò.
    “Te lo passo subito!”
    L’inquadratura si mosse, vide la scala in legno consumato di VillaAlMare, la casina sulle dune della Cornovaglia in cui Louis e Ian vivevano. 
    Sentì la voce di Nate dire: “Ehi, è per te!” E Ian replicare qualcosa di indefinito e, ancora, Nate rispondere: “È Sam, e penso che sei nei guai.”
    “Ci puoi giurare” replicò Sam. Ancora immagini confuse e una specie di grugnito seguito dalla voce di Nate. 
    “Ian, più lontano. Così vedono tutti i peli che hai nel naso.”
    “Io non ho peli nel naso” replicò il fratello scostando però lo schermo. 
    Ian Nott sembrava fermo ai suoi diciassette anni. Tutti erano cambiati, affinati, diventati più grandi. Anche Scorpius che sembrava sempre un po’ sospeso in quell’età tra l’adolescenza e l’età adulta aveva una luce diversa negli occhi – e, rispetto a dieci anni prima, almeno sei o sette kg in più e in generale un aspetto molto più sano. James era un uomo fatto e finito, anzi, sembrava persino più grande e lo stesso Louis con quell’aspetto selvaggio – e talmente attraente che Sam l’odiava solo perché gay. Louis Weasley, la prima meraviglia del mondo, completamente disinteressato alle ragazze e, anzi, in realtà completamente disinteressato a chiunque non fosse il suo compagno. 
    Le botte di culo capitavano sempre a chi non se le meritava. Doveva odiare Ian, non Louis.
    Ian che l’aveva definita la sua segretaria. 
    Ian che aveva ancora la stessa espressione di sfacciata impertinenza di quando aveva diciassette anni. 
    “Tesoro, ciao, come stai?”
    “Hai detto al ragazzino che sono la tua segretaria” tagliò corto lei. 
    “Devi farti le sopracciglia, Sam”
    “Ian!”
    “Cosa?!”
    “L’hai detto?”
    “Ciao, zio!” Rigel si avvicinò a lei per entrare nell’inquadratura. 
    “Ehi, campione! Eh, non mi ricordo, ma è una cosa che potrei aver detto.”
    Sam sorrise. “Perfetto. La tua segretaria ti ha appena tagliato l’assegno mensile.”
    Ian rise. “Dai, Sam.”
    “Fatti bastare le camicie fino a Natale.”
    “Ma sei seria? Stavo scher–“
    Gli attaccò il telefono. “Bastardo” commentò mentre il telefono cominciava a squillare. Ovviamente lo ignorò, ma osservò Rigel che intanto la guardava stupito.
    “Puoi farlo davvero?”
    “Certo. Io sono l’amministratore delegato della Gringott.”
    “Davvero?!”
    Sam riprese a riordinare i documenti, ignorando le anteprime dei messaggi che comparivano sulla schermata del suo telefono. “Sì.”
    “Ma credevo che la Gringott fosse di zio Ian.”
    “Sì, ma lui odia la Gringott e la burocrazia e i conti e, insomma, è un idiota: tu lasceresti mai che qualcuno si occupasse dei tuoi affari?” Rigel scosse il capo. “Neanche io, è un cretino, e non faccio altro che ripeterglielo, ma lui dice che non lo tradirei mai, ed è vero, sono leale – vendicativa, ma leale – ma potrei perdere la testa, un giorno, che ne sai? In ogni caso, tu, non fidarti mai di nessuno quando si tratta di soldi. Capito?”
    Lui annuì. “Lo dice anche mio nonno Draco. Lui dice sempre che un giorno mi occuperò io degli affari dei Malfoy e che sono la sua sola speranza perché al mio papà non interessa.”
    “Stupido anche tuo padre.” Rigel sembrò risentito, ma lei non ritrattò. Amava Scorpius e come Rigel tendeva ad ignorare i suoi difetti, ma c’erano e questo non avrebbe cambiato le cose. La verità a volte era dura, dolorosa, ma faceva crescere. 
“Se c’è una cosa che mi ha insegnato mia madre è che non bisogna mai dipendere da nessuno che sia un genitore, un figlio, un compagno… da nessuno. Che poi, puoi continuare ad amare e ad essere leale, quello è giusto, così si fa, ma essere autosufficienti rende liberi di scegliere chi amare e da chi farti amare.”
    “Non ti facevo così.” Rigel la guardava con gli occhi verdi sgranati e Sam si perse qualche secondo.
    Lei rise. “Lo immagino. Ma non è che io e te ci conosciamo tanto” ammise, a malincuore. 
    Rigel dovette concordare. Sembrò un attimo incerto, poi annuì e si sedette accanto a lei. “Vero. Di che si occupa il tuo lavoro?” Le domandò. 
    Lei sorrise. “Mettiamola così: tuo nonno ha i soldi, io i soldi li faccio.”
    Quell’immagine sembrò colpirlo. “Ti posso aiutare?”
    “Bene, ragazzino. Metti in ordine questi fogli, guarda bene la data: dal più vecchio, al più nuovo. Sono report generali.”
    Rigel prese i bilanci tra le dita. “Dalla data più vecchia a quella più recente?” Ripetè. 
    Sam annuì, osservando il suo ragazzino stendere con le piccole dita i fogli sul tavolo e studiare le date. 
    Sorrise. Non aveva avuto una madre convenzionale e non poteva esserlo per quel bambino, ma forse poteva avere con Rigel un rapporto migliore di quello che lei aveva avuto con Galatea. Non era la sua mamma, ma gli voleva bene e sì, forse poteva insegnargli qualcosa che nessun altro poteva.
    E magari quello era solo il primo di tanti anelli. Di un legame che forse sarebbe durato per sempre. 

Note. 
Sono tornata con questa Os che mi ha bloccata per giorni e giorni (questo e altre cose che non sto qui a raccontare), è una storia strana che avevo voglia di raccontare e non so se ci sono riuscita come volevo io. Non lo so davvero. 
Però mi ha fatto bene. Questo è un perido particolarissimo per me e il mio inconscio si è legato molto alla mia Sam e a questo momento. Sam, la mia ragazza impavida, la mia ragazza speciale e diversa, anticonvenzionale, forte, insicura, imbranata, bellissima, di successo. Io la amo. E amo il suo essere non-mamma che però si interessa comunque al suo ragazzino <3
Spero che questa Os senza pretese vi sia piaciuta. Per i lettori di VdD c'è qualche spoiler. 
Un sorriso.
   
 
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