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Autore: aurora giacomini    22/07/2023    1 recensioni
La scomparsa di una persona cara, l'incontro con una ragazza misteriosa: piccoli e grandi misteri si mescolano al dedalo di emozioni, di rapporti interpersonali e intrapersonali nel tentativo di capire cosa sia vero e cosa no, cosa reale e cosa no.
A narrare il ricordo è Andrea, ora adulta, che ricostruisce e prova a ricordare cosa significhi essere nell'età più confusa e magica dell'esistenza.
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11 Capitoli per 42,7oo parole circa
Genere: Avventura, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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      Sette

 

 

Non avevo passato una bella notte, ma verso mattina ero comunque riuscita ad addormentarmi.

Questa volta non avevo impiegato il mio tempo a guardare gente che fa robe col legno o cose simili: mi ero informata di più sulle apparizioni di fantasmi ed eventi correlati. 

Ne sapevo quanto prima. Anzi, ero più confusa di prima: gli ‘‘esperti’’ si contraddicevano fra loro. Era stralunante la quasi consapevolezza di esserci andata molto più vicina di chiunque di loro.

Non capivo perché Nevrè avesse deciso di manifestarsi - sempre, lo ripeto, che non fosse una mia proiezione mentale - a me: io non potevo rappresentare nulla per lei, dal momento che non l’avevo conosciuta in vita. Forse, avevo deciso prima di chiudere gli occhi, l’aveva fatto perché avevamo un’età simile e voleva mitigare la sua solitudine.

Avevo deciso anche che, se fosse venuto fuori che era davvero un fantasma, mi sarei impegnata ad andarla a trovare ogni volta che potevo, perché mi faceva soffrire il fatto che fosse tutta sola in un Paese straniero. Da qualche parte avrei trovato il coraggio di superare la mia paura e il mio rifiuto, perché lei era stata dolce e gentile con me, e io volevo ripagarla.

Certo, mi stava un po’ sul culo il fatto che non mi avesse detto subito di essere morta. Ma d’altra parte, io l’avrei fatto? No. No, non l’avrei fatto. Per ottenere cosa? Spavento e rifiuto.

E’ evidente, ma sì: stavo propendendo sempre più per la tesi fantasma, perché le parole della Patrizia, dopo un po’, erano tornate e avevano cominciato a ronzarmi in testa: lei credeva all’esistenza dell’anima. E io credevo in lei.

Forse le avrei presentato Nevrè, dopotutto.

 

Aprii gli occhi e sbirciai l’ora sul cellulare: le 1o:45.

Richiusi gli occhi e ascoltai il brusio che proveniva dal cortile; non coglievo il senso del discorso, ma sapevo trattarsi delle voci del papà e della Lilla.

Il palloncino si gonfiò, così, random. 

Mi tirai su di scatto e cercai di capire perché provassi dolore e freddo al petto, perché quell’argento fosse ora così tangibile e cercasse di comprimermi cuore e polmoni. Era pesante e insieme vuoto. Vidi una specie di tornado muoversi sul mio sterno. Un pesantissimo, piccolissimo tornado argenteo.

Va’ nel rifugio, mostriciattolo! Salvati almeno tu...

In quel momento lo ignoravo, ma avevo cominciato a soffrire d’ansia e attacchi della stessa. Me li sarei tirata dietro per tutta la vita. Di questo, magari, parliamo poi.

Cercai di capire perché fosse successo. Indagai il mio subconscio. Ne venni a capo - o così mi dissi - : sentir parlare mi aveva fatto pensare alla mamma, al fatto che fosse successo qualcosa e che qualcuno fosse venuto a riferire.

Il palloncino si sgonfiò poco a poco e la tromba d’aria si disperse, ma il mostriciattolo cominciò a intuire che quel suo antro diventava, di giorno in giorno, sempre più inospitale. Un po’ mi dispiaceva per lui, però era quasi ora che andasse a nanna... per sempre. In ogni caso, brontolò, perché si erano messi a parlare sotto la nostra finestra. 

Un attacco d’ira, al momento, non mi pare opportuno. Controllati.

Annuii e decisi di andare a scoprire il perché fossero sotto la mia finestra a quell’ora del mattino, col sole a cuocerseli per bene.

Bon, prima però magari vado in bagno e vedo del polpaccio.

 

«Andrea! Andrea!», mi accolse la Lilla, senza darmi neppure il tempo di abituare gli occhi al cambio di luminosità. C’era davvero un sole che spaccava le pietre e l’aria era quasi irrespirabile. «Guarda, Andrea! Guarda cosa ho fatto col papà!»

Seguii il suo ditino e vidi la mia bici a gambe all’aria, privata della ruota anteriore.

La stilettata di fastidio e d’ira non ebbe realmente tempo di manifestarsi davvero: mi ricordai quasi subito di averla ammaccata, il pomeriggio precedente, per colpa del mio scatto di nervi.

«Che fate?», chiesi, accorgendomi del papà, piegato nel bagagliaio della sua Peugeot 2o6. Non c’erano requie, per quella schiena...

«Siamo andati a comprare le cose per la tua bici rotta, Andrea! E il papà mi ha comprato un campanellino per la mia bici!»

Volevi dire: ‘‘Papà ha trovato un nuovo modo per lesionare i nervi di tutta la famiglia!’’. 

«Dopo me lo fai sentire, Lilla?»

Eh? Figo... riesco a esprimermi con garbo!

La novità mi fece vedere arancione, e non c’entrava il fatto che avessi chiuso gli occhi e che il sole, attraverso le palpebre abbassate, rendesse tutto di quella tinta.

«Lo faccio adesso!» 

Infatti non attese risposta e corse verso il retro della casa, dove c’era il posto speciale della sua bici.

Mi sorprese il fatto che non l’avesse già fatto o che la sua bicicletta lillà non fosse accanto alla mia. Poi valutai che il papà le avesse detto di non fare troppo rumore, visto che dormivo ancora. Poteva anche essere, però, che quella piccola, adorabile peste si fosse preoccupata più per la mia roba che per la sua. La verità stava probabilmente nel mezzo e nessuna delle due robe escludeva l’altra.

«Non sta a piegarti», dissi a mio padre, raggiungendolo. «Dammi, faccio io» e presi la ruota nuova, la casetta degli attrezzi e una scatolina dal bagagliaio. «Grazie che sei andato a vedere della mia bici», mi ricordai di dire, prima che il ‘‘drin-drin’’ bianco invadesse il cortile e violentasse i miei timpani.

«Hai visto» drin-drin «Andrea?»

Più che altro, ho sentito... Devo escogitare qualcosa, perché quel suono non lo sopporto già più...

«Meraviglioso! Ehi, Lilla, mi aiuti tu con la mia bici?»

Il ‘‘drin-drin’’ e la scorrazzata si bloccarono di colpo; i suoi enormi occhi blu presero a fissarmi come fossi un unicorno, forse un po’ storto.

«Vuoi che sto con te, Andrea? Lo vuoi per sul serio davvero davvero?»

Sorrisi per il suo buffo e sghembo modo di esprimersi; poi valutai che la sua sorpresa mi ferisse e commuovesse: non la volevo mai trai i piedi. 

«Per sul serio davvero davvero», confermai. «Possiamo farcela, noi due insieme, vero? Il papà può andare a riposare al fresco.»

«Il papà può andare!», trillò. «Facciamo io e Andrea, insieme!»

Papà mi posò una mano sulla spalla.

«Brava Andrea, coinvolgila», mi sussurrò; poi, a voce fin troppo alta: «Il papà è vecchio e va a riposarsi! Ci pensa Lilla ad aiutare la sorellona! E’ vero?!»

«Sììì!», strillò ancora la Lilla, felice come una Pasqua, e mi corse incontro.

 

Tres robis impussibilis: fà sta férs i fruts, fà cori i viei e fà tasé lis feminis (ci son tre robe che son impossibili: far star fermi i bambini, far correre i vecchi e far star zitte le donne), dice il detto - non io: io mi limito a pensare quel che c’è da pensare. Ma nella prima roba ebbi successo; nel senso, manipolai il suo movimento in modo che mi fosse utile e non nuocesse ai miei poveri, stanchi nervi.

«Vedi se trovi una come questa, che qui abbia il tredici», le dissi, indicandole un’estremità della chiave inglese. «Ma portami anche una col dodici, che forse è troppo grande quell’altra.»

Lilla corse dalla casetta degli attrezzi e ci frugò dentro. Pensai che intanto potevo metter su la ruota nuova, incastrandola nelle mortase di ferro, ma poi decisi di aspettare lei e di farlo insieme, così l’avrei fatta contenta.

«Uno e tre e uno e due, Andrea?», mi urlò, sventolando due chiavi.

«Sì, brava. Vieni, che ho bisogno di te, per metterla su con precisione.»

Tirammo su la ruota e poi cominciammo ad avvitare i bulloni, dimenticandoci però le rondelle... quindi svitammo e avvitammo di nuovo, prima con le mani poi con le chiavi.

«Mi vai in casa a vedere che ora è, per favore?»

«Subitissimo! Ma aspetta me per finire, va bene, Andrea?»

La guardai correre e sparire. Ne approfittai per stringere fino in fondo il suo bullone, senza che se ne accorgesse: non volevo rischiare che mi partisse via la ruota in movimento e non volevo neppure deluderla.

«Quasi la mezza, Andrea!», annunciò, tornando nel cortile con due piccoli brick di tea alla pesca.

«Bene, facciamo un momento pausa, che poi c’è da mettere su anche la dinamo.» 

Mi chiese cosa fosse, allora recuperai la scatolina che avevo preso prima dal bagaglio - papà me la prometteva da mesi, ma me ero ormai dimenticata, perché ci avevo rinunciato - e tornai da lei.

«Vedi questa rotellina qui nera?», dissi, sedendomi accanto a lei per terra. «Quando la ruota della bici la fa girare, lei porta quel movimento qui, nel corpo, e fa una magia: la trasforma in elettricità. Poi l’elettricità va nei fili e finisce nella lampadina, che si illumina.»

«E se ci prendiamo la scossa, Andrea?», mugugnò, con la bocca impegnata a torturare la cannuccia.

«Ti giuro di no.»

«Allora lo facciamo! Poi mi fai vedere la luce, Andrea?»

«Sì. Sarai tu a farla, va bene?»

 

Stavamo appena vedendo dei fili, quando la Patrizia ci chiamò per mangiare.

«Finiamo dopo», dissi alla Lilla. «Sai mica che c’è per pranzo?»

«Melone e prosciutto, Andrea! Il papà lo stava tagliando quando sono andata a vedere l’ora e a prendere il tea!»

«Buono...» Quasi sbavai. 

Mi ricordai che l’ultima volta che il mio stomaco aveva accolto del cibo, era stato due notti prima: la mela e il formaggio che la Patrizia mi aveva lasciato con l’Oki.

 

«Io e Andrea stiamo facendo funzionare la di... di... Come si chiama, Andrea?», disse Lilla, correndo verso il tavolo già apparecchiato e i suoi genitori.

«Dinamo», le venni in aiuto.

«Brave le mie ragazze», sorrise papà, dando una sculacciata alla Lilla. «Poi mi raccontate. Ora andate a lavarvi le mani. Svelte, che si fredda tutto!»

Feci di sì con la testa e mi voltai verso il lavandino. Ma poi mi bloccai.

Un momento...

Mi girai verso papà, che stava sghignazzando, tutto fiero della sua battuta.

Scossi la testa, ma gli sorrisi.

 

La Lilla non fu avara di dettagli e, per i primi cinque minuti, riportò ogni nostro gesto, secondo la sua interpretazione, eroico.

«Sono sicuro che Andrea sarebbe stata molto in difficoltà, se non ci fossi stata tu, amore. Vero, Andrea?»

Ingollai la sesta fetta e risposi affermativamente, guadagnandomi un occhiolino dalla Patrizia e un sorriso fiero dal papà. Poi tornai a concentrarmi sul cibo, ignorando Leonardo che, come sempre, si aspettava da me qualche filo di grasso di prosciutto. Niente da fare: tutto mio! Troppa fame.

Il pasto era delizioso e la famiglia che... 

Famiglia...

Mi si chiuse lo stomaco.

Quanto vorrei che la mamma fosse qui...

«Perché non mangi più, Andrea?»

Guardai la Lilla e sfoggiai un sorriso da oscar, falso come una banconota da due euro.

«Ho mangiato come un purcel e ora scoppio!», feci, dandomi qualche manata sulla pancia effettivamente un po’ gonfia.

Lei rise a crepapelle.

Se i due adulti notarono qualcosa, scelsero di non inquinare quel bel momento e si riprese a scherzare e parlare allegramente.

Finito di mangiare, la Lilla e io tornammo nel cortile. 

Un po’ mi pentii di aver mangiato tanto e in fretta, perché ora mi sarebbe toccato star piegata in quella fornace che chiamavo cortile. Fu la giornata più calda dell’intera estate, che io ricordi.

 

Non fu affatto difficile collegare la dinamo alla lampadina, anche se ci misi il triplo del tempo necessario, perché stavo ancora coinvolgendo la Lilla.

Sono uno Scorpione ascendente Capricorno - ‘‘il guerriero’’, secondo alcuni siti - : il senso pratico non è mai stato un problema, anzi! Io proprio mi divertivo a fare quelle robe... be’, mi diverto ancora oggi. Far andare le mani, fra le altre cose, è un ottimo modo per far tacere il cervello. In tutta sincerità, me la godei davvero un sacco. Ero contenta di essermi svegliata ed essere scesa prima che mio padre potesse privarmi di quel piccolo, grande piacere. Certo, è ovvio che l’avrebbe fatto per me, per farmi un piacere, ma così è stato meglio meglio.

«Allora», dissi, «il piano è questo: tu giri forte il pedale, lo lasci e corri qui, così vedrai la luce. Pronta?» 

Misi le mani a coppa attorno alla lampadina, così che si potesse vedere anche col sole, e attesi che la Lilla compisse il suo dovere.

Fu bello osservare la sua reazione di stupore, meraviglia e orgoglio.

 

«Andiamo a provare le bici, Andrea? Vuoi?»

Valutai ci fosse poco da provare, ma non volevo deluderla e non volevo nemmeno ancora rinunciare a quel nostro momento speciale, in cui finalmente mi comportavo come una brava sorella maggiore.

«Va’ a chiedere alla Patrizia. Ti aspetto qui.»

La Lilla mi guardò per un po’. Forse, come sempre, un po’ stralunata perché chiamavo la donna per nome... e forse anche per controllare che non la stessi prendendo in giro, intenzionata ad andarmene per conto mio e mollarla lì, come il solito.

«Non vado senza di te», promisi. 

E lei, rassicurata, corse in casa.

 

«Oggi stai bene, Andrea?»

Stavamo percorrendo la strada verso il mulino in tutta calma: nonostante l’eccitazione e il buon umore, faceva troppo caldo per agitarsi oltre il dovuto.

Mi voltai appena a destra, verso il basso, ma non incontrai gli occhi della mia sorellina, perché guardavano davanti a sé.

«Perché dici? Io sto sempre bene!»

Fece spallucce.

«Dai, dimmi», la esortai.

«E’ che ieri hai fatto l’urlo e piangevi... e l’altro gio-»

«Oh!», la interruppi. «Sai cosa? Hai presente quel labirinto che, alla fine, ti salta fuori il mostro? Quello che ti ho fatto vedere la settimana scorsa? Scusami, a proposito... Comunque, mi ero dimenticata del mostro e mi sono presa uno spavento!»

Alzò la testa per guardarmi e, per un istante, ci vidi quasi della pietà: come se avesse capito tutto e stesse giudicando le mie doti attoriali.

I Pesci e la loro geniale, intuitiva sensibilità, pensai. 

Era effettivamente un po’ presto, per determinare se le caratteristiche del segno fossero o meno coerenti con lei, perché era ancora molto piccola. Ma, ripensando alla nebbia nera o verde scuro, decisi che la Lilla avesse già la sua geniale sensibilità, solo che non sapeva esattamente come usarla o non era ancora avvezza all’utilizzo dello strumento.

C’è una triste consapevolezza di fondo, negli occhi dei nati sotto il segno dei Pesci. Qualcosa che intravedo anche negli occhi della Patrizia, perché anche se ‘‘legalmente’’ è Aquario, è comunque una cuspide; la Cuspide della Sensibilità - come Mr. Lordi e De André. Comunque, quel qualcosa mi dà l’idea che nella loro testa passi l’intero Universo, avanti e indietro, in una frazione d’istante; contemplano l’Universo, ma vedono te, se gli stai davanti, e ti vedono davvero.

Immagino sia un po’ ridicolo leggere con quanta passione e serietà considerassi le questioni astrologiche, dal momento che per la questione fantasmi ero chiusa come un riccio di castagna acerba. Come immagino il fastidio per le mie continue interruzioni alla narrazione - presenti in tutto il testo, mi rendo conto - costantemente col dubbio se a parlare sia la me del passato o la me del presente. Un confine labile.

Ad ogni modo, l’indagine dei suoi occhi risultò come domanda:

«Non mi stai dicendo una bugia, Andrea?»

«Perché dovrei dire le bugie alla mia sorellina preferita? Spiegami!»

«Ma non ne hai altre! Ci sono io e basta!», rise, dimenticando ogni malumore e tristezza.

«Cavolo, hai ragione!», esclamai, dandomi una teatrale manata in fronte. «Ma saresti la mia preferita lo stesso!»

«Anche tu sei la mia preferita, Andrea! Anche se avevo ventisei sorelle!»

Mi chiesi se fosse il caso di correggerla, ma decisi in fretta che non fosse il caso di rovinare tutto per una cavolata del genere.

Stare con la Lilla, mi rendo conto, mi impediva di pensare troppo; infatti non riesco a ricordare alcuno sproloquio celebrale, da riportare, avvenuto in quelle ore con lei.

 

Giungemmo in fretta dalla Collina dei Salti. 

Fui tentata di onorarla, ma poi capii che la Lilla mi avrebbe imitata e c’era il rischio che si facesse male. 

Collina dei Non Salti: ecco come la devo chiamare...

«Sei stanca?», mi preoccupai, forse più per scacciare la roba della collina che altro.

Lilla scosse vigorosamente la testa, ma la sua espressione mi disse che qualcosa c’era.

«Che hai?»

«Andrea...» mormorò, senza però aggiungere nient’altro.

«Eh, dimmi...»

«Andrea, devo farla...»

«Cosa? Mica quella grossa, vero?», chiesi, poggiando un piede a terra.

«No, la pipì, Andrea...»

«Ah!», esclamai, sollevata. «Bon, che problema c’è? Non ti guardo, ma non sta ad andare vicino il muretto, che potrebbe esserci qualche carbone o qualche poskok, e non abbiamo la sgnape.» *

«Ma mi devi aiutare, Andrea!»

Dal momento che stava per mettersi a piangere, addolcii il tono fino a renderlo nauseante: 

«Sì, sì, non ti preoccupare!» Scesi dalla bici e mi avvicinai a lei. «Sai cosa? Ti insegno come fare senza l’aiuto di nessuno e senza mettere il popò vicino a terra, che ti ho già detto che ho paura ci sia qualche biscia. Ti insegno a fare come la nonna, va bene?»

«E come faceva la nonna, Andrea?»

«Eh, sai che quando era giovane e andava a fare il fieno in alto, nei pascoli, la faceva come i maschi.»

Non sembrava per nulla convinta, anzi, mi parve pure un po’ schifata.

«Non mi puoi aiutare come fa la mamma, Andrea?», mugugnò infatti.

E io che ne so di come usa fare lei?, pensai, ma dissi: «Non vuoi il metodo dei grandi? Perché tu sei grande, o no?»

Sul suo visino, non scherzo, era quasi possibile leggere l’intero processo mentale.

«Come devo fare, Andrea? Veloce, però, se no la faccio...»

«Eh, ti levi le mutandine e la molli. Ma tieni le gambe larghe, se no ti schizzi tutta.» 

La nonna non le aveva e basta, le mutande, quando doveva fare quelle robe, anzi, a volte manco fermava la falce. Oh, me l’ha raccontato mio padre...

Mi guardò per un po’, forse chiedendosi se fossi davvero in grado di ricoprire il ruolo dell’adulta. Poi, però, fece come le avevo detto; tanto, anche se arrivava qualcuno, era apposto: era una bambina e aveva la gonna del vestitino a coprire tutto.

Così lei fu libera e io non dovetti né toccare la sua biancheria né farmi pisciare sulle mani: un successo!

«Due robe, Lilla», dissi, rimontando in sella, «questo metodo solo quando sei con me; seconda roba: sei stata bravissima!»

«Sono stata brava, Andrea? Sono stata brava per sul serio davvero davvero?»

«Eh certo! E cosa ho appena detto? Brava! Brava che mi hai dato ascolto, brava che non hai fatto capricci e brava che non ti sei neppure sporcata! Però, quando torniamo a casa, bagnetto. Va bene?»

«Con Paperina?»

«Con Paperina, sicuro!» 

Paperina era la paperella da bagno; l’avevo chiamata così quand’ero poco più grande della Lilla, e le era rimasto. Quella papera decrepita aveva visto perfino i bagnetti di Pietro: penso giri in famiglia da sempre...

 

Non arrivammo fin dal mulino - cosa che non avevo intenzione di fare dal principio, perché guai se mi capivano davanti quei due mona. 

La posizione del sole mi diceva che era tempo di riaccompagnare Lilla a casa e affrontare, come li aveva definiti la Patrizia, i miei demoni.

 

 

Di nuovo sola, presi su la bici e mi avviai.

Mi sentivo un po’ stordita; ma in modo bello, perché mi sembrava di aver finalmente ripreso respiro dopo due interi giorni d’apnea.

Avrei semplicemente potuto dire che la Lilla e il papà erano andati a prendermi una ruota nuova, che l’avevo messa su con la Lilla e che poi ci eravamo fatte un giro, sì, ma volevo rivivere nel dettaglio quelle due orette con lei. Anche ora che butto giù il tutto, mi fa stare bene e sono contenta che, magari, fra un’altra quindicina d’anni potrò tornare e ricordare vividamente il momento.

Ad ogni modo, la ricreazione era finita e una lezione di vita era pronta per me.

 

Mi preparai tutto il discorso, nei minimi dettagli, tenendo conto di qualsiasi cosa. Che Nevrè fosse una mia proiezione mentale o un fantasma, avevo già pianificato tutto.

Per sicurezza, mi ripetei il discorso... ad alta voce.

«Va bene, sei una mia proiezione mentale. Quindi ora sei pregata di sparire. Mi dispiace che tu sia morta, ma che io te lo dica o meno, a te non fa differenza, perché non sei davvero qui e non puoi sentirmi. Ora andrò dalla Patrizia e, insieme, cercheremo aiuto, provando a non farmi rinchiudere da nessuna parte. Anzi, se dovessero dire qualcosa a riguardo, farò semplicemente finta di essere guarita, perché sono sufficientemente lucida e sveglia da sapere cosa le gente vuole sentirsi dire. O, forse meglio ancora, farò finta di essermi inventata tutto: ‘‘Volevo l’attenzione su di me, gente, scusate tanto’’. Del resto, la gente - tipo Federico - mi ritiene capace di arrivare a tanto. Problema risolto! 
E così sei un fantasma... Mi dispiace sinceramente che tu sia morta, Nevrè, dico davvero. Dimmi, hai provato dolore? Ah, capisco. Senti, ho deciso che non ho paura di te e che non ti voglio abbandonare. Possiamo essere amiche lo stesso, vuoi? Grandissima! Senti, posso presentarti una persona... magari più avanti? Dovrai farti vedere anche da lei, però, se no davvero mi mettono con la zia Alberta... Eh, in manicomio. Grazie, sei davvero gentile, esattamente come ho sempre pensato. Sono sicura che la Patrizia, che è tipo la mia matrigna, ma una di quelle buone, potrebbe sapere anche come farti passare oltre. Sì, ne sono sicura, perché la Patrizia sa risolvere ogni tipo di problema, parola mia!
Può andare.»

 

Arrivata nel prato, come il giorno prima, misi giù la bici.

Fu a quel punto che la mia sicurezza cominciò a vacillare. Ma non su uno o l’altro discorso, perché quelli erano a prova di bomba. Mi venne l’ansia e mi convinsi che, quella volta lì, non l’avrei trovata e non avrei mai scoperto la verità. Poteva essere, perché no?

Triggerato da chissà cosa di preciso, il mostriciattolo si agitò e se la prese con Nevrè.

Lo rimisi a posto: avevo già l’ansia a cui badare.

Sta a vedere: non ci sarà! 

Ma non può assolutamente succedere una cosa del genere! Come faremmo a continuare con la nostra vita, se quel dubbio non andasse mai via?

E che ne so... Forse si potrebbe entrare in qualche casa abbandonata e vedere se vedo qualcosa di simile... o mi rassegno al fatto di essere pazza, vé.

Non mi piace per nulla! Anzi, mi fa proprio schifo! E’ finita! Per noi è finita!

Eh, come se a me piacesse! Cosa devo fare?

«Silenzio! Tutte e due, me e me stessa!», ordinai.

Contrariamente a quanto mi aspettavo, l’ansia rifiutò di andarsene. Eh, non ero abituata ad averla; ero ancora troppo verde - e ‘sta volta non c’entrava la sinestesia: intendevo troppo acerba.

Bon. L’importante era finirla con quel monologo travestito da dialogo - con i ruoli indefiniti - perché mi stava mandando ai matti.

Mi inoltrai nel bosco.

Il cielo, in lontananza, cominciò a brontolare.

Be’, vuoi che non ci sia una tempesta, in occasioni come questa? 

Avevo anche letto che i fantasmi trovano più facile manifestarsi durante i temporali, perché possono assorbire l’energia necessaria. Effettivamente, in quei due giorni, in un modo o nell’altro, c’era sempre stato il temporale. Il fantasma di Nevrè, in caso contrario, avrebbe avuto vita dura a cercare altre fonti di energia, lì dalla Cascata, dal momento che era isolata da tutto.

Elettricità e acqua: indispensabili per ogni fenomeno paranormale...

Grazie a quei pensieri, il bosco mi apparve tetro e ostile, cosa che prima di quel giorno non aveva mai fatto. Ogni fronda, ogni cespuglio e ogni sporadico rovo sembravano comparire sul mio percorso, per rendermelo impervio; quasi a volermi fermare, a suggerirmi di lasciar perdere.

Fantasma o meno, non era un consiglio malvagio: mai stare sotto gli alberi, durante i temporali.

 

Non so come metterla giù, invero... Quindi la farò semplice: arrivata in prossimità delle due spiaggette, la vidi.

Era seduta sulla sua solita pietra e guardava la spiaggetta di fronte, persa nella contemplazione di chissà quale mistero, forse solo rapita dalla triste bellezza di quel luogo.

Bello e triste, sì, proprio come lei...

Ma che bella, ma che triste?! Ma ti pare il momento per ammirarla e pensare con gli ormoni? Potrebbe essere un fantasma o la prova che siamo fuori di testa, mona!

Il cuore mi balzò in gola e i polmoni divennero due prugne rinsecchite, che sai quanta aria potevano tenere...

Controllati. Non si è accorta di te. Hai tempo. Calmati.

Ma sei te che mi hai fatto agitare daccapo! Sai cosa? Ma ci serve davvero la verità? Perché io credo di essere apposto così!

Non farmi incazzare, Andrea! E’ innocua.

Per la parte fisica, sì, senza dubbio.... ma la mia mente non reggerà, lo so...

«Andrea!», esclamò, voltandosi e sventolando il braccio.

Merda... Gambe? Sì, voi! E’ il momento di correre come se non ci fosse un domani!

Le gambe riuscirono solo a farsi molli. Nient’altro. 

Avevo paura e non vedo assolutamente mezza ragione per negarlo. La mia mente, qualunque fosse la verità, stava per essere irrimediabilmente violentata.

«Andrea!», urlò ancora Nevrè, lasciando la sua liscia seduta. «Sei tornata! Ho pensato che non ti vedevo più!»

Dalla mia bocca non uscì altro che il fiato mozzo.

«Perché tu non tornata più ieri?», mi chiese, fermandosi a un metro e mezzo da me. «Detto qualcosa che non va bene? Scusa se ho detto qualcosa male...»

Il suo italiano è migliorato ancora, hai notato? E’ un fantasma, te lo dico io.

Frega niente di cosa sia, al momento!

Bon. Ricorda il discorso. Te lo ricordi?

Voglio solo scappare...

Ma le gambe non collaborano. Affronta il tuo demone! Il discorso te lo ricordi o no?

Me lo ricordo...

Parti con quello del fantasma. Avanti! E sii cortese! Sii cortese!

Annuii.

Mi sentivo mancare, ma presi coraggio.

Le puntai il dito addosso e urlai: «Io non so cosa tu sia! Ma una cosa è certa: sei morta come morto è il chiodo di una porta!»

 

 

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N.d.A: * Carbone, carbon, carbonas è come da queste parti - in Friuli - sento chiamare il biacco (coluber viridiflavus). 

La poskok  - chiamata così nei paraggi della ex Jugoslavia -  invece, è la vipera col corno (vipera ammodytes); non so altrove, ma qui si usa o usava metterla nella ‘‘sgnape’’, ovvero grappa.

  
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