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Autore: RLandH    27/07/2023    2 recensioni
[Spoiler! uno, ma bello grosso, su TOA, qualcosa su MC&TGoA| Crossover con Magnus Chase| What If]
Mi sentivo di essere pronta a fare un tributo a Jason Grace.
“Lo giuro sullo Stige” aveva dichiarato, certo di aver commesso un errore.
La ragazza aveva sorriso per la prima volta, “Ascoltami bene, adesso, non dire la verità. Fingiti un mortale, uno di quelli ciechi, proprio ciechi e di che non ricordi niente. Questo dovrebbe esserti famigliare” lo aveva preso in giro lei.
Sì, decisamente risvegliarsi in lungo sconosciuti con la memoria a brandelli e feroci ragazze che lo trattavano come se fossero conoscenti da una vita era una sensazione che conosceva piuttosto bene.
Solo che non era opera di Hera, ma Kymopoleia.
“Adesso?” aveva chiesto Jason, la ragazza aveva allentato la pressione della lama sul suo collo, permettendo a Jason di respirare bene, aveva provato a puntellarsi sui gomiti, per tirare su appena il busto.
Quella non aveva smesso di sorridere.
“Adesso” aveva esordito la sconosciuta, “Io non sono mai stata qui e tu asseconderai quello che dico” aveva dichiarato, “E permettimi di scusarmi in anticipo, ma farà male” aveva terminato.
Genere: Avventura, Commedia, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cimopolea, Jason Grace, Magnus Chase, Nico di Angelo, Nuovo personaggio
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Percy Jackson in The Multiverse'
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Buongiorno.
Al momento sono fuori porta a catalogare materiale ceramico di età romana repubblicana e sono molto triste.
Nell’ultimo capitolo del Crepuscolo avevo detto che sarei probabilmente rientrata in una wave-Jacksoniana presto perché era uscito TSATS ma in realtà non lo ho ancora letto (cioè, non lo ho ancora finito e sto andando lentissima). Se sono rientrata a scrivere è merito più di qualche ff letta che di Riordan.
Comunque, in fondo al capitolo vi lascio una nota lunga e prolissa.

 

Tre dee e una testa



“Ovviamente Aldermann non ci ha invitato alla sua festa. Come tutti gli altri. Siamo paria!” aveva commentato con estrema tristezza una donna, Jason l’aveva osservata. Era un’elfa, indovina Jason dalle orecchie puntute, dalla pelle chiara e lucida, fredda, in contrasto a cappelli rosso-oro, mossi che le incorniciavano il viso a cuore. Era incantevole ma tremendamente triste, mentre continuava a battere con le dita sulle sue cosce. Era vestita con una camicetta floreale vecchia e dei jeans sbiaditi, molto mondana. Jason non capiva bene, poi aveva visto Stellan, più magro, più basso, più giovane, con la salopette verde bottiglia sopra una maglia arancione. “Recuperò la vergogna di nostro padre, Ingrid” aveva dichiarato Stellan, prendendo la mano della giovane, “Che anche Adermann ed ogni elfo di Alfheiman saprà della gloria dei Brightflower” aveva dichiarato convinto Stellan. Ingrid si era chinata ed aveva baciato il fratello sulla fronte, “Come sei dolce, fratellino. Ma nulla di ciò che faremo ci restituirà la dignità …” aveva dichiarato Ingrid, ma era stato interrotto da Stellan, “Noi abbiamo la nostra dignità!” aveva dichiarato con vigore, con gli stessi occhi chiari lampeggianti di furore e giustizia che Jason aveva visto contro Agrippina. “In noi abbiamo il sangue dei Myrkálfar …”
E poi la scena si era come sciolta davanti ai suoi occhi. Era stato accecato dal bianco, della neve. Tutta intorno, come una coperta di silenzio sul mondo. Una donna, diversa, era apparsa nei suoi occhi, era alta e scura, vestita di vesti pesanti, i capelli riccioluti sistemati sotto un fazzolo e lunghe gonne ampie, le teneva sollevate, perché ogni passo la fece scivolare più giù nella neve. “Està frio! Madina, venha para casa!” aveva gridato quest’ultima. Non era spagnolo. Jason, aveva cercato con lo sguardo Madina e l’aveva vista, unica macchia di colore nelle bianche montagne del Wyoming. I capelli scuri scompigliati e liberi e vestita di turchese. Indossava un vestito antico, non era così esperto da riuscire a capire, di quanto lo fosse, con un corpetto dritto che le schiacciava il seno ed una lunga gonna, gonfia sui fianchi che si apriva come un bocciolo sulla neve, con merletti a tombolo che attraversavano la scollatura a barca e le maniche strette. Non indossava altro, i piedi nudi e le caviglie immerse nella neve. Jason vedeva il suo sorriso, mentre con gli occhi spiava le vette innevate.
Estou em casa, mãe. estou em casa na neve” aveva urlato Madina, con i fiocchi di neve che le danzavano intorno.
E la scena era cambiata ancora.
Dal freddo bruciante al caldo. Un caldo devastante ed un mondo pieno di rumore, odori e colori. Una piccola finestrella su una città caotica, con tetti d’oro bombati, e … chiasso. Aveva riconosciuto, lì, lontano un edificio famigliare, ma non sapeva perché …
Ciel, Frederic! Tout cela est magnifique! La puissance de Dieu!” aveva detto una voce maschile. Era un giovane, aveva il viso pieno e tondo, chiaro con le guance scottate dal sole, la parte alta della testa era fasciata e le bende erano luride ed insozzate, non stava bene, perché i suoi occhi erano lucidi, ma si sforzava di mantenersi allegro. Jason si era voltato nella stanza, seguiva uno stile di decorazione che gli era estraneo. Riconosceva però, il ragazzo sul triclinio. Fred. Aveva una cicatrice quasi estranea che tagliava il viso, portando via un pezzo di naso. L’incarnato olivastro era chiaro come la polvere e gli occhi lucidi. Come il suo amico anche lui aveva delle bende, sulla testa, sul braccio. “Aucun dieu n'a fait ça! Que les hommes!” aveva detto solamente tetro Fred, con il tono pregno della sua rabbia.
E l’immagine era cambia ancora ed ancora.
Jason stava guardando un catino pieno d’acqua.
C’era un ragazzo, era giovane. Era bello. Con il viso di alabastro ed i capelli biondi delle querce. I suoi occhi erano chiari e luminosi, come l’estate – non avrebbe potuto descriverli in altra maniera. Era Erik Freydisson, senza quell’alone spettrale da einherjar, ma vivo. Erik aveva sorriso ed aveva detto qualcosa. Jason si era guardato intorno, riconoscendo pareti di terra-argilla e legno. Era una capanna una specie. E poi aveva visto Astrid. E per un secondo era rimasto senza fiato. Sembrava più piccola, non nell’aspetto, quasi gemello a come la conosceva Jason, ma negli occhi. Erano giovani. Lei aveva allungato le mani ed aveva preso quelle di lui, aveva detto qualcosa, con un tono basso, quasi un sussurro, in una lingua che non conosceva, così dura da non riuscire a percepirne le parole. Lui le aveva sollevato il viso e l’aveva baciata con dolcezza prima su una guancia poi sull’altra. C’era gentilezza nella sua voce, ma anche dolore. Astrid era arrossita ed aveva deviato lo sguardo, occhi verdi colmi di tristezza, verso il catino, aveva allungato una mano e l’aveva immersa. Lui aveva allungato una mano ed aveva cominciato a far scivolare una manica del grembiule arancione della nipote di Sif.
Jason non aveva visto altro di quell’intimità, perché era altrove.
Aveva riconosciuto un impluvium, che dominava la scena. Era una giornata terribilmente umida, lo respirava nell’aria. Pioveva, sia dal rumore dell’acqua che batteva sul tetto, sia dai rivoli d’acqua che scivolavano dal compluvium – il foro nel soffitto – fino alla vasca per riempirla. L’acqua cheta della impluviun continuava a ticchettare. Jason sapeva per certo chi avrebbe visto, se non per il luogo, almeno per logica.
E poi aveva visto Mel, aveva circa la stessa età che nel Valhalla, aveva un occhio pesto e gonfio di un viola invadente, un labro aperto ed il naso schiacciato in più punti; portava i capelli biondi ed indisciplinati, lunghi sulle spalle e sfatti. Zoppicava ed alcune ferite sembravano fresche. Sembrava passato in un frullatore; Jason non lo avrebbe mai riconosciuto non fosse stato per gli occhi oliva-scuro.
Mel era in compagnia di un’ancella, vestita con una lunga pretexa.
“Ecco, sì, mio signore. Il gladiatore che avevate chiesto” aveva detto pieno di incertezza.
Jason aveva visto il suo interlocutore. Occhi cattivi, predatori, dietro un viso all’apparenza gradevole, carino, quasi ingenuo, ma Jason conosceva la verità.
Caligola. Uno giovane e tremendamente diverso dal mostro che lui conosceva.
“Mio signore, non pensavo di rivedervi” aveva detto Mel, ma la sua voce era cedevole ed impastata, come se parlare fosse doloroso. Aveva parlato in latino, ma Jason aveva compreso. “Sono sorpreso quanto te” aveva dichiarato Caligola, con un sorriso cattivo disegnato sul viso giovane.
Era in una casa accogliente e calda, una che Jason non aveva mai provato nella sua breve vita mortale. C’era una splendida donna dai capelli chiari, quasi bianchi e la pelle chiara e luminosa che gironzolava per la casa canticchiando, poi aveva urlato qualcosa.
Se non avesse conosciuto uno di quei suoni, Jason non avrebbe capito fossero nomi: Narfi e Váli.
Due uccellini erano da una finestra aperta, uno aveva un delicato piumaggio rosso ed uno azzurro, che si erano inseguiti, sembravano passerotti che era poi esplosi in due figuri umani, bambini. Un Váli Lokinsoon con i suoi occhi gialli come lo champagne era apparso davanti a lui, assieme ad una sua piccola copia di lui.
La dea della fedeltà – doveva essere lei – aveva detto qualcosa e Jason aveva distinto il suono della parola ‘padre’ ricordando come Astrid aveva appellato suo padre. I bambini avevano ripagato con qualche commento che Jason non aveva capito, ma davanti al sorriso caldo della loro madre avevano riso i due bambini, vibranti di gioia. Oh, come infausto era stato il destino a spegnere la gioia dal viso di Váli. Jason aveva sentito la stessa atavica rabbia che aveva provato per Cupido quando aveva spezzato l’animo di Nico.

E poi era cambiato tutto ancora, ed ancora, in un vortice infinito di frammenti ed immagini senza alcun senso.
“Perché?” aveva chiesto Jason confuso. Chiedendo un senso a quelle visioni. Erano i suoi compagni, tutti. E poi si era aperta un’altra scena …


Era il caffè all’università di Boston, la stessa dove aveva incontrato Jarnsaxa la prima volta. Ma era autunno ed un tappeto di foglie rosse e marroni decorava tutto. Poi l’aveva riconosciuta bella e letale, Kym!
Jason lo aveva capito subito che quello che stava vedendo era una visione diversa. Prima aveva avuto una visione della vita dei suoi compagni, un piccolo scorcio, dal più recente – Stellan vivente – a Mel, il più antico. Ma quel momento era diverso.
Kym non era nella sua fulgida forma divina, ma pareva nella sua forma umana. Era seduta al tavolino che sorseggiava un alcolico di fortuna.
Aveva sollevato gli occhi verde-mare e per un secondo Jason aveva avuto la netta impressione che lo potesse vedere, ma non era vero, guardava nella sua direzione, ma non lui, si era voltato ed aveva visto Thrud arrivare.
Sembrava una collegiale qualsiasi, anziché una divina valchiria, con i capelli crespi e fulminanti in ogni direzione, avvolta in un pesate giaccone con un collo di … piume?
“Thrud ben arrivata” aveva detto Kym pigramente, mentre la ragazza faceva strisciare una sedia prima di accomodarsi.
“Kym” aveva replicato la figlia di Thor.
“Hai fatto quello che ti ho chiesto?” aveva chiesto la valchiria, aveva fatto passare diversi minuti, si era guardata intorno circospetta.
“Intendi recuperare quel pezzo di arredamento da giardino del tuo fidanzato? Sì” aveva risposto Kym stizzita. Thrud aveva gonfiato le guance, leggermente offesa, “Alvis è una persona adorabile!” aveva difeso il suo amore Thrud, “Solo che papa non lo capisce” aveva aggiunto.
Jason era stato per un momento terribilmente confuso, credeva che Kym avesse aiutato Thrud a sbarazzarsi del suo fastidioso spasimante.
Kym aveva riso con un divertimento quasi cattivo, “Per mio padre è il contrario. Lui trova fantastico il mio marito, con mille mani che non mette neanche il sottobicchiere sul tavolo di vetro” aveva replicato offesa la dea. Thrud aveva riso, complice, “Ah, come siamo sfortunate amica mia: tuo padre ti ha imposto un uomo che non vuoi, mentre il mio mi nega quello che voglio” aveva commentato quasi tragica.
Kym aveva sbuffato, “Anche a me hanno negato quello che volevo” aveva detto lapidaria.
Thrud le aveva sorriso, le sue labbra erano cattive ed i suoi occhi erano scintillati quasi di una luce sinistra, “Sai, però, cara, Kymopoleia io … potrei avere una soluzione per il nostro problema” aveva commentato Thrud.
Kym aveva sollevato un sopracciglio scuro.
“Ho parlato con una Flagd[1]” aveva spiegato Thrud. “Sai che non ho idea di cosa dici? Adesso cominciò a sciorinarti anche io termini greci a caso … tipo kamelopardalis[2]” aveva risposto schietta ed irritata Kym, “Perché ora parli di giraffe?” aveva chiesto Thrud, “Hai capito!” aveva abbaiato Kym. La figlia di Thor aveva sbuffato ed aveva risposto poi, seccata: “Un strega.”
“Va bene, cosa ti ha detto questa strega?” aveva domandato Kym.
“Come possiamo ottenere tutto quello che vogliamo senza incorrere nel Ragnarok” aveva detto la Valchiria, “E nell’ira dello zio Ade” aveva replicato Kym.
Oh, stavano parlando di lui!

“Devo dire che tutto questo è molto caotico” aveva sentito una voce femminile alle sue spalle, per un secondo aveva pensato ad Heidi quando si era voltato, ma aveva incrociato gli occhi pieni di buone intenzioni di Glam, la dísir.
Le palpebre erano coperte da un sottile strato colorato di un viola accecante che urtava da morire con il caschetto blu brillante.
Erano sistemati in un piccolo bar, composto da un bancone – dove nessuno era presente – e dei tavolini bianchi, tre, mentre la parete straripavano di libri, fumetti e quant’altro di ogni genere. Jason non aveva dea di che posto fosse.
“Non siamo abituati al caos da queste parte, siamo soggetti al Wyrd, tutto già scritto … a modo suo, lui va come vuole” aveva ammesso Glam, “Ma qui stiamo andando completamente fuori i binari” aveva ammesso quella.

Jason aveva boccheggiato, avrebbe dovuto rispondere alla Dísir che era colpa sua, ma aveva il sospetto che la donna lo sapesse già. “So cosa stai per dire” lo aveva anticipato Glam, “Diciamolo al tre” aveva squittito.
Jason aveva sospirato.
“Uno …” aveva cominciato a contare, “Aspetta … così non è chiaro, dillo dopo che ho detto tre” aveva specificato.
“Quindi: uno” aveva ripreso Glam, “Due …”
“… Tre …”
“ È colpa mia se sta succedendo tutto questo” aveva ammesso Jason, non aveva senso negare niente ad una dea del destino nel mezzo di un delirio onirico.
È un personaggio apparso troppo tardi per essere effettivamente rilevante nella storia” aveva canticchiato allo stesso tempo Glam. “Cosa?” aveva chiesto confuso Jason, “Non è realmente colpa tua, penso sia ovvio. Non sei realmente colpevole” aveva specificato Glam, “Questo purtroppo non ti rende estraneo” aveva spiegato calma, “Avevo detto che eri interessante, no?” aveva chiesto retorica Glam.
Sì, lo aveva detto prima di portarlo a Folkvagen. “Siamo marionette che ballano guidate dai fili di chi è venuto prima di noi” aveva ripetuto Jason, “Oh, George R.R. Martin … sei un po’ nerd anche tu?” aveva squittito divertita Glam, “Io … no? Lo ho sentito da un mio compagno al college” aveva ammesso Jason colmo di imbarazzo, “Ho una DSA” – sapeva che restare sul vago non era giusto, ma non era neanche una bugia, forse Jason non aveva un disturbo dell’apprendimento base, ma il suo cervello era settato su altro – “Ho una certa difficoltà nel leggere” aveva sottolineato. Una volta aveva speso ben un quarto d’ora a cercare di interpretare una scritta prima di rendersi conto che non era scritta in latino[3].
“Esistono gli audio libri” lo aveva stuzzicato la dea, “A proposito, perché ti sei definita personaggio?” aveva chiesto, ricordando quella strana frase. Glam aveva ridacchiato divertita, “Meta-narrazione Jason! Tutti noi, senza eccezioni siamo protagonisti di una storia, che sia stata vomitata fuori assieme a fumo verde, pescata da un pozzo o da una sfera di cristallo[4], tutti protagonisti di una storia” aveva ammesso la Dísir, “Ed io mi sono infilata nella tua abbastanza in ritardo” aveva considerato quella.
Diverse risposte erano venute in mente a Jason, la sua storia era stata già raccontata da una profezia, da una canzone, dalle memorie. La sua storia era finita, Glam non era in ritardo, era fuori tempo massimo. Era Jason che stava rubando il tempo. “Sei il mio Deus ex machina?” aveva indagato alla fine Jason, decidendo che dovesse essere la cosa a cui postare più attenzione. Glam era una dísir, una signora del fato, una guardiana delle anime che potevano spostarsi da un paradiso ad un altro.
“Sì … a proposito di questo, non sono proprio sicura di poter intervenire fino in fondo, oltre che, be, non so esattamente quale sia la tua situazione. Il futuro è un mistero, oggi” aveva raccontato quella, facendo oscillare il caschetto azzurro.
“Non è la prima volta che viene detto, sì” aveva ammesso Jason, ricordando anche la profezia a fortuna di Kráka. “Quasi una sensazione elettrica” aveva squittito Glam e sembrava stranamente sincera, mentre spostava le sedia per accomodarsi.
Aveva invitato Jason per seguirla, “Tranquillo siamo in un non-tempo, ora stai dormendo ma tranquillo dormirà decisamente molto meno tempo di quanto impiegheremo qui” aveva soffiato.
“Di solito mi capita il contrario, sogni relativamente brevi e poi scopro di aver praticamente raggiunto il coma” aveva ammesso calmo, “Probabilmente sarebbe successo anche qui, il wyrd ti voleva mostrare i tuoi amici, tutti i tuoi amici … rifletti su questo, probabilmente cerca di dire qualcosa, ma io lo ho intercettato” aveva ammesso Glam con totale no-chalance. 
Jason aveva annuito, “Credo abbia senso” aveva considerato, anche se non era sicuro che perdere il flusso di informazioni che una forza primordiale voleva mostrarli fosse furbo, “Certo che ha senso, chi tra me e te è la dea che serve il destino?” aveva inquisito quasi divertita. “Touchè” aveva ammesso Jason, “Quindi, cominciamo” aveva considerato la ragazza battendo le mani.
“Come rimettiamo a posto le tavole del destino?” aveva proposto lui.
“Dritto al punto, mi piace” aveva scherzato la dea, “Ma no, cominceremo da una storia molto più interessante: Star Wars, hai presente?” aveva chiesto, per dare anche più enfasi, Glam si era indicata la maglietta rosa e bianca con la scritta: Han Solo spara per primo.
Jason doveva dichiararsi piuttosto stupito, “ È dove ci sono quelli con le orecchie a punta? I Vulcaniani?” aveva chiesto poi, cercando di recuperare dalle sue memorie qualcosa che aveva detto Leo una volta. “Quello è Star Trek” lo aveva corretto Glam. “Quello con gli orsetti carini-bruttini, allora” aveva proposto Jason, anche quello veniva da una memoria con Leo, ‘Ascoltami, fratello, sicuramente il De Bello Gallico ha il suo perché, ma la cultura pop merita di essere conosciuta anche da chi è cresciuto dai Lupi” aveva scherzato Leo.
Va bene, sono pronto alla cultura pop’ aveva scherzato Jason, accettando, ma poi era stato tempo di costruire l’Argo II, di raggiungere Nuova Roma e poi l’Europa e poi non c’era stato più tempo.
Jason aveva cercato Leo per un po’ dopo la battaglia al Campo Mezzosangue e poi si era arreso, per un po’.
Ci sarebbe stato tempo, si era detto, per recuperare tutta la cultura pop che i confini di Nuova Roma lo avevano privato, con Piper e con Leo quando sarebbe tornato.
Ma aveva avuto torto: non aveva avuto tempo.
“Il fatto che tu riconosca Star Wars dagli Hewok è indecente, ma possiamo dire così” aveva concesso Glam, “Per farla breve e riducendo una trama composta di film, libri, fumetti e canoni diversi – nel primo film, che è il quarto, i ribelli combattono contro un oscuro imperatore” aveva spiegato lei. Questo suona familiare, aveva pensato Jason, ma non aveva avuto il coraggio di dirlo ad alta voce, “L’Imperatore governa l’universo intero, ma esiste un’alleanza ribelle che cerca di rovesciarlo, ora lasciamo da parte Luke, Han e Leia, okay” aveva ripreso.
“Abbastanza facile, non so chi siano” aveva soffiato lui.
Glam aveva sorriso come un gatto del Cheshire, “Be tesoro, un po’ sembri Luke Skywalker” aveva soffiato divertita lei, prima di riprendere a parlare: “Ora l’alleanza ribelle deve sconfiggere l’Imperatore, quello è il loro grande obbiettivo, ma nel frattempo questi ha fatto costruire una macchina distruggi pianeti di nome Morte Nera, che non esita ad usare” aveva spiegato.
Jason era solamente più confuso, ma aveva ascoltato nuovamente le parole, “Rovesciare l’Imperatore è ancora necessario, ovviamente si rovescia l’Imperatore probabilmente si risolveranno tutti i problemi, o quasi … ma sospetto che questa Morte Nera sia diventata effettivamente prioritaria” aveva considerato.
L’Imperatore era ancora il cattivo, ma l’arma capace di distruggere pianeti era probabilmente più prioritaria, come lo era stato per loro dover svolgere tutte quelle missioni mentre cercavano di raggiungere Atene, come … recuperare l’Atena Partenone, per ricucire la frattura. “Mi piacciono i ragazzi svegli” aveva ammesso Glam, “Le tavole del destino sono l’Imperatore” aveva considerato Jason, “Ed Heidi è la Morte Nera” aveva concluso Jason.
“Il che fa ridere per più di una ragione” aveva soffiato Glam, prima di inclinare la testa, “Oh, in questa metafora Váli Odinsson dove lo metteresti?” aveva indagato tutt’altro che lieto Jason, quasi nel tentavi di sdrammatizzare, “Darth Vader, sicuramente” aveva detto Glam, schioccando le dita.
“Se entro ventiquattro ore riesco a tornare al Valhalla, giuro che recupero tutti i film” aveva ammesso lui. La piccola dea aveva ridacchiato, mentre faceva oscillare il polso, per eseguire un movimento della mano, simile, era una riproduzione di Gebo, la runa del dono. Tra le sue mani era apparsa l’Edda Poetica, una coppia diversa da quella che Astrid aveva preso in prestito per lui dalla biblioteca dei Chase. La copia di Glam era più vecchia, bella ed elegante, con carta sottile, le rune vergate in raffinate con pennino e calamaio, accompagnate da disegni e miniature esplicative. “Ora Hannibal Lecter aveva costruito un pulsate di distruzione per l’autodistruzione[5], sfortunatamente nessuno lo ha fatto per Heidi, ma ha anche molto altro” aveva squittito Glam. Jason aveva schiuso le labbra, ma alla fine aveva deciso di tacere.
 “Cominceremo da lei, come posso … per proseguire poi, a Váli, ai Váli, fino alle tavole, per quel che posso, si intende, resto ancora una misteriosa dea del destino” aveva ripreso Glam, “E non dimentichiamo il cinghiale” aveva considerato Jason, “Non dimentichiamo il cinghiale, no no” aveva dato man forte Jason.
Jason aveva recuperato il libro che Glam aveva evocato. “Cominciamo da Heidi” aveva sospirato, “Che di sicuro non è quella a cui le caprette fanno ciao” aveva commentato Glam divertita, Jason aveva sollevato un sopracciglio, “Oh, Odino Padre-Tutto hai delle serissime lacune da sistemare” aveva aggiunto.
Jason aveva sospirato, stanco, passando le dita sulla copertina delicata dell’Edda, ricordando le parole di Heidi stessa.
Nella Vǫlupsa, lei era lì, così aveva detto.
Capo-verso ventuno” aveva ricordato.
Glam aveva sorriso soddisfatta: “Bene, mio giovane Padawan, stai recuperando punti …”
Jason aveva aperto il libro cercando il capoverso ventuno della Vǫlupsa, notando che il libro che Glam li aveva fornito ospitava tre colonne a pagina, una era in inglese, una era scritta in caratteri runici ed una doveva essere la trascrizione in caratteri latini della scritta runica.
“Forse … è la domanda sbagliata” aveva ripreso Jason, “Ma la maglietta?” aveva indagato, Glam aveva sorriso serafica: “Vuol dire che anche le canaglie possono essere eroi o gli eroi possono giocare sporco[6].”

Jason aveva aperto gli occhi.
La prima sensazione che aveva provato era stato estraniamento, una confusione pesante sulle sue palpebre, ma poi tutto il sogno con i suoi amici e la lunga conversazione con Glam era venuta alla sua memoria, poi aveva realizzato di essere da qualche parte.
Era seduto per terra, circondato da un anello di rune.
Alcune avevano un aspetto famigliare ma altre decisamente no.
In una stanza completamente vuota, senza arredi, senza finestre – neanche inferiate – con l’unica compagnia di una porta di legno spesso.
Il pavimento era nuda terra battuta e le pareti erano muro stuccato con cui si dipanavano grottesche scene, che Jason riusciva a distinguere male nella penombra.
L’unica fonte di luce nella stanza era il tiepido chiarore tendente al rosso emanato dal cerchio di rune.
Jason sospettava di sapere cosa fosse, ma decise di tentare ugualmente, stendendo una gamba, trovando un muro d’aria ad impedire di passare il cerchio. Era costretto in quella posizione seduta, senza potersi muovere, oltre il metro scarso.
“Bene, come mi libero di questo?” aveva pensato ad alta voce.
“Non lo puoi fare; sono rune futhorc, rune due-punto-zero[7]” aveva risposto una calma voce maschile a Jason, comunicandoli che non era l’unico nella stanza. Si era voltato da dove veniva il rumore, incrociando però solo buio. “Non ti vedo” aveva dichiarato.
“Sfortunatamente non ho bisogno di sigilli magici per essere messo in castigo” aveva dichiarato stanco la voce. “Anche lei rapito da Heidi?” aveva chiesto Jason, “Più dalla mia stupidità” aveva considerato la voce maschile, “Anche le menti più acute possono essere fallaci” aveva sospirato quello stanco.
Jason aveva roteato gli occhi, intuendo che attitudine avesse il suo compagno di stanza. “Sono felice che tu ti sia svegliato comunque, da solo cominciava ad essere esasperante” aveva commentato la voce, “Immagino, magari in due riusciamo anche ad escogitare un modo per uscire” aveva considerato Jason, prima di presentarsi poi.
“Oh, sì, io sono Mímir, il consigliere di Odino, il dio del sapere” aveva risposto tronfia la voce.
“Oh” si era lasciato sfuggire Jason, “Il dio scomparso” aveva considerato.
Ricordava di aver sognato l’incontro tra Frigga e Samirah a proposito della sparizione del dio in questione. Scomparso.
Stranamente non ne avevano parlato con Glam, forse la Dísir non lo aveva ritenuto importante, non quando Gullinsbursti e Heidi.
“Il dio senza corpo giusto? Samirah Al-Abbas la sta cercando” aveva comunicato Jason, “Samirah? Odino di tutte le valchirie doveva proprio mandarmi quella ragazzina bisbetica” si era lamentato Mímir, “Però questo vuol dire che saremmo salvi a breve” aveva considerato piuttosto soddisfatto, “Samirah e Magnus potranno anche essere poco collaborativi, ma sono decisamente bravi nel loro lavoro. Salvi presto, sicuramente”.
Jason non ne era del tutto sicuro, senza deprivare Magnus del suo talento, era venuto in soccorso di Jason solo qualche ora prima – o forse giorno.
“Posso chiederle come è stato rapito?” aveva domandato Jason, mentre riprendeva ad osservare le rune che lo circondavano, cercando qualcosa che lo potesse aiutare. “Oh, sono stato molto stupido, dopo aver perso i miei due apprendisti, ho avuto bisogno di qualche nuovo aiuto, sarebbe sciocco lasciare sprecare tanta sapienza, ma, ahimè ho scelto male, e non mi sono accorto che quella stregaccia vanir aveva già messo gli artigli sul mio protetto” aveva spiegato il dio, pieno di vergogna. C’era qualcosa nel fondo della memoria di Jason che stava gridando qualcosa, ma non sapeva dove cercare, dopo il tiro-mancino della divina Giunone la sua mente non era più stata la stessa. Se mai la era stata.
 “Non conosco molto bene le rune, sapresti indicarmele, riconosco solo Mann … e Rad” aveva ammesso stanco Jason, oltre la lettura dell’Edda avrebbe dovuto chiedere a Glam qualche ripetizione in runico.  La prima la ricordava per Madina, era l’uomo ma era anche la M, la sua iniziale. Non doveva esistere nelle rune vichinghe o essere uguale, la stessa cosa doveva valere per Rad, il viaggio, che era una delle rune del set di Astrid[8].
Le rune erano sei, la prima era una stanga dritta attraversata da una barra obliqua con il lato alto a sinistra,  verticali, la seconda era era la R tutta acuminata di Rad, ma era rovesciata – e Jason sapeva doveva significare qualcosa – seguita da Mann con le due stangate oblique della M che si incrociavano continuavano fino alle barre, poi c’era una F con le barre orizzontali spezzate in due segmenti che formavano la v, la seconda, poi c’era quella che sembrava una C composta di segmenti dritti e freddi e l’ultima era una semplice I maiuscola.
“Be, questo è grave per un einerhjar, ma ti aiuterò, così tu aiuterai me” aveva spiegato pratico Mímir, “Sono Nyd, Rad, Mann, Oss, Peorth e Is” aveva spiegato pratico, “Tutte le rune sono leggibili dal tuo punto di vista, tranne Rad che è al rovescio. Dunque, sono Bisogno, trasporto ma al rovescio, uomo, dio, contenitore da riempire e ghiaccio

Il cigolio della porta in quercia aveva distratto Jason e Mímir dalla loro conversazione.
La luce dell’altra stanza aveva accecato per un momento gli occhi di Jason, che si era ormai abituato al tenue bagliore della stanza e una silhouette era emersa, più luminosa della luce stessa, per un momento, solo quando la porta si era richiusa Jason aveva potuto distinguere la figura.
Una donna era apparsa, illuminata di una fredda luce dorata. Quando la luminescenza era divenuta abitudine ai suoi occhi, Jason era riuscita a distinguere le forme.
Era una splendida donna, slanciata, con un corpo snello e curve generose, come la più perfetta delle creature, aveva un viso splendido da diva degli anni Venti della Hollywood dell’Epoca d’Oro, che Beryl Grace aveva incorniciato alle pareti della sua stanza. La donna aveva capelli biondi, ondulati che scendevano sul viso bellissimo, fino alle spalle. Occhi d’oro puro, un oro diverso da quello di Piper, ma come monete sonanti.
Indossava un abito che non sembrava fatto di stoffa, ma di lamina d’oro che aderiva al suo corpo come un guanto. Jason si era sentito stordito davanti a quella visione.
“Heidi” aveva ammesso come un sospiro, consapevole di chi fosse veramente.
Dopo averla studiata, Jason l’avrebbe riconosciuta senza neanche bisogno di una sua presentazione …
“Oh, be, stiamo facendo progressi” aveva considerato Heidi divertita, “Immagino che l’assenza di flanella possa aver aiutato” aveva squittito divertita, “Ben sveglio, comunque … spero che Mímir non ti abbia annoiato troppo” aveva considerato Heidi, avvicinandosi all’angolo buio dove risiedeva il dio senza corpo, “A volte può essere fin troppo indisponente” aveva considerato.
Quando Heidi aveva raggiunto l’angolo si era chinata per raccogliere qualcosa, dando le spalle a Jason, quando si era voltata, lui aveva potuto osservare che la dea teneva tra le sue mani aveva un boccia per pesci rossi, dove galleggiava una testa, con capelli rossastri.
Gli occhi di Mímir erano aperti, neri e profondi che si erano fossilizzati su Jason, sembravano cercare di comunicare qualcosa, se avesse imparato il codice mors da Leo forse avrebbero potuto comunicare così. “Lo abbiamo decapitato per questo” aveva canticchiato.
“Tu non hai fatto proprio nulla e non è stato per questo” si era difeso prontamente il dio nella boccia.
Heidi aveva raggiunto Jason e si era inginocchiata di fronte a lui, facendo attenzione a non far rovesciare la boccia o spiegazzare il vestito. Due imprese ardue in cui era riuscita, “I tuoi compagni erano sciocchi e per questo che la memoria li ha mangiati” aveva aggiunto il dio.
La dea non era sembrata per nulla turbata da quei commenti, mentre sistemava la boccia sul pavimento di fronte Jason, con un sorriso che non prometteva nulla di buono.
La lettura della Vǫlupsa con Glam aveva preparato Jason meglio di quanto avesse fatto la presentazione infinita di Odino, sapeva esattamente quello di cui stavano discutendo i due e le ragioni che avevano portato i Vanir a decapitare Mímir, ma aveva deciso di tacere – consapevolmente.
Preferiva che la sua ignoranza, per una volta, non fosse un’arma contro di lui.
“Mímir è il saggio per eccellenza, è ciò che più si avvicina all’onniscienza nel nostro mondo. Nessun dio è, ovviamente, onnisciente ma Mímir è la cosa più vicina che si potrebbe avere” aveva spiegato Heidi ignorando il dio, prima di infilare una mano nella vasca ed afferrare i capelli rossi fluttuanti come alghe lunghe e tirandolo fuori. Gli occhi di Mímir si erano allargati in neri pozzi e la pelle rosa era divenuta di un verde lugubre, quando aveva tirato fuori la testa dalla vasca e l’aveva buttata via come se fosse stata una vecchia palla.
Jason aveva sentito un suono doloroso e bagnato quando questa era caduta sul pavimento battuto, “Ma con le tavole del destino crepate, quasi rotte, non c’è nulla da sapere. Il futuro è nebbia, appartiene a tutti” aveva riso Heidi.
“Perché hai rapito Mímir?” aveva indagato Jason, “Uhm … caos?” aveva proposto Heidi, “Godo del caos che posso creare Jason Iovisson” aveva ammesso, “E poi mi serviva la sua acqua” aveva aggiunto oscillando la mano ancora zuppa, facendo schizzare alcune goccioline anche sul viso di Jason, che aveva cercato di ritrarsi. “Certo avrei potuto raccogliere direttamente l’acqua, ma sarebbe stato altrettanto divertente?” aveva aggiunto. “Lo hai usato come una bustina da tè?” aveva chiesto Jason perplesso, osservando la testa ancora gorgogliante di Mímir per terra, “Non darmi meriti che non ho, Odino è stato il primo, lo ha anche bello-bello marinato. Gli Aesir sono così volgari, così ovvi … quasi impensabile che siano rimasti così a lungo” aveva risposto Heidi.
“Pensavo che i Vanir vivi fossero solo tre: Freya, Frey e Njord” aveva ponderato Jason, decidendo su che sentiero muoversi, pensando alla sua conversazione con la dísir. L’espressione rilassata di Heidi si era incrinata, “Sì, circa, ma una volta, Jason Iovisson, eravamo molti molti di più e governavamo su questo mondo” aveva sospirato la dea, “Ma Mímir non sbagliava: eravamo deboli ed abbiamo permesso al tempo di logorarci fino a divorarci” aveva commentato.
“Sai quando mi hanno raccontato dei due pantheon che si univano dopo la guerra mi era sembrato strano ed avevo ragione … è stato un lento annichilimento” aveva detto con una certa cattiveria, che non si sposava in lui. Lui che era figlio di Roma che aveva accolto ogni dio che aveva incrociato, o quasi, che aveva fatto di dei stranieri i suoi dei. “Molto Romano non trovi?” lo aveva interrogato Heidi.
“Direi no” aveva risposto Jason, non aveva senso mentire, lei aveva preso il viso di Piper, lo conosceva, “Tipico commento da romano, anche se ti piace fingerti greco” aveva squittito lei, “Prima dell’Impero Romano nei loro territori esistevano cinquecento lingue, dopo che è finito solo cinque. Avete preso quello che dovevate e lasciato solitudine” aveva replicato.
Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant[9], così aveva scritto Tacito.
“E quello che hanno fatto ai Vanir? Hanno preso quello che volevano e poi vi hanno lasciato sfumare, dimenticati” aveva replicato lui, calmo, cercando di non arretrare da quello sguardo famelico.
“Sì, si sono presi il Seidr e qualche altra cosa e lasciato il nulla. Però ti prego, Jason, non pensare che lo faccia per qualche fine nostalgico;” aveva scherzato Heidi, “Allora sei la classica cattiva che vuole vedere solo il mondo bruciare” aveva detto Jason.
“Per favore, Jason Iovisson, non scambiarmi per una Loki qualsiasi” aveva risposto Heidi, drammatica.
“Dov’è Astrid? Come sai chi sono?” aveva chiesto rabbioso lui, “Dei, un altro cambio di discorso netto, non sei proprio bravo nei giochi mentali, vero? Tu sei proprio il ragazzo d’oro, sì … quello onesto e sempre sincero, noioso, probabilmente mi sarei divertita di più con i tuoi cugini, sai quello sarcastico e quello melodrammatico” aveva scherzato Heidi.
Jason aveva provato rabbia e indignazione per primi nel sentire parlare di Percy e Nico così sguaiatamente e poi mortale preoccupazione.
Heidi sapeva tutto di lui. E non voleva che raggiungesse loro.
“Sei tu quella che ha detto che voleva il caos” aveva ammesso Jason. Heidi aveva ridacchiato, “Touché. Diciamo che Loki prospera nel caos perché vuole solo l’attenzione: ma io non voglio l’attenzione … non ne ho bisogno, fidati” aveva detto serafica lei. “E cosa vuoi?” aveva domandato con mordente Jason, “Lascerò la tua fantasia galoppare” aveva ridacchiato lei.
“Astrid?” aveva chiesto Jason, decidendo che non aveva molto di cui parlare con Heide, era probabilmente solo affamata di caos, per fini che lui non comprendeva. “Ah, la nipote di Lady Sif, sì, sì … il tuo è un feticismo? Sai donne skrælingjar?” aveva chiesto divertita.
Jason era arrossito imbarazzato, “Cosa? No!” aveva risposto, Heidi aveva riso di lui, “Uhm … Hai ragione è stato poco carino” aveva ricominciato la dea sollevandosi, con una espressione piuttosto divertita, “Dove è Astrid? Come sai chi sono? Perché sono qui?” aveva deciso di ringhiare solamente Jason.
Heidi aveva ridacchiato, “Perché sei qui-qui o perché sei finito in questo pasticcio?” aveva indagato Heidi. Jason aveva schiuso le labbra, “Entrambe?” aveva risposto lui, “Me lo stai chiedendo?” aveva proposto lei con divertimento.
“Entrambe” aveva replicato Jason, “Sei finito in questo pasticcio per tante ragioni diverse, ma la più importante: eri necessario. Sai è bello, essere necessari, nessuno mai lo è veramente, ma tu sì” aveva replicato. “Così può scoppiare una guerra tra pantheon” aveva replicato Jason, “tra le altre cose” aveva ammesso Heidi. Altre cose … non prometteva bene.
“E perché sono qui-qui?” aveva indagato Jason, ammiccando al cerchio di rune che lo teneva prigioniero. “Perché nonostante tu sia noioso come poche cose al mondo, sei riuscito ad incasinare le cose e se non capisco come risolvere la cosa potresti rovinare tutto” aveva considerato Heidi, con un tono piuttosto secco. “Come?” aveva chiesto, “Ti sembro il super cattivo che rivela i piani prima che siano conclusi? Anche solo dirti come lo hai quasi mandato a monte potrebbe darti troppi indizi” l’aveva rimproverato Heidi.
Sollevandosi Heidi lo aveva guardato con una punta di divertimento, “Quindi non mi dirai che cosa vuoi fare, come ti sto ostacolando, dove sia Astrid, perché tu abbia rapito Mímir” aveva considerato Jason.
“Il fascino del mistero” aveva scherzato lei, “Magari potresti dirmi anche solo perché il cinghiale” aveva quasi scherzato lui.
“In effetti quello posso dirtelo, le ragioni sono due: la più superficiale volevo punire Freya e Frey” aveva detto subito Heidi, “Per questo hai nascosto il cinghiale qui, sì, ha senso” aveva valutato Jason, “Sì, senza contare che era l’unico posto dove la sua luce non sarebbe stata notata” aveva esclamato divertita la donna, prima di proseguire: “La seconda, la più importante: vedere se potevo” aveva aggiunto.
“La rottura del ciclo” aveva sospirato Jason.
“Un piccolo esperimento” aveva ammesso Heidi, “Che potrebbe avere come conseguenza la morte di un intero mondo” aveva ringhiato Jason. “Oh, dei, mi chiedo dove altro sia successo” aveva risposto seccata la donna.
Nonostante Heidi avesse detto non fosse stato per nostalgia, Jason non credeva fosse stata sincera. Heidi era sopravvissuta a tutta la sua gente, considerando che Njord, Freya e Frey erano stati formalmente adottati dagli Aesi, Heidi era l’ultima dei vanir.
“Comunque, nonostante io sappia della tua noia dilagante e della tua passione del temporeggiare, Hera e Lupa ti hanno donato tanta di quella resilienza” aveva scherzato, “Quindi mi prenderò un’assicurazione” aveva detto la dea e poi aveva fatto qualcosa che Jason non si era aspettata.
Era entrata nel cerchio, era stato scioccante perché ingenuamente aveva pensato che se nulla poteva uscire, nulla poteva entrare.
Aveva richiamato i suoi poteri ma si era ritrovato inerme e quando Heidi si era avvicinata, qualcosa dentro di lui si era sciolto e la luminosità sottile da femme fatale, si era fatta iridescente come neon. Heidi lo aveva afferrato per il mento con le sue mani, delicate all’apparenza ma dure come tenaglie e Jason aveva sperimentato qualcosa che da molto tempo – da prima della sua morte o forse anche antecedete – non provava: un desiderio divorante, per quanto la fame fosse priva di discernimento.
Sentiva fluire in lui lo stesso inebriante sentimento che aveva provato quando aveva indossato per la prima volta la corona d’alloro dei pretori e la toga viola, lo stesso sentimento incendiario di quando Piper lo aveva baciato dopo la battaglia, o quando i fulmini lo avevano animato a Jotunhaimer; ma ancora più affamato di quello, di tutto quello.
“Sazia la tua fame” aveva ordinato Heidi e Jason aveva ubbidito, senza neanche accorgersene. “Devi essere vocale, Jason Iovisson, che tu voglia saziarti” aveva insistito la dea.
“Sì” aveva confessato Jason, senza vergogna, “Devi dirlo” aveva insistito, “Voglio saziarmi” aveva mormorato quasi ebete.
C’erano voluti tre sorsi prima che l’arsura del suo cuore fosse appagata e realizzasse che ciò che impastava come sapore la sua bocca era l’acqua della boccia di Mímir.
Heidi era sfuggita al suo campo visivo, la sua luce era appena una fiammella, come se si fosse consumata lei stessa, e la stanza era tornata in buio quasi soffocante.
Come macchia indistinta Heidi si era chinata recuperando qualcosa, un lamento l’aveva accompagnata; Mímir.
“Devi sapere Jason Iovisson” aveva cominciato la donna con voce calma, “Che chiunque beva dalla fonte di Mímir – e si intende qualsiasi acqua dove lui sia immerso o lo sia stato recentemente e non solo quella baciata dalle radici dell’Ygrdasill – guadagna poteri senza eguali, ma non senza dare nulla in cambio” aveva spiegato la dea, “E finché sarai lì dentro non potrai pagare il conto” aveva scherzato la dea con un divertimento quasi crudele.
“Cosa mi accadrà se non … pago?” aveva chiesto Jason con un leggero panico, “Oh be, niente, perché l’equilibrio si è completamente sballato” aveva risposto la donna, facendo ricadere la testa nella vasca, “Finché avrai tu Mímir non potrò pagare il conto” aveva considerato Jason, realizzando la portata della cosa, “Sì e a te converrà che l’equilibrio non si ristabilizzi o mi chiedo cosa possa accadere da chi prende senza dare” aveva riso Heidi.

“Incantò, dovunque poteva,
incantò i sensi” Jason aveva fatto una pausa nella sua lettura, “Vuol dire quello che temo?” aveva chiesto spaventato. Glam aveva cambiato leggermente il suo aspetto, nel momento in cui lui aveva letto la Vǫlupsa, “Sì, lei è la strega più potente che potrai mai conoscere e credo che al mondo solo in tre possano resistere ai suoi poteri: Loki, Odino e Freya” aveva spiegato Glam, “Neanche tu?” aveva chiesto speranzoso Jason, “O mio giovane Padawan io sono solo una serva del destino, non una tiratrice di fili” aveva scherzato Glam. “Come resisto al suo potere?” aveva domandato Jason, “Non lo fai, speri solo di non trovarti tra lei e i suoi incanti” aveva risposto la dísir.


Ero sotto il tuo incantesimo” si era difeso Jason, “Sarebbe fantastico se a qualcuno fregasse effettivamente qualcosa, parlane con il tuo amico Váli quando lo vedi, potrà spiegarti una o due cose sulla bontà del wyrd” aveva ricevuto come risposta e poi aveva abbandonato la stanza.
E Jason si era ritrovato di nuovo in un buio pesto, senza neanche la compagnia della testa parlante.
Aveva sbuffato, non poteva neanche invocare l’aiuto di Glam, la dísir era stata chiara: poteva intervenire solo in non-luoghi.
“Bene, come … esco da qui” aveva valutato Jason, osservando le fievoli luminose rune aggiornate di Heidi.
Le aveva riguardate: bisogno, trasportare ma al rovescio ,dio, uomo, contenitore da riempire e ghiaccio, aveva ripetuto ancora ed ancora.
Bisogno, fermare – era quello, no? Il contrario di trasportare – dio, uomo, contenitore e ghiaccio.
E poi lo aveva capito, o almeno aveva pensato di capirlo: Bisogno di tenere l’uomo-dio nel contenitore di ghiaccio. Probabilmente il ghiaccio ed il contenitore erano solo un modo diverso per esprimere la prigionia.
Bisogno di tenere il semidio della prigione.
Sì, doveva essere quello, per questo Heidi aveva potuto varcare la sua prigione, o forse poteva perché era la sua maledizione.
“Rune tu troverai, lettere chiare, lettere grandi, lettere possenti” aveva ripetuto Jason, ricordando le parole che qualche giorno prima erano state dette da Madina a Jothunahim.
Le rune erano la magia più potente del mondo norreno, anche più del seidr e dell’alf seidr. Erano come i numeri, come la matematica dell’universo, erano il modo corretto per esprimere in magia le funzioni che esistevano ed il modo giusto per manipolare le cose.
Erano diverse da qualsiasi altro tipo di magia.
 Non sapeva come contraffare il potere di Heidi, era una delle streghe più potenti in circolazione, l’ultima dei vanir e l’incubo di Odino e lui era solo un figlio di Giove bravo a volare.
Non aveva bisogno di fare molto per rendersi conto che in quel cerchio non poteva usare ne fulmini ne aria, probabilmente il ghiaccio significava quello: la deprivazione.
Non sapeva come uscire da quella situazione, aveva ringhiato con nervosismo e si era battuto stupidamente le mani sulle cosce in un indesiderata ricerca di calma per la sua frustrazione.
Aveva infilato le mani in tasca alla ricerca di Giunone, aveva estratto la moneta e l’aveva fatta schioccare in alto, quando era caduta sulla sua mano era ancora una moneta, non sapeva neanche perché l’avesse fatto, aveva rimesso Giunone a posto e per questo aveva sentito qualcos’altro nella sua tasca, trovando poi cosa era. Hagalaz, la runa che Kráka gli aveva fatto estrarre dal gruppo di Astrid. Erano fatte di legno d’olmo, il legno della prima donna, create da un praticante di magia – sia seidr sia alf-seidr – così aveva spiegato Astrid. Immaginava fosse stato Erik Freydisson, che erano stregone ed un prete.
Rune potenti.
“H” aveva ricordato Jason, “Come Heidi” aveva valutato guardando quella specie di N, con le bande verticali più allungate, “Grandine” aveva ricordato anche, “Tristemente simile al ghiaccio” aveva aggiunto e poi “… Un altro è Rottura” aveva ricordato le parole di Astrid, nella sua camera, dopo l’estrazione.
Jason aveva preso la runa di Hagalaz perché la serie della sua amica doveva avere una mancanza, doveva avere una sofferenza. Jason aveva rotto l’equilibrio, in qualche maniera, soprattutto quello di Astrid.
Aveva guardato ancora la runa, il legame personale lo rendeva più potente, erano rune fatte di magia pura, di un legno potente, realizzato da un giovane per la sua innamorata – Jason aveva visto il loro amore imperituro da morti e da vivi – e lui lo aveva spezzato.
Ed era una magia possente.
“Perché ho l’impressione che tu sia rimasta con me per questo momento?” aveva chiesto retorico. Era stato il Wyrd.
Hagalaz era la grandine, la H, il cambiamento ma lui aveva bisogno della rottura.
“Padre, Giunone, Kym … Odino, Glam … Váli” aveva invocato quasi pieno di vergogna prima di avvicinare la tessera alle rune disegnate.
Aveva sentito la sua mano incendiarsi, il calore, più potente di un fulmine, più bruciante, ma non si era fermato, le rune di Heidi si erano illuminate ancora di più di un rosso vermiglio senza vergona, mentre quella di Astrid ardeva di un fuoco verde intenso, ma Jason non aveva ceduto ed aveva posato la tessa su Peorth. Per un secondo il mondo era stato avvolto da un brillante colore giallo, che aveva accecato i suoi occhi, e poi era stato il buio, le rune si erano spente, tutte, e la stanza era scesa nel buio.
Aveva allungato le mani sul pavimento battuto al buio, prima di usare la logica ed aveva creato tra indice e pollice della mano sinistra un rivolo elettrico per illuminare qualcosa.
Aveva trovato hagalaz spezzata e rotta.
La rottura.
“Immagino io non sia stato creato per tenere unito niente” aveva considerato spento e stanco, quel gesto lo aveva drenato di ogni suo potere.
Non aveva riunito i romani e i greci, non aveva ritrovato Leo, non aveva aiutato Nico, non aveva creato i templi … non era riuscito neanche a farsi amare da Piper.
Jason Grace non era mai stato l’unificatore, era sempre stato la grande rottura.
Aveva raccolto i due pezzi in cui si era rotta la runa e gli aveva messi in tasca, un flebile guizzo di energia li animava ancora e così aveva cercato la porta al buio.
L’aveva trovata, forse eccedendo nella sua sicurezza Heidi non aveva pensato a blindarla di magia e l’aveva aperta, era stato poi avvolto nella tenue luce del giorno.
Un piccolo soggiorno, lo aveva accolto. Un divanetto basso, con sopra una trapunta, cassettiere in legno, vetrinette piene di cianfrusaglie ed un tavolino basso al centro della stanza pieno di riviste. Non sembrava la tipica casa di una dea distruttrice, più di una casalinga degli anni Cinquanta, ma … immaginava che ognuno avesse le sue stranezze.
“Che sfortuna, speravo davvero tu non ti liberassi” aveva sospirato una voce femminile a lui nota. Non era Heidi.
Heidi non aveva lasciato un allarme di sicurezza, ma un mastino.
Jason si era voltato verso la voce, sotto l’uscio di un’altra stanza aveva incontrato un viso una giovane donna con indosso una lunga tunica blu egiziano, stretta alla vita da una cintola di cuoio, un mantello di piume di cigno legato ad una spalla e arruffati ed elettrici capelli biondi grano ardente.
Aveva sospirato, “Fantastico” aveva detto sarcastico.
“Ciao Jason, mi dispiace davvero tanto” aveva detto piena di imbarazzo la donna, “Ciao a te, Thrud” aveva risposto stanco Jason alla sua valchiria.

 

 

NOTA NECESSARIA: Non so quando aggiornerò perché … ho perso la voglia.
Poi, personalmente questa storia è tragicamente vicina al finale, è ora di tirare tutti i nodi al pettine e cercare di risolvere le questioni (Sappiamo dove è il cinghiale, anche se non lo *abbiamo* ancora trovato – c’è da dire che Stellan e Fred erano sulla buona strada, abbiamo scoperto chi ha preso Mímir, chi è H e all’incirca cosa vuole), prima fra tutti l’incontro di wrestriling di Jason con Váli l’altro. Detto questo, non tutte le questioni trattate saranno risolte direttamente (tipo i lunghi piani di H), ci tenevo a dirlo.
Detto questo, il capitolo appena letto è stato un delirio ed in origine dovevano essere due capitoli ben distinti ma ho deciso di unirli in uno per stringere il tempo.

Forse la rivelazione su Thrud può sembrare un po’ OUT OF THE BLUE, ma così è così è sempre stato pensato. Prossimamente avremmo qualche spiegazione.
Riguardo a Glam, il personaggio doveva apparire molto prima ed avere un ruolo molto più esteso (la sua prima comparsa è effettivamente durante le vacanze a Jothunheim) che avevo deciso di tagliare, essendo lei comparsa tardivamente, ma poi ho deciso di ‘ridimensionare’ soltanto, perché nessuno poteva fare il Deus ex machina come lei.



[1] In realtà le Fladge sono le streghe/donne-troll figlie di Loki (partorite dopo aver mangiato un cuore) per una licenza poetica ho deciso di appioppare questo nome a tutte le “streghe”. Inoltre, più avanti, probabilmente, vi esporrò meglio perché, vi dico solo che mi sono rifatta ad alcune interpretazioni e teorie di  Abraham Viktor Rydberg ( scrittore e filosofo svedese dell’1800).

[2] Giraffa; la parola mi fa ridere per nessun particolare motivo.

[3] Ho lasciato la DSA di Jason piuttosto ambigua senza “categorizzarla”, poiché in quanto romano ha il cervello settato sul romano e quindi non ha lo stesso problema netto di lettura di Percy, che Riordan paragona alla Dislessia, per via della difficoltà di lettura dei caratteri. Posso assicurarvi, come esperienza di prima mano, che anche con una DSA che non è per forza dislessia, si possono avere anche difficoltà con la lettura.
 Insomma Jason è effettivamente capace di leggere i caratteri senza problemi, essendo latini, ma il suo cervello cerca di interpretarli come parole in latino prima che in inglese (questa cosa super meme mi è capitata a Roma, dove ho passato mezz’ora a cercare di interpretare una scritta convinta fosse latino, ma era inglese ahaha)..

[4] fumo verde, pescata da un pozzo o da una sfera di cristallo, sono riferimenti a tre metodi profetici: 1) Fumo Verde: ovviamente il nostro buon oracolo; 2) Qui nello specifico Galm fa riferimento alle acque dell’Albero della mitologia norrena, ma in realtà è anche un modo per avere le profezie dalla Dea Fortuna a Palestrina; 3) Non credo abbia bisogno di presentazione.

[5] Un riferimento a Rouge One e Mads Mikkelsen

[6] Forse lo sapete già: Han solo shots first è un riferimento ad una controversia di cui è stato vittima Star Wars, dove Han Solo nel suo ingresso alla locanda, nella prima edizione del film: spara a Greedo per primo. Secondo Lucas in questa versione Han Solo appariva troppo ‘a sangue freddo’ e nelle ri-edizioni questa azione è stata cambiata prima in Greedo che spara per primo e manca Han e poi una dove sparano contemporaneamente. Personalmente io preferisco un Han che spara per primo a simboleggiare come sia passato dalla Canaglia (vera e propria canaglia e non solo ‘tsundere’ a eroe riluttante). Nell’Ottica di questa storia, Glam intende sia il fatto che anche l’ultimo degli uomini può diventare eroe oppure che anche un eroe (poiché Han Solo è stato scritto per essere un eroe) deve ‘sparare per primo’ all’occorrenza. Elucubrazioni inutili … o forse no.

[7] Sono le rune anglosassoni – come sempre i filologi si stanno ancora scannando per stabilire le origini, ma una teoria abbastanza accreditata sia che sia una derivazione di quello scandinavo. Ha comunque dai 2 ai 10 caratteri in più del Fuþark vichingo (che dei tre è il più breve ed è quello a cui fanno riferimento in questa specifica storia. Diciamo che è quello coevo ad Astrid e che anche Fred e Madina hanno imparato; fun fact Mel conosce il Fuþark antico (che era quello che Agrodoba aveva utilizzato sul “lucchetto” della sua porta), che era quello in uso ai tempi dei romani e gli studiosi ipotizzano abbia subito influssi dagli alfabeti italici. Altro fun fact: esiste una ulteriore serie di rune medievali. Ultima nota, in Magnus Chase tecnicamente vengono spesso mostrate rune anglosassoni come il Peorth di Hearth ed il Feoh di Magnus ( che nelle rune vichinghe è Fe, leggermente diverso. Il Feoh ha due line parallele oblique, mentre il Fe ha die quarti di cerchi), ma ho preferito dare ai vichinghi del Valhalla le Rune Vichinghe.

[8] La Runa con la M di Mann è anglosassone che corrisponde al vichingo madr (La prima è una M con una x tra le sbarre oblique e la seconda è un m minuscola), Rad è uguale nei due alfabeti.

[9] Dove fanno il deserto lo chiamano pace. Tecnicamente solitudinem è solitudine, ma si intende il nulla in questo caso.

   
 
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