Buongiorno.
Al momento sono fuori porta a catalogare materiale ceramico di
età romana
repubblicana e sono molto triste.
Nell’ultimo capitolo del Crepuscolo avevo detto che sarei
probabilmente
rientrata in una wave-Jacksoniana presto perché era uscito
TSATS ma in realtà
non lo ho ancora letto (cioè, non lo ho ancora finito e sto
andando lentissima).
Se sono rientrata a scrivere è merito più di
qualche ff letta che di Riordan.
Comunque, in fondo al capitolo vi lascio una nota lunga e prolissa.
Tre dee e una
testa
“Ovviamente
Aldermann non ci ha
invitato alla sua festa. Come tutti gli altri. Siamo paria!”
aveva
commentato con estrema tristezza una donna, Jason l’aveva
osservata. Era un’elfa,
indovina Jason dalle orecchie puntute, dalla pelle chiara e lucida,
fredda, in
contrasto a cappelli rosso-oro, mossi che le incorniciavano il viso a
cuore.
Era incantevole ma tremendamente triste, mentre continuava a battere
con le
dita sulle sue cosce. Era vestita con una camicetta floreale vecchia e
dei
jeans sbiaditi, molto mondana. Jason non capiva
bene, poi aveva visto
Stellan, più magro, più basso, più
giovane, con la salopette verde bottiglia
sopra una maglia arancione. “Recuperò la vergogna
di nostro padre, Ingrid”
aveva dichiarato Stellan, prendendo la mano della giovane,
“Che anche Adermann
ed ogni elfo di Alfheiman saprà della gloria dei
Brightflower” aveva dichiarato
convinto Stellan. Ingrid si era chinata ed aveva baciato il fratello
sulla
fronte, “Come sei dolce, fratellino. Ma nulla di
ciò che faremo ci restituirà
la dignità …” aveva dichiarato Ingrid,
ma era stato interrotto da Stellan, “Noi
abbiamo la nostra dignità!” aveva dichiarato con
vigore, con gli stessi occhi
chiari lampeggianti di furore e giustizia che Jason aveva visto contro
Agrippina. “In noi abbiamo il sangue dei Myrkálfar
…”
E poi la scena si era come sciolta davanti ai suoi occhi. Era stato
accecato
dal bianco, della neve. Tutta intorno, come una coperta di silenzio sul
mondo.
Una donna, diversa, era apparsa nei suoi occhi, era alta e scura,
vestita di
vesti pesanti, i capelli riccioluti sistemati sotto un fazzolo e lunghe
gonne
ampie, le teneva sollevate, perché ogni passo la fece
scivolare più giù nella
neve. “Està frio! Madina, venha para casa!”
aveva gridato quest’ultima. Non
era spagnolo. Jason, aveva cercato con lo sguardo Madina e
l’aveva vista, unica
macchia di colore nelle bianche montagne del Wyoming. I capelli scuri
scompigliati e liberi e vestita di turchese. Indossava un vestito
antico, non
era così esperto da riuscire a capire, di quanto lo fosse,
con un corpetto
dritto che le schiacciava il seno ed una lunga gonna, gonfia sui
fianchi che si
apriva come un bocciolo sulla neve, con merletti a tombolo che
attraversavano
la scollatura a barca e le maniche strette. Non indossava altro, i
piedi nudi e
le caviglie immerse nella neve. Jason vedeva il suo sorriso, mentre con
gli
occhi spiava le vette innevate.
“Estou em casa, mãe. estou em casa na neve”
aveva urlato Madina, con i
fiocchi di neve che le danzavano intorno.
E la scena era cambiata ancora.
Dal freddo bruciante al caldo. Un caldo devastante ed un mondo pieno di
rumore,
odori e colori. Una piccola finestrella su una città
caotica, con tetti d’oro
bombati, e … chiasso. Aveva
riconosciuto, lì, lontano un edificio
famigliare, ma non sapeva perché …
“Ciel, Frederic! Tout cela est magnifique! La
puissance de Dieu!” aveva
detto una voce maschile. Era un giovane, aveva il viso pieno e tondo,
chiaro
con le guance scottate dal sole, la parte alta della testa era fasciata
e le
bende erano luride ed insozzate, non stava bene, perché i
suoi occhi erano
lucidi, ma si sforzava di mantenersi allegro. Jason si era voltato
nella stanza,
seguiva uno stile di decorazione che gli era estraneo. Riconosceva
però, il
ragazzo sul triclinio. Fred. Aveva una cicatrice quasi estranea che
tagliava il
viso, portando via un pezzo di naso. L’incarnato olivastro
era chiaro come la
polvere e gli occhi lucidi. Come il suo amico anche lui aveva delle
bende,
sulla testa, sul braccio. “Aucun dieu n'a fait
ça! Que les hommes!”
aveva detto solamente tetro Fred, con il tono pregno della sua rabbia.
E l’immagine era cambia ancora ed ancora.
Jason stava guardando un catino pieno d’acqua.
C’era un ragazzo, era giovane. Era bello. Con il viso di
alabastro ed i capelli
biondi delle querce. I suoi occhi erano chiari e luminosi, come
l’estate – non
avrebbe potuto descriverli in altra maniera. Era Erik Freydisson, senza
quell’alone spettrale da einherjar, ma vivo. Erik aveva
sorriso ed aveva detto
qualcosa. Jason si era guardato intorno, riconoscendo pareti di
terra-argilla e
legno. Era una capanna una specie. E poi aveva visto Astrid. E per un
secondo
era rimasto senza fiato. Sembrava più piccola, non
nell’aspetto, quasi gemello
a come la conosceva Jason, ma negli occhi. Erano giovani. Lei aveva
allungato
le mani ed aveva preso quelle di lui, aveva detto qualcosa, con un tono
basso,
quasi un sussurro, in una lingua che non conosceva, così
dura da non riuscire a
percepirne le parole. Lui le aveva sollevato il viso e
l’aveva baciata con
dolcezza prima su una guancia poi sull’altra. C’era
gentilezza nella sua voce,
ma anche dolore. Astrid era arrossita ed aveva deviato lo sguardo,
occhi verdi
colmi di tristezza, verso il catino, aveva allungato una mano e
l’aveva
immersa. Lui aveva allungato una mano ed aveva cominciato a far
scivolare una
manica del grembiule arancione della nipote di Sif.
Jason non aveva visto altro di quell’intimità,
perché era altrove.
Aveva riconosciuto un impluvium, che dominava la
scena. Era una giornata
terribilmente umida, lo respirava nell’aria. Pioveva, sia dal
rumore dell’acqua
che batteva sul tetto, sia dai rivoli d’acqua che scivolavano
dal compluvium –
il foro nel soffitto – fino alla vasca per riempirla.
L’acqua cheta della impluviun
continuava a ticchettare. Jason sapeva per certo chi avrebbe
visto, se non
per il luogo, almeno per logica.
E poi aveva visto Mel, aveva circa la stessa età che nel
Valhalla, aveva un
occhio pesto e gonfio di un viola invadente, un labro aperto ed il naso
schiacciato in più punti; portava i capelli biondi ed
indisciplinati, lunghi
sulle spalle e sfatti. Zoppicava ed alcune ferite sembravano fresche.
Sembrava
passato in un frullatore; Jason non lo avrebbe mai riconosciuto non
fosse stato
per gli occhi oliva-scuro.
Mel era in compagnia di un’ancella, vestita con una lunga pretexa.
“Ecco, sì, mio signore. Il gladiatore che avevate
chiesto” aveva detto pieno di
incertezza.
Jason aveva visto il suo interlocutore. Occhi cattivi, predatori,
dietro un
viso all’apparenza gradevole, carino, quasi ingenuo, ma Jason
conosceva la
verità.
Caligola. Uno giovane e tremendamente diverso dal mostro che lui
conosceva.
“Mio signore, non pensavo di rivedervi” aveva detto
Mel, ma la sua voce era
cedevole ed impastata, come se parlare fosse doloroso. Aveva parlato in
latino,
ma Jason aveva compreso. “Sono sorpreso quanto te”
aveva dichiarato Caligola,
con un sorriso cattivo disegnato sul viso giovane.
Era in una casa accogliente e calda, una che Jason non aveva mai
provato nella
sua breve vita mortale. C’era una splendida donna dai capelli
chiari, quasi
bianchi e la pelle chiara e luminosa che gironzolava per la casa
canticchiando,
poi aveva urlato qualcosa.
Se non avesse conosciuto uno di quei suoni, Jason non avrebbe capito
fossero
nomi: Narfi e Váli.
Due uccellini erano da una finestra aperta, uno aveva un delicato
piumaggio
rosso ed uno azzurro, che si erano inseguiti, sembravano passerotti che
era poi
esplosi in due figuri umani, bambini. Un Váli Lokinsoon con
i suoi occhi gialli
come lo champagne era apparso davanti a lui, assieme ad una sua piccola
copia
di lui.
La dea della fedeltà – doveva essere lei
– aveva detto qualcosa e Jason aveva
distinto il suono della parola ‘padre’ ricordando
come Astrid aveva appellato
suo padre. I bambini avevano ripagato con qualche commento che Jason
non aveva
capito, ma davanti al sorriso caldo della loro madre avevano riso i due
bambini,
vibranti di gioia. Oh, come infausto era stato il destino a spegnere la
gioia
dal viso di Váli. Jason aveva sentito la stessa atavica
rabbia che aveva
provato per Cupido quando aveva spezzato l’animo di Nico.
E
poi era
cambiato tutto ancora, ed ancora, in un vortice infinito di frammenti
ed
immagini senza alcun senso.
“Perché?” aveva chiesto Jason confuso.
Chiedendo un senso a quelle visioni.
Erano i suoi compagni, tutti. E poi si era aperta un’altra
scena …
Era il caffè all’università di Boston,
la stessa dove aveva incontrato Jarnsaxa
la prima volta. Ma era autunno ed un tappeto di foglie rosse e marroni
decorava
tutto. Poi l’aveva riconosciuta bella e letale, Kym!
Jason lo aveva capito subito che quello che stava vedendo era una
visione
diversa. Prima aveva avuto una visione della vita dei suoi compagni, un
piccolo
scorcio, dal più recente – Stellan vivente
– a Mel, il più antico. Ma quel
momento era diverso.
Kym non era nella sua fulgida forma divina, ma pareva nella sua forma
umana.
Era seduta al tavolino che sorseggiava un alcolico di fortuna.
Aveva sollevato gli occhi verde-mare e per un secondo Jason aveva avuto
la
netta impressione che lo potesse vedere, ma non era vero, guardava
nella sua
direzione, ma non lui, si era voltato ed aveva visto Thrud arrivare.
Sembrava una collegiale qualsiasi, anziché una divina
valchiria, con i capelli
crespi e fulminanti in ogni direzione, avvolta in un pesate giaccone
con un
collo di … piume?
“Thrud ben arrivata” aveva detto Kym pigramente,
mentre la ragazza faceva
strisciare una sedia prima di accomodarsi.
“Kym” aveva replicato la figlia di Thor.
“Hai fatto quello che ti ho chiesto?” aveva chiesto
la valchiria, aveva fatto
passare diversi minuti, si era guardata intorno circospetta.
“Intendi recuperare quel pezzo di arredamento da giardino del
tuo fidanzato?
Sì” aveva risposto Kym stizzita. Thrud aveva
gonfiato le guance, leggermente
offesa, “Alvis è una persona adorabile!”
aveva difeso il suo amore Thrud, “Solo
che papa non lo capisce” aveva aggiunto.
Jason era stato per un momento terribilmente confuso, credeva che Kym
avesse
aiutato Thrud a sbarazzarsi del suo fastidioso spasimante.
Kym aveva riso con un divertimento quasi cattivo, “Per mio
padre è il
contrario. Lui trova fantastico il mio marito, con mille mani che non
mette
neanche il sottobicchiere sul tavolo di vetro” aveva
replicato offesa la dea.
Thrud aveva riso, complice, “Ah, come siamo sfortunate amica
mia: tuo padre ti
ha imposto un uomo che non vuoi, mentre il mio mi nega quello che
voglio” aveva
commentato quasi tragica.
Kym aveva sbuffato, “Anche a me hanno negato quello
che volevo” aveva
detto lapidaria.
Thrud le aveva sorriso, le sue labbra erano cattive ed i suoi occhi
erano
scintillati quasi di una luce sinistra, “Sai,
però, cara, Kymopoleia io … potrei
avere una soluzione per il nostro problema” aveva commentato
Thrud.
Kym aveva sollevato un sopracciglio scuro.
“Ho parlato con una Flagd[1]”
aveva spiegato Thrud. “Sai che non ho idea di cosa dici?
Adesso cominciò a
sciorinarti anche io termini greci a caso … tipo kamelopardalis[2]”
aveva risposto schietta ed irritata Kym, “Perché
ora parli di giraffe?” aveva
chiesto Thrud, “Hai capito!” aveva abbaiato Kym. La
figlia di Thor aveva
sbuffato ed aveva risposto poi, seccata: “Un strega.”
“Va bene, cosa ti ha detto questa strega?”
aveva domandato Kym.
“Come possiamo ottenere tutto quello che vogliamo senza
incorrere nel Ragnarok”
aveva detto la Valchiria, “E nell’ira dello zio
Ade” aveva replicato Kym.
Oh, stavano parlando di lui!
“Devo
dire che tutto questo è molto caotico” aveva
sentito una voce femminile alle sue spalle, per un secondo aveva
pensato ad
Heidi quando si era voltato, ma aveva incrociato gli occhi pieni di
buone
intenzioni di Glam, la dísir.
Le palpebre erano coperte da un sottile strato colorato di un viola
accecante
che urtava da morire con il caschetto blu brillante.
Erano sistemati in un piccolo bar, composto da un bancone –
dove nessuno era
presente – e dei tavolini bianchi, tre, mentre la parete
straripavano di libri,
fumetti e quant’altro di ogni genere. Jason non aveva dea di
che posto fosse.
“Non siamo abituati al caos da queste parte, siamo soggetti
al Wyrd, tutto già
scritto … a modo suo, lui va come vuole” aveva
ammesso Glam, “Ma qui stiamo
andando completamente fuori i binari” aveva ammesso quella.
Jason
aveva boccheggiato, avrebbe dovuto rispondere
alla Dísir che era colpa sua, ma aveva il sospetto che la
donna lo sapesse già.
“So cosa stai per dire” lo aveva anticipato Glam,
“Diciamolo al tre” aveva
squittito.
Jason aveva sospirato.
“Uno …” aveva cominciato a contare,
“Aspetta … così non è
chiaro, dillo dopo
che ho detto tre” aveva specificato.
“Quindi: uno” aveva ripreso Glam, “Due
…”
“… Tre …”
“ È colpa mia se sta succedendo tutto
questo” aveva ammesso Jason, non aveva
senso negare niente ad una dea del destino nel mezzo di un delirio
onirico.
“È un personaggio apparso troppo tardi
per essere effettivamente rilevante
nella storia” aveva canticchiato allo stesso tempo
Glam. “Cosa?” aveva
chiesto confuso Jason, “Non è realmente colpa tua,
penso sia ovvio. Non sei realmente
colpevole” aveva specificato Glam,
“Questo purtroppo non ti rende estraneo”
aveva spiegato calma, “Avevo detto che eri interessante,
no?” aveva chiesto
retorica Glam.
Sì, lo aveva detto prima di portarlo a Folkvagen. “Siamo
marionette che
ballano guidate dai fili di chi è venuto prima di noi”
aveva ripetuto
Jason, “Oh, George R.R. Martin … sei un
po’ nerd anche tu?” aveva squittito
divertita Glam, “Io … no? Lo ho sentito da un mio
compagno al college” aveva
ammesso Jason colmo di imbarazzo, “Ho una DSA”
– sapeva che restare sul vago
non era giusto, ma non era neanche una bugia, forse Jason non aveva un
disturbo
dell’apprendimento base, ma il suo cervello era settato su
altro – “Ho una
certa difficoltà nel leggere” aveva sottolineato.
Una volta aveva speso ben un
quarto d’ora a cercare di interpretare una scritta prima di
rendersi conto che
non era scritta in latino[3].
“Esistono gli audio libri” lo aveva stuzzicato la
dea, “A proposito, perché ti
sei definita personaggio?” aveva chiesto,
ricordando quella strana
frase. Glam aveva ridacchiato divertita, “Meta-narrazione
Jason! Tutti
noi, senza eccezioni siamo protagonisti di una
storia, che sia stata
vomitata fuori assieme a fumo verde, pescata da un pozzo o da una sfera
di
cristallo[4],
tutti protagonisti di una storia” aveva ammesso la
Dísir, “Ed io mi sono
infilata nella tua abbastanza in ritardo” aveva considerato
quella.
Diverse risposte erano venute in mente a Jason, la sua storia era stata
già
raccontata da una profezia, da una canzone, dalle memorie. La sua
storia era
finita, Glam non era in ritardo, era fuori tempo massimo.
Era Jason che
stava rubando il tempo. “Sei il mio Deus ex machina?”
aveva indagato
alla fine Jason, decidendo che dovesse essere la cosa a cui postare
più
attenzione. Glam era una dísir, una signora del fato, una
guardiana delle anime
che potevano spostarsi da un paradiso ad un altro.
“Sì … a proposito di questo, non sono
proprio sicura di poter intervenire fino
in fondo, oltre che, be, non so esattamente quale sia la tua
situazione. Il
futuro è un mistero, oggi”
aveva raccontato quella, facendo oscillare il
caschetto azzurro.
“Non è la prima volta che viene detto,
sì” aveva ammesso Jason, ricordando
anche la profezia a fortuna di Kráka. “Quasi una
sensazione elettrica” aveva
squittito Glam e sembrava stranamente sincera, mentre spostava le sedia
per
accomodarsi.
Aveva invitato Jason per seguirla, “Tranquillo siamo in un
non-tempo, ora stai
dormendo ma tranquillo dormirà decisamente molto meno tempo
di quanto
impiegheremo qui” aveva soffiato.
“Di solito mi capita il contrario, sogni relativamente brevi
e poi scopro di
aver praticamente raggiunto il coma” aveva ammesso calmo,
“Probabilmente
sarebbe successo anche qui, il wyrd ti voleva mostrare i tuoi amici,
tutti i
tuoi amici … rifletti su questo, probabilmente cerca di dire
qualcosa, ma io
lo ho intercettato” aveva ammesso Glam con totale
no-chalance.
Jason aveva annuito, “Credo abbia senso” aveva
considerato, anche se non era
sicuro che perdere il flusso di informazioni che una forza primordiale
voleva
mostrarli fosse furbo, “Certo che ha senso, chi tra me e te
è la dea che serve
il destino?” aveva inquisito quasi divertita.
“Touchè” aveva ammesso Jason,
“Quindi, cominciamo” aveva considerato la ragazza
battendo le mani.
“Come rimettiamo a posto le tavole del destino?”
aveva proposto lui.
“Dritto al punto, mi piace” aveva scherzato la dea,
“Ma no, cominceremo da una
storia molto più interessante: Star Wars,
hai presente?” aveva chiesto,
per dare anche più enfasi, Glam si era indicata la maglietta
rosa e bianca con
la scritta: Han Solo spara per primo.
Jason doveva dichiararsi piuttosto stupito, “ È
dove ci sono quelli con le
orecchie a punta? I Vulcaniani?” aveva chiesto poi, cercando
di recuperare
dalle sue memorie qualcosa che aveva detto Leo una volta.
“Quello è Star Trek”
lo aveva corretto Glam. “Quello con gli orsetti
carini-bruttini, allora” aveva
proposto Jason, anche quello veniva da una memoria con Leo, ‘Ascoltami,
fratello, sicuramente il De Bello Gallico ha il suo perché,
ma la cultura pop
merita di essere conosciuta anche da chi è cresciuto dai Lupi”
aveva
scherzato Leo.
‘Va bene, sono pronto alla cultura pop’
aveva scherzato Jason,
accettando, ma poi era stato tempo di costruire l’Argo II, di
raggiungere Nuova
Roma e poi l’Europa e poi non c’era stato
più tempo.
Jason aveva cercato Leo per un po’ dopo la battaglia al Campo
Mezzosangue e poi
si era arreso, per un po’.
Ci sarebbe stato tempo, si era detto, per recuperare tutta la cultura
pop che i
confini di Nuova Roma lo avevano privato, con Piper e con Leo quando
sarebbe
tornato.
Ma aveva avuto torto: non aveva avuto tempo.
“Il fatto che tu riconosca Star Wars dagli Hewok è
indecente, ma possiamo dire
così” aveva concesso Glam, “Per farla
breve e riducendo una trama composta di
film, libri, fumetti e canoni diversi – nel primo film, che
è il quarto, i
ribelli combattono contro un oscuro imperatore” aveva
spiegato lei. Questo
suona familiare, aveva pensato Jason, ma non aveva avuto il coraggio di
dirlo
ad alta voce, “L’Imperatore governa
l’universo intero, ma esiste un’alleanza
ribelle che cerca di rovesciarlo, ora lasciamo da parte Luke, Han e
Leia, okay”
aveva ripreso.
“Abbastanza facile, non so chi siano” aveva
soffiato lui.
Glam aveva sorriso come un gatto del Cheshire, “Be tesoro, un
po’ sembri Luke
Skywalker” aveva soffiato divertita lei, prima di riprendere
a parlare: “Ora l’alleanza
ribelle deve sconfiggere l’Imperatore, quello è il
loro grande obbiettivo, ma
nel frattempo questi ha fatto costruire una macchina distruggi pianeti
di nome
Morte Nera, che non esita ad usare” aveva spiegato.
Jason era solamente più confuso, ma aveva ascoltato
nuovamente le parole,
“Rovesciare l’Imperatore è ancora
necessario, ovviamente si rovescia
l’Imperatore probabilmente si risolveranno tutti i problemi,
o quasi … ma
sospetto che questa Morte Nera sia diventata effettivamente
prioritaria” aveva
considerato.
L’Imperatore era ancora il cattivo, ma l’arma
capace di distruggere pianeti era
probabilmente più prioritaria, come lo era stato per loro
dover svolgere tutte
quelle missioni mentre cercavano di raggiungere Atene, come
… recuperare
l’Atena Partenone, per ricucire la frattura. “Mi
piacciono i ragazzi svegli”
aveva ammesso Glam, “Le tavole del destino sono
l’Imperatore” aveva considerato
Jason, “Ed Heidi è la Morte Nera”
aveva concluso Jason.
“Il che fa ridere per più di una
ragione” aveva soffiato Glam, prima di
inclinare la testa, “Oh, in questa metafora Váli
Odinsson dove lo metteresti?”
aveva indagato tutt’altro che lieto Jason, quasi nel tentavi
di sdrammatizzare,
“Darth Vader, sicuramente” aveva detto Glam,
schioccando le dita.
“Se entro ventiquattro ore riesco a tornare al Valhalla,
giuro che recupero
tutti i film” aveva ammesso lui. La piccola dea aveva
ridacchiato, mentre
faceva oscillare il polso, per eseguire un movimento della mano,
simile, era
una riproduzione di Gebo, la runa del dono. Tra le
sue mani era apparsa l’Edda
Poetica, una coppia diversa da quella che Astrid aveva preso
in prestito
per lui dalla biblioteca dei Chase. La copia di Glam era più
vecchia, bella ed
elegante, con carta sottile, le rune vergate in raffinate con pennino e
calamaio, accompagnate da disegni e miniature esplicative.
“Ora Hannibal Lecter
aveva costruito un pulsate di distruzione per
l’autodistruzione[5],
sfortunatamente nessuno lo ha fatto per Heidi, ma ha
anche molto altro”
aveva squittito Glam. Jason aveva schiuso le labbra, ma alla fine aveva
deciso
di tacere.
“Cominceremo
da lei, come posso … per
proseguire poi, a Váli, ai Váli,
fino alle tavole, per quel che posso,
si intende, resto ancora una misteriosa dea del destino”
aveva ripreso Glam, “E
non dimentichiamo il cinghiale” aveva considerato Jason,
“Non dimentichiamo il
cinghiale, no no” aveva dato man forte Jason.
Jason aveva recuperato il libro che Glam aveva evocato.
“Cominciamo da Heidi”
aveva sospirato, “Che di sicuro non è quella a cui
le caprette fanno ciao”
aveva commentato Glam divertita, Jason aveva sollevato un sopracciglio,
“Oh,
Odino Padre-Tutto hai delle serissime lacune da sistemare”
aveva aggiunto.
Jason aveva sospirato, stanco, passando le dita sulla copertina
delicata
dell’Edda, ricordando le parole di Heidi stessa.
Nella Vǫlupsa, lei era lì,
così aveva detto.
“Capo-verso
ventuno” aveva ricordato.
Glam aveva sorriso soddisfatta: “Bene, mio giovane Padawan,
stai recuperando
punti …”
Jason aveva aperto il libro cercando il capoverso ventuno della
Vǫlupsa,
notando che il libro che Glam li aveva fornito ospitava tre colonne a
pagina,
una era in inglese, una era scritta in caratteri runici ed una doveva
essere la
trascrizione in caratteri latini della scritta runica.
“Forse … è la domanda
sbagliata” aveva ripreso Jason, “Ma la
maglietta?” aveva
indagato, Glam aveva sorriso serafica: “Vuol dire che anche
le canaglie possono
essere eroi o gli eroi possono giocare sporco[6].”
Jason
aveva aperto gli occhi.
La prima sensazione che aveva provato era stato estraniamento, una
confusione
pesante sulle sue palpebre, ma poi tutto il sogno con i suoi amici e la
lunga
conversazione con Glam era venuta alla sua memoria, poi aveva
realizzato di
essere da qualche parte.
Era seduto per terra, circondato da un anello di rune.
Alcune avevano un aspetto famigliare ma altre decisamente no.
In una stanza completamente vuota, senza arredi, senza finestre
– neanche inferiate
– con l’unica compagnia di una porta di legno
spesso.
Il pavimento era nuda terra battuta e le pareti erano muro stuccato con
cui si
dipanavano grottesche scene, che Jason riusciva a distinguere male
nella
penombra.
L’unica fonte di luce nella stanza era il tiepido chiarore
tendente al rosso
emanato dal cerchio di rune.
Jason sospettava di sapere cosa fosse, ma decise di tentare ugualmente,
stendendo una gamba, trovando un muro d’aria ad impedire di
passare il cerchio.
Era costretto in quella posizione seduta, senza potersi muovere, oltre
il metro
scarso.
“Bene, come mi libero di questo?” aveva pensato ad
alta voce.
“Non lo puoi fare; sono rune futhorc,
rune due-punto-zero[7]”
aveva risposto una calma voce maschile a Jason, comunicandoli che non
era
l’unico nella stanza. Si era voltato da dove veniva il
rumore, incrociando però
solo buio. “Non ti vedo” aveva dichiarato.
“Sfortunatamente non ho bisogno di sigilli magici per essere
messo in castigo”
aveva dichiarato stanco la voce. “Anche lei rapito da
Heidi?” aveva chiesto
Jason, “Più dalla mia
stupidità” aveva considerato la voce maschile,
“Anche le
menti più acute possono essere fallaci” aveva
sospirato quello stanco.
Jason aveva roteato gli occhi, intuendo che attitudine avesse il suo
compagno
di stanza. “Sono felice che tu ti sia svegliato comunque, da
solo cominciava ad
essere esasperante” aveva commentato la voce,
“Immagino, magari in due
riusciamo anche ad escogitare un modo per uscire” aveva
considerato Jason,
prima di presentarsi poi.
“Oh, sì, io sono Mímir, il consigliere
di Odino, il dio del sapere” aveva
risposto tronfia la voce.
“Oh” si era lasciato sfuggire Jason, “Il
dio scomparso” aveva considerato.
Ricordava di aver sognato l’incontro tra Frigga e Samirah a
proposito della
sparizione del dio in questione. Scomparso.
Stranamente non ne avevano parlato con Glam, forse la Dísir
non lo aveva
ritenuto importante, non quando Gullinsbursti e Heidi.
“Il dio senza corpo giusto? Samirah Al-Abbas la sta
cercando” aveva comunicato
Jason, “Samirah? Odino di tutte le valchirie doveva proprio
mandarmi quella
ragazzina bisbetica” si era lamentato Mímir,
“Però questo vuol dire che saremmo
salvi a breve” aveva considerato piuttosto soddisfatto,
“Samirah e Magnus
potranno anche essere poco collaborativi, ma sono decisamente bravi nel
loro
lavoro. Salvi presto, sicuramente”.
Jason non ne era del tutto sicuro, senza deprivare Magnus del suo
talento, era
venuto in soccorso di Jason solo qualche ora prima – o forse
giorno.
“Posso chiederle come è stato rapito?”
aveva domandato Jason, mentre riprendeva
ad osservare le rune che lo circondavano, cercando qualcosa che lo
potesse
aiutare. “Oh, sono stato molto stupido, dopo aver perso i
miei due apprendisti,
ho avuto bisogno di qualche nuovo aiuto, sarebbe sciocco lasciare
sprecare
tanta sapienza, ma, ahimè ho scelto male, e non mi sono
accorto che quella
stregaccia vanir aveva già messo gli artigli sul mio
protetto” aveva spiegato
il dio, pieno di vergogna. C’era qualcosa nel fondo della
memoria di Jason che stava
gridando qualcosa, ma non sapeva dove cercare, dopo
il tiro-mancino
della divina Giunone la sua mente non era più stata la
stessa. Se mai la era
stata.
“Non
conosco molto bene le rune,
sapresti indicarmele, riconosco solo Mann … e Rad”
aveva ammesso stanco Jason,
oltre la lettura dell’Edda avrebbe dovuto chiedere a Glam
qualche ripetizione
in runico. La prima
la ricordava per
Madina, era l’uomo ma era anche la M,
la sua iniziale. Non doveva
esistere nelle rune vichinghe o essere uguale, la stessa cosa doveva
valere per
Rad, il viaggio, che era una delle rune del set di Astrid[8].
Le rune erano sei, la prima era una stanga dritta attraversata da una
barra
obliqua con il lato alto a sinistra,
verticali, la seconda era era la R tutta acuminata di Rad,
ma era
rovesciata – e Jason sapeva doveva significare qualcosa
– seguita da Mann con
le due stangate oblique della M che si incrociavano continuavano fino
alle
barre, poi c’era una F con le barre orizzontali spezzate in
due segmenti che
formavano la v, la seconda, poi c’era quella che sembrava una
C composta di
segmenti dritti e freddi e l’ultima era una semplice I
maiuscola.
“Be, questo è grave per un einerhjar, ma ti
aiuterò, così tu aiuterai me” aveva
spiegato pratico Mímir, “Sono Nyd, Rad,
Mann, Oss, Peorth e Is”
aveva spiegato pratico, “Tutte le rune sono leggibili dal tuo
punto di vista,
tranne Rad che è al rovescio. Dunque,
sono Bisogno, trasporto ma
al rovescio, uomo, dio, contenitore da
riempire e ghiaccio”
Il
cigolio della porta in quercia aveva distratto
Jason e Mímir dalla loro conversazione.
La luce dell’altra stanza aveva accecato per un momento gli
occhi di Jason, che
si era ormai abituato al tenue bagliore della stanza e una silhouette
era
emersa, più luminosa della luce stessa, per un momento, solo
quando la porta si
era richiusa Jason aveva potuto distinguere la figura.
Una donna era apparsa, illuminata di una fredda luce dorata. Quando la
luminescenza era divenuta abitudine ai suoi occhi, Jason era riuscita a
distinguere le forme.
Era una splendida donna, slanciata, con un corpo snello e curve
generose, come
la più perfetta delle creature, aveva un viso splendido da
diva degli anni
Venti della Hollywood dell’Epoca d’Oro, che Beryl
Grace aveva incorniciato alle
pareti della sua stanza. La donna aveva capelli biondi, ondulati che
scendevano
sul viso bellissimo, fino alle spalle. Occhi d’oro puro, un
oro diverso da
quello di Piper, ma come monete sonanti.
Indossava un abito che non sembrava fatto di stoffa, ma di lamina
d’oro che
aderiva al suo corpo come un guanto. Jason si era sentito stordito
davanti a
quella visione.
“Heidi” aveva ammesso come un sospiro, consapevole
di chi fosse
veramente.
Dopo averla studiata, Jason l’avrebbe riconosciuta senza
neanche bisogno di una
sua presentazione …
“Oh, be, stiamo facendo progressi” aveva
considerato Heidi divertita, “Immagino
che l’assenza di flanella possa aver aiutato” aveva
squittito divertita, “Ben
sveglio, comunque … spero che Mímir non ti abbia
annoiato troppo” aveva
considerato Heidi, avvicinandosi all’angolo buio dove
risiedeva il dio senza
corpo, “A volte può essere fin troppo
indisponente” aveva considerato.
Quando Heidi aveva raggiunto l’angolo si era chinata per
raccogliere qualcosa,
dando le spalle a Jason, quando si era voltata, lui aveva potuto
osservare che
la dea teneva tra le sue mani aveva un boccia per pesci rossi, dove
galleggiava
una testa, con capelli rossastri.
Gli occhi di Mímir erano aperti, neri e profondi che si
erano fossilizzati su
Jason, sembravano cercare di comunicare qualcosa, se avesse imparato il
codice
mors da Leo forse avrebbero potuto comunicare
così. “Lo abbiamo decapitato
per questo” aveva canticchiato.
“Tu non hai fatto proprio nulla e non è stato per
questo” si era difeso
prontamente il dio nella boccia.
Heidi aveva raggiunto Jason e si era inginocchiata di fronte a lui,
facendo
attenzione a non far rovesciare la boccia o spiegazzare il vestito. Due
imprese
ardue in cui era riuscita, “I tuoi compagni erano sciocchi e
per questo che la
memoria li ha mangiati” aveva aggiunto il dio.
La dea non era sembrata per nulla turbata da quei commenti, mentre
sistemava la
boccia sul pavimento di fronte Jason, con un sorriso che non prometteva
nulla
di buono.
La lettura della Vǫlupsa con Glam aveva preparato Jason meglio di
quanto avesse
fatto la presentazione infinita di Odino, sapeva esattamente quello di
cui
stavano discutendo i due e le ragioni che avevano portato i Vanir a
decapitare Mímir,
ma aveva deciso di tacere – consapevolmente.
Preferiva che la sua ignoranza, per una volta, non fosse
un’arma contro di lui.
“Mímir è il saggio per eccellenza,
è ciò che più si avvicina
all’onniscienza
nel nostro mondo. Nessun dio è, ovviamente, onnisciente ma
Mímir è la cosa più
vicina che si potrebbe avere” aveva spiegato Heidi ignorando
il dio, prima di
infilare una mano nella vasca ed afferrare i capelli rossi fluttuanti
come
alghe lunghe e tirandolo fuori. Gli occhi di Mímir si erano
allargati in neri
pozzi e la pelle rosa era divenuta di un verde lugubre, quando aveva
tirato
fuori la testa dalla vasca e l’aveva buttata via come se
fosse stata una
vecchia palla.
Jason aveva sentito un suono doloroso e bagnato quando questa era
caduta sul
pavimento battuto, “Ma con le tavole del destino crepate,
quasi rotte, non c’è nulla
da sapere. Il futuro è nebbia, appartiene a tutti”
aveva riso Heidi.
“Perché hai rapito Mímir?”
aveva indagato Jason, “Uhm … caos?”
aveva proposto
Heidi, “Godo del caos che posso creare Jason
Iovisson” aveva ammesso, “E poi mi
serviva la sua acqua” aveva aggiunto oscillando la mano
ancora zuppa, facendo
schizzare alcune goccioline anche sul viso di Jason, che aveva cercato
di
ritrarsi. “Certo avrei potuto raccogliere direttamente
l’acqua, ma sarebbe
stato altrettanto divertente?” aveva aggiunto. “Lo
hai usato come una bustina
da tè?” aveva chiesto Jason perplesso, osservando
la testa ancora gorgogliante
di Mímir per terra, “Non darmi meriti che non ho,
Odino è stato il primo, lo ha
anche bello-bello marinato. Gli Aesir sono così volgari,
così ovvi … quasi
impensabile che siano rimasti così a lungo” aveva
risposto Heidi.
“Pensavo che i Vanir vivi fossero solo tre: Freya, Frey e
Njord” aveva
ponderato Jason, decidendo su che sentiero muoversi, pensando alla sua
conversazione con la dísir. L’espressione
rilassata di Heidi si era incrinata,
“Sì, circa, ma una volta, Jason Iovisson, eravamo
molti molti di più e
governavamo su questo mondo” aveva sospirato la dea,
“Ma Mímir non sbagliava:
eravamo deboli ed abbiamo permesso al tempo di logorarci fino a
divorarci”
aveva commentato.
“Sai quando mi hanno raccontato dei due pantheon che si
univano dopo la guerra
mi era sembrato strano ed avevo ragione … è stato
un lento annichilimento”
aveva detto con una certa cattiveria, che non si sposava in lui. Lui
che era
figlio di Roma che aveva accolto ogni dio che aveva incrociato, o
quasi, che
aveva fatto di dei stranieri i suoi dei. “Molto Romano non
trovi?” lo aveva
interrogato Heidi.
“Direi no” aveva risposto Jason, non aveva senso
mentire, lei aveva preso il
viso di Piper, lo conosceva, “Tipico commento da romano,
anche se ti piace
fingerti greco” aveva squittito lei, “Prima
dell’Impero Romano nei loro
territori esistevano cinquecento lingue, dopo che è finito
solo cinque. Avete
preso quello che dovevate e lasciato solitudine”
aveva replicato.
Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant[9],
così aveva scritto Tacito.
“E quello che hanno fatto ai Vanir? Hanno preso quello che
volevano e poi vi
hanno lasciato sfumare, dimenticati” aveva replicato lui,
calmo, cercando di
non arretrare da quello sguardo famelico.
“Sì, si sono presi il Seidr e qualche altra cosa e
lasciato il nulla.
Però ti prego, Jason, non pensare che lo faccia per qualche
fine nostalgico;”
aveva scherzato Heidi, “Allora sei la classica cattiva che
vuole vedere solo il
mondo bruciare” aveva detto Jason.
“Per favore, Jason Iovisson, non scambiarmi per una Loki
qualsiasi” aveva
risposto Heidi, drammatica.
“Dov’è Astrid? Come
sai chi sono?” aveva chiesto rabbioso lui, “Dei, un
altro cambio di discorso netto, non sei proprio bravo nei giochi mentali,
vero? Tu sei proprio il ragazzo d’oro, sì
… quello onesto e sempre sincero, noioso,
probabilmente mi sarei divertita di più con i tuoi cugini,
sai quello
sarcastico e quello melodrammatico” aveva scherzato Heidi.
Jason aveva provato rabbia e indignazione per primi nel sentire parlare
di
Percy e Nico così sguaiatamente e poi mortale preoccupazione.
Heidi sapeva tutto di lui. E non voleva che raggiungesse loro.
“Sei tu quella che ha detto che voleva il caos”
aveva ammesso Jason. Heidi
aveva ridacchiato, “Touché. Diciamo che Loki
prospera nel caos perché vuole
solo l’attenzione: ma io non voglio l’attenzione
… non ne ho bisogno, fidati”
aveva detto serafica lei. “E cosa vuoi?” aveva
domandato con mordente Jason,
“Lascerò la tua fantasia galoppare”
aveva ridacchiato lei.
“Astrid?” aveva chiesto Jason, decidendo che non
aveva molto di cui parlare con
Heide, era probabilmente solo affamata di caos, per fini che lui non
comprendeva. “Ah, la nipote di Lady Sif, sì,
sì … il tuo è un feticismo?
Sai donne skrælingjar?” aveva chiesto divertita.
Jason era arrossito imbarazzato, “Cosa? No!” aveva
risposto, Heidi aveva riso
di lui, “Uhm … Hai ragione è stato poco
carino” aveva ricominciato la dea
sollevandosi, con una espressione piuttosto divertita, “Dove
è Astrid? Come
sai chi sono? Perché sono qui?” aveva
deciso di ringhiare solamente Jason.
Heidi aveva ridacchiato, “Perché sei qui-qui o
perché sei finito in questo
pasticcio?” aveva indagato Heidi. Jason aveva schiuso le
labbra, “Entrambe?”
aveva risposto lui, “Me lo stai chiedendo?” aveva
proposto lei con
divertimento.
“Entrambe” aveva replicato Jason, “Sei
finito in questo pasticcio per tante
ragioni diverse, ma la più importante: eri necessario. Sai
è bello, essere
necessari, nessuno mai lo è veramente, ma tu
sì” aveva replicato. “Così
può
scoppiare una guerra tra pantheon” aveva replicato Jason,
“tra le altre cose”
aveva ammesso Heidi. Altre cose … non prometteva bene.
“E perché sono qui-qui?” aveva indagato
Jason, ammiccando al cerchio di rune
che lo teneva prigioniero. “Perché nonostante tu
sia noioso come poche cose al
mondo, sei riuscito ad incasinare le cose e se non capisco come
risolvere la
cosa potresti rovinare tutto” aveva considerato Heidi, con un
tono piuttosto
secco. “Come?” aveva chiesto, “Ti sembro
il super cattivo che rivela i piani
prima che siano conclusi? Anche solo dirti come lo hai quasi mandato a
monte
potrebbe darti troppi indizi” l’aveva rimproverato
Heidi.
Sollevandosi Heidi lo aveva guardato con una punta di divertimento,
“Quindi non
mi dirai che cosa vuoi fare, come ti sto ostacolando, dove sia Astrid,
perché
tu abbia rapito Mímir” aveva considerato Jason.
“Il fascino del mistero” aveva scherzato lei,
“Magari potresti dirmi anche solo
perché il cinghiale” aveva quasi scherzato lui.
“In effetti quello posso dirtelo, le ragioni sono due: la
più superficiale
volevo punire Freya e Frey” aveva detto subito Heidi,
“Per questo hai nascosto
il cinghiale qui, sì, ha senso” aveva valutato
Jason, “Sì, senza contare che
era l’unico posto dove la sua luce non sarebbe stata
notata” aveva esclamato
divertita la donna, prima di proseguire: “La seconda, la
più importante: vedere
se potevo” aveva aggiunto.
“La rottura del ciclo” aveva sospirato Jason.
“Un piccolo esperimento” aveva ammesso Heidi,
“Che potrebbe avere come
conseguenza la morte di un intero mondo” aveva ringhiato
Jason. “Oh, dei, mi
chiedo dove altro sia successo” aveva risposto seccata la
donna.
Nonostante Heidi avesse detto non fosse stato per nostalgia, Jason non
credeva
fosse stata sincera. Heidi era sopravvissuta a tutta la sua gente,
considerando
che Njord, Freya e Frey erano stati formalmente adottati dagli Aesi,
Heidi era l’ultima
dei vanir.
“Comunque, nonostante io sappia della tua noia dilagante e
della tua passione
del temporeggiare, Hera e Lupa ti hanno donato tanta di quella
resilienza”
aveva scherzato, “Quindi mi prenderò
un’assicurazione” aveva detto la dea e poi
aveva fatto qualcosa che Jason non si era aspettata.
Era entrata nel cerchio, era stato scioccante perché
ingenuamente aveva pensato
che se nulla poteva uscire, nulla poteva entrare.
Aveva richiamato i suoi poteri ma si era ritrovato inerme e quando
Heidi si era
avvicinata, qualcosa dentro di lui si era sciolto e la
luminosità sottile da femme
fatale, si era fatta iridescente come neon. Heidi lo aveva
afferrato per il
mento con le sue mani, delicate all’apparenza ma dure come
tenaglie e Jason
aveva sperimentato qualcosa che da molto tempo – da prima
della sua morte o
forse anche antecedete – non provava: un desiderio divorante,
per quanto la
fame fosse priva di discernimento.
Sentiva fluire in lui lo stesso inebriante sentimento che aveva provato
quando
aveva indossato per la prima volta la corona d’alloro dei
pretori e la toga
viola, lo stesso sentimento incendiario di quando Piper lo aveva
baciato dopo
la battaglia, o quando i fulmini lo avevano animato a Jotunhaimer; ma
ancora
più affamato di quello, di tutto quello.
“Sazia la tua fame” aveva ordinato Heidi e Jason
aveva ubbidito, senza neanche
accorgersene. “Devi essere vocale, Jason Iovisson, che tu
voglia saziarti”
aveva insistito la dea.
“Sì” aveva confessato Jason, senza
vergogna, “Devi dirlo” aveva insistito,
“Voglio saziarmi” aveva mormorato quasi ebete.
C’erano voluti tre sorsi prima che l’arsura del suo
cuore fosse appagata e
realizzasse che ciò che impastava come sapore la sua bocca
era l’acqua della
boccia di Mímir.
Heidi era sfuggita al suo campo visivo, la sua luce era appena una
fiammella,
come se si fosse consumata lei stessa, e la stanza era tornata in buio
quasi
soffocante.
Come macchia indistinta Heidi si era chinata recuperando qualcosa, un
lamento
l’aveva accompagnata; Mímir.
“Devi sapere Jason Iovisson” aveva cominciato la
donna con voce calma, “Che
chiunque beva dalla fonte di Mímir – e si intende
qualsiasi acqua dove lui sia
immerso o lo sia stato recentemente e non solo quella baciata dalle
radici
dell’Ygrdasill – guadagna poteri senza eguali, ma
non senza dare nulla in
cambio” aveva spiegato la dea, “E finché
sarai lì dentro non potrai pagare il
conto” aveva scherzato la dea con un divertimento quasi
crudele.
“Cosa mi accadrà se non …
pago?” aveva chiesto Jason con un leggero panico,
“Oh
be, niente, perché l’equilibrio si è
completamente sballato” aveva risposto la
donna, facendo ricadere la testa nella vasca,
“Finché avrai tu Mímir non
potrò
pagare il conto” aveva considerato Jason, realizzando la
portata della cosa,
“Sì e a te converrà che
l’equilibrio non si ristabilizzi o mi chiedo cosa possa
accadere da chi prende senza dare” aveva riso Heidi.
“Incantò,
dovunque poteva,
incantò i sensi” Jason aveva fatto una pausa nella
sua lettura, “Vuol dire
quello che temo?” aveva chiesto spaventato. Glam
aveva cambiato leggermente
il suo aspetto, nel momento in cui lui aveva letto la Vǫlupsa,
“Sì, lei è la
strega più potente che potrai mai conoscere e credo che al
mondo solo in tre
possano resistere ai suoi poteri: Loki, Odino e Freya” aveva
spiegato Glam,
“Neanche tu?” aveva chiesto speranzoso Jason,
“O mio giovane Padawan io sono
solo una serva del destino, non una tiratrice di fili” aveva
scherzato Glam.
“Come resisto al suo potere?” aveva domandato
Jason, “Non lo fai, speri solo di
non trovarti tra lei e i suoi incanti” aveva risposto la
dísir.
“Ero sotto il tuo incantesimo”
si era difeso Jason, “Sarebbe fantastico
se a qualcuno fregasse effettivamente qualcosa,
parlane con il tuo amico
Váli quando lo vedi, potrà spiegarti una o due
cose sulla bontà del wyrd” aveva
ricevuto come risposta e poi aveva abbandonato la stanza.
E Jason si era ritrovato di nuovo in un buio pesto, senza neanche la
compagnia
della testa parlante.
Aveva sbuffato, non poteva neanche invocare l’aiuto di Glam,
la dísir era stata
chiara: poteva intervenire solo in non-luoghi.
“Bene, come … esco da qui” aveva
valutato Jason, osservando le fievoli luminose
rune aggiornate di Heidi.
Le aveva riguardate: bisogno, trasportare ma al rovescio ,dio, uomo,
contenitore da riempire e ghiaccio, aveva ripetuto ancora ed ancora.
Bisogno, fermare – era quello, no? Il
contrario di trasportare – dio,
uomo, contenitore e ghiaccio.
E poi lo aveva capito, o almeno aveva pensato di capirlo: Bisogno
di tenere
l’uomo-dio nel contenitore di ghiaccio.
Probabilmente il ghiaccio ed il
contenitore erano solo un modo diverso per esprimere la prigionia.
Bisogno di tenere il semidio della prigione.
Sì, doveva essere quello, per questo Heidi aveva potuto
varcare la sua
prigione, o forse poteva perché era la sua maledizione.
“Rune tu troverai, lettere chiare, lettere grandi, lettere
possenti”
aveva ripetuto Jason, ricordando le parole che qualche giorno prima
erano state
dette da Madina a Jothunahim.
Le rune erano la magia più potente del mondo norreno, anche
più del seidr e
dell’alf seidr. Erano come i numeri, come
la matematica dell’universo,
erano il modo corretto per esprimere in magia le funzioni che
esistevano ed il
modo giusto per manipolare le cose.
Erano diverse da qualsiasi altro tipo di magia.
Non sapeva come
contraffare il potere di
Heidi, era una delle streghe più potenti in circolazione,
l’ultima dei vanir e
l’incubo di Odino e lui era solo un figlio di Giove bravo a
volare.
Non aveva bisogno di fare molto per rendersi conto che in quel cerchio
non
poteva usare ne fulmini ne aria, probabilmente il ghiaccio significava
quello: la
deprivazione.
Non sapeva come uscire da quella situazione, aveva ringhiato con
nervosismo e
si era battuto stupidamente le mani sulle cosce in un indesiderata
ricerca di
calma per la sua frustrazione.
Aveva infilato le mani in tasca alla ricerca di Giunone, aveva estratto
la
moneta e l’aveva fatta schioccare in alto, quando era caduta
sulla sua mano era
ancora una moneta, non sapeva neanche perché
l’avesse fatto, aveva rimesso
Giunone a posto e per questo aveva sentito qualcos’altro
nella sua tasca,
trovando poi cosa era. Hagalaz, la runa che
Kráka gli aveva fatto
estrarre dal gruppo di Astrid. Erano fatte di legno d’olmo,
il legno della
prima donna, create da un praticante di magia – sia seidr
sia alf-seidr
– così aveva spiegato Astrid. Immaginava fosse
stato Erik Freydisson, che erano
stregone ed un prete.
Rune potenti.
“H” aveva ricordato Jason, “Come
Heidi” aveva valutato guardando quella specie
di N, con le bande verticali più allungate,
“Grandine” aveva ricordato anche,
“Tristemente simile al ghiaccio” aveva aggiunto e
poi “… Un altro è Rottura”
aveva ricordato le parole di Astrid, nella sua camera, dopo
l’estrazione.
Jason aveva preso la runa di Hagalaz perché la serie della
sua amica doveva
avere una mancanza, doveva avere una sofferenza. Jason aveva rotto
l’equilibrio, in qualche maniera, soprattutto quello di
Astrid.
Aveva guardato ancora la runa, il legame personale lo rendeva
più potente,
erano rune fatte di magia pura, di un legno potente, realizzato da un
giovane
per la sua innamorata – Jason aveva visto il loro amore
imperituro da morti e
da vivi – e lui lo aveva spezzato.
Ed era una magia possente.
“Perché ho l’impressione che tu sia
rimasta con me per questo momento?”
aveva chiesto retorico. Era stato il Wyrd.
Hagalaz era la grandine, la H, il cambiamento ma
lui aveva bisogno della
rottura.
“Padre, Giunone, Kym … Odino, Glam …
Váli” aveva invocato quasi pieno di
vergogna prima di avvicinare la tessera alle rune disegnate.
Aveva sentito la sua mano incendiarsi, il calore, più
potente di un fulmine,
più bruciante, ma non si era fermato, le rune di Heidi si
erano illuminate
ancora di più di un rosso vermiglio senza vergona, mentre
quella di Astrid
ardeva di un fuoco verde intenso, ma Jason non aveva ceduto ed aveva
posato la
tessa su Peorth. Per un secondo il mondo era stato avvolto da un
brillante
colore giallo, che aveva accecato i suoi occhi, e poi era stato il
buio, le
rune si erano spente, tutte, e la stanza era scesa nel buio.
Aveva allungato le mani sul pavimento battuto al buio, prima di usare
la logica
ed aveva creato tra indice e pollice della mano sinistra un rivolo
elettrico
per illuminare qualcosa.
Aveva trovato hagalaz spezzata e rotta.
La rottura.
“Immagino io non sia stato creato per tenere unito
niente” aveva considerato
spento e stanco, quel gesto lo aveva drenato di ogni suo potere.
Non aveva riunito i romani e i greci, non aveva ritrovato Leo, non
aveva
aiutato Nico, non aveva creato i templi … non era riuscito
neanche a farsi
amare da Piper.
Jason Grace non era mai stato l’unificatore, era
sempre stato la grande
rottura.
Aveva raccolto i due pezzi in cui si era rotta la runa e gli aveva
messi in
tasca, un flebile guizzo di energia li animava ancora e così
aveva cercato la
porta al buio.
L’aveva trovata, forse eccedendo nella sua sicurezza Heidi
non aveva pensato a
blindarla di magia e l’aveva aperta, era stato poi avvolto
nella tenue luce del
giorno.
Un piccolo soggiorno, lo aveva accolto. Un divanetto basso, con sopra
una
trapunta, cassettiere in legno, vetrinette piene di cianfrusaglie ed un
tavolino basso al centro della stanza pieno di riviste. Non sembrava la
tipica
casa di una dea distruttrice, più di una casalinga degli
anni Cinquanta, ma …
immaginava che ognuno avesse le sue stranezze.
“Che sfortuna, speravo davvero tu non ti liberassi”
aveva sospirato una voce
femminile a lui nota. Non era Heidi.
Heidi non aveva lasciato un allarme di sicurezza, ma un mastino.
Jason si era voltato verso la voce, sotto l’uscio di
un’altra stanza aveva
incontrato un viso una giovane donna con indosso una lunga tunica blu
egiziano,
stretta alla vita da una cintola di cuoio, un mantello di piume di
cigno legato
ad una spalla e arruffati ed elettrici capelli biondi grano ardente.
Aveva sospirato, “Fantastico” aveva detto
sarcastico.
“Ciao Jason, mi dispiace davvero tanto” aveva detto
piena di imbarazzo la
donna, “Ciao a te, Thrud” aveva risposto stanco
Jason alla sua valchiria.
NOTA NECESSARIA: Non so quando
aggiornerò perché … ho perso
la voglia.
Poi, personalmente questa storia è tragicamente vicina al
finale, è ora di tirare
tutti i nodi al pettine e cercare di risolvere le questioni (Sappiamo
dove è il
cinghiale, anche se non lo *abbiamo* ancora trovato –
c’è da dire che Stellan e
Fred erano sulla buona strada, abbiamo scoperto chi ha preso
Mímir, chi è H e
all’incirca cosa vuole), prima fra tutti l’incontro
di wrestriling di Jason con
Váli l’altro. Detto questo, non tutte le questioni
trattate saranno risolte
direttamente (tipo i lunghi piani di H), ci tenevo a dirlo.
Detto questo, il capitolo appena letto è stato un delirio ed
in origine
dovevano essere due capitoli ben distinti ma ho deciso di unirli in uno
per
stringere il tempo.
Forse la rivelazione su Thrud
può sembrare un po’ OUT OF THE
BLUE, ma così è così è
sempre stato pensato. Prossimamente avremmo qualche
spiegazione.
Riguardo a Glam, il personaggio doveva apparire molto prima ed avere un
ruolo
molto più esteso (la sua prima comparsa è
effettivamente durante le vacanze a
Jothunheim) che avevo deciso di tagliare, essendo lei comparsa
tardivamente, ma
poi ho deciso di ‘ridimensionare’ soltanto,
perché nessuno poteva fare il Deus
ex machina come lei.
[1]
In
realtà le Fladge sono le streghe/donne-troll figlie di Loki
(partorite dopo
aver mangiato un cuore) per una licenza poetica ho deciso di appioppare
questo
nome a tutte le “streghe”. Inoltre, più
avanti, probabilmente, vi esporrò
meglio perché, vi dico solo che mi sono rifatta ad alcune
interpretazioni e
teorie di Abraham
Viktor Rydberg (
scrittore e filosofo svedese dell’1800).
[2]
Giraffa;
la parola mi fa ridere per nessun particolare motivo.
[3]
Ho
lasciato la DSA di Jason piuttosto ambigua senza
“categorizzarla”, poiché in
quanto romano ha il cervello settato sul romano e quindi non ha lo
stesso
problema netto di lettura di Percy, che Riordan paragona alla
Dislessia, per
via della difficoltà di lettura dei caratteri. Posso
assicurarvi, come
esperienza di prima mano, che anche con una DSA che non è
per forza dislessia,
si possono avere anche difficoltà con la lettura.
Insomma Jason
è effettivamente capace di
leggere i caratteri senza problemi, essendo latini, ma il suo cervello
cerca di
interpretarli come parole in latino prima che in inglese (questa cosa
super
meme mi è capitata a Roma, dove ho passato
mezz’ora a cercare di interpretare
una scritta convinta fosse latino, ma era inglese ahaha)..
[4]
fumo
verde, pescata da un pozzo o da una sfera di cristallo, sono
riferimenti a tre metodi
profetici: 1) Fumo Verde: ovviamente il nostro buon oracolo; 2) Qui
nello
specifico Galm fa riferimento alle acque dell’Albero della
mitologia norrena,
ma in realtà è anche un modo per avere le
profezie dalla Dea Fortuna a Palestrina;
3) Non credo abbia bisogno di presentazione.
[5]
Un
riferimento a Rouge One e Mads Mikkelsen
[6]
Forse lo
sapete già: Han solo shots first è un riferimento
ad una controversia di cui è
stato vittima Star Wars, dove Han Solo nel suo ingresso alla locanda,
nella
prima edizione del film: spara a Greedo per primo. Secondo Lucas in
questa
versione Han Solo appariva troppo ‘a sangue freddo’
e nelle ri-edizioni questa
azione è stata cambiata prima in Greedo che spara per primo
e manca Han e poi
una dove sparano contemporaneamente. Personalmente io preferisco un Han
che
spara per primo a simboleggiare come sia passato dalla Canaglia (vera e
propria
canaglia e non solo ‘tsundere’ a eroe riluttante).
Nell’Ottica di questa
storia, Glam intende sia il fatto che anche l’ultimo degli
uomini può diventare
eroe oppure che anche un eroe (poiché Han Solo è
stato scritto per essere un
eroe) deve ‘sparare per primo’
all’occorrenza. Elucubrazioni inutili … o forse
no.
[7]
Sono le
rune anglosassoni – come sempre i filologi si stanno ancora
scannando per
stabilire le origini, ma una teoria abbastanza accreditata sia che sia
una
derivazione di quello scandinavo. Ha comunque dai 2 ai 10 caratteri in
più del Fuþark
vichingo (che dei tre è il più breve ed
è
quello a cui fanno riferimento in questa specifica storia. Diciamo che
è quello
coevo ad Astrid e che anche Fred e Madina hanno imparato; fun fact Mel
conosce
il Fuþark antico (che era quello che Agrodoba aveva
utilizzato sul “lucchetto”
della sua porta), che era quello in uso ai tempi dei romani e gli
studiosi
ipotizzano abbia subito influssi dagli alfabeti italici. Altro fun
fact: esiste
una ulteriore serie di rune medievali. Ultima nota, in Magnus Chase
tecnicamente vengono spesso mostrate rune anglosassoni come il Peorth
di Hearth
ed il Feoh di Magnus ( che nelle rune vichinghe è Fe,
leggermente diverso. Il
Feoh ha due line parallele oblique, mentre il Fe ha die quarti di
cerchi), ma
ho preferito dare ai vichinghi del Valhalla le Rune Vichinghe.
[8]
La Runa
con la M di Mann è anglosassone che corrisponde al vichingo
madr (La prima è
una M con una x tra le sbarre oblique e la seconda è un m
minuscola), Rad è
uguale nei due alfabeti.
[9]
Dove
fanno il deserto lo chiamano pace. Tecnicamente solitudinem
è
solitudine, ma si intende il nulla in questo caso.