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Autore: paige95    29/07/2023    3 recensioni
La guerra in Afghanistan è il filo rosso che lega il destino di due uomini e due famiglie, due mondi distanti che non sanno di essere molto vicini tra loro.
Nell'estate del 2018, in pieno conflitto, il tenente comandante dei Navy SEALs Christian Richardson e l'inviato speciale del Los Angeles Times Samuel Clark verranno chiamati al fronte, lasciandosi alle spalle vissuti, affetti e i vasti territori californiani.
[Questa storia partecipa al contest "Chi ben comincia è a metà del prologo" indetto da BessieB sul forum di EFP]
Genere: Angst, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Destino'
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San Diego, 5 novembre 2018
 
Rincasare dal Coronado non diede sollievo a Fabian, i pensieri lo schiacciavano dall’alba al tramonto in qualunque luogo egli si trovasse. La famiglia, da qualche mese, era la sua primaria fonte di apprensione, ma avrebbe più volentieri sperato lo fosse solo l’assenza di Christian.
Rimase sulla soglia della porta, in un tempo che al seal parve sospeso, come quel periodo che non accennava a lasciare campo libero nelle loro vite. Era pensieroso, teneva le mani posate sui fianchi in segno di frustrazione e lo sguardo rivolto al pavimento, in attesa ricalcitrante di leggere sulle mattonelle una soluzione che fosse accomodante per tutti.
Soltanto i passi della figlia, che si muovevano cadenzati nella sua direzione, lo convinsero a sciogliere la posizione raccolta che aveva assunto. Con gesti più abitudinari, come slacciare i bottoni della divisa, cercò di trasmettere naturalezza; tolse la giaccia e la lanciò con precisione su una sedia che gli era accanto.
La visione della sedicenne non annullò l’amarezza che provava, lei in fondo non sembrava più serena del padre; dopo una giornata di lavoro lo accolse con un’espressione contrita. Il tenente inghiottì un sospiro sofferente.
«Maëlys»
Fabian tentò di mantenere alto l’umore dedicandole un sorriso, ma la giovane non perdeva diffidenza nello sguardo sconfortato del padre. Il seal esaminò a sua volta gli abiti che stava indossando, come se volesse fuorviarla oppure credesse davvero di portare addosso i segni del malessere.
«Cos’ho?»
«Cosa sta succedendo? Papà, dimmi la verità. Mamma continua a piangere e non ne trovo la ragione»
Il seal spostò sconsolato lo sguardo verso le scale che conducevano al piano superiore, dove immaginava si trovasse sua moglie.
«Maëlys, è complicato»
«Vi state lasciando? Hai un’altra?»
«Ma certo che no!»
Si mostrò offeso da simili insinuazioni, finché si rese conto che la ragazza non avrebbe potuto cogliere una spiegazione migliore, in casa tra i coniugi non si respirava un clima lieto. Tutti i tentativi per non far pesare le preoccupazioni ai figli stavano fallendo.
«Ha lei un’altra persona?»
«Forse nel cuore»
La notizia non rasserenò la giovane, la quale sbarrò gli occhi e accostò un palmo alle labbra; avvertiva chiara la sensazione che qualcosa fosse mutato nel loro equilibrio famigliare e un’adolescente era suscettibile ai cambiamenti.
«Ma non c’è più»
«Mamma piange per una persona che è morta?»
«Sì. Non ti devi preoccupare, risolvo tutto io. Tesoro, ora scusami, sono stanco. Salgo dalla mamma per accertarmi che stia bene e poi mi corico qualche ora»
Il sorriso che le dedicò fu sincero e fu proprio lei con la sua esistenza a stimolarlo; il frutto della loro unione rappresentava la luce che impediva di venire travolti dagli eventi, spesso lui e Sophie lo avevano confessato l’uno all’altra, era una solida certezza che teneva stabili i loro baricentri. Nel passarle accanto, le lasciò un tenero e fugace bacio tra i capelli sciolti, ma Maëlys non sembrava soddisfatta del loro confronto.  
«Papà? Sta succedendo qualcosa di grave, vero?»
«Maëlys, ti fidi di me?»
«Sempre»
«Allora continua a farlo. Non sono fedele all’America, per poi essere infedele ai miei figli»
 
◦•●◉✿✿◉●•◦
 
Fabian entrò in camera con pacatezza, sapeva di violare un delicato momento di sconforto per la moglie e non era sicuro di aver preso la decisione giusta. A detta della figlia, la madre non nascondeva più le lacrime e questo era motivo di angoscia per la famiglia, nessuno escluso.
«Sophie. Hai spaventato Maëlys»
Non la stava rimproverando, il tono era il più dolce e comprensivo che riuscisse a produrre; desiderava ricordarle che era circondata da affetti che tenevano al suo benessere. Era seduta sul ciglio del materasso, relegata accanto al suo comodino, non a caso nell’angolo più remoto della stanza. Tra le mani reggeva gli ultimi tabulati telefonici di Brian – che Fabian stesso le aveva fornito grazie al favore di qualche conoscenza nelle forze dell’ordine – e una foto che immortalava il momento fatidico di una cerimonia nuziale; i gesti che i due festeggiati si stavano scambiando erano familiari al seal, ma non si riconosceva nello sposo.
Senza chiederle il permesso, Fabian fece scivolare la fotografia nelle sue mani strappandola da quelle della moglie, lasciandola perplessa. L’uomo si avvicinò alla lampada accesa sul comodino e lesse l’anno sul retro di quel ricordo, che dai colori sbiaditi sembrava essere lontano nel tempo; l’uomo – che poteva solo essere Brian – indossava un’uniforme dell’aviazione americana e una giovanissima Sophie sull’altare accanto a lui sfoggiava la sua più sincera felicità.
«Rimpiango di non aver concepito figli nostri, mi sarebbe rimasto qualcosa di lui. Non avrei mai immaginato che pochi anni dopo quella divisa lo avrebbe portato via. Contavo di vivere per sempre al suo fianco, ce lo siamo promessi quel giorno. Mi è rimasto un mucchio di polvere. Ho voglia di andarmene, Fabian»
Sopportò che la moglie parlasse del defunto marito in quei termini, assolutizzasse la sua assenza come se dopo la sua morte ci fosse stato nient’altro che oblio. Lo sconvolse di più il desiderio che la moglie espresse ad alta voce. Il tenente ebbe la sensazione di reggere tra le mani una mina pronta a scoppiare da un momento all’altro.
«E dove? Spero non lontano da noi»
«Non sto bene. Il passato mi sta travolgendo come una cascata, come se avessi riavvolto il nastro della nostra ultima conversazione. Non mi capacito fosse un addio»
Fabian si accomodò al suo fianco, cercando di riscoprire pace per entrambi e convincendosi del fatto che, qualsiasi cosa avesse riservato loro il destino, non avrebbe potuto fare di più per impedirlo. Lo doveva a se stesso e a tutte quelle volte in cui decideva di ascoltarla con pazienza, piuttosto di soffocare la sua frustrazione in un cuscino. Continuò a scrutare con amara rassegnazione la foto che teneva tra le mani: Sophie era una sposa innocente, entusiasta delle novità e fiduciosa nel futuro; indossava l’abito bianco con la discrezione di chi non voleva sgualcire le pieghe del velo, una forma di attenzione sopravvissuta allo scorrere del tempo nei modi di essere della donna. Non l’aveva mai vista così luminosa e non splendeva per lui. La prospettiva da cui Fabian guardava quella giovane donna era distante, come se lei non fosse sua e appartenesse a chiunque altro, come se il loro matrimonio non fosse mai stato celebrato e quel giorno raccontato dalla foto fosse rimasto immortale, una pietra contemplativa tra loro.
Sophie perse a sua volta la mente in quel ricordo, da parte sua vi era ardore e coinvolgimento emotivo, ma non le sfuggì nemmeno quanto esso demoralizzasse suo marito; si convinse di provocargli un dolore inutile, così gli strappò la fotografia dalle mani e la ripose in un cassetto del suo comodino, lontano dallo sguardo sofferente del compagno. Ciò che lei non sapeva, anche se avrebbe potuto intuirlo, era che quell’immagine aveva affondato le radici negli occhi e nel cuore di Fabian e da lì non si sarebbe più dissolta.
«Mentre ti stavi sposando ero in Iraq, stavo combattendo la Guerra del Golfo[1]. Ero in mare aperto sulla Wisconsin[2] e bombardavo con missili bersagli nemici. Non era scontato ci incontrassimo»
Non avrebbero potuto cambiare ciò che avevano vissuto, sarebbe stato risparmiato loro il tormento attuale. Conoscersi meno di dieci anni dopo era stata una gentile concessione del fato, per assopire gli orrori di un passato di sangue per entrambi.
«Lo penso anche io. Ma da quando ti conosco, credo in noi»
Gli strinse una mano per comunicargli quanto importante fosse stato il loro incontro nella sua vita, negli ultimi giorni temeva – senza realmente volerlo – di aver svalutato il loro rapporto, affidandosi ai consigli distruttivi del dolore più che alla stretta amica del marito. La famiglia costruita con Fabian restava il bene più prezioso che avesse.
«Ho un appuntamento con l’avvocato che segue il caso»
«Ti accompagno»
«Non è necessario, ho un volo diretto per Los Angeles fra poco»
La donna aveva già deciso di intraprendere da sola il colloquio, desiderava solo informarlo e Fabian non avrebbe potuto contraddirla. Si era concentrata subito sui vestiti da indossare per non perdere la coincidenza dei mezzi e aveva chiuso il breve scambio di battute con il marito per non crogiolarsi oltre nei sentimenti che impantanavano le sue giornate. Stava scegliendo semplici abiti civili, segno che desiderava presentarsi a lui in qualità di vedova di una delle vittime e non di testimone visiva e uditiva; era stata anch’essa una scelta ponderata.
«Ho letto le celle telefoniche che mi hai fornito. Stai rischiando l’uniforme»
Si rivolse a Fabian continuando ad allacciare con precisione i bottoni del maglione. Il timbro di voce era ovattato, quasi distratto su altri pensieri che non potevano discostarsi dal medesimo argomento.
«Non più di quanto stia rischiando tu. Hai trovato qualcosa?»
«Non ti voglio più coinvolgere. Penso tu abbia fatto abbastanza»
Le afferrò una mano staccandola dalle asole dell’indumento che stava abbottonando e intrecciò le loro dita con intimità. Sophie si avvicinò con passo lento alla sua postazione da seduto, attirandola a sé la invitava a diminuire le distanze tra loro. La donna non si oppose alle amorevoli attenzioni del marito.
«Se hai scoperto qualcosa, lo comunichiamo ai colleghi della scientifica. Diciamo loro che ti è tornato in mente un dettaglio, non serve rivelare la fonte»
Gli dedicò un sorriso compiaciuto annegando i pensieri nei suoi occhi, baluginanti di determinazione. Se le fosse stato accanto fin dalle prime ore dell’incidente, il suo cuore avrebbe attutito meglio il trauma dell’impotenza. Era convinta che se ci fosse stato lui quel giorno sulla torre di controllo, avrebbe salvato tutti.
«Cosa c’è? Oggi mi guardate tutti male. Prima Maëlys, ora tu»
«Ho solo ricordato cosa mi ha attratta di te»
«Il mio fascino, per caso?»
Risero entrambi con sincerità; nonostante da diverse settimane la pace non fosse più parte del loro rapporto, la complicità non era mai venuta meno.
«La forza che trovi sempre per non arrenderti»
Approfittando delle sue parole e dell’attrazione che non riusciva più a reprimere, Fabian si alzò e le schioccò un bacio sulle labbra, poteva accettare la memoria di un altro uomo nel cuore della compagna; l’idillio non durò molto, lui si allontanò mortificato credendo di averla forzata.
«Mi dispiace, Sophie. Ti avevo detto che avrei aspet…»
Non aveva colto i desideri più profondi della moglie, ma lei si affrettò ad esplicitarli. Si rifiondò sul marito e approfondì il bacio che era stato smorzato; interruppe quel contatto solo per porgergli una carezza sul viso. Fabian provò a trattenerla, lasciandosi guidare dai sentimenti, incurante che due adolescenti vivessero sotto quello stesso tetto; il braccio della donna scivolò via lungo il suo petto, spezzando la passione da cui si sarebbe volentieri lasciato coinvolgere, ma la decisione ultima spettava a lei.
«Vai già?»
«Parlo con l’avvocato. Se puoi, prepara la cena anche per i ragazzi, non credo di tornare in tempo»
«Certo, ma tu hai mangiato qualcosa?»
Gli sorrise, grata per il pensiero premuroso e uscì dalla stanza.
 
 
 
Los Angeles, 5 novembre 2018
 
Giunta ormai la sera, Nathan si ritrovava solo con i suoi pensieri davanti ad una tazza di tè ancora calda ma ormai vuota e qualche fascicolo aperto sui suoi ultimi processi. In attesa del maggiore Lefebvre, ispezionava le fasi delle udienze cercando di capire dove avesse sbagliato per perdere un numero così elevato di cause solo nei mesi più recenti, ma la risposta era sempre la stessa: la richiesta di divorzio di sua moglie.
Non avrebbe fissato in agenda un incontro così tardi, se a casa ci fosse stata Delilah ad aspettarlo. Stava diventando uno di quegli uomini scapoli che, pur di non pensare al fallimento sentimentale, buttavano anima e corpo sul lavoro. Vi erano solo due differenze: non era celibe ed era un cataclisma anche tra i banchi delle aule in tribunale.
Gli uffici si erano svuotati ore prima, erano rimasti nello stabile soltanto Nathan e la guardia di sorveglianza che si era ostinata a rimanere all’ingresso per non lasciarlo solo, anche se già più volte lui l’aveva invitata a staccare il turno serale. L’avvocato attivò il collegamento con la guardiola tramite il telefono posato sulla sua scrivania.
«Miranda, non è necessario che resta. Posso accoglierla io»
«Avvocato Rogers, per me non è un problema aspettare»
«Vada a casa. Ci vediamo domani»
Nathan la sentì indugiare, con lei le parole si disperdevano nel vento.
«Mi fermo ancora qualche minuto per fare qualche fotocopia»
«Grazie, Miranda. È preziosa»
Quella donna lavorava nell’edificio da diverse decadi ed era stata l’unica a cogliere l’espressione sempre più demoralizzata del giovane, esattamente da quando Delilah gli aveva fatto recapitare a casa dagli uffici giudiziari del tribunale, pochi giorni dopo che di comune accordo avevano preso la decisione di interrompere la loro relazione, il foglio che ora reggeva tra le mani.
 
Lettera di divorzio
 
Era stato pessimo a credere che i loro desideri si incontrassero, aveva compreso tardi quanto le aspettative sul loro rapporto non fossero sempre concilianti. Era certo avessero preso insieme le decisioni più importanti per la loro famiglia – comprese le più dolorose –, invece sua moglie aveva scelto di assecondarlo senza tuttavia esserne davvero convinta.
 
«Ginevra? È lontanissima da Los Angeles»
«Il concorso era per l’OMS[3]»
«Spero tu non voglia trasferirti lì»
«Certo che no, se tu non vuoi»
 
Le aveva lasciato mancare un’occasione unica per la sua carriera, a favore di un’idea che aveva deciso ad ogni costo di renderla madre, senza domandarsi mai se i sacrifici di una famiglia valessero tanto quanto i suoi progetti personali; non era previsto alcuno spostamento di sede per lei o per loro, per Nathan era scontato fosse così; non vi era malizia in lui, solo stupore.
Quell’episodio aveva segnato la fine.
Non voleva costringerla al suo fianco se era insoddisfatta, perciò aveva accettato un divorzio consensuale. Non si erano mai dichiarati guerra e non avrebbero iniziato davanti ad un giudice, ma non voleva nemmeno perderla per aver frainteso le diverse prospettive sul loro futuro insieme. Delilah era tornata ad abitare con sua madre, rimasto solo Nathan aveva provato ciò che avrebbe comportato un trasferimento della moglie a Ginevra: gli mancava tutto di lei.
La porta dello studio si aprì con cautela e Rogers ebbe il tempo di riporre il foglio incriminato nel cassetto. Non era la sua ospite; tirò un sospiro di sollievo, a causa di quegli spiacevoli pensieri il suo sguardo era lucido e non sarebbe stato conveniente mostrarsi ad occhi estranei in quelle condizioni. Benché all’esterno il clima fosse instabile, si sentiva avvampare; tolse la giacca e allentò la cravatta, anche a costo di risultare poco professionale sul lavoro, ma necessitava di aria fresca.
«Avvocato, io vado allora. È sempre sicuro?»
Miranda aveva notato, ancora una volta, il malumore di Nathan; una donna della sua età sapeva cogliere la demoralizzazione negli occhi di un giovane uomo rimasto deluso dall’amore. La guardia si allontanò dal punto in cui si era fermata accanto allo stipite e si incamminò verso la scrivania. Quando fu abbastanza vicina, appoggiò le mani al bordo del ripiano e sussurrò con apprensione materna.
«Avvocato. Se mi posso permettere. Il matrimonio è un continuo compromesso. Se tiene alla sua signora, non dovrebbe importarle cosa vi riserverà il futuro, purché siate insieme»
Nathan la fissò affascinato da quelle parole, pronunciate da lei avevano un senso; la realtà però, sempre più complessa della teoria, non era così facile da immaginare.
«Buona serata, avvocato. Mi raccomando, ha bisogno di riposo anche lei»
Miranda si congedò socchiudendo appena la porta per agevolare l’accoglienza di Sophie. Con poca delicatezza, il suono del citofono riportò la presenza di Nathan tra le pareti dell’ufficio. Sentì che la sorvegliante aveva già provveduto ad aprire il cancello all’ospite e le aveva indicato la strada da percorrere per raggiungere la stanza giusta.
Si preparò al meglio delle sue capacità a quell’incontro inaspettato con il maggiore Lefebvre. Il suo nome compariva a più riprese nel dossier delle indagini, era perciò pronto ad acquisire informazioni utili; si era ripromesso di farlo con la mente sgombra da pregiudizi, che le parole di altri – giornalisti, militari e uomini di legge – avrebbero potuto inculcargli. Decise di accogliere quella donna – insieme al dolore che di sicuro portava con sé – come una potenziale persona informata dei fatti.
Nathan si costrinse a tornare con la concentrazione su quell’aereo per provare a risolvere, in un periodo così tormentato, almeno un caso giudiziario. Quando avvertì passi leggeri avvicinarsi all’ufficio, si alzò per accogliere la sua assistita; era certo di incontrare un ufficiale dell’aeronautica militare, invece lei si era presentata a lui in abiti civili cambiando forse il tono della conversazione che si apprestavano a sostenere.
Sophie gli rivolse un sorriso appena accennato e gli allungò una mano; la stretta della donna era avvolgente.
«Maggiore Lefebvre. Prego, si accomodi»
I fascicoli ancora aperti sul ripiano della scrivania non le passarono inosservati, ma avevano smesso di incuterle soggezione.
«So che il mio nome si trova nel registro degli indagati»
«È solo una formalità. Se fossi negli agenti, credo non indagherei su di lei»
Sophie era grata all’avvocato che, in quanto difensore delle famiglie delle vittime, era anche suo legale, era quindi importante che tra loro esistesse stima e fiducia. Si rendeva conto di metterlo in una condizione scomoda, ma pur senza averlo mai visto di persona confidava nella sua comprensione.
«Non ho voluto incontrarla per convincerla che sono innocente. In realtà non ne sono nemmeno sicura»
Nathan si mostrò da subito propenso all’ascolto e disponibile per ogni eventuale consiglio. Lei rappresentava per lui la più intima testimone dell’incidente del Boing 747, ragion per cui ancor prima di conoscerla non aveva mai dubitato della sua negligenza; poteva solo immaginare il lutto che la accompagnava e avere davanti i suoi occhi sofferenti gli diede la conferma. Non era un investigatore, ma nel corso della sua rinomata carriera aveva imparato a riconoscere gli impostori.
L’avvocato era al corrente dell’argomento del colloquio, Sophie gli aveva confidato di essere entrata in possesso di documenti riservati e destinati solo a coloro che avevano un ruolo decisivo nelle indagini e nel processo; si era imposto di non porre domande sulla reperibilità di quelle prove e intendeva tenere fede ai suoi propositi.
«Dovranno fornirli presto anche a lei, in quanto nostro legale. È il registro delle chiamate effettuate dal telefono di mio marito»
Nathan osservò con attenzione sul foglio che le stava mostrando l’insieme di codici, ma non era in grado di decifrarli sia per inesperienza sia perché era all’oscuro della vita privata di quel pilota.
«Ha trovato qualcosa di insolito?»
«Molte chiamate sono a mio nome. Alcuni numeri appartengono a nostri colleghi, altri mi sono sconosciuti»
A quella rivelazione si mostrò perplesso. Andò cauto con le domande, ma alcune erano d’obbligo.
«Crede che suo marito sapesse qualcosa?»
Sophie prese un lungo respiro prima di rispondere, vacillò per la prima volta, ma non si arrese alle evidenze.
«Avvocato, io sono convinta della sua estraneità»
«Conosceva anche il secondo pilota?»
«Sì»
La domanda risultò inaspettata per la donna, la fece dubitare di molte convinzioni risalenti alla sua gioventù.
«Cosa può dirmi di lui?»
«Una persona affabile. Conosco la famiglia»
Nathan appoggiò i gomiti al bordo della scrivania e si stropicciò il viso affranto. Assunse una posa informale, intrecciò le braccia sul ripiano e si rivolse a lei in tono confidenziale, pur conoscendola solo da una manciata di minuti, ma la disponibilità da lei mostrata e la generosità delle prove meritavano attendibilità.
«Non le voglio mentire, le autorità stanno brancolando nel buio. Inizia a farsi strada l’ombra della fatalità»
Sophie negò risoluta. All’epoca della tragedia era una giovane aviatrice con poca esperienza e tanta passione, ma comunque non sufficiente per affrontare situazioni di grave emergenza con maestria e tenacia.
«Non c’erano malfunzionamenti su quel velivolo. Le apparecchiature non me li segnalavano»
Nathan accolse con un cenno del capo le informazioni di cui era già entrato in possesso attraverso i resoconti pubblici e privati.
«Un aereo può precipitare senza dare prima segno di cedimento?»
«Entrambi i motori funzionavano»
«È possibile un difetto nell’assemblaggio? Potremmo fare causa all’azienda aerospaziale che lo ha collaudato»
 
«Delle innovazioni?»
«Immagina se esistesse un aereo civile più efficiente»
 
«Signora?»
L’avvocato notò preoccupato lo sguardo vacuo del maggiore, temeva avesse accusato un malore.
«Ricorda il nome dell’azienda?»
Sophie provò a visualizzare il logo sui documenti che in quegli anni le erano passati tra le mani, ma i ricordi e le illazioni sconvolgenti del suo legale le avevano offuscato la mente. Si passò la punta delle dita sulla fronte, manifestando disagio. Non riusciva a capire se l’uomo con cui aveva stretto un’unione davanti alla legge fosse un’ennesima vittima, un testimone o un complice – anche involontario – dell’incidente. Domande e dubbi iniziavano ad essere legittimi, lei stessa pensava che non fossero un insulto alla sua memoria.
«C’è la possibilità che mio marito collaborasse ad un progetto»
A Nathan servì qualche secondo abbondante per assimilare, poi recuperò dai cassetti della scrivania un pezzo di carta e una penna.
«Mi dica di più»
«Nei giorni precedenti all’incidente mi sembrava entusiasta per qualcosa che aveva scoperto»
«Suo marito era un ingegnere aerospaziale?»
«Non esercitava in quell’ambito, no, era un semplice pilota di linea»
Nelle sue parole si fece largo l’ombra del dubbio che si fosse immischiato in una questione che non lo riguardava da vicino.
«Aspettiamo dalla scientifica di sapere l’origine dei numeri che non conosce. Potrebbe essere una pista»
Nathan era concentrato ad appuntarsi tutto ciò che aveva scoperto.
«Avvocato?»
Sentendosi chiamare annuì, ma impiegò qualche istante ad incrociare i suoi occhi.
«Grazie per avermi dato ascolto senza giudizio»
«È mio dovere portare giustizia alle vittime e suo marito è tra coloro che sono deceduti in circostanze sospette. Nel frattempo faccio una ricerca, se in quegli anni l’aeronautica ha progettato un prototipo dovrebbe risultare in qualche archivio. A meno che non abbiano occultato la verità. Ma dall’entusiasmo di suo marito deduco lui fosse convinto della buona riuscita»
«Lo era»
«Maggiore Lefebvre, la sua collaborazione è stata preziosa»
 
 
 
Periferia Ovest di Kabul, 5 novembre 2018
 
Stavano tutti aspettando Maryam in moschea, ma lei aveva deciso di ritardare le nozze. Deciso, come solo una donna occidentale avrebbe potuto osare, ma lei non la era. Si era imposta su coloro che la circondavano, i quali sapevano di poter nulla contro la sua ostinazione. Era però certa di conoscere lo sposo, non si sarebbe risentito per essersi arrogata quel diritto.
Davanti all’imam si era presentato persino Samuel; imperterrito a voler presenziare alla cerimonia, aveva sfidato le disposizioni di sicurezza dell’ambasciata americana. Con la presenza del giornalista una parte del mondo libero si trovava al loro fianco. Maryam non rinnegava la sua terra, aveva solo ampliato i suoi orizzonti, ciò le era vietato, ma per fortuna i pensieri erano ancora sotto la sua giurisdizione.
La giovane sposa aveva confidato i suoi dubbi al padre che le aveva concesso qualche minuto in solitudine per pensare; Karim rappresentata il solo e unico uomo che avrebbe voluto accanto, ma non fingendo un amore che non sarebbe stato consumato e crescendo il frutto di una violenza – questo però non lo aveva detto al mullah. Il padre l’aveva rassicurata informandola dello scioglimento delle promesse di matrimonio con Aamir, ma non aveva voluto confessarle cosa era stato concesso in cambio della sua libertà e della vita di Karim, reo di aver disonorato le promesse stipulate; il loro comportamento inopportuno aveva fatto perdere benefici alla gente del villaggio, ma nessuno conosceva le reali motivazioni che avevano mosso azioni in apparenza irragionevoli per gli abitanti di quei territori.
La cerimonia in moschea al cospetto dell’imam era solo l’ultimo dei passaggi rituali del matrimonio compiuti dai due sposi.
Se Karim pensava di sposare una bambina, lei non la era più da tempo. Se era così tenace da legare le loro vite, avrebbe almeno potuto concederle la possibilità di vivere quell’unione amandolo, esprimendo sentimenti immutati e conservati da quando aveva memoria nel cuore per lui, solo quello avrebbe potuto donarle felicità, ma il dottore si era convinto fosse abominevole sfiorarla – seguendo la scia dei paesi più civili del pianeta –, eppure non si rendeva conto che una carezza amorevole era la cura per guarire il male subìto da una violenza senza scrupoli.
Il velo, che le copriva metà volto impensierito e i capelli ramati, fu la sola fonte di sfogo per la sua frustrazione. L’abito che indossava era candido, come sarebbe dovuta essere una sposa; per le donne del villaggio che l’avevano abbigliata e adornata con premura in assenza di una figura femminile al suo fianco la era ancora di più. Non era più pura da mesi e lo stato verginale perduto con la forza c’entrava solo in parte; la sofferenza proveniente da ogni dove le aveva strappato troppo presto l’innocenza dell’infanzia, non facendole nemmeno intravedere gli effetti dell’adolescenza nella sua mente e nel suo cuore. Lei si sentiva donna ed era solo stata trattata come tale, a volte convincersene era una forma di amor proprio. Samuel e Karim le ricordavano quanto meritasse di meglio – sebbene loro colmassero molte mancanze –, ma pensarci e non poterlo stringere la demoralizzava.
Era catturata dai pensieri riguardanti il passato e il futuro, tanto da non notare la presenza di Karim accanto alla porta, almeno finché lui non decise di schiarire la gola facendola trasecolare dallo spavento.
«Non ti ho vista arrivare e mi sono preoccupato. Ho pensato avessi bisogno di un dottore»
Osò la battuta con un sorriso, ma non smise di scrutare l’espressione spenta di Maryam che si trovava a pochi passi da lui: era tesa e triste. L’afghano riuscì ad attirare la sua attenzione, benché fosse sconfortata, richiamandola con un tono profondo e confidenziale; la sintonia, era certo, non sarebbe mai mancata nel loro matrimonio. Si sedette al suo fianco, il profumo dolce di Maryam scelto dalle donne del villaggio – un misto di primula e giglio di mare – placò i tormenti, prese un respiro e si lasciò travolgere dalla malinconia dei ricordi, senza il timore di mostrarsi vulnerabile davanti a lei.
«Ti racconto una storia di cui avrei dovuto parlarti tempo fa. Prima che scoppiasse la guerra, ero molto giovane e lavoravo per l’ospedale che oggi è in mano ai talebani. Ho imparato tanto»
«Hai imparato a curare le persone?»
«Sì, ma non solo. Ora immagina: non c’era la guerra e gli americani non sparavano in cerca di terroristi dell’ultima ora. Ma tua madre non era comunque felice. Il giorno prima dell’attentato in cui perse la vita, mi confessò di essere molto in pena per il tuo futuro»
Instillarle il dubbio che sua madre fosse morta insoddisfatta della vita che trascorreva accanto al marito la confuse. Per anni Farah era stata per la figlia un esempio da cui prendere spunto per sopravvivere a quella società; ora emergeva dai racconti di un buon amico che aveva sempre seguito le sue orme che ella stessa era stata travolta da ciò in cui credeva, fino in ultimo a toglierle la vita.
Karim abbassò lo sguardo sul ventre della ragazza, manifestando un profondo senso di colpa.
«Non ti ho protetta come avrei dovuto, tua madre mi starà maledicendo»
«Ti starà benedicendo, invece. Sono stata imprudente, è poco conveniente per una donna camminare sola per strada. Ho sfidato un pericolo di cui ero a conoscenza»
Scagionarlo dalle responsabilità non lo fece sentire meglio, sentiva sulle sue spalle troppe promesse disattese e un affetto tradito.
«Karim? Potrò chiederti una concessione, quando sarò diventata tua moglie?»
«Ma certo. Sai che…»
«Vorrei seguire il tuo esempio, studiare e diventare un medico»
Maryam lo annunciava con orgoglio, mentre Karim rimase perplesso e spaventato. La determinazione e la freschezza della giovane età le avrebbe sempre fatto scoprire una nuova ragione di vita. Il dottore non dubitava delle sue doti, ma del contesto insidioso in cui avrebbe dovuto esercitare quella professione. Aveva cercato di fornire alla giovane un’istruzione base, ma suo padre non le aveva consentito di acquisire alcun titolo di studio, indispensabile per esercitare quel ruolo. Forse era molto più ferrata di molte sue coetanee che non conoscevano la cultura e la lingua americana. La guerra sarebbe stata più longeva della carriera di Maryam, logorata dal tempo e dalle sofferenze; Karim era pessimista circa il loro futuro, ma non aveva intenzione di rivelarle questo suo pensiero e non si sentiva nemmeno di rivolgerle nuove promesse.
Chi era lui per infrangere sogni o illuderla?
Il medico estrasse dalle pieghe della kurta gli unici giuramenti che le avrebbe dedicato e una rosa damascena[4] che le avrebbe offerto al momento propizio nel corso del rito nuziale del quale erano i protagonisti; pensieroso fece passare gli oggetti tra le dita. Si mostrava a lei insicuro e nervoso come ogni sposo, rileggeva quelle righe scritte con calligrafia tremolante su un pezzo di carta strappato malamente come se lei non fosse presente e lui non stesse ripassando il discorso che avrebbe dovuto tenere pubblicamente. Maryam era certa che le parole che le avrebbe rivolto in moschea escludevano i pilastri di un matrimonio classico: anche se tra loro il rapporto non sarebbe cambiato, le avrebbe promesso in segno di rispetto di non desiderare altre mogli al suo fianco. Non le avrebbe chiesto, solo donato. Il figlio che la ragazza portava in grembo sarebbe rimasto l’unico frutto di fecondità, con o senza l’infertilità di Karim. Un sorriso impercettibile e nostalgico si dipinse sul volto di Maryam oltre il nijab.
Il dottore si sporse senza fretta verso di lei per porgerle un bacio sulla fronte appena scoperta dal velo, esattamente come quello che le avrebbe offerto al termine della cerimonia e che avrebbe suggellato la loro unione nel corpo e nello spirito agli occhi di tutti. Le ricordò così, però, l’affetto che nutriva nei suoi confronti e non avrebbe dovuto fingere quel sentimento, lo provava davvero.
Le porse la mano, accompagnando l’invito con un sorriso. Maryam estrasse la sua con qualche difficoltà dal lungo gonnellone bianco del nijab e strinse le dita di Karim. Il promesso la trascinò con sé fino all’ingresso dell’abitazione. La sposa oppose qualche resistenza, ma rispetto all’inizio del loro incontro era molto più blanda.
 
 
Buongiorno, cari lettori e care lettrici!
 
Era ora che qualcosa si smuovesse anche per gli altri personaggi ed io svelassi qualcosa di più su loro. Per questa ragione ho inserito questo piccolo intermezzo narrativo, prima di avventurarmi nella missione di Christian.
Mi scuso sempre per l’immenso ritardo e vi ringrazio per essere tornati tra queste righe. ❤️
 
A presto!
Un abbraccio,
Vale

 
[1] 2 agosto 1990 – 28 febbraio 1991, il conflitto oppose l’Iraq a una coalizione di 35 Stati, formata sotto la protezione dell’ONU e guidata dagli Stati Uniti, che si proponeva di restaurare la sovranità del piccolo emirato del Kuwait, dopo che questo era stato invaso e annesso dall’Iraq.
[2] La USS Wisconsin fu una delle molte navi dispiegate per la missione Desert Shield.
[3] Organizzazione Mondiale della Sanità, con sede a Ginevra in Svizzera.
[4] Rosa di Damasco o Rosa di Castiglia.
   
 
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