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Autore: Jamie_Sand    29/07/2023    4 recensioni
Nel pieno della seconda guerra magica, lontano dalla famiglia, senza più una fidanzata e con ben pochi amici rimasti al suo fianco, il giovane Percy Weasley cerca di fare del suo meglio per limitare i danni.
Poi, una notte di fine ottobre, l'incontro con una babbana di nome Audrey Manning.
Genere: Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Audrey, Famiglia Weasley, Percy Weasley | Coppie: Audrey/Percy
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
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Capitolo 14

 

Nelle settimane successive, Audrey passò moltissimo tempo da sola in quella stanza a girarsi e rigirarsi nel letto, rimuginando su quanto era accaduto e assaporando la mancanza di una vita che in quel momento le sembrava essere stata di qualcun altro. 

Di notte il silenzio della campagna diventava assordante per lei, di giorno invece la fattoria diventava fastidiosamente rumorosa. Il gallo cantava alle sette in punto, ma Audrey era consapevole del fatto che il signor Bell lasciasse il letto molto prima per raccogliere le uova per tutti e per occuparsi del bestiame, soprattutto dei cavalli alati che allevava per mestiere. La prima volta che Audrey ne aveva visto uno si era quasi sentita mancare: c’erano così tante cose del mondo dei maghi che le sembravano ancora assurde, ma con il passare dei giorni fece sempre meno caso ai figli dei Cattermole che giocavano a quidditch in cortile o agli incantesimi con cui Katie era solita sparecchiare la tavola la sera. 

Comunque il fatto che in quella casa ci fosse vissuta una babbana solo qualche tempo prima era una vera fortuna per Audrey. Nella mansarda c’era ancora una vecchia televisione sistemata tra due librerie piene zeppe di romanzi. Lì c’era anche un giradischi che vantava una collezione invidiabile di album degli ABBA e un pianoforte molto scordato a cui Audrey non ebbe il coraggio di avvicinarsi più di una sola volta. 

Come un gatto che deve abituarsi al nuovo appartamento, Audrey iniziò a lasciare la sua camera da letto a poco a poco, costringendomi a interagire con gli altri.

La famiglia Cattermole era composta da cinque persone: la mamma Mary, una signora sulla trentina con i capelli neri e l’aspetto mite, il papà Reginald, un uomo piccolo con i baffi e la faccia da furetto, che aveva più o meno lo stesso temperamento della moglie, e i tre figli: Maisie, Ellie e Alfred, rispettivamente di dodici, nove e sette anni. Anche loro, come il padre, sembravano un po’ dei roditori, ma avevano tutti e tre i capelli scuri e lisci della madre. 

Il signor Bell, invece, era un uomo dall’aria un po’ rozza. Katie non sembrava andare molto d’accordo con il padre, mentre Audrey provava simpatia nei suoi confronti: una sera, a cena, quando la signora Cattermole, guardandola, le aveva chiesto da dove venisse per davvero, il signor Bell aveva grugnito e aveva risposto al posto della giovane dicendo “che non la senti come parla? Questa qui è di Londra!”

Di tanto in tanto, proprio come le aveva detto Katie, Oliver Baston faceva loro visita e dormiva lì, nella camera della padrona di casa, scatenando il fastidio del signor Bell: “io e mia moglie abbiamo dormito insieme la prima volta da sposati!” inveiva tutte le volte. 

Audrey usò ciò che restava del mese di febbraio per rimettere insieme i pezzi di sé stessa e per elaborare il lutto. A distanza di due settimane si rese conto di non ricordare quasi niente di quella notte, anche se aveva incubi ricorrenti in cui si ritrovava sporca di sangue e da sola in uno spazio vuoto. Ogni tanto, specialmente di notte, scattava una sorta di allarme mangiamorte: i seguaci del Signore Oscuro erano sulle tracce di chi andava e veniva da quella casa e più di una volta erano arrivati a tanto così dallo scoprire la loro posizione. In quei momenti Audrey cadeva in uno stato di ansia paralizzante e solo allora le tornava tutto in mente: il corpo di sua nonna, le grida di suo zio, la viscosità del sangue e quel lupo mannaro spaventoso in cui ormai erano racchiuse tutte le sue paure.

Quasi tutte le sere, Percy si smaterializzava nei pressi della proprietà dei Bell. 

Lui e Audrey sembravano essere tornati a quella settimana dopo le feste di Natale. Passavano di nuovo più tempo insieme di quanto fosse davvero necessario, seppur raramente da soli. Lei era infinitamente più triste rispetto a quei giorni lontani e lui infinitamente più impacciato, nonostante si fossero ormai chiariti sul fatto che tra loro non ci sarebbe mai stato nient’altro che quella amicizia. 

Percy si sentiva… confuso: da un lato questo lo sollevava, ma dall’altro si sentiva un vero idiota. Anche se Audrey avesse ricambiato quell’interesse cosa avrebbe potuto fare? Dare una pacca sulla spalla di Penelope e lasciarla, dopo quattro anni, mentre lei si nascondeva dai mangiamorte? Questo era troppo perfino per lui che di voltafaccia se ne intendeva. 

Audrey d’altra parte faticava a ignorare quella piacevole e al contempo fastidiosa stretta che la attanagliava ogni qualvolta si trovavano troppo vicini. Si ripeteva che ciò che provava per lui era solo la conseguenza di ciò che stava passando, che lui era l’unica persona davvero amica in quel mare di solitudine e che per questo, solo per questo, aveva la sensazione di essere ormai completamente vittima di un sentimento che detestava provare. 

Non era mai in vena di parlare, né di loro due né di ciò che era successo alla sua famiglia. Ascoltava di malavoglia i resoconti che Percy le faceva su ciò che stava accadendo nel Mondo Magico: non voleva sentir parlare di guerra e di morte e quando Percy se ne rese conto imparò a lasciare la realtà fuori da quella fattoria. 

Lei si stava creando un piccolo universo fatto di vecchi romanzi impolverati, vinili e vita di campagna. Le galline smisero di farle paura e agli inizi marzo la sua presenza nella fattoria iniziò a essere meno statica. 

Superata la paura delle galline le fu facile capire che avere a che fare con gli animali, il fango e l’orto non era poi così tanto male. Le piaceva parlare con il bestiame, cantare loro delle canzoni accarezzando i loro manti, tanto che arrivò a pensare che, in fondo, la scelta vegana dello zio Elijah non fosse poi così strana. Tuttavia, quando aveva deciso di chiudere ogni rapporto con la carne, il signor Cattermole si era sentito molto in difficoltà: 

- Adesso che cosa cucino? - Si domandava disperato, valutando nel frattempo l’ennesimo modo fantasioso di preparare le patate.

Comunque la città le mancava enormemente. Le mancavano le lezioni in conservatorio, il suo lavoro al ristorante e un balsamo che fosse adatto ai suoi capelli. Le mancava persino la chiesa, quelle domeniche in cui sua nonna la costringeva a indossare uno di quegli abiti tradizionali, le mancava fufu per pranzo, e soprattutto le mancavano nonna Harriette e nonna Constance, anche se spesso faceva finta che fossero vive, che quella fosse solo una mezza specie di vacanza. Quando invece sentiva parlare di dissennatori, — creature che avevano il brutto vizio di aggirarsi attorno alla proprietà, proprio come i mangiamorte che erano sulle tracce di chi era ospite in quella casa, facendo guastare il tempo e mettendo tutti di malumore — la mente di Audrey finiva sempre su suo zio. Tutti erano dell’idea che non sarebbe stato più lo stesso se mai fosse sopravvissuto ad Azkaban. 

Arrivò la primavera, quell’anno insolitamente calda, cosa che portò Audrey a passare gran parte del tempo all’aperto. Scoprì che l’odore del mare che sentiva non era frutto della sua immaginazione, ma che la fattoria in realtà si trovava sulla costa del Galles. Di domenica, quando né Katie né Percy lavoravano, in compagnia anche di Oliver si prendevano il rischio di lasciare per qualche ora la fattoria per andare in spiaggia. Lì passavano lunghi pomeriggi in cui Audrey si sentiva un po’ meno sola e un po’ meno perduta. Lì erano solo quattro ragazzi normali che passavano del normalissimo tempo insieme. 

- Quindi anche tu puoi abbronzarti? - Le chiese Percy, quel pomeriggio d’inizio maggio, seduto  accanto a Audrey, sulla sabbia fredda. 

In acqua Oliver stava facendo il bagno nonostante i quindici gradi, mettendo in mostra il suo corpo da atleta, mentre Katie se ne stava sul bagnasciuga. 

Audrey si voltò a guardare Percy facendo una faccia perplessa. - Certo che mi abbronzo. - Disse. 

- E come funziona? - 

- Come funziona? Guarda che non sono mica un alieno, funziona proprio come funziona per te. - Ribatté lei, piccata. - Divento più scura e se non metto la crema solare posso bruciarmi, esattamente come chiunque. - Spiegò, prima di tornare a guardare Oliver, che in quel momento stava uscendo dall’acqua con indosso dei boxer con tante piccole pluffe stampate sopra, con le movenze un modello in una pubblicità di profumi. 

Forse grazie al sole che stava man mano tramontando rendendo l’aria satura di luce arancione o forse per le goccioline d’acqua che gli accarezzavano il corpo, ma il ragazzo aveva indubbiamente un certo fascino, Audrey doveva dargliene atto. 

- Per la barba di Merlino! - Esclamò Percy, fissando Audrey con lo sguardo truce di chi era stato pugnalato alle spalle. - Fai sul serio? -  

Lei aggrottò la fronte. - Di cosa parli? - Gli chiese, confusa.

- Di te, che mangi con gli occhi Oliver! - Rispose Percy. - Pensi che sia bello, non è così? - 

Audrey si sentì arrossire. Era stata palesemente colta sul fatto. - Mh, sì. - Gli concesse, con studiata noncuranza, scrollando le spalle. - È un bel ragazzo. - 

- Guarda che lui e Katie stanno quasi insieme! - 

- E quindi? Lenny Kravitz ha una ragazza; tuttavia ogni volta che passa il videoclip di una sua canzone su MTV io non mi azzardo a cambiare canale, e non perché mi piace la musica che produce. - 

- Ah…! Lenny Kravitz, quello che somiglia a tuo padre! - 

Audrey fece una faccia confusa. - Non somiglia per niente a mio padre. - Obiettò. 

- Sono entrambi neri. -

- Che vuol dire? A parte che mio padre è dieci volte più scuro di Lenny Kravitz… e poi tu e Oliver siete entrambi bianchi, eppure lui è così… - e indicò il portiere, - mentre tu sei così. - Concluse, facendo un cenno verso Percy. 

- Così come, di grazia? - 

- Siete diversi. - Disse Audrey, divertita. - Lui è tutto muscoli, simpatia e spontaneità, mentre tu sei più riflessivo, sei uno con la testa sulle spalle. - 

- Parli come mia madre. - Fece Percy, lugubre. 

- Comunque il mio era un complimento. - 

- Figuriamoci se invece volessi insultarmi, allora. - 

- E perché dovrei farlo? Sei praticamente il mio unico amico in un mare di solitudine. - 

Percy tacque, osservando il profilo di lei, illuminato dal mite sole di marzo. Quasi non somigliava più alla ragazza che avevano incontrato mesi prima: sembrava essersi rimpicciolita, ma forse era solo più magra dato che non mangiava nulla o quasi.

- Oliver e Katie sono tuoi amici. - Le ricordò. 

- Li conosco da troppo poco tempo per dire che sono miei amici. - Ribatté lei. 

- Però con Katie puoi parlare delle tue cose babbane: lei è un’esperta. - 

Audrey fece un verso scettico ma non riuscì a ribattere in tempo che la voce di Oliver attirò la loro attenzione: - L’acqua è fantastica! - Esclamò, camminando verso di loro seguito da Katie.

Poi, quando fu abbastanza vicino, si scrollò come un cane, schizzando Percy. Audrey e Katie risero, davanti l’espressione irritata dell’ex prefetto.

- Hey! - Sbraitò Percy. 

- Scusa, amico. - Fece Oliver, sorridendo, sedendosi tra lui e Audrey. - Volete restare qui a guardarci mentre io e Katie ci divertiamo, oppure vi decidete ad avvicinarvi all’acqua? - 

- Non ci penso nemmeno. - Dichiarò Percy. 

- Passo. - Disse Audrey. - Vorrei evitare di fare la fine di Leo Dicaprio in Titanic. - 

Percy, Katie e Oliver la guardarono senza capire. Succedeva spesso quando Audrey si metteva a parlare di cose babbane. 

- Sul serio? - Fece la giovane, incredula. - Il film è uscito qualche mese fa! Con Dicaprio! Colonna sonora di Celine Dion! Katie, non dirmi che nemmeno tu hai idea di cosa io stia parlando! - 

- Io non ho quasi mai idea di cosa tu stia parlando. - Ammise Katie, teatralmente contrita. 

- Nel film Dicaprio muore assiderato per salvare Kate Winslet, visto che la loro nave ha preso un iceberg in pieno ed è affondata nel bel mezzo dell’oceano atlantico. - Spiegò Audrey. - Non voglio fare la sua stessa fine. - 

- Ma l’acqua non è così fredda. - Obiettò Oliver. 

- Resta il fatto che non ho un costume. - 

- Nemmeno io. - Rispose allegramente il ragazzo, indicando verso il basso. 

Audrey avvampò di colpo e ridacchiò nervosamente.

- Infatti è meglio se ti rivesti… - Fece invece Percy, scoccandogli un’occhiata torva. 

- Noiosi. Noiosi entrambi. - Decretò Oliver. 

- Io in verità devo tornare alla fattoria. - Disse Audrey alzandosi in piedi. - Lo sapete che non mi piace tornare con il buio. - 

- Vengo con te. - Fece Percy, e anche lui si alzò. - Non vorrei che ti imbattessi in qualche dissennatore o peggio. - 

- Oh sì, così magari puoi mostrare anche a Audrey la forma che prende il tuo patronus. - Sogghignò Oliver. 

Percy aprì la bocca per ribattere, ma Audrey lo anticipò: - Sembra una storia divertente. - 

- Il patronus di Percy è un pavone. - Svelò subito Katie. 

Audrey rise: - Chissà perché non sono sorpresa. -

- Ma certo: perché io mi pavoneggio… sì, sì, davvero divertente. - Sbuffò Percy, alzando gli occhi al cielo e assumendo una sfumatura più rosata in viso. 

- Be’... sì. - Disse Katie. - “Guardatemi, ho preso dodici M.A.G.O.”... - 

- “So tutto sui babbani, ho preso una E in babbanologia…”. - 

- “Sono troppo intelligente per il quidditch!” - 

- Non ho mai detto una cosa del genere! - Esclamò Percy. 

- Tranquillo: qui ti vogliamo bene anche se sei un po’ presuntuoso, vero, ragazzi? - Fece Katie, guardando prima Oliver e poi Audrey. 

Lei scrollò le spalle. - Ha salvato mia sorella dalla deportazione e me dalla morte, credo di essere più o meno costretta a volergli bene, arrivata a questo punto. - 

Lui fece una faccia strana, ma non ribatté. - Dai, andiamo. - Disse solo, iniziando ad avviarsi verso la duna. 

- Ci vediamo più tardi. - Audrey salutò Katie e Oliver alla svelta e poi raggiunse Percy spiccando una corsetta. 

La strada che collegava la spiaggia dalla fattoria era una via sterrata che attraversava l’aperta campagna per poco più di due chilometri. Audrey e Percy la percorsero quasi in totale silenzio, con lei che calciava sassi o raccoglieva fiori di campo mentre lui apriva la strada. Di tanto in tanto Percy si voltava a guardarla, giusto per assicurarsi che tenesse il passo, e la scopriva a giocare con i petali dei fiori che raccoglieva come una bellissima ninfa rapita da un pensiero dal sapore dolceamaro. Quando Audrey si accorgeva dello sguardo di lui allora si riscuoteva e lasciava cadere il fiore che teneva in mano come se fosse stata beccata a fare qualcosa di imbarazzante; sorrideva appena e a si avvicinava a lui iniziando a camminare al suo fianco. 

Arrivarono alla fattoria quando ormai il sole era tramontato e si imbatterono come prima cosa nei figli dei Cattermole che giocavano in giardino, mentre i genitori li tenevano d’occhio dal portico. 

- Buonasera. - Li salutò Percy, mentre seguiva Audrey in casa. 

Reginald gli scoccò uno sguardo torvo come al solito, mentre Mary mormorò un saluto quasi impercettibile. 

- Certo che ti odia proprio. - Bisbigliò Audrey, una volta varcata la soglia. 

- Come dargli torto, per lui sono la personificazione del male. - 

Audrey lo scrutò per bene. - Tu? Con quella faccia? Secondo me dovresti restare per cena e fare dei complimenti al suo stufato di verdure. - Disse, con leggerezza. 

- Meglio di no. - 

- Comunque è presto per andare via. - Ribatté lei. 

Percy sospirò, guardandola. Perché non puoi semplicemente chiedermi di restare? 

- Sì, è presto. - Le disse. 

- Al signor Bell non dispiacerà se resti un po’ più del solito. - 

- Al signor Bell… già. - 

- E anche a me. - Disse rapidamente lei, e poi aggiunse: - Andiamo di sopra? Ho trovato una cosa interessante nel mobiletto su cui sono sistemati i vinili della madre di Katie. - 

- Andiamo. - 

Quando arrivarono nella mansarda, in quel momento illuminata dagli ultimi raggi dell’imbrunire grazie al lucernario che occupava gran parte del tetto scosceso, Audrey si accucciò davanti a quel piccolo mobile di legno tarlato e aprì le ante mostrandone il contenuto: una vasta scelta di vino elfico, idromele e whisky incendiario si palesò davanti a loro. 

- Vuoi affondare i tuoi dispiaceri nell’alcol? - Domandò Percy, perplesso. 

Audrey scrollò le spalle. - Perché no, sono pur sempre mezza irlandese. - Disse con leggerezza. - Il signor Bell ogni tanto si siede sul divano, si scola qualcosa e ascolta The Winner Takes It All degli Abba a ripetizione pensando a sua moglie… davvero triste. - 

Ci fu un attimo di silenzio e poi Audrey si alzò in piedi, con una delle bottiglie di idromele stretta in una mano. - Dici che gli dispiacerebbe? - 

- Considerando che sembra fornito quanto i Tre Manici di Scopa… direi con quasi totale certezza che no: non gli dispiacerebbe. - Fece Percy. 

Audrey lo guardò con sorpresa ma poi sorrise. - Allora anche tu hai un animo ribelle, in fondo… - Si lasciò cadere sul divano e Percy la imitò subito dopo. - Si può usare la bacchetta come apri-bottiglia? - 

Percy rispose tirando semplicemente fuori la bacchetta e facendo sparire il tappo nel nulla, con l’espressione di chi era certo di aver compiuto qualcosa di strabiliante. 

Audrey, come davanti ad ogni incantesimi, fece una faccia sorpresa, poi disse: - Alla salute. - E bevve, per poi passare la bottiglia a Percy, che esitò per qualche istante.

- Così, senza un bicchiere? - 

- Quanto sei snob. - 

- Quanto sei irlandese. - 

- Stai facendo il razzista con la parte sbagliata delle mie origini. Evoca dei bicchieri se proprio muori dalla voglia di usare le buone maniere. -

Percy non se lo fece ripetere due volte e in un attimo comparvero due bicchieri di vetro tra le loro mani, che lui riempì di idromele. 

Audrey bevve e poi storse il naso con disapprovazione: - I vostri alcolici sono davvero pessimi. - Dichiarò, guardando il liquido dorato che danzava nel suo bicchiere. 

- Troppo forte per te? - 

Lei soffocò una risata. - Sembra la tisana della buonanotte di nonna Constance. - 

- Be’, tu vacci piano lo stesso. - Mugugnò Percy, guardandola di sottecchi. 

Audrey scrollò le spalle e si portò nuovamente il bicchiere alle labbra. Poi sospirò: - Mi manca casa. - Disse all’improvviso parlando piano, come se gli fosse tornato in mente e all’improvviso un doloroso ricordo. - Mi manca la mia vita… indossare dei vestiti normali. - Proseguì accarezzando il tessuto dell’abito che indossava in quel momento, raccattato nell’armadio della sua stanza. - E mi manca la musica, tanto. - 

- C’è il pianoforte. - Tentò Percy, facendo un cenno verso lo strumento impolverato.

- È scordato. - 

- Allora puoi mettere quei dischi e cantarci sopra. - 

Audrey ridacchiò appena. - Mi ci vedi a cantare gli Abba? - 

- Ti vedo a cantare qualsiasi cosa, sei brava. - 

Lei lo guardò perplessa per una manciata di secondi. - Sei già ubriaco. - Disse.

- Ci vuole molto di più di qualche sorso di idromele per farmi ubriacare, temo. Dicevo sul serio: sei brava e sei consapevole di esserlo. - 

Audrey mugugnò e abbassò lo sguardo verso il bicchiere. - Tu non capisci niente di musica. - 

A quel punto sul viso di lui comparve un sorrisetto. - Non puoi dire semplicemente “grazie”, come ogni altra persona normale? - La punzecchiò. 

Audrey si limitò a scrollare le spalle e poi bevve. - Mh… direi proprio di no. - Dichiarò dopo. - Sai cos’altro mi manca? Un balsamo adatto ai miei capelli. Giuro che darei qualsiasi cosa per riuscire a pettinarmi. - 

Percy si limitò a guardarla senza dire niente per qualche istante. In effetti quella sua particolare chioma aveva decisamente visto momenti migliori: in quel momento Audrey teneva i capelli legati in una coda bassa che le dava un’aria un po’ trascurata e da cui sfuggiva qualche ciocca crespa. 

Lui esitò ma poi allungò la mano prima ancora di pensare di farlo e, con una naturalezza sorprendente, sfiorò con le dita quella ciocca pericolosamente vicina al viso di lei. 

Probabilmente in un altro consenso Audrey sarebbe scattata, avrebbe allontanato quella mano con stizza e dichiarando a gran voce di non essere un animaletto grazioso da accarezzare, ma rimase immobile e zitta come se si fosse fatta di pietra. Percepiva la mano di Percy che sfiorava delicatamente la sua guancia; batté le palpebre un paio di volte, come se stesse cercando di riscuotersi, e poi si sentì arrossire nel rendersi conto che lui era decisamente troppo vicino. Era una questione di centimetri: sarebbe bastato sporgersi un po’ più in avanti per posare le labbra su quelle di lui, sarebbe bastato raccogliere un po’ di coraggio, buttarsi, rischiare. 

- Li ho sempre trovati graziosi, i tuoi capelli. - Le disse Percy, e la sua voce suonò diversa, per nulla impostata. 

- Grazie. - Mormorò Audrey, muovendo appena le labbra. - A me piacciono i tuoi. - 

- Però a te piace Oliver. - Ribatté Percy, tornando a stringere il bicchiere con entrambe le mani. 

Audrey alzò gli occhi al cielo. - Non mi piace Oliver. - 

- Pensi sia bello. - 

- È bello, ma non mi piace in quel senso. - Chiarì Audrey. - A me… ecco, a me piace un’altra persona, credo. - 

Percy corrucciò le sopracciglia. - Un’altra persona? - 

Lei si strinse nelle spalle e non rispose, ma vuotò il bicchiere con un sorso. Quel dannato idromele non bruciava affatto nella gola, ma aveva reso d’un tratto ogni suo pensiero più leggero.

Alzò lo sguardo su Percy e un piccolo sorriso piegò le sue labbra. - Lui è di gran lunga molto meglio di Oliver. - Disse. - Conosce tantissime cose e ha così tante sfaccettature che credo proprio non riuscirò mai a conoscerlo davvero e del tutto. Ed è bello pure lui, solo che in modo diverso. - 

Percy la fissò per un secondo e poi deglutì a vuoto, rendendosi conto di avere la gola terribilmente secca. Si portò il bicchiere alle labbra e bevve. - In modo diverso… come? - Domandò poi.

- Ha una bellezza più discreta. - Spiegò Audrey. - Tenta di nasconderla dietro ad un carattere particolare e a un paio di occhiali da secchione saccente, ma in verità è una persona meravigliosa. - 

Percy non aprì bocca all’inizio. 

No, non poteva parlare di lui, si disse, continuando a guardarla negli occhi. Non poteva essere lui perché lui non era una persona meravigliosa, perché già una volta si era illuso di poterle piacere, perché se fosse stato lui allora tutto si sarebbe complicato: non sarebbe riuscito a resisterle, stavolta avrebbe ceduto.

- È un ragazzo molto fortunato se ha la tua attenzione. - Mormorò Percy, fissando il suo bicchiere ancora intonso.

Audrey lo guardò con aria afflitta. Perché diamine non riusciva a capire? 

Scosse appena la testa ma un improvviso rumore di passi su per le scale, alle loro spalle, non le diede il tempo di aprir bocca. Quando si voltò verso la porta notò la presenza di Katie e Oliver, con il fiato corto e uno sguardo strano. 

- Che è successo? - La anticipò bruscamente Percy, alzandosi in piedi. 

Oliver prese un respiro profondo. - Aberforth ci ha mandato un patronus. - Disse. - Harry, Ron e Hermione sono a Hogwarts, forse… forse ci sarà una battaglia, anzi di sicuro ci sarà una battaglia. - 

- Una battaglia? - Insorse Audrey, sentendo il suo cuore saltare un battito. - Voi mi avete assicurato che Hogwarts era un posto sicuro… Lucy… Lucy è lì, non può esserci una battaglia se mia sorella è lì. - 

- Stanno già evacuando la scuola, non devi preoccuparti di questo. - Rispose Katie in tono conciliante e teso allo stesso tempo

- Sì, ma… ma… - 

- Ci penso io a Lucy. - Percy lasciò il bicchiere che aveva in mano sul tavolino davanti al divano e rivolse a Audrey uno sguardo fermo. - Mi assicurerò io stesso che sia al sicuro, la porterò qui. - 

Lei fu scossa da un moto di gratitudine che però fu subito sostituito da un’altra paralizzante emozione: la paura. 

- La porti qui e poi resti? - Domandò, con voce sottile. - Tu non combatterai, vero? - 

Percy si sentì gelare davanti a lei e a quel tono che suonava quasi come una supplica. Audrey stava soffrendo, era di nuovo impaurita e confusa come quando aveva bussato alla porta, ricoperta del sangue di Harriette. - Devo andare. - Si limitò a dirle, facendo un rigido passo verso la porta. 

Audrey rimase ferma e zitta, sebbene dentro di sé qualcosa urlava di fermarlo. 

- Se qualcosa dovesse andare storto… - Iniziò Katie. - Ci sono dei soldi babbani nascosti in una scatola di biscotti, nella credenza. Tu e i Cattermole dovrete usarli per darvi alla macchia. - 

Audrey strinse le labbra piegate verso il basso e annuì senza emettere un suono. 

Fissò Percy, che si era fermato sulla soglia insieme agli altri due, sperando con tutta sé stessa di non vederlo fare un altro passo lontano da lei. Poi lui alzò la mano come per salutarla e in modo impacciato sparì dalla sua vista, seguito da Oliver e Katie. 

Tutto qui. 

Nemmeno una parola. 

Nemmeno ciao

Niente di niente.

Audrey si lasciò cadere di nuovo sul divano e sospirò, reprimendo le lacrime. 

Una battaglia. Una battaglia a Hogwarts. 

Oh, Lucy… 

Passarono all’incirca dieci secondi di spettrale silenzio finché un rapido susseguirsi di passi su per le scale non attirò di nuovo la sua attenzione. Si alzò in piedi e si voltò verso la porta, dove notò la presenza di Percy. Aveva il fiato corto come se avesse fatto le scale a due a due e le sue guance erano vistosamente arrossate. 

- Forse morirò stanotte. - Disse di getto, mentre tentava di riprendere fiato. - Ma non posso, non posso morire se prima non... - 

- No che non puoi morire, razza di idiota che non sei altro! - Lo interruppe lei con furia, per poi aggirare il divano. - Cosa credi di fare, eh? Vuoi andare lì, a giocare alla guerra? Ti rendi conto di quanto sia pericoloso? Tu sei… sei… sei un incosciente, ecco cosa sei! Quindi adesso vai a prendere mia sorella e poi… poi torni qui… e poi… - 

E poi accadde. 

Percy mosse un rapido passo verso di lei cancellando la breve distanza che li divideva, la afferrò per le spalle e poggiò le labbra su quelle di lei con rude veemenza. Durò un secondo, forse anche meno, e fu proprio Audrey a fare un passo indietro per rivolgergli uno sguardo smarrito. 

Percy la fissò a sua volta in attesa di vederla reagire. L’aveva baciata, — l’aveva baciata davvero! — e adesso persino il Signore Oscuro gli faceva meno paura. 

Tuttavia l’ansia lo invase di colpo: cosa gli era saltato in mente? 

Prese fiato e si preparò a scusarsi, — oppure, conoscendola, a beccarsi uno schiaffo, — ma Audrey rimase ferma guardarlo perplessa per quella che parve un’eternità prima di fare un timido passo verso di lui. 

In tutta la vita aveva baciato solo altre due persone prima di lui e mai, neppure una volta, Audrey aveva fatto qualcosa di concreto per far sì che ciò accadesse. Lei non baciava, casomai si lasciava baciare se proprio doveva, ma in quel momento… sì, in quel momento si sarebbe volentieri allungata verso le labbra di lui per poter replicare, se solo ne avesse avuto il coraggio. 

- Fallo di nuovo. - Ordinò perentoria. 

- C… cosa? - Balbettò Percy. 

- Quello che hai appena fatto. - 

Percy si sentì fremere a quella richiesta, ma non se lo fece ripetere due volte: il mondo sparì quando le loro labbra si incontrarono di nuovo: c’erano solo loro due, soli in quella fattoria sperduta nelle campagne del Galles, il gusto dell’idromele sulla bocca di lei, la morbidezza della pelle del suo collo e quelle piccole mani che in quel momento erano goffamente appoggiare sul petto di lui. Percy pensò che anche se il Signore Oscuro, o Penny, o chiunque altro, fosse stato lì presente ad osservarli, lui non se ne sarebbe accorto e, soprattutto, non gliene sarebbe importato niente. 

Per Audrey fu invece come riemergere dalle profondità del gelido abisso in cui sembrava essere piombata da mesi: forse la vita poteva avere ancora un senso se sentiva dentro di lei qualcosa di diverso dal solito lancinante dolore. Forse quella notte la guerra sarebbe finita, sarebbe tornata a casa e avrebbe potuto finalmente raccontare a Lucy di come si era innamorata di quel mago dai vestiti improponibili e dai capelli rossi. 

Forse c’era ancora speranza. 

Quando si separarono Audrey notò che Percy era arrossito in modo molto vistoso e si lasciò scappare un piccolo sorriso che sparì alle parole di lui: 

- A-adesso… adesso devo andare. - Esalò Percy. 

Audrey lo guardò intensamente. Ti prego, no… pensò disperata. - Perce… per favore… -

- Ci vediamo tra poco. - La interruppe lui, facendo un passo indietro. - Aspettami qui. 

Stavolta lei si costrinse ad annuire, le labbra strette e piegate verso il basso e un nodo stretto nella gola. - Ti aspetto qui. - Ripeté. 



 

Lo so. 

Lo so: questo ritardo è imperdonabile, soprattutto dopo aver detto che in estate avrei pubblicato più spesso. Purtroppo nelle ultime settimane me ne sono successe di ogni (anche cose belle, non temete), e il tempo mi è scivolato via senza nemmeno che me ne rendessi conto. 

Comunque alla fine ce l’ho fatta, ho scritto questo capitolo (che in realtà non doveva nemmeno andare così ma okay) e ovviamente non sfiora nemmeno le mie aspettative. 

Spero vivamente di riuscire a scrivere e pubblicare il prossimo in tempi più brevi, ma non vi assicuro niente. 

Fatemi sapere cosa ne pensate e perdonate ancora questa lunga assenza. 

(Mi siete mancat*)

J.

 
   
 
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