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Autore: JenevieveEFP    07/08/2023    1 recensioni
La guerra è appena finita, Voldemort è stato sconfitto, Tonks e Lupin sono ancora vivi. Snape è stato salvato in extremis ma versa in condizioni critiche per le ferite inferte da Nagini. La sua mente provata dalla febbre e dal veleno, lo tormenterà con dolorosi sogni e ricordi perduti del suo passato. Harry intanto è pronto a svelare ai pochi membri rimasti dell'Ordine della Fenice la verità dietro il doloroso ruolo dell'odiato preside di Hogwarts, e a confrontarsi con Draco con la calma che solo la fine di un conflitto sa donare. La fine della guerra diventerà un nuovo inizio per tanti, ma una condanna dolorosa per alcuni che non erano pronti a sopravviverle. Le occasioni di incontro e scontro non mancheranno, specialmente quando gli studenti saranno richiamati ad Hogward per ripetere l'anno scolastico brutalmente interrotto e cercare di ricominciare a vivere e ricostruire.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter, Remus Lupin, Severus Piton | Coppie: Draco/Harry
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Note: Come in tutte le mie fanficion preferisco usare i nomi originali dei personaggi (Snape, McGonagall, Dumbledore, e via discorrendo).
Non essendo disponibile nella selezione iniziale segnalo qui che la seconda coppia della storia sarà una Remus/Severus.
Inoltre, la storia d'amore fra Harry e Ginny non è mai esistita.
Commenti e recensioni di ogni tipo sono sempre enormemente graditi <3
Buona lettura!
 

Capitolo 1: "Quello"


 


«Harry, Ron, Hermione!?»
La voce di Remus Lupin non era mai stata così atterrita, bassa e flebile, ma li fece sussultare violentemente come se avesse urlato.
Erano nella Stamberga Strillante, chini sul corpo esangue ed esanime di Severus Snape. La voce di Voldemort aveva appena finito di annunciare la sua tregua di un’ora a tutta Hogwarts e dintorni, l’ultimatum perché Harry si consegnasse da solo nella Foresta Proibita.
Lupin era appena sbucato impolverato e zoppicante dall’angusto passaggio segreto e li fissava allibito, pietrificato da quella scena.
«Non siamo stati noi a … a fargli questo.» affermò Harry con un’improvvisa agitata urgenza.
«Cos’è successo?» domandò Lupin atterrito, avvicinandosi e chinandosi a fatica accanto al capo dell’uomo svenuto in una pozza di sangue.
Harry reggeva ancora in mano la fiala traboccante dei ricordi che il pozionista gli aveva affidato con le sue ultime forze, mentre Hermione, scarmigliata e terrorizzata versava qualche goccia di Dittamo sulle profonde orrende ferite aperte dalle zanne di Nagini. Ron cercava come poteva di aiutarla tamponando a mani nude. La carne tentava di ripararsi grazie all’intervento della pozione, ma il veleno del serpente rendeva vano il suo effetto curativo, come fosse un potente solvente contro una colla di scarsa qualità. C’era così tanto sangue che era difficile vedere dove iniziasse la pelle recisa di Snape e dove le dita di Ron.
«Vol … lui, l’ha fatto azzannare da Nagini.» spiegò Harry, inghiottendo a vuoto. «Voleva assicurarsi di avere l’obbedienza della bacchetta di Dumbledore.»
Lupin ci mise qualche attimo a seguire il ragionamento, a cui Harry aveva rimosso qualche dettaglio essenziale: l’intera spiegazione della bacchetta di Sambuco e tutte quelle verità che avevano faticosamente raccolto negli ultimi mesi.
«L’obbedienza della bacchetta di Albus?» domandò infatti confuso il licantropo.
«Sì. Tu-sai-chi ha rubato la bacchetta dalla sua tomba, ma a quanto pare non gli è fedele come deve. Non è potente come vuole, non riusciva a uccidermi. Così ha pensato che uccidendo chi aveva sconfitto a sua volta Dumbledore, avrebbe ottenuto la piena lealtà della bacchetta.» semplificò teso.
«Però ora che ci penso … » mormorò Hermione. « … forse il vero padrone della bacchetta non è Snape.»
Harry sgranò gli occhi e parlò a bassa voce, atterrito.
«Può essere che sì beh, in fondo Dumbledore prima di morire era stato disarmato da … Malfoy.»
«Come possiamo essere certi che la lealtà della bacchetta si sposti con un banale expelliarmus o un omicidio?» obiettò Ron, la voce ridotta ad un sibilo acuto d’ansia.
Lupin prese un respiro profondo e intervenne, indicando Snape.
«Se è così, se la sua morte può avvantaggiare tu-sai-chi, allora dobbiamo tenerlo in vita.»
«Il Dittamo non funziona.» spiegò Hermione, disperata. «Ê una ferita troppo grave e ha perso troppo sangue, sta morendo!»
«È come la ferita di papà, ricordate?» fece Ron, cupo. «L’unica speranza è il San Mungo.»
Si scambiarono tutti un’occhiata tesa.
«Possiamo cercare un camino ancora integro e provare con la metropolvere.» propose Hermione, che ormai centellinava il dittamo goccia per goccia, blando e inefficace.
«O un elfo domestico, riescono a fare anche lunghi viaggi, no?» suggerì Ron.
«Ho visto Kreacher da qualche parte.» mormorò Harry. Guardò l’oggetto e poi Snape in un alternarsi di frustrata rabbia e a tratti pena. Chiuse gli occhi e ringhiò:
«Kreacher!»





Nemmeno l’impeto del temporale riusciva a sovrastare quelle voci, un grottesco crescendo del cupo ringhio di un uomo e l’isterico schiamazzo di una donna. Cercavano di scavalcarsi a vicenda senza riuscire a spiegarsi effettivamente alcunché: impossibile sentirsi reciprocamente a quel volume. Voci che rimbombavano dalla cucina lungo il corridoio e le scale dello squallido appartamento, trafiggendo l’esile barriera della porta chiusa di camera sua, condannandolo a partecipare involontariamente all’ennesima lite. Se le sentiva pulsare odiosamente nel cranio, quelle due voci. Distingueva solo parte delle parole e pregava nervosamente di non sentirci il proprio nome in mezzo. “Fa che stiano litigando per gli affari loro. Fa che non sia per me.” Pregava, atterrito.“Fa che finisca presto, che se ne vadano tutti e due, non farli salire, ti prego.”
Smunto e sporco, il piccolo Severus se ne stava ben stretto nei suoi brutti vestiti di seconda o forse terza mano. Avevano ancora cucita addosso la puzza di qualcun altro. Non c’era modo di toglierlo quel fetore, ma in fondo tenevano caldo, non costavano niente e lui aveva già maturato un denso senso di inadeguatezza fisica tale, da gradire le ampie volute di stoffa entro cui celare il proprio corpo tutto spigoli.
Trattenne il respiro quando gli parve di sentire suo padre gridare qualcosa come “quello ha fatto”, il resto non era chiaro. Quello, era il sinonimo preferito di Tobias Snape per non scomodarsi ad usare il nome del figlio. Le sue formule più frequenti erano “quello non ascolta”, “quello mi manca di rispetto”, “quello spostato di tuo figlio” insieme ai grandi classici generici “quello ha fatto/detto/rotto”.
Chiuse gli occhi, appellandosi all’ostinata resilienza che già aveva a nove anni, ma ogni speranza crollò quando senti il litigio scemare e i passi pesanti di suo padre risalire le scale. Si rannicchiò meglio nell’angolino fra letto e parete in cui s’era rattrappito, manco potesse scomparirvi dentro. Ogni passo era un’indicazione fondamentale per capire se Tobias fosse diretto da lui o meno. Stava percorrendo il corridoio a grandi falcate. “Forse va in bagno” sperò il bambino, col cuore in gola come un erbivoro rintanato troppo in prossimità dei predatori. Tobias rallentò. Ci fu un silenzio lungo in cui il piccolo tornò a respirare e poi una manata pesante abbassò di scatto la maniglia della sua porta facendolo sussultare. Atterrito fissò l’uomo entrare come una furia. Cencioso, il volto sporco di barba rada, infiammato di rabbia mal controllata ed alcool.
«Questa dannata porta, come ti ho detto che deve stare?» sibilò Tobias con un gelo carico di disprezzo, temibile e doloroso da subire per un bambino.
«Aperta.» mugugnò, cercando di trincerare la paura dietro un muro di rigore ridicolo in un bimbo così piccolo.
«E allora perché è chiusa?» soffiò a denti stretti l’altro.
«Facevate troppo rumore.» ebbe il coraggio di fargli notare il piccolo e capì di aver scelto la risposta sbagliata ancora prima di aver terminato la parola.
Suo padre fu su di lui in due passi e la sua sporca mano callosa gli calò pesantemente su una guancia in un manrovescio ben assestato.
Gli urlò qualcosa circa la propria libertà di alzare la voce quanto desiderava in casa propria, deliri sul rispetto e la gratitudine, ma Severus non ascoltava più, finito lungo disteso sul letto sentiva solo dolore al lato del capo. Era così intenso da fargli male tutto: il collo, la tempia, l’orecchio. Sentiva anche un calore umido strisciargli sulla pelle ed impiastricciargli i capelli unti. Eppure non era stato un colpo tanto forte da giustificare del sangue.
Tobias e il temporale si fecero distanti, la luce calò e solo il dolore rimase, addirittura crescente. Sentì emergere dal vuoto un’altra voce maschile. Anche questa era arrabbiata con lui, non urlava, ma era chiaro il disprezzo e una certa foga di fondo.
«Così? Dopo ciò che hai fatto?» gli stava molto vicino, era familiare. «Non te ne puoi andare così, avanti Severus apri gli occhi!» gli intimò ancora. O forse lo stava spronando, c’erano dosi eguali di rabbia e disperazione in quell’uomo.
Ma era difficile trovare la voglia di tornare vigile, perché il dolore era lancinante lì sul collo e avvertiva anche una certa pressione, una mano calda che sembrava infierire schiacciando la sua ferita. Non poteva capire che era la mano che gli stava tenendo l’anima in corpo insieme al sangue.
Severus non ci provò nemmeno ad aprire gli occhi e in un istante venne il blackout della perdita di coscienza.
Quando ebbe la disgrazia di ritornare sveglio non capì se fossero passati minuti o ore, il dolore c’era ancora tutto persino per respirare, il sangue lo sentiva ancora fresco sulla pelle e i capelli, ma il pavimento non era più duro e scomodo e nessuno gli stava schiacciando crudelmente la gola. C’erano delle voci che parlavano concitate intorno a lui. Poi avvertì una strana sensazione: lì dove sul collo e parte del viso i capelli erano rimasti fastidiosamente incollati sulla pelle, di punto in bianco scomparvero. Non era come se qualcuno li avesse scostati, erano proprio spariti, tagliati via di netto per magia.
Provò ad aprire gli occhi, ma due millimetri bastarono a farlo desistere: era in un luogo fastidiosamente luminoso. Li serrò ancora, voci lo chiamarono, perse nuovamente i sensi.






Il San Mungo non era mai stato travolto da una tale ondata di caos e feriti dall’epoca della prima guerra magica. La battaglia di Hogwarts era finita a stento da mezz’ora e le forze della sola Madam Pomfrey, coi pochi che sapevano destreggiarsi con gli incantesimi curativi, non erano bastate a soccorrere tutti al castello. C’erano feriti in ogni condizione e gli Auror sorvegliavano a vista quei pochi mangiamorte che, in gravi condizioni, stavano venendo soccorsi fra le stanze blindate dei reparti.
La stanza dove era stato portato Snape era probabilmente la più sorvegliata, con un nugolo di maghi e streghe che non ne volevano sapere di smettere di affacciarsi a controllare l’operato disperato dei medimaghi.
C’erano Lupin, Tonks e Shacklebolt, accompagnati dalla McGonagall che nonostante le ferite appena curate aveva insistito per unirsi alla scorta dell’impopolare preside di Hogwarts. In molti affollavano i corridoi in piccoli gruppetti assembrati fuori da ogni stanza. Erano parenti, amici o feriti lievi ancora in attesa di cure e persino qualche curioso che nessuno aveva davvero voglia di scacciare. Correvano voci e ipotesi, qualcuno aveva sentito quanto Harry aveva spiegato durante gli attimi salienti della battaglia contro Voldemort, sulla fedeltà di Snape a Dumbledore, la bacchetta di Sambuco, gli horcrux, ma i più ne parlavano con cautela o scetticismo, se non direttamente completa ignoranza circa i soggetti e i temi dello scambio.
Sedute su una panca un po’ più appartata vicino alla porta della stanza di Snape, c’erano solo tre persone in completo silenzio da decine di minuti: Lucius, Narcissa e Draco Malfoy. Erano blandamente sorvegliati a vista da Shacklebolt, sporchi e solo lievemente feriti, ogni traccia dell’antica alterigia sostituita da un’atterrita e guardinga incredulità. Draco era seduto al centro, i genitori incollati ai fianchi manco fossero statuine della natività. Narcissa era l’unica fra loro a possedere ancora una bacchetta, mentre chi di bacchette ne custodiva due invece era Remus Lupin. L’uomo impugnava ancora la propria, mentre quella di Snape gli sbucava da una tasca della giacca logora e sporca di sangue.
«Remus, posso...?» mugugnò Tonks lì vicino, accennando a tutto quel sangue che l’amico aveva addosso.
Lupin, che stava immobile come una vedetta davanti alla porta chiusa le lanciò un’occhiata confusa, evidentemente interrotto in un momento riflessivo che gli aveva dipinto in faccia una smorfia nervosa sin dall’attimo in cui erano arrivati, subito dopo il termine della battaglia.
«Oh. Non preoccuparti, ci penso io.» abbozzò un sorriso teso ma schietto.
«È tutto di Snape?» intervenne serissima, da una seggiola lì accanto, la McGonagall. Si era sistemata alla bell’é meglio le vesti e il disastrato chignon. Aveva l’aria esausta ma stava bene, e la sua espressione severa era una maschera capace di celare alla perfezione cosa provasse in merito all’uomo in fin di vita.
«Sì.» confermò Lupin, che si diede un’occhiata e si rese conto solo in quel momento di quanto fosse sporco. Riuscì a tirare qualche gratta e netta che a malapena levò il grosso lasciando però ampie macchie rossastre, quando un brusio dal fondo del corridoio li distrasse tutti.
“Harry Potter”, “Potter!” furono i numerosi sussurri eccitati che correvano fra le bocche dei maghi e delle streghe nel corridoio, rispettosamente a bassa voce vista la natura del luogo in cui si trovavano.
Remus vide il ragazzo farsi strada a fatica fra pacche e strette di mano, occhiate apprensive o incredule e richieste del perché si trovasse lì e non a festeggiare la vittoria. Ad accompagnarlo c’era solo Hermione. Ron era rimasto indietro insieme alla famiglia a piangere il terribile lutto di Fred.
«Harry.» lo chiamò subito Lupin quando vide che il ragazzo ed Hermione sembravano puntare proprio verso di lui.
«Harry, stai bene sì?» si aggiunse apprensiva Tonks.
L’intero gruppo a guardia della porta della stanza di Snape si chiuse intorno ai due ragazzi appena arrivati. Le loro ferite erano già state abbondantemente trattate e si portavano dietro una disastrata stanchezza fatta di indumenti logori e sporchi, capelli spettinati, facce segnate come praticamente ogni mago e strega nei dintorni.
Tutti si erano improvvisamente scordati di tenere d’occhio i tre Malfoy seduti pochi metri più indietro, ma questi si erano uniti alla fila di sguardi confusi e curiosi anziché tentare un’improbabile fuga.
«Il preside … se la caverà?» fu la prima frettolosa domanda di Harry, che ignorò di netto quella di Tonks.
Lupin e Tonks lo fissarono un po’ spiazzati, tanto che a rispondere fu la McGonagall.
«Non si sa.» disse con una freddezza composta, signorile, per quanto stanca. «Potter, ciò che dicevi durante lo scontro con Voldemort era vero o un bluff?» non si trattenne dal domandare, cercando con lo sguardo anche Hermione. «Snape era davvero d’accordo con Dumbledore? Come hanno potuto ordire una cosa del genere?»
«Sì.» dichiarò Hermione, con un’urgenza che ricordava le risposte date alle interrogazioni. «Snape è innocente.» 
«Era stato tutto perfettamente calcolato dal professor Dumbledore.» andò dritto al sodo Harry.
«Come fate ad esserne così sicuri?» fu Lupin a risolvere la domanda che strappò numerosi cenni di condivisa perplessità fra i presenti.
«Il ritratto del preside Dumbledore potrà confermarvelo oltre ogni ragionevole dubbio.» dichiarò Hermione, pratica.
«Ma Snape l’ha ... ucciso.» obiettò la McGonagall, con un’impennata di doloroso rancore impossibile da celare nello sguardo.
«Per quanto possa sembrare assurdo e atroce, Snape e Dumbledore erano d’accordo anche su quel punto.» spiegò Harry mesto. «Il professor Dumbledore era praticamente in fin di vita, e Voldemort aveva ordinato a Draco Malfoy di ucciderlo.» ricostruì il ragazzo.
Tutti si voltarono a cercare i tre Malfoy sulla panca, che sbiancarono più di quanto già non fossero.
«È la verità.» trovò il coraggio di ammettere Narcissa, la voce ridotta ad un soffio a stento udibile. Inghiottì a vuoto, ignorando le occhiate ammonitrici del marito e decise di parlare ancora. «Quel compito non era altro che una condanna, una punizione per la nostra famiglia. Avevamo stretto un voto infrangibile, Severus ed io. Avrebbe dovuto proteggere Draco, aiutarlo, finanche assolvere al suo compito qualora non ce l’avesse fatta. Bellatrix era molto sospettosa verso Severus, pensava fosse un doppiogiochista. Quel voto infrangibile prima, e l’assassinio di Dumbledore poi, furono la prova definitiva della fedeltà di Severus.»
«O almeno così pensavamo.» non poté impedirsi di mormorare amaramente Lucius.
Draco era paralizzato in mezzo ai genitori. Disarmato, annichilito e incapace di guardare chiunque in faccia o dare un contributo.
Harry guardò Narcissa dritta negli occhi, e anche se non le disse nulla non poté che rivolgerle un silenzioso ringraziamento.
«Il professor Dumbledore l’ha praticamente costretto a farlo.» aggiunse dunque Harry. «Per salvargli la vita dalle conseguenze del voto infrangibile, salvare quella di Draco, e consentirgli di ottenere la massima fiducia per portare avanti credibilmente il suo ruolo di spia, oltre che morire imbattuto per provare a mantenere la fedeltà della Bacchetta di Sambuco o perlomeno trasmetterla al professor Snape.»
«Voi come fate a sapere tutto questo?» obiettò Remus, allibito.
«Ve l’ha detto il ritratto del Preside Dumbledore?» ipotizzò Tonks, esterrefatta.
«Non è possibile che Snape abbia manomesso il ritratto?» avanzò Shacklebolt scettico.
«Quando avrebbe dovuto farlo?» obiettò la McGonagall.
«Non so, forse si preparava un piano b per discolparsi qualora Voldemort avesse perso la guerra.» ribatté Shacklebolt.
Harry cercò in tasca la fialetta dei ricordi di Snape che aveva accuratamente recuperato dal pensatoio mentre gli altri esponevano tutti i loro dubbi. Cercò gli occhi di Hermione, che ricambiò la domanda silenziosa che l’altro le rivolgeva con un assenso serissimo.
«Tu resta qui e riposa.» sussurrò discreta, accostandogli il viso al profilo e tendendogli una mano. «Io mostro il ricordo ai membri dell’Ordine, spiegando loro tutto ciò che posso sulla ricerca degli horcrux. Quando vedi Ron digli che tornerò presto.»
Harry non esitò un istante ad estrarre l’ampolla e cederla alla ragazza, annuendo con un sorriso grato.
«Cos’è?» chiese subito Lupin. Sembrava profondamente sconvolto, incredulo.
Hermione si avvicinò a lui e Tonks per primi, in un confabulare discreto che poi ripeté cauta e cortese anche verso Shacklebolt e la McGonagall, atteggiamento che si guadagnò diverse occhiate contrariate dai curiosi nei dintorni.
Lupin, Tonks, Shacklebolt e la McGonagall si guardarono a loro volta dubbiosi, ma alla fine fecero spazio ad Hermione e la seguirono.
Quando il gruppetto si fu allontanato, il chiacchiericcio intorno riprese basso e discreto, ed Harry voltò le spalle a tutti, ritrovandosi a fronteggiare la panca dove erano seduti i Malfoy due metri più in là.
Lucius s’era rimesso in piedi e Narcissa si accingeva a fare altrettanto. L’uomo sembrava profondamente irritato, deluso quasi, lei invece solo terribilmente stanca. Solo Draco, capo chino, spettinato e sfiancato, sembrava una volta tanto non volerli copiare.
«Andiamo via, Draco.» lo richiamò stizzito il padre.
«Io … » mormorò dubbioso il ragazzo.
«Vuoi restare qui a vegliare un traditore?» sibilò Lucius.
«Mi ha salvato la vita. Più d’una volta.» ebbe il coraggio di ribattere il ragazzo.
«Perché era costretto.» insinuò crudelmente Lucius. «Per un voto fatto non certo nel tuo interesse, ma nel suo. Alla fine era solo un mezzosangue che-»
«Anche Voldemort lo era.» lo interruppe Draco, parlando a voce molto bassa. «Un mezzosangue.»
Harry sgranò gli occhi, stupito, Lucius boccheggiò, scandalizzato come se il figlio avesse appena bestemmiato in maniera particolarmente colorita. Prima che potesse anche solo provare a rispondergli però, Narcissa lo afferrò a braccetto in una presa ferrea.
«Noi ti precediamo Draco.» spiegò, asciutta. «Cerca di tornare per pranzo e non stancarti oltre.»
Draco le rivolse un sorriso mesto e la donna si trascinò letteralmente via il marito verso il fondo del corridoio.
Harry si ritrovò in un istante gli occhi grigi del biondo puntati in faccia.
«Perché hai deciso di restare?» chiese un po’ impacciato.
«Non so. Sento che devo stare qui, ed inoltre è il mio padrino.» ammise Draco, guardando la porta chiusa della stanza di Severus. «E tu? Perché non sei andato con la Granger? Ti hanno detto di controllarci o cosa?» sulle ultime sembrava sinceramente turbato, ma poco ostile per i suoi standard.
«Ah.» mugolò Harry, interdetto. «No.» negò poi più convinto sul finale. «Hermione mi ha solo detto di riposarmi.»
Draco sembrò per un attimo spaesato, esitante, imbarazzato. Alla fine si scostò, scivolando a sedere più in là e gli indicò lo spazio libero al suo fianco.
«Allora riposati.» lo invitò senza guardarlo negli occhi.
Harry non fece complimenti e si andò a sedere accanto al ragazzo con un piccolo sbuffo stremato.
Calò un silenzio che durò qualche istante, e poi a parlare fu Draco.
«Finiremo sotto processo, insieme agli altri mangiamorte?» sussurrò senza celare l’ansia.
«No. Non credo. Shacklebolt non vi avrebbe lasciati qui così, altrimenti. E se così fosse non esiterei a difendervi, dopo quello che ha fatto tua madre.»
Draco lo guardò confuso.
«Davvero? Cos’ha fatto mia madre?»
«Ha salvato il mondo magico, te e me con una piccola semplice bugia.» riassunse Harry in uno sbuffo divertito, curandosi di abbassare la voce visto che alcuni fra i maghi e le streghe che riempivano il corridoio li fissavano curiosi.
«Cosa?» mormorò il biondo.
«Nella foresta, quando Voldemort le ha chiesto di controllare se io fossi ancora vivo, lei ha deciso di tradirlo e rischiare tutto.» rivelò Harry a bassa voce, osservando lo stupore fiorire e diventare shock in faccia all’altro. «Lei si è avvicinata e la prima cosa che ha fatto quando ha capito che il mio cuore batteva è stato chiedermi dove fossi tu, se fossi ancora vivo. Poi ha mentito a Voldemort senza esitare. Le mie sono ipotesi, dovrai chiedere personalmente a tua madre perché l’ha fatto ma, credo avesse capito che agli occhi del suo padrone era poco più di un oggetto. Che tutta la vostra famiglia - ad eccezione di Bellatrix - era costantemente in pericolo vicino a Voldemort. Ha fatto la scelta giusta per voi, immagino e per tutti noi. Credo sia abbastanza per risparmiarvi qualsivoglia condanna.»
Draco ci mise diversi attimi ad assorbire la realtà, lo guardò speranzoso.
«Puoi … » iniziò esitante. « … dirlo agli Auror? In maniera discreta magari.»
Harry si accigliò.
«Hai paura che tuo padre possa farle del male?»
«No, non lui.» chiarì subito. «Ma non vorrei che qualcuno degli esaltati che non sono stati catturati si mettessero a cercare vendetta.» concluse scoccandogli un’occhiata apprensiva, intensa.
«Va bene. Non metterò gli annunci sulla Gazzetta del Profeta, tranquillo.» garantì Harry, distendendo un abbozzo di sorriso.
«Grazie Potter, molto apprezzato.» 
Draco ricambiò il suo sorriso con uno un po’ teso e imbarazzato, ed Harry sgranò gli occhi.
«Quasi dimenticavo.» prese a frugare nella tasca interna della giacca logora che si era infilato per coprire la maglia strappata e sporca di sangue. Sotto gli occhi interrogativi dell’altro andò ad estrarre la bacchetta di biancospino e afferrata per la punta gliela porse per il manico manco fosse un coltello. «Se non l’ha già saputo, dovremmo evitare anche di far sapere a tuo padre che questa è la bacchetta che ha sconfitto Voldemort.» gli sorrise, sornione.
Draco lo fissò ad occhi sgranati, paralizzato dalla sorpresa.
«La prendi o me la tengo io?» lo spronò il moro, con un sorriso morbido alla sua immobilità. «Mi sono trovato bene con la tua bacchetta e non so perché, ma sento che ritroverà subito la sua lealtà nei tuoi confronti. Mi sembra quasi di sentirla fremere per tornare da te.»
«La lealtà?» mormorò Draco incerto. Recuperata la bacchetta se la portò al petto con ambo le mani manco fosse un cucciolo tremante.
«Le bacchette hanno le loro preferenze, sono loro a sceglierci.» cantilenò Harry. «E mostrano anche lealtà al mago con cui sentono di trovarsi allineate, evidentemente.»
«Ah. Ora capisco. Beh, grazie per avermela resa. E ..  grazie per averci salvati.» mormorò il biondo, che non riusciva a levargli gli occhi di dosso, quasi incantato. Gli porse la mano, esattamente come aveva fatto al loro primo incontro da bambini.
Stavolta però Harry la acchiappò in una stretta decisa con un sorriso stanco ma incoraggiante.







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