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Autore: JenevieveEFP    10/08/2023    1 recensioni
La guerra è appena finita, Voldemort è stato sconfitto, Tonks e Lupin sono ancora vivi. Snape è stato salvato in extremis ma versa in condizioni critiche per le ferite inferte da Nagini. La sua mente provata dalla febbre e dal veleno, lo tormenterà con dolorosi sogni e ricordi perduti del suo passato. Harry intanto è pronto a svelare ai pochi membri rimasti dell'Ordine della Fenice la verità dietro il doloroso ruolo dell'odiato preside di Hogwarts, e a confrontarsi con Draco con la calma che solo la fine di un conflitto sa donare. La fine della guerra diventerà un nuovo inizio per tanti, ma una condanna dolorosa per alcuni che non erano pronti a sopravviverle. Le occasioni di incontro e scontro non mancheranno, specialmente quando gli studenti saranno richiamati ad Hogward per ripetere l'anno scolastico brutalmente interrotto e cercare di ricominciare a vivere e ricostruire.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter, Remus Lupin, Severus Piton | Coppie: Draco/Harry
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Intanto ti ringrazio di avermi letta qui ed eventualmente recensita (cosa che, non ti nego, è un piacere immane lato scrittore), arrivederci al prossimo capitolo o alla prossima storia!

 

 

«Mi dispiace, Severus.» la voce del bambino era delicata, rassicurante. «Passerà presto. Potter l’ha provato diverse volte su Pettigrew, è innocuo.» gli disse, fermo in piedi al suo fianco, una mano protesa a porgergli un fazzoletto di stoffa che aveva maldestramente fatto apparire.
Severus gli schiaffeggiò via la mano con una delle proprie sporche di sangue, scoccandogli un’occhiata furente.
Erano in piedi nel bagno dei ragazzi, lì dove s’era rifugiato dopo un battibecco con Potter e Black che era finito con lui che perdeva dignità e sangue dal naso. Una fattura semplice da primo anno, infantile e sostanzialmente innocua, che gli aveva tuttavia inzuppato il colletto della maglia sotto l’uniforme, facendolo fuggire più per l’imbarazzo che per il dolore. Era così agitato e accaldato in faccia che non aveva avuto nemmeno la freddezza di provare un semplice Gratta e Netta.
«Come sai il mio nome? E chi ti ha detto che puoi usarlo?» berciò acido e autoritario il piccolo Serpeverde, in una perfetta imitazione del tono crudele di suo padre. Si affacciò al lavandino da cui prese a darsi una sciacquata sommaria al viso, mentre l’altro bambino si chinava pazientemente a raccogliere il fazzoletto che la sua manata aveva fatto finire a terra.
«Mi dispiace, Snape.» si corresse dondolando sul posto, teso come ad un’interrogazione a sorpresa. «Mi ricordavo di te dalla cerimonia di smistamento. Eri fra gli ultimi in lista e un sacco di bambini stavano venendo smistati alle altre case. Ti avevo visto sempre accanto a Lily Evans fin dal treno, dunque speravo che anche tu saresti stato scelto per...» smise di provare a spiegarsi quando vide un ulteriore peggioramento sulla faccetta pallida e smunta di Severus. Ora sembrava direttamente furioso e triste.
«Grifondoro?» sputò acido, punto nel vivo. «E perché mai speravi una cosa simile? Credi forse che il Cappello Parlante assecondi i capricci dei bambini e li mandi dove sono i loro amici, così, solo per fargli un piacere? Cresci un po’, la magia è una cosa seria, lo smistamento è una cerimonia sacra che va avanti da secoli, non funziona come pare a dei mocciosi.»
L’altro arrossì, incassando leggermente la testa fra le spalle.
«No è che io … speravo di avere solo più compagni in dormitorio.» ammise a voce bassa. «Tanti più amici. Cioè, possiamo ancora essere amici in realtà.» si corresse subito.
Severus, che intanto aveva ripreso a lavarsi la faccia, sbuffò così forte che fece schizzare acqua e goccioline di sangue fino allo specchio. Si voltò a fissarlo con un disprezzo palese sul volto umido, ed uno scetticismo acuto a caricare la risposta.
«Io e te? Amici?»
«Sì. Perché no?»
«Perché, quanti Serpeverde e Grifondoro amici conosci?»
«Beh tu ed Evans non siete amici?» lo contraddisse speranzoso.
Severus esitò, colpito e affondato, dunque tornò sulla difensiva.
«Lo eravamo da prima dello smistamento.» risolse secco. «Ma non ti credo, ad ogni modo. Perché sei qui? Potter e Black ti hanno mandato per cercare di convincermi a non riferire ai professori cosa mi hanno fatto?» ipotizzò aspro, studiandosi di straforo il suo riflesso da dietro la cortina di capelli unticci.
«N-no.» tentennò l’altro. «Mi sembravi spaventato e volevo dirti che starai bene entro pochi minuti. Solo questo.»
«Molto gentile.» soffiò Severus, marcatamente ironico. «Troppo, per uno che frequenta quel gruppo di spostati. Avresti potuto fermarli, se ti importava.»
«I-io-» ebbe appena il tempo di bofonchiare, ma venne interrotto.
«Come ti chiami?» sbottò spazientito Severus, il cui flusso anomalo di sangue stava finalmente iniziando a scemare, lasciandogli il viso umido d’acqua e gonfio di vergogna.
«Ah, già, che sciocco. Remus Lupin.» si affrettò a presentarsi il ragazzino, allungandogli timidamente una mano ed un sorriso un po’ forzato ma speranzoso, paziente.
«Lupin.» ripeté il moro, chiudendo il getto d’acqua del rubinetto e voltandosi di scatto. «Riferisci pure ai tuoi amici che intendo andare a dire cosa mi hanno fatto alla direttrice di Grifondoro.»
Remus ritrasse la mano, perdendo il sorriso in favore di uno sguardo intristito, quasi colpevole.
«Era solo uno scherzo.» mormorò sconfitto. «E anche tu hai provato a colpire Potter.»
«Potter mi ha attaccato per primo, poi con Black in due contro uno. Questo inoltre non fa che dimostrarmi che sei venuto qui solo per cercare di evitare loro una punizione.» ringhiò seccato.
«Mi dispiace.» ripeté Remus, a capo chino. «No, non sono venuto qui per quello. È solo che-»
Ma ancora Severus lo interruppe, scansandolo con una manata debole per guadagnarsi una veloce uscita dai bagni senza sentire tutto ciò che aveva da dire.
«Risparmia il fiato. I miei compagni più anziani mi hanno già spiegato bene come funziona con voi Grifondoro. Che vi vantate di essere coraggiosi e nobili d’animo, ma in realtà siete sciocchi, avventati, bulli irrispettosi dall’ego smisurato.»
Remus si accigliò leggermente.
«Io ti sembro un bullo dall’ego smisurato?» gli chiese con un sorriso amaro.
Severus squadrò con aria tesa e dubbiosa quel bimbo così simile a sé, smunto, timido, vestito di stracci sotto l’uniforme.
«Può darsi.»
«Quindi anche la tua amica Lily lo è?»
Severus arrossì di rabbia e Remus si portò una mano davanti alla bocca.
«Scusa. Mi dispiace Severus.»
Il serpeverde scappò via, accalorato dalla furia. Mentre scendeva verso i sotterranei gli rimbombava ancora in testa quel “mi dispiace, Severus.”





«Mi dispiace, Severus.» aveva appena mormorato Remus, seduto accanto al letto.
Era l’una del mattino, i guaritori avevano lasciato la stanza da pochi minuti per potersi concedere un po’ di riposo dopo aver stabilizzato faticosamente l’uomo. Alcuni dovevano invece dedicare attenzioni ai numerosi feriti ancora in attesa di visite approfondite dopo la battaglia della giornata precedente. Remus s’era subito offerto volontario per sorvegliarlo, promettendo ad Harry, Hermione, Draco, Tonks, Shacklebolt e la McGonagall di spedirgli prontamente un gufo in caso di novità. Da che Harry aveva raccontato loro la verità ed Hermione mostrato il ricordo, il gruppo dell’Ordine della Fenice s’era ostinatamente inchiodato fuori dalla stanza di Snape insieme ad un taciturno e solitario Malfoy, finché non erano stati i medimaghi a pregarli di tornare a casa e limitarsi ad una sola visita per volta.
I guaritori avevano spiegato che la sopravvivenza di Severus era ancora in dubbio, ma le speranze non erano assenti. Avevano trattato solo una volta quel genere di veleno anni prima, su Arthur Weasley, ma non erano effettivamente riusciti a rompere la maledizione che lo permeava né a mettere a punto un antidoto. Nel caso del signor Weasley infatti, si erano limitati a combattere il dissanguamento finché gli effetti non erano svaniti da soli nel giro di alcune settimane, concedendo finalmente al sangue di coagularsi e alla ferita di risanarsi naturalmente.
Nel caso di Severus la questione era decisamente più delicata, visto il punto in cui il serpente aveva morso, le vene che aveva reciso e il sangue perso che faticavano a rigenerare con le pozioni. Temevano che il veleno potesse essere arrivato fino al cervello, con conseguenze imprevedibili. Era un caso che aveva richiesto la loro attenzione per praticamente tutta la giornata, ed aveva anche qualche evento anomalo al seguito, come una febbre alta costante che non sembrava voler scendere neppure con le pozioni apposite.
Severus era sdraiato sotto una coperta leggera che gli lambiva il petto, un cuscino basso sotto la testa, ed un incantesimo che provvedeva a tamponargli viso e fronte con una pezza umida e fresca a intervalli regolari.
Gli avevano tagliato i capelli per la fretta di scoprire l’entità del danno, ed ora col collo fasciato fino al mento e parte della testa, più pochi centimetri di capelli scuri e mal tagliati, era quasi irriconoscibile. Aveva un colorito malsano, un pallore anche peggiore del normale su quella pelle olivastra, metà del volto leggermente più infiammato e gonfio in corrispondenza della zona ferita, ma era assopito con un’aria relativamente serena grazie a massicce dosi di pozioni.
«Mi dispiace tanto.» ripeté a bassa voce Lupin. «Di non avere davvero provato ad esserti amico da ragazzi, per paura di perdere l’approvazione di Sirius e James. Di non averci riprovato da adulti. Di averti detestato così profondamente senza sapere la verità. Mi dispiace di aver sperato di poterti uccidere con le mie stesse mani.»
Il discorso del licantropo era destinato ad essere un soliloquio basso, che non prevedeva nemmeno un cenno di risposta dall’altro.
«Non provo più alcun rancore verso di te. Voglio che tu viva, e trovi finalmente un’esistenza serena. Ammiro ciò che hai fatto, quanto profondamente ti sei sacrificato. Quanto coraggiosamente hai portato avanti il tuo scopo.» prese un respiro profondo. «Le tue colpe sono simili a quelle di tanti di noi, me incluso. E voglio chiederti scusa di persona, dunque ti prego, lotta ancora una volta con tutto il coraggio e la determinazione di un Serpeverde.» concluse con gli occhi lucidi.
Quando si accorse che l’incantesimo alla pezza bagnata stava un po’ sbagliando mira, cedendo da un lato, si armò di bacchetta e lo annullò. Gli rinfrescò il volto e il petto in parte scoperto dalle lenzuola, ripetendo la cosa allo stesso intervallo regolare a cui era stato eseguito l’incantesimo. Ogni tanto sfiorava la pelle febbricitante sulla fronte con un tocco lieve, premuroso.
Passarono diverse ore silenziose, con poche occasionali visite da parte dei medimaghi che non avevano niente di nuovo da suggerire. Solo pozioni sedative, tentativi esasperatamente infruttuosi di abbassare la febbre, e rassegnazione.
Erano praticamente le sei del mattino quando Remus fece una pausa per sgranchirsi le gambe, lasciando nuovamente all’incantesimo il compito di tamponare occasionalmente il capo dell’uomo febbricitante.
Camminò dal letto alla finestra con una pazienza rafforzata dalla determinazione ed una pozione per tenersi ben desto. Il cielo fuori dalle vetrate ben pulite aveva iniziato a schiarirsi ormai da mezz’ora e i primi raggi del sole filtravano morbidi in un’alba pulita, senza nubi. Stava quasi per perdersi in quel gradevole attimo di serenità, quando un lieve gemito strozzato alle sue spalle lo fece voltare di scatto.
Severus aveva gli occhi chiusi e una smorfia di dolore marcata in viso. Tornò in tre rapide falcate al suo fianco, con l’ansia a pesargli sul collo in un brivido sgradevole. Gli sfiorò la testa scansando la pezza, sembrava che la febbre stesse salendo indipendentemente dall’acqua fredda che andava a sfiorargli la pelle. Lo vide annaspare per respirare, gemere più forte, strizzare le lenzuola in una presa così dura da sbiancare le nocche. Le sue labbra tremarono prima di schiudersi ed emettere un rantolo orribile.
«N-on vo-le-vo.»
Remus si sbloccò a fatica dall’attimo di orrore, superò di corsa il letto e colpì con forza il piccolo campanello incantato che avrebbe allertato i guaritori.





A nessuno sembrava piacere l’odore dell’aula di Pozioni quanto a lui. I suoi compagni, anche i più abili nella materia, lamentavano spesso il puzzo umido e irritante degli ingredienti meno freschi, il rancido di quelli di origine animale, il muschiato penetrante di molti di quelli vegetali. A lui invece tutto quello piaceva da morire. Pensava ironicamente che dopo aver tollerato la puzza della sua vecchia casa paterna, dei suoi indumenti di seconda mano, avrebbe potuto tollerare di tutto. Era fra gli studenti migliori del secondo anno, a pari merito forse solo con Lily, come Slughorn non si stancava mai di ripetere. 
Quel giorno la lezione si sarebbe svolta proprio con Serpeverde e Grifondoro, e prima ancora che tutti gli studenti prendessero posto davanti al proprio calderone, un gaudente Slughorn li aveva invitati a dividersi in gruppi da tre. Era scoppiato un piccolo attimo di caos in cui tutti si affrettavano per far gruppo coi propri amici più intimi o semplicemente coi migliori.
Sirius e James si erano subito presi da parte Remus, occhieggiati da un disperato Peter rimasto indietro. “Scusa Peter, la prossima volta.” avevano ridacchiato i due, trascinandosi a braccetto un lusingato ma dispiaciuto Remus.
Tendenzialmente tutti tentavano di rimanere ben separati fra le due casate, e Severus per uno speranzoso attimo vide le file assottigliarsi da ambo i gruppi, lasciando sola la figura di Lily Evans. Si fece indietro come se volesse nascondersi nel caos dei compagni che si spostavano, provando ad intercettare timidamente lo sguardo di lei in una muta preghiera. Lily lo vide, gli sorrise di nascosto e capì, rifiutando qualche invito bisognoso dalle amiche. Quel piccolo cenno accese il cuore di Severus con una forza inaudita e quando si ritrovò dunque da solo con lei e Peter Minus erano tutti e tre incredibilmente lieti dello strano assortimento. Lily e Severus per il semplice fatto di poter collaborare, Peter perché sapeva di essere finito coi migliori del suo anno. Un’altra cosa che rese ulteriormente felice Severus - anche se dall’esterno ostentò una smorfia infastidita per compiacere i suoi compagni Serpeverde - fu che al vederli assieme Potter sembrava irritato.
«Hey Peter, non è che vuoi fare a cambio?» aveva proposto James.
«Non importa. Va bene così.» gli aveva risposto furbescamente quello.
Severus squadrò Pettigrew con sufficienza, ritrovandosi a sbirciare invece Lupin con curiosità. Era allegro una volta tanto, in piedi accanto a Black, che fissava come fosse l’alba del giorno nuovo. Severus distolse lo sguardo, stizzito.
Slughorn confermò i gruppi, spiegando loro che avrebbero avuto solo un’ora di tempo e tantissimo lavoro da svolgere.
Peter si rivelò essere un assistente insolitamente affidabile, dopo che Severus e Lily presero le redini del progetto facendosi carico delle operazioni più delicate fra gli ingredienti, e lasciando i lavoretti più noiosi all’altro.
A metà lezione il calderone del loro gruppo era già caldo e attivo, mentre il resto della classe arrancava a finire le preparazioni iniziali. Severus e Lily controllavano spesso e volentieri ogni dettaglio, il ragazzo in particolare le stava molto vicino con la scusa di controllare la pozione. Faceva molto caldo.
Man mano che passavano i minuti gli stava mancando il fiato e si stava annebbiando la mente, finché non iniziò proprio a provare dolore al capo. Era confuso, anche spostarsi di mezzo passo indietro non sembrava funzionare, eppure Lily sembrava tranquillissima, il viso pulito e asciutto, l’aria concentrata. La guardò bene in faccia, la vista appannata.
Lily alzò il capo, puntando lui e Peter con i suoi grandi occhi verdi. Erano spalancati in un moto di stupore genuino.
«Perché mi avete uccisa?» chiese mortalmente seria.
«Come?» mormorò Severus, dolente. L’ambiente dell’aula di pozioni iniziò a farsi completamente fumoso, come se stesse svanendo dalla scena. Sentì Peter dire qualcosa ma la sua voce era ovattata. Non capiva.
«Perché mi avete uccisa?» ripeté placida Lily.
«I-io non … » boccheggiò. Sentì un dolore lancinante alla testa, mentre il serpeggiare pesante del senso di colpa gli affondava il cuore in petto. Qualcosa di caldo e umido gli stava scivolando sul collo, sgradevole.
«Ero felice. Con James ed Harry.» insisté la ragazzina, fissandolo serissima. Sentiva e vedeva solo lei ormai.
«Io non volevo.» mugolò stordito.
«Non volevi? Cosa importa?» accusò lei, severa. «Alla fine sono morta per colpa tua. Perché non hai voluto darmi retta. Tu hai scelto da che parte stare, tu volevi eccome. Avresti sacrificato James e il mio bambino, per avermi.»
«N-no Lily io … non potevo sapere che fossi tu. Non potevo! Io pensavo che la profezia parlasse di un avversario già in vita, non certo di un bambino. Lily ti supplico, credimi. Non volevo. Non volevo.» bofonchiò ma gli mancava il fiato e ormai Lily gli parlava a voce sempre più alta, rabbiosa, sovrastandolo di netto.
«Basta mentire! Non te ne sarebbe importato niente se anche l’avessi saputo, pensavi solo a te. Non hai provato pietà per James, per il mio bambino orfano, forse nemmeno per me. Sei un mostro. Eri solo deluso perché non potevi più avermi, la tua ridicola speranza di possedermi era svanita per sempre. Come avrei potuto mai scegliere te? Brutto, patetico, povero, crudele. Ti detesto. Non ti perdonerò mai. Dovresti morire, sei solo un assassino. Avanti: lasciati andare, sconta i tuoi peccati.»
C’era troppo caldo. Troppo dolore.
«M-mi dispiace per il tuo bambino. Mi dispiace per James.» singhiozzò, gli occhi invasi dalle lacrime. «Non farmi questo. Ti supplico. Lo so. Lo so che è tutta colpa mia. Lo so che sono un mostro. Non farmi provare pena anche per lui. Per loro. Non ce la faccio. Lasciami almeno l’odio, non posso provare anche questa colpa.» supplicò.
«Hai odiato mio figlio, un bambino innocente, pur di andare avanti e trovare la forza di compiere la tua vendetta. Ora non meriti più il lusso di una distrazione. Ora meriti solo la sofferenza o la morte, Severus.»
La piccola Lily rabbiosa scomparve. Il mondo si rovesciò con una capriola da togliergli il fiato. Gemette di dolore, gli occhi serrati e il viso rigato di lacrime. Qualcosa lo trattenne. Si sentì toccare una mano mentre un freddo umido gli premeva sulla fronte. Una sensazione violenta, capace di riportarlo sul piano della realtà.
«Severus.» una voce vicina lo chiamava col tono di una supplica morbida. «Ti prego, resisti. I medimaghi stanno arrivando.» 
Dalle nebbie cupe del suo sogno vide come in una diapositiva troppo veloce il visetto un po’ malinconico e serio di Remus Lupin a dodici anni. Lo guardava, muoveva la bocca ma non sentiva cosa stesse dicendo.
Poi tornò il buio.


.



«Remus, ti prego, va a casa a riposare. È quasi una settimana che sei qui e ti concedi solo poche pause per dormire.» lo rimproverò bonariamente Tonks. «Devi anche vivere un po’, non credi?»
Si erano seduti ad uno dei tavolini della sala da the dell’ultimo piano al San Mungo, messi di fronte ad un earl grey ancora rovente ed una manciata di biscotti. Erano le sette del mattino, e dalle finestre filtrava la luce chiara dell’alba appena sbocciata, con qualche sporadica macchia di nubi al fronte.
«Non ho molto da fare a casa, Dora.» obiettò pacato Remus, con un sorriso stanco. 
«Però fra due giorni … » rispose lei in un sussurro, fissandolo con un’occhiata apprensiva. I capelli della ragazza avevano assunto una delicata sfumatura di castano chiaro brizzolato, come se fossero incerti fra la tristezza e la gioia, una copia fedele di quelli dell’uomo che aveva davanti.
«Lo so.» concluse per lei Remus, incupendosi. «Fra due giorni dovrò assentarmi per forza.»
«Hai trovato un posto sicuro?» chiese lei azzardando una carezza timida alla sua mano posata sul tavolo.
Remus subì quel tocco affettuoso con un accenno di lieve rigidità. Annuì e ritrasse con calma la mano con la scusa di acchiappare un biscotto. Tonks se ne rese conto, arrossì vagamente e si dedicò anche lei nervosamente al tè, ascoltando la voce dell’altro. 
«Minerva mi ha offerto un collegamento diretto al camino del suo ufficio ad Hogwarts, perché possa andare lì con largo anticipo. Mi ha messo a disposizione la vecchia Stamberga Strillante o una porzione protetta della Foresta Proibita, in cui trasformarmi in sicurezza.» spiegò serissimo, la voce moderata e l’espressione profondamente infelice.
«È un’ottima soluzione, Remus.» mugugnò la ragazza, indagandone l’aria abbattuta con un cipiglio curioso. «Perché non ne sembri nemmeno un po’ felice?»
«Mi ha offerto anche la mia vecchia cattedra di Difesa.» aggiunse l’uomo, con un sorriso mesto.
Tonks sgranò gli occhi, dissimulando poi la sorpresa in un sorriso incoraggiante.
«E tu hai accettato no? È un’offerta magnifica!»
«Le ho chiesto un mese di tempo per decidere, me ne ha concessi due.» ammise lui, tuffando il biscotto nel tè così a lungo da farlo diventare una delicata spugnetta di briciole. 
«Cosa ti ha trattenuto dall’accettare subito?»
«Tutti sanno cosa sono, Dora.»
«Un eroe? Un ottimo docente? Un Auror? I tempi sono cambiati, Remus. Non ci sono più le influenze negative di Lucius Malfoy nel comitato. Potresti rappresentare il cambiamento di cui tutti abbiamo bisogno.» disse concitata.
Remus continuava a sembrare incerto, così Tonks proseguì.
«So che questo anno scolastico è stato considerato non valido. Dovranno ripeterlo tutti, Remus. Harry, Ron ed Hermione intendono finire gli studi, avrai il loro sostegno e quello di tutti i ragazzi e i docenti che hanno combattuto ad Hogwarts al nostro fianco.»
«Lo so.» ammise lui, affrettandosi a mangiare.
«Allora prendila davvero in considerazione. Mi sembra una grande occasione e insegnare ti è sempre piaciuto. Chi meglio di te?»
L’uomo annuì, sguardo basso. Mangiarono in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri e dubbi per diversi minuti, finché Tonks non si fece coraggio e parlò. Aveva l’aria di essere sull’orlo di una piccola implosione.
«Remus, è da molto tempo che vorrei chiederti una cosa.»
Lupin inghiottì l’ennesimo biscotto zuppo praticamente intero.
«Mh. Dimmi pure.»
«Tu sei ... come Sirius, vero?» mormorò lei titubante.
Il licantropo abbassò lo sguardo sul fondo della tazza da tè sporco di briciole zuppe.
«Sì.» confermò in un sussurro mesto. «Mi dispiace.»
Tonks sbatté più volte le palpebre, incassando il colpo con un sorriso tenue, stoicissimo.
«No, non devi scusarti. Avrei dovuto capirlo prima. Anche solo dagli sguardi che vi scambiavate a Grimmauld Place. Io … mi sono voluta illudere. Sono una stupida.» prese a borbottare un po’ troppo in fretta, dando un colpetto sbadato con la mano alla propria tazzina. L’oggetto rischiò quasi di ruzzolare oltre il bordo del tavolo, ma Remus lo salvò acchiappandolo al volo.
«Non lo sei.» mormorò rimettendo a posto la tazzina con grande cura. «Perdonami per non aver chiarito prima.»
«No, scusa, non intendevo quello.» s’affrettò a dire lei, sempre più agitata, rossa in viso sino ai capelli. «Tu non mi dovevi alcuna spiegazione.» aveva gli occhi lucidi.
«Invece sì, avrei dovuto darti qualche spiegazione quando mi sono reso conto che tu ti stavi infatuando di me.» dichiarò serio Remus. «Ma è meglio così.»
«Eh?» mormorò lei, guardandolo confusa.
«Dora. Meriti qualcuno di meglio, francamente. Di giovane come te. E sano.»
Tonks passò rapidamente dall’imbarazzo ad un accenno di rabbia nervosa. Lo guardò dritto negli occhi con un’insistenza tale da obbligarlo a ricambiare.
«Tu sei giovane e sano, Remus.»
«Tu sei molto più giovane di me.» abbozzò lui in difficoltà. «E no, io sono tutto fuorché sano.»
«Quindi per te l’amore può nascere solo fra due persone di età identica e in perfetta salute? Pensi si possa controllare, Remus?»
«No, scusami. Non intendevo questo.»
«Sì che intendevi proprio quello!» sbottò lei alzandosi in piedi di scatto. Urtò il tavolino, facendo sobbalzare entrambe le tazzine sta volta. «Non so se stessi cercando di consolarmi o cosa, ma se troverai mai un uomo speciale un giorno, più giovane o grande di te, rifiuterai anche lui per questo? Anche tu meriti amore, Remus, ed una vita normale. Riprenditi ciò che meriti se-sei … » un singhiozzo, stava piangendo. « … sei un uomo stupendo. Così stupendo che a nessuno capace di vederti importerebbe del tuo problema.»
«Dora.» mormorò Remus, mortificato. Si alzò anche lui e prima che lei potesse provare a fuggire la avvicinò per stringerla in un abbraccio silenzioso, caloroso. «Mi dispiace. Mi dispiace tanto. Grazie per le tue parole.»
Lei lo strinse forte, pianse silenziosa contro una sua spalla.
«Odio la tua gentilezza. Non mi dai nemmeno la consolazione del rancore.» singhiozzò.
«Sei autorizzata a odiarmi per un po’, Dora. Non sono un santo.»
Lei rise e pianse insieme.
 

   
 
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