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Autore: A_Typing_Heart    12/08/2023    1 recensioni
- La Spada di Dio parte 3 - «Servire la Spada di Dio è il compito più alto che un Caduto possa vedersi affidato nella sua vita, e tu hai già snaturato il tuo ruolo sfruttando la Spada per una tua vendetta. Ora intendi lasciare che commetta un peccato mortale a causa di quello che hai scelto di non fare?»
Genere: Drammatico, Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Crowley Eusford, Ferid Bathory, Guren Ichinose, Mikaela Hyakuya, Yūichirō Hyakuya
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'La spada di Dio'
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Il giovedì era il giorno in cui Crowley, salvo emergenze, rientrava subito dopo pranzo; e a Eanverness di emergenze ce n’erano di rado. Scese dall’auto quasi davanti alla porta di casa, si caricò la spesa a braccia e spalle come un mulo da soma e rientrò in casa, pregustando già la poltrona, un programma rilassante in televisione e una birra, come si concedeva ogni settimana.

«Sono a casa» annunciò, lottando con la rete dell’anguria che era rimasta incastrata nella porta a zanzariera. «Ferid?»

Era lì, nel salotto, troppo immerso nella lettura per sentirlo. Notò immediatamente il libro che teneva fra le mani e il suo cuore sprofondò un poco. Posò la spesa sul ripiano della cucina e si mosse in automatico per prendere il bollitore.

«Ferid, vuoi una tazza di qualcosa? Camomilla, o…»

Lui alzò gli occhi dal libro, spaesato, e quando lo trovò gli sorrise.

«Sei già a casa, Crowley caro? Non ti ho sentito entrare!»

«Guarda che ho fatto anche tardi, per fare la spesa.»

Sotto lo scroscio dell’acqua del rubinetto lo sentì commentare qualcosa sull’orario. Mise l’acqua a bollire e prese dalla busta tutto ciò che andava sistemato in frigorifero.

«È questo libro, sai… Punti di luce, s’intitola, è davvero avvincente! Dovresti leggerlo anche tu!»

Crowley si accorse che il bicchiere di Ferid e il flacone delle medicine erano come lui li aveva lasciati quella mattina: l’orario non era la sola cosa che aveva dimenticato di controllare preso dal suo libro.

Prese la pillola nel palmo e il bicchiere d’acqua e si avvicinò a lui sulla poltrona, mentre gli raccontava l’ambientazione del romanzo.

«Lo so già, Ferid… l’ho già letto, il libro. E anche tu.»

Il suo entusiasmo si spense. Guardò la copertina con occhi vacui, disorientato. Crowley soffrì quella vista come ogni altra volta.

«L’ho già letto… quando?»

«Ieri, tesoro» gli fece Crowley con dolcezza, mettendogli in mano la pillola. «Tutto d’un fiato, come fai sempre quando un libro ti piace.»

La mano di Ferid strinse la pillola. Abbandonò il tomo in grembo per prendere il bicchiere e senza un commento prese la sua medicina, ma le rughette tra le sue sopracciglia tradivano il suo tentativo di ricordare il giorno precedente. Un altro giorno perduto della sua vita.

«Ho… combinato qualcosa?»

Crowley riprese il bicchiere e gli accarezzò la testa, sorridendo.

«No, capriccioso come al solito… Eden ha preparato una merenda per tutti e ha imbrattato di cioccolata tutta la cucina, ma a parte questo è stato un giorno come tanti.»

«Di cosa abbiamo parlato? Di qualcosa di importante?»

Elencare tutti gli argomenti e fargli sapere che l’intera pianificazione della festa del raccolto era sprofondata nell’oblio avrebbe solo peggiorato il suo senso di colpa, quindi scosse la testa.

«Solo chiacchiere. E ti ho detto che ti amo, te lo dico tutti i giorni.»

Ferid si aggrappò al suo braccio mentre gli dava un bacio sulla fronte. Teneva gli occhi chiusi e le sopracciglia contratte, fattori che gli fecero pensare che cercasse di trattenere un pianto.

«Crowley?»

«Dimmi.»

«Che cosa ho bevuto ieri?»

«Tè nero all’albicocca, quello che ti ha regalato Krul per il tuo compleanno. Freddo, con il ghiaccio.»

«Fammi un bicchiere di quello, per favore.»

«Yes, my lord» replicò Crowley in tono allegro. «Che ne dici se metti via il libro e ti porto il tuo diario, così leggi tu stesso che è successo ieri?»

Ferid soppesò l’idea, e con sollievo Crowley vide la sua espressione rischiararsi mentre riprendeva in mano Punti di luce.

«Prima finisco il libro, così me lo godo due volte.»

Crowley si sentì meno oppresso davanti alla sua veloce ripresa, ma non riusciva a sentirsi del tutto tranquillo: nonostante Ferid fosse diligente nel tenere il suo diario quotidiano e facesse tutti gli esercizi consigliati dal medico i giorni di oblio si erano ripresentati, anche se saltuari.

Se nei mesi successivi all’annegamento Ferid dimenticava un giorno su tre – a causa dei danni riportati per la mancanza di ossigeno – dopo due anni si era stabilizzato al punto di saltare un giorno o due all’anno… ma Crowley poteva ormai contare il settimo giorno perso in quell’anno 2029, e l’aumento improvviso lo spaventava.

Preparò con cura il tè nella teiera preferita di Ferid, appartenente al servizio che era stato di Claude, e prese la birra per sé dal frigorifero. Guardandola gli tornava in mente Ferid, appena conosciuti, che lo supplicava di non bere per sopportare il dolore… e si angosciava, chiedendosi che cosa mai avrebbe potuto alleviargli il dolore se Ferid fosse peggiorato più rapidamente di quanto i medici avessero ipotizzato e si fosse perso, senza più trattenere alcuna memoria dei giorni che trascorreva.

«Crowley, dici che l’assassino potrebbe essere il vecchio sceriffo in pensione?»

Con l’accenno di un sorriso lo raggiunse con il tè e il bicchiere del ghiaccio già pronto e si accomodò – o per meglio dire, sprofondò – nella vecchia poltrona.

«Anche se avessi indovinato, non vale. Chi mi dice che non hai fatto finta di dimenticartelo per vantarti che hai risolto il caso prima della fine?»

«Oh, ma che pessima idea hai di tuo marito, sceriffo Eusford?»

«Dopo che mi ha costretto a sposarlo tre volte? La peggiore possibile.»

«Volevi tu che ci fossero gli O’Brian e anche tutti i tuoi amici di New Oakheart, che cosa dovevamo fare? Non potevamo mica portarli via da casa e lavoro per due giorni!»

«E cosa anche peggiore, ci siamo sposati con le streghe al loro sabba.»

«Guarda che la mia memoria funziona molto bene al riguardo» rimbeccò Ferid. «Sei stato tu a proporlo, e l’hai organizzato tu con la tua amichetta.»

«Da quando Krul è l’amichetta mia?»

«Beh, io ci ho fatto sesso ma non l’ho mai aiutata a fare quelle sue cose da wiccan.»

«Forse dovresti, visto che le sole donne che frequenti sono streghe… e comunque, quello al Beltane è stato il nostro matrimonio migliore. Ammettilo.»

Ferid gli lanciò un’occhiata truce da sopra il libro, che lui fece finta di non vedere mentre ripescava il telecomando tra il cuscino e il bracciolo. Non comprese tutto del suo borbottare, ma udì distintamente “me l’ha traviato”.

Avrebbe potuto ribattere riguardo il fagotto nascosto sotto la cantina, la croce di Brigid di paglia appesa in veranda e la vetrinetta dove tenevano le erbe secche, gli incensi e una piramide di cristallo grande quanto una mano, ma preferì accendere la tv e lasciare che Ferid tornasse al suo romanzo per la seconda volta, per scoprire che lo sceriffo veniva ucciso dall’assassino al penultimo capitolo.

 

***

 

Mika marciò fino al recinto dei cavalli e si appollaiò lì sopra, con le braccia e le gambe annodate come una cima sul ponte di un veliero. Apparentemente ignaro il cavaliere abusivo continuò a spingere il cavallo roano grigio al trotto, finché i loro sguardi non si incrociarono dopo la curva dello steccato. Mika non distolse lo sguardo né si mosse anche se il destriero venne rallentato all’ultimo momento e si impennò a un metro da lui.

«Hai ancora sangue freddo, Mika» osservò Yuu, divertito.

«Non montare il mio cavallo. Non voglio che prenda abitudini pericolose da altri fantini.»

«Oh, non ci crederai, ma avrei detto lo stesso a Jonathan!»

Il suo sibilo invelenito fu coperto da uno sbuffo del cavallo e dal rumore di Yuu che smontava – non senza qualche difficoltà – dalla sella. Mika balzò giù e prese le redini di Kismet, accarezzandogli il muso.

«Quanto hai intenzione di restare qui ancora?»

«Oh, finché non avrò quello che sto cercando, Mika. In fondo alla puzza ci si abitua, ma almeno l’aria qui non è quella che respiro in città. La puzza di cavallo non è tossica.»

«Non voglio che resti a ronzare qua intorno alla mia famiglia. Non con quell’atteggiamento sgradevole che hai.»

Yuu non si toglieva quel sorriso canzonatorio dalla faccia.

«Tu che parli così a un cliente pagante, non è un atteggiamento sgradevole? Ho pagato un mese in anticipo, dovresti trattarmi coi guanti bianchi.»

«A questo proposito, le lezioni e le cavalcate si pagano a parte» fece Mika, asciutto.

«Pensa, fino a ieri i tuoi accoliti mi dicevano che il tuo cavallo non si poteva usare neanche a pagarlo. Se resto qui un mese forse sarai in vendita persino tu.»

«Non dire ‘ste cose schifose, Yuu. A sentirti parlare mi si sbriciola tutto il bello che ricordo di te.»

Lo sentì ridere dietro alle sue spalle e sospirare qualche parola, fra sé e sé, in una lingua che non capiva. Mika si voltò a guardarlo, corrucciato, chiedendosi dove Yuu avesse imparato quella che a lui sembrava essere la lingua tedesca e come mai – finalmente aveva capito – ne aveva preso un accento così persistente.

Yuu piantò quegli occhi verdi nei suoi tanto che non riuscì più a distogliere lo sguardo. Qualcosa nell’animo di quel ragazzo era cambiato e adesso Mika vi percepiva un’oscurità che gli faceva paura.

«Dammi l’Acqua di Cristo, Mika, e potrai dimenticarti di me e delle mie maniere e tornare alla tua allegra fattoria… almeno finché dura. Dammela ora e me ne sarò andato prima di pranzo. Il mio mese in anticipo lo potete tenere come regalo di nozze.»

Un colpetto di muso di Kismet ruppe quella specie di incantesimo che gli impediva di vedere Yuu come un essere umano suo pari e non come il Diavolo dei Cherokee capace di ipnotizzare. Riconoscente al suo destriero diletto l’accarezzò.

«Ti ho già detto che non esiste. Chi ti ha messo in testa quest’idea?»

«Secondo te, chi?»

Yuu estrasse dalla tasca della giacca di pelle un contenitore metallico e pensò volesse mostrargli qualcosa, ma poi si accorse che era un portasigarette. Ne sfilò una, ma non l’accese.

«Emil Mackham ti ricorda qualcosa? Ha raccontato un bel po’ di storie bonus, anche su suo fratello, per uscire con la condizionale. S’è innamorato della donna che stava con Ferid, ci credi?»

Emise una risata vuota e accese la sigaretta.

«Le storie degli esseri umani si intrecciano in modi assurdi… con l’amore che arriva come una pioggia estiva e se ne va. E tutti orientano le vele per prendere questo vento pur sapendo che dura un istante… è così stupido.»

Sentì vibrante il disprezzo e l’amarezza nella voce dall’accento tedesco, ma nonostante lo ferisse ogni frase di quell’uomo che non riconosceva si sentì sollevato.

«Padre Vann ti ha parlato dell’Acqua di Cristo?»

«Non ricordo come lo chiamavano.»

«Emil Mackham. Lui te l’ha detto?»

«Non te l’ho mica detto in tedesco, no?» si spazientì lui. «È quello che t’ho detto un secondo fa.»

Mika sospirò senza suono, sentendosi le spalle più rilassate. Ponderò la situazione più freddamente, con le sue paure a debita distanza, e prese una decisione.

«Bene. Dimmi che cosa intendi farne e io forse ti dirò dov’è.»

Un sinistro brillio illuminò lo sguardo di Yuu, che si raddrizzò come elettrificato dal recinto.

«Quindi ce l’hai tu!»

«Che cosa intendi farne?»

La spiegazione non fu esaustiva come Mika sperava, ma mentre riaccompagnava l’animale nella stalla Yuu gli delineò una misteriosa missione in Europa – a giustificazione del suo accento – e di un’organizzazione che commerciava in reliquie esoteriche e religiose per membri di sette e culti di ogni foggia. Una sfumatura di voce più che una scelta specifica di parole suscitò in Mika un sospetto atroce.

«Yuu… Yuu, sono le persone a cui tuo padre ha provato a venderti quando eri bambino?»

Il suo volto era di gesso come un manichino e annuì rigidamente. Più che tenere i suoi sentimenti dentro sembrava cercare di tenere la compassione di Mikaela fuori, perché non lo sfiorasse. Conscio di questo suo desiderio evitò di esprimerne.

«Alla fine li hai trovati… Vuoi portargli l’Acqua di Cristo per incastrarli?»

«Mi permetterà di sapere chi autentica i pezzi per loro. Sono in rapporti di conoscenza con uno dei loro mediatori, un americano che vive da tempo a Berlino. Mi farà entrare nel loro giro se gliela porto e avrò accesso a più informazioni sui membri, su dove si incontrano, come pagano.»

Mika accarezzò il crine di Kismet mentre era abbassato a bere.

«E dopo? Dopo aver… esorcizzato il tuo passato… resterai un agente dell’FBI?»

«Non verrò a spalare il letame dei tuoi cavalli, se era quello che pensavi.»

Scosse la testa.

Non lo sa ancora, neanche lui lo sa. Come me. Non sapevo che una volta scomparso il mostro avrei perso la molla che mi spingeva a essere un agente di polizia, un esperto di psicologia… ho trovato un altro mondo e un altro scopo. Forse accadrà anche a lui, ma non lo sa, adesso. Il traguardo è troppo distante.

Si sentì gli occhi addosso mentre usciva dalla stalla.

«Vieni. Ti mostrerò l’Acqua di Cristo… dopo colazione.»

 

***

 

Yuu rimase intrattabile, suo malgrado, per tutta la durata della colazione. Gli riusciva ancora intollerabile vedere come quelle persone si comportavano con Mika – o, come lo chiamavano loro, Mama Mikey – e come lui reagisse; con quell’allegria, con quel sorriso, con una confidenza che il vecchio Mika non avrebbe tollerato per un minuto. Aveva l’impressione di guardare una voliera di gioiosi pappagallini.

Alla fine, uno per uno, tutti i mezzadri, Lucky e Steven partirono per sparpagliarsi in città o nella tenuta per i loro lavori, ma non prima di baciare Mika sul viso alla consegna delle loro scatole del pranzo al sacco.

Appoggiato al davanzale Yuu fumava la sua terza sigaretta, torturato da quella situazione come se gli conficcassero aghi incandescenti sotto le unghie. A peggiorare il suo umore, l’innegabile certezza che era geloso di Mikaela come il giorno della sua partenza.

«Yuu? Vieni. Ti mostro l’Acqua.»

Preso di sorpresa si raddrizzò in fretta e spense la sigaretta contro l’interno del suo portasigarette e conservandone la metà ancora da buona. Lo seguì dentro la dispensa, curioso di vedere dove si fosse ingegnato di nascondere qualcosa di così prezioso.

Anziché spostare mobili o barattoli, Mika sollevò il tappetino che copriva il pavimento e prese a pugni le assi finché non trovò il punto giusto: un pannello si alzò abbastanza da poter scoperchiare la botola. Yuu si avvicinò sbirciando dentro, ma vide solo un fagotto impolverato e una piccola scatola. Mika tirò fuori quest’ultima.

«Che c’è nello straccio?»

«Un amuleto. Me l’ha dato Ferid, protegge la casa dal male.»

Dalla scatola emerse un polveroso velluto blu e una boccetta di vetro sigillata con la ceralacca, molto più piccola di quanto Yuu si fosse immaginato: il suo flacone di acqua di colonia da viaggio era più grande di quella.

«Tutto qui?»

«Cosa ti aspettavi? Scie di luci, cori d’angeli e i fulmini come l’Arca dell’Alleanza?»

Yuu prese la bottiglia e la studiò. Non poteva negare di essere deluso dall’ordinarietà di quella reliquia, tanto che si chiese come convincere il suo contatto che non fosse della banale acqua dentro un’ampolla.

«E cosa fa?»

«Ah, cosa faccia non lo so. Se mi chiedi se abbia qualche potere non so cosa rispondere… ma l’ho vista, prima di sigillarla. Questa non è banale acqua.»

«In che senso?»

«Non so che cosa sia… ma galleggia sopra l’acqua del rubinetto come olio, eppure non si mescola neanche con l’olio. Galleggia sopra l’olio.»

Non conosceva abbastanza chimica da svelare il mistero su due piedi, ma se era vero quello che Mika raccontava aveva una chance di provare l’autenticità del suo prodotto. Questo significava avere un accesso garantito alla cerchia dei Figli di Prometeo.

Mika riprese la bottiglia per riporla nella scatola, dopo averne spolverato il velluto.

«Perché la chiamate Acqua di Cristo? Perché cammina sull’altra acqua?»

«Bella immagine… ma no. Si dice che sia l’acqua che è scorsa sulla testa di Cristo quando è stato battezzato nel fiume Giordano. Però non so chi possa averla raccolta, i pochi documenti che trattano dell’Acqua non lo specificano.»

Yuu allungò le mani per prendere in consegna la scatola, ma Mika la tenne sotto il braccio.

«Mi dispiace, ma non posso consegnartela così. La reliquia appartiene alla chiesa di Bluefields.»

«Ma la chiesa non c’è più.»

«Certo che c’è. L’organizzazione della Chiesa dell’Acqua è crollata con gli arresti dei federali, ma Bluefields è stata riscattata quando è stata venduta all’asta ed è un monastero della nuova Chiesa dell’Acqua. Anche se la custodisco qui l’Acqua appartiene alla comunità.»

Yuu iniziava a sentir montare la rabbia, ma fece del suo meglio per controllarla.

«Hai detto che me l’avresti data.»

«Ho detto che te l’avrei mostrata. Devo chiamare Nicodemo e parlargliene. Se mi darà il suo benestare potrai averla.»

«Chiamalo adesso, allora.»

«Ha una celebrazione a Fort Royal. So che rientrerà in giornata e lo chiamerò quando sarà tornato. Perché, nel frattempo, non vieni con me a controllare le arnie?»

«Le… cosa?»

«Le arnie. Le mie api da miele. Di solito fanno tutto da sole, ma devo controllare che non si siano allargate troppo con i telai.»

La sola idea più folle di Mika che allevava api da miele era che Mika gli chiedesse di andare a vederle insieme come se non fosse accaduto niente tra loro.

Lanciò uno sguardo alla distesa di campi, immobili nel sole. Se Mika usciva a controllare le api aveva due opzioni: annoiarsi a morte aspettando il momento della chiamata o prendere la scatola e saltare in macchina per fare ritorno a casa.

Devo essere impazzito con questo caldo.

Sospirò e senza entusiasmo seguì Mika fuori, lungo un sentiero che conduceva a lontane casette colorate.

 

***

 

Il cagnolino scorrazzava nell’erba, troppo eccitato dagli odori sconosciuti per pensare a fare della pipì la sua priorità. Crowley si sedette sul ceppo della legnaia in attesa che si calmasse.

La serata era fragrante, calda ma non insopportabile, con un vento frizzante e in cielo non c’era una nuvola: era dall’inizio dell’estate che non avevano una nottata così piacevole. I dintorni della casa in fondo a Brewer road, nei sobborghi tranquilli di Eanverness, offrivano come musica i grilli e come spettacolo le lucciole che si muovevano nell’erba alta.

Quella sera sopra ai grilli Crowley sentiva qualche cosa in più che veniva dal primo piano, dove un paio di finestrelle erano illuminate: della musica hip-hop attraversava il cortile fino alla legnaia e due piccole sagome si agitavano davanti al vetro.

Lo sta facendo di nuovo, quel bugiardo… aveva promesso di non farli più saltare sul letto.

Crowley sospirò. Cercando il cane con gli occhi non lo trovò e si alzò di scatto per scovarlo, e riuscì a vedere quella sua piccola codina bianca agitarsi a più non posso mentre annusava sotto dei cespugli, dieci metri più in là dello steccato.

«Plum, non scappare!»

Ma il piccoletto era tutto preso, forse aveva visto un rospo o qualche animaletto sparire tra le foglie. Non fuggiva e Crowley rallentò il passo. Per sicurezza riagganciò il guinzaglio al collare e poi indugiò sulle finestre, distinguendo nitida la sagoma di Ferid che teneva in braccio Emma.

Non sono sicuro che sia una buona idea agitarli prima di mandarli a letto… però, è anche vero che non si svegliano mai di notte. Hanno preso da Ferid.

In pochi attimi le luci giallastre vennero opacizzate dalle tende e poi lasciarono il posto a un bagliore azzurrino tenue: le luci da notte dei bambini. Ancora un poco e si accese la luce nella stanza accanto, dove Ferid si sedeva ogni sera a scrivere la sua giornata prima di andare a dormire. Tante volte si era chiesto se il giorno seguente aggiornasse il suo diario quando facevano l’amore, una o due ore dopo la scrittura del suo resoconto. Per delicatezza non gliel’aveva mai domandato.

Non lo facevano da un po’ di tempo e decise che al rientro avrebbe buttato lì quella domanda per vedere se ne usciva un dibattito abbastanza stuzzicante. Era soddisfatto della vita di famiglia, gli piaceva fare il padre e anche essere lo sceriffo di una piccola città, ma non voleva che lui e suo marito smettessero di essere amanti prima della vecchiaia.

 

***
 

Con la valigia già in macchina e le chiavi nel cruscotto, Yuu sedeva sul cofano a fumare. O piuttosto, a fissare occhi vacui sulla brace luminosa nel buio, preso tra un profondo senso di vuoto e la smania di voltare le spalle a quella casa detestabile: andarsene avrebbe chiuso del tutto il libro della sua storia con Mikaela, perché non avrebbe più avuto ragioni di sentirlo e lui non intendeva tornare sui suoi passi.

Come la metteva la metteva, era una storia finita, e stare lì a fissarne le ultime righe come se potesse apparire magicamente un altro finale era da illusi. Solo qualche giorno prima quasi sperava di arrivare lì e scoprire che Mika era infelice e tormentato, e portarselo via come nelle migliori favole. Ora che era certo di aver preso un doloroso abbaglio non vedeva l’ora di mettersi in viaggio, tornare alla sua missione e dimenticarsi di averlo conosciuto.

«Lächerlich» borbottò, sdraiandosi sul cofano.

Ridicolo era la parola giusta, secondo lui. Lui stesso era ridicolo, disgustato da Mika un momento e geloso di lui quello subito dopo, incapace di decidere se volesse lottare per riaverlo o lottare per dimenticarlo, e restava lì, in un limbo che non faceva che impedirgli di andare avanti e di tornare indietro.

Come un cavallo nelle sabbie mobili.

Sbuffò a quel paragone assurdo e dal recinto dei cavalli, poco distante da lì, gli arrivò in risposta un verso molto simile. Strizzò gli occhi, ma nel buio non riusciva a distinguere il manto delle bestie che ciondolavano muovendo pigramente le code.

«Non stai dormendo, vero, Yuu?»

Yuu si voltò dall’altro lato. Mika teneva in mano il cellulare con la torcia accesa che illuminava il suo sorriso, la valigia che portava con sé e – ci mise un attimo di troppo a notarlo – abiti blu decisamente non adatti al lavoro in campagna.

«Was zum Teufel ist das?»

«Non ho la più pallida idea di che cosa tu mi abbia detto» l’informò Mika, placido.

Spalancò lo sportello e mise dentro la sua valigia prima che Yuu riuscisse, in modo straordinariamente goffo, a scendere dal cofano.

«Che diavolo è?» ripeté in inglese.

«Una valigia, non si vede? Ho avuto l’approvazione di Nicodemo, quindi ti cederemo temporaneamente l’Acqua di Cristo, ma ha insistito che non venisse mai persa di vista, se possibile.»

Yuu emise solo una sorta di gorgoglio, preso di sorpresa da quelle circostanze.

«Uno dei Padri della chiesa ti accompagnerà per controllare che l’Acqua rimanga intatta e non venga esposta a più rischi del necessario. Non ti preoccupare, cercherò di non starti tra i piedi. Guarderò da lontano.»

Mika era già sistemato sul sedile del passeggero. Yuu affondò la mano attraverso il finestrino aperto e bloccò la cintura di sicurezza.

«Perché tu?»

«Perché gli altri Padri sono impegnati a tempo pieno. Bluefields è in fermento in questo periodo dell’anno, e c’è molto da fare.»

Yuu serrò la presa, con una sensazione di freddo gelido alla bocca dello stomaco.

«Mikaela… intendi… tu…?»

«Io non ho mai lasciato la comunità di Bluefields come ha fatto Ferid. E completati i miei studi sono diventato Padre. Non vivo lì, ma faccio ancora parte della Chiesa dell’Acqua, e se non lo avessi notato per colpa del tuo atteggiamento, lo sono anche tutti i ragazzi della Lucky farm.»

Confuso, allentò abbastanza la stretta da permettere a Mika di liberare la cintura e allacciarsela.

«Mikael. Se non lo ricordi, mi hanno ribattezzato Ezekiel durante la mia missione, ma con la nomina a Padre si cambia di nuovo nome… beh, è così che si faceva prima. Ora non è più un obbligo cambiare durante il Battesimo.»

«Unsinn» gli sfuggì di bocca senza pensare. «È… assurdo, sei un prete che sta con un uomo e lo tradisce con altri uomini.»

«Giudicami quando avrai fatto la mia stessa strada con le mie scarpe.»

«Dal Vangelo di chi?» fece Yuu, salendo al volante.

«Dei Sioux. Non so quale versetto.»

Si allacciò la cintura immaginando di bloccare con essa anche la sua lingua. Stava per tornare a casa, ma in quel momento la presenza di Mika era irritante come uno spray per ambienti dall’odore pungente. Non sapeva che cosa avrebbe dato per poterlo piantare in mezzo a una strada di montagna, e con lui il suo ricordo.

   
 
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