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Autore: AndyWin24    12/08/2023    4 recensioni
Dopo il sortilegio lanciato da Grimm, “lo spirito del libro”, Camelot e i suoi abitanti si ritrovano trasformati nei personaggi e nei luoghi narrati nelle fiabe. Mentre Merlino, la loro unica speranza di salvezza, è impegnato a sciogliere l’incantesimo, lo spirito decide di scegliere anche un’altra vittima per saziare la sua voglia di divertimento: la strega Morgana.
(Spin-off della storia “C’era una volta Camelot”)
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Morgana
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più stagioni
Capitoli:
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… Morgalice nel regno delle meraviglie
 
   Morgana si risvegliò di colpo con un tonfo al cuore. Impiegò un attimo per ricordare quello che era successo. Poi, però, le tornò tutto alla mente. Quell’abominevole essere dalla pelle verdognola l’aveva derisa e umiliata fino all’inverosimile, prima di spedirla chissà dove. Sicuramente era stato Emrys a scagliarglielo contro. Forse aveva troppa paura per affrontarla di persona e aveva mandato uno dei suoi accoliti a fare il lavoro sporco.
   “Sì! Probabilmente è andata così!” pensò sempre più convinta.
   Una grande rabbia le stava montando dentro, tanto da farle battere un pungo a terra. Fu in quel momento che si accorse del brusio che nel frattempo si stava levando intorno a lei. Così alzò la testa.
   “Ma…?”
   Si trovava nel cuore di Camelot, proprio di fronte all’uscita del castello. Aveva attraversato molte volte quella via in passato, quindi non poteva di certo sbagliarsi. Di fianco a lei alcuni passanti la additavano con una mano alla bocca; altri la fissavano semplicemente con gli occhi sbarrati dal terrore. Morgana non capiva perché fosse lì o cosa stesse succedendo, ma si sbrigò a rialzarsi non appena vide alcune guardie armate venirle incontro.
   “Eccola! L’abbiamo trovata!” urlò una a squarciagola, subito prima di sguainare la spada.
   Lei, con un ghigno quasi divertito, mosse una mano verso l’uomo.
   “Forbearne!
   Da quel gesto, tuttavia, non scaturì nulla.
   “Cosa?!” sussultò stupita. “Forbearne!
   Ancora niente. A quel punto, il panico prese il sopravvento su di lei ed istintivamente si guardò la mano con cui aveva provato a lanciare l’incantesimo. Perché non poteva usare la sua magia? Non sapeva proprio come spiegarselo. Doveva trovare in fretta una risposta, però, perché le guardie ormai erano a pochi passi di distanza.
   “Morgana!” esclamò una voce familiare.
   “Morgause?” chiese la donna incredula, voltandosi da una parte all’altra, senza però riuscire a vederla. “Dove sei?”
   “Sono qui! Guarda in basso!”
   “In basso?” ripeté la strega. “Ma dov…?”
   Spostando lo sguardo, notò di fianco ad un albero lì vicino un piccolo coniglio bianco intento a fissarla. Con la zampa l’animale le fece un cenno.
   “Vieni con me! Presto! Altrimenti verrai catturata di nuovo.”
   Così dicendo, il bianconiglio iniziò a correre nella direzione opposta rispetto a quella delle guardie. Morgana, non sapendo cos’altro fare, lo seguì.
   “Fermatela! Sta scappando!”
   A quel richiamo, altri inseguitori si aggiunsero alla rincorsa, ma, nonostante ciò, sia la strega che il coniglio riuscirono a fuggire indisturbati. Morgana aveva vissuto molti anni in quei luoghi e, di conseguenza, li conosceva come il palmo della sua mano. Non le fu difficile mettersi in salvo, lontano da sguardi indiscreti.
   “Sembra che li abbiamo seminati.” constatò con un po’ di affanno il coniglio con la voce di Morgause.
   “Già.” convenne Morgana. “Ma adesso puoi spiegarmi che sta succedendo?”
   “Non ricordi niente?”
   “No.”
   “Dopo la battaglia, sei stata catturata dai cavalieri di Camelot. Sono giorni che cerco in tutti i modi di farti fuggire. Grazie all’aiuto di Agravaine, sono riuscita a farti uscire dalla cella nella quale eri rinchiusa, ma non possiamo ancora abbassare la guardia.”
   Per Morgana quelle parole sembravano assurde e prive di logica. Tuttavia, si ricordò della conversazione avuta con quella specie di spirito arrogante ed insolente. Lui le aveva accennato qualcosa riguardo ad una storia a cui lei avrebbe dovuto trovare il lieto fine. Una fiaba, se non ricordava male. In quel momento si maledisse per non aver prestato maggiore attenzione. Ma ormai era fatta. Del resto, non poteva spiegarsi in altro modo quello che stava succedendo. Specialmente, il fatto che sua sorella Morgause fosse viva e vegeta. Di per sé quella era già una prova più che sufficiente che stava accadendo qualcosa di magico e pericoloso. Ma cosa? Non lo sapeva. Ma, forse, non serviva saperlo. L’importante era capire come poter uscire da quello strano posto e far tornare tutto come prima. Per riuscirci, convenne che fosse meglio stare al gioco.
   “Perché mi cercano?”
   Il coniglio sussultò.
   “Non ricordi neanche questo?” chiese con gran stupore. “Devono averti torturato oltremodo per ridurti in questo stato, sorella.”
   “Deve essere andata così.” confermò Morgana accondiscendente. “Perché non ho memoria degli ultimi avvenimenti. Puoi aiutarmi? Cosa è successo?”
   “Hai ucciso il re.”
   Stavolta fu la strega a sussultare.
   “Come?! Ho ucciso Artù?!”
   “Sì, ma dopo sei stata catturata dai suoi cavalieri. Da quel che so, Emrys ti ha sconfitta e ti ha messo quel collare che ti opprime la gola e che ti impedisce di usare la magia, così da renderti inerme di fronte a loro.”
   Morgana si portò una mano sotto al mento e sentì una specie di cappio freddo e metallico stringere attorno al suo collo. Fino a quel momento non si era nemmeno accorta di indossarlo.
   “Come faccio a toglierlo?”
   “Da sola non puoi. Ecco perché devi assolutamente andare via da qui e raggiungermi al confine a sud del regno. Lì ci rincontreremo, così da potertelo togliere io stessa.”
   “Ma tu non sei già qui, davanti a me?” domandò Morgana perplessa, indicando il coniglio che la stava fissando.
   “Non essere sciocca. Questo è solo un tramite di cui mi sto servendo per poterti parlare. Ma la magia che sto usando sta per esaurirsi, quindi non abbiamo più molto tempo. Ecco perché devi fare molta attenzione a quello che ti dirò.” “Ti fornirò le istruzioni necessarie per scappare da Camelot, eludendo le guardie e i cavalieri della regina.”
   “La regina? Quindi, Ginevra è salita sul trono?”
   “Sì.” confermò Morgause, annuendo con la testolina pelosa. “Lei è in collera con te e non aspetta altro che poterti giustiziare per quello che hai fatto a suo marito. Proprio per questo, dovrai fare esattamente come ti dico, altrimenti non avrai alcuna possibilità di scampo. Specialmente, senza i tuoi poteri a proteggerti. Sei pronta ad ascoltare?”
   Morgana pensò per un attimo a quanto fosse frustrante tutta quella situazione. Stare senza magia era per lei una vera tortura e sembrava dover “ringraziare” Emrys per questo. Ma, realtà o fiaba che fosse, non si sarebbe mai arresa di fronte a quelle avversità. In quella storia era addirittura riuscita nell’impresa di uccidere suo fratello Artù. Se aveva avuto successo in questo, significava che non c’era niente che l’avrebbe potuta ostacolare.
   Quindi, annuì decisa.
   “Sì, sorella. Dimmi quello che devo fare.”
 
***
 
   Lasciatasi alle spalle la cittadella di Camelot, Morgana si avviò verso la sua nuova meta. Vagò per giorni in costante allerta, mangiando quel poco che riusciva a trovare nei boschi e dormendo a malapena. Con molta fortuna ebbe l’occasione di rubare anche alcuni abiti, che le permisero di passare inosservata nelle rare volte in cui fu costretta ad incrociare il cammino con qualche altro viandante. Viaggiò senza sosta finché non giunse a Sceawere, un piccolo villaggio situato a sud del regno e noto principalmente per le sue attività mercantili.
   “Avvicinatevi, signora, e ammirate le più pregiati stoffe che Camelot abbia mai visto!” esclamò un commerciante, in direzione della strega. Lei lo ignorò e tirò avanti. Avrebbe voluto fargliele ingoiare quelle stoffe, ma non poteva perdere tempo. Così, continuò a camminare, attraversando diverse vie, fino a quando non si ritrovò davanti ad una locanda. Il suo sguardo si posò subito sull’insegna affissa sopra il portone che recitava “Il Brucaliffo”. Poi entrò.
   All’interno c’era un gran via vai di persone. Morgana si avvicinò con decisione al bancone e si rivolse con vigore all’uomo che si trovava dall’altra parte.
   “Ehi, tu! Lavori in questo posto?” chiese con un tono piuttosto duro, nonostante la stanchezza.
   “Sto pulendo piatti e bicchieri. O lavoro qui oppure sono un idiota!” rispose l’uomo seccato.
   “Magari entrambe le cose!” pensò Morgana, senza però dirlo ad alta voce. Non voleva metterselo contro. Il piano prevedeva tutt’altro.
   “Ho bisogno di parlare con qualcuno. Credo che tu possa aiutarmi.”
   “Ah, sì?! E perché mai dovrei farlo?!”
   La donna si avvicinò al bordo del bancone e si sporse verso il suo interlocutore.
   “Perché “io sono Alice”.” disse lei in un sussurro.
   Il taverniere sbarrò gli occhi a quelle parole e posò il piatto che aveva in mano. Poi, le indicò la via che andava verso la cucina e si avviò con lei in quella direzione. La frase che Morgana aveva pronunciato era una specie di parola d’ordine che Morgause le aveva detto di riferire una volta entrata nella locanda. A seguire, avrebbe ricevuto maggiori istruzioni su come procedere.
   “Per di qua.” spiegò l’uomo, sfilando dalla tasca una chiave ed aprendo una porta che presumibilmente dava verso lo scantinato. Morgana la oltrepassò e scese da sola la scalinata. Arrivata in fondo, si ritrovò in un luogo piuttosto soffuso e con una sorta di nebbia che aleggiava nell’aria. Respirandola, si accorse che in realtà la nebbia non era altro che fumo.
   “Coff, coff, coff!” tossì, mettendosi una mano davanti alla bocca.
   “Vieni più vicino.” disse d’improvviso una voce poco distante.
   Morgana si girò da una parte all’altra finché non vide comparire nella nube una sagoma. Senza esitare le andò incontro.
   “Benvenuta, Morgana. Oppure, dovrei dire “Morgalice”.”
   Avvicinatasi, la strega riuscì finalmente a distinguere la persona che si celava dietro al fumo.
   “Alvarr!”
   “Ben arrivata. Morgause mi aveva informato della tua visita. Mi fa piacere che tu ce l’abbia fatta.” disse l’uomo, camminando su e giù con in mano una specie di flauto, da cui boccheggiava a ritmo costante.
   “Non è stato facile, ma niente può fermarmi.” rispose lei sicura.
   Alvarr era uno stregone che aveva conosciuto anni addietro. Lo aveva aiutato ad evadere dalla prigionia di Uther, salvandogli la vita. Questo, almeno, nella realtà da cui proveniva e da cui voleva tornare con tutte le sue forze. In quello strano posto non sapeva se le cose fossero andate diversamente.
   “Siediti, così potremo parlare con più calma.” disse lui, andandosi a sdraiare su un lettino posto al centro della stanza, altrimenti spoglia di qualsivoglia arredamento, fatta eccezione per un piccolo armadietto di legno. Nonostante quello che aveva detto, lì intorno non vi era alcuna sedia dove potersi accomodare.
   “Non c’è n’è bisogno. Se sono qui è perché devo parlarti. Morgause mi ha detto che puoi aiutarmi a raggiungere il confine di Camelot.”
   “Vero.” ribatté l’uomo, aspirando una grossa boccata dal flauto. “Ma, sfortunatamente, temo che i miei… “mezzi” non saranno sufficienti da soli a portarti a destinazione sana e salva.”
   Morgana sbuffò contrariata.
   “Allora cosa ci faccio qui?! Perché hai promesso a mia sorella che mi avresti aiutato se, come vedo, non sei in grado neanche di staccarti da quel bastoncino?!”
   “Calmati e stammi a sentire.” replicò Alvarr con molta tranquillità. “Tanto per cominciare, ho promesso a Morgause che ti avrei aiutato ad arrivare al confine, ma non ho mai detto che sarei stato io a condurti lì.”
   “Che vuoi dire? Spiegati!”
   “Certo, solo un attimo di pazienza. Dovrebbe essere qui a momenti.”
   “Di chi stai parlando?” chiese Morgana accigliata.
   D’un tratto, dalla scalinata collegata al piano superiore fece la sua comparsa un esile gatto dal pelo grigio.
   “Oh, bene!” esclamò Alvarr. “Finalmente sei arrivato, “Stregatto”!”
   Il felino miagolò infastidito e si avvicinò al lettino. Lì per terra, a pochi centimetri di distanza, c’era una piccola ciotola, piena di liquido viola. Il gatto la annusò per un attimo e poi la leccò avidamente. Un istante più tardi, scomparve nel nulla, lasciando il posto ad un ragazzo dai capelli ricci e castani.
   “Quante volte ti ho detto di non chiamarmi “Stregatto”?!”
   “Perché?” domandò Alvarr stupito. “Non ti piace? In fondo sei uno “stregone” che si è trasformato in un “gatto”. Il soprannome mi sembra quanto mai azzeccato!”
   Morgana, intanto, fissò più da vicino il ragazzo appena comparso.
   “Mordred? Sei tu?”
   “Ciao, Morgana.” ribatté lui sorridente. “Quanto tempo!”
   Il giovane druido sembrava non vedere la strega da un po’, a giudicare dalla gioia che manifestava, ma per lei invece la situazione era ben diversa. Non era passato molto dall’ultima volta che aveva avuto a che fare con lui. E, in quell’occasione, i due non si erano lasciati proprio in buoni rapporti. Nonostante questo, Morgana non riuscì a provare rabbia nei suoi confronti. Gli era troppo affezionata.
   “Bene.” disse Alvarr all’improvviso, interrompendo i pensieri della donna. “Adesso arriva la parte più divertente.”
   Così dicendo, prese dalla tasca due fiale e le lanciò in aria: una, col liquido verde, verso Mordred e l’altra, col liquido rosso, a Morgana.
   “Cosa sono?”
   “Delle pozioni.”
   “Ovviamente! Ma a cosa ci servono?”
   “Sono simili a quella che il nostro giovane “felino” usa per trasformarsi in un gatto.” spiegò Alvarr inalando un po’ di fumo dal flauto. “Direttamente importate dal nostro buon amico Tauren. Una rarità in questi tempi così bui per la magia.”
   Morgana si rigirò tra le mani la boccetta con l’intruglio rosso, dubbiosa.
   “Non capisco ancora cosa debba farmene.”
   “Oh, sarà qualcosa di straordinario, niente c…”
   “Smettila di parlare a vanvera!” urlò lei adirata, interrompendolo. “Spiegami una buona volta qual è il piano!”
   Alvarr sorrise.
   “Accidenti, Morgana! Il tuo umore è peggiorato molto con gli anni!”
   “Non sai quanto.”
   “D’accordo. Le pozioni che vi ho dato servono per mutare il vostro aspetto. In questo modo potrete passare indisturbati almeno fino a Fort Stowell.”
   “Perché fin lì? Non è di strada.”
   “Perché per giungere al confine avrai bisogno di un genere di aiuto che io non posso darti. Secondo il piano di Morgause, il mio compito è di fartici arrivare senza neanche un graffio. Quello che accadrà dopo, non sarà più un mio problema.”
   Morgana si avvicinò all’uomo ed indicò il collare che indossava.
   “Tu sei in grado di togliermelo?”
   “No, mi dispiace. Che io sappia, solo Morgause sa come fare.” rispose Alvarr, facendo un gesto della mano verso la porta. “Ora, vi pregherei di lasciarmi solo. La mia parte l’ho fatta. Adesso, spetta a voi.”
   A quel punto, chiuse gli occhi.
   “Ma?! Non mi hai ancora detto cosa fanno queste pozioni!” protestò Morgana contrariata. Con un autocontrollo che non credeva di avere, non più ormai, bloccò giusto in tempo il braccio destro prima che questo si alzasse in aria e tentasse di lanciare un incantesimo. Un riflesso incondizionato che l’avrebbe resa ridicola, data la sua impossibilità ad usare la magia.
   “Ti spiegherò io per strada cosa dobbiamo fare, non preoccuparti.” tentò di tranquillizzarla Mordred.
   Lei fissò prima lui, poi Alvarr. Alla fine, annuì mesta.
   “Andiamo, allora, prima che questo fumo ci annebbi anche il cervello!” esclamò con rabbia, avviandosi verso la porta insieme al ragazzo.
   Subito dopo che i due furono usciti, Alvarr riaprì le palpebre e fissò la scalinata.
   “Vai, Morgalice. Scappa da questo regno delle meraviglie.”
 
***
 
   “Inconcepibile!”
   Morgana sbottò per l’ennesima volta mentre zoppicava appoggiandosi ad un bastone. Al suo fianco un piccolo bambino saltellava allegramente.
   “Smettila di lamentarti, Morgana!” replicò il giovane. “Ormai siamo quasi arrivati!”
   “La fai facile, tu! A te non è capitata la pozione dell’invecchiamento!”
   Appena lasciata la locanda, Morgana e Mordred si erano subito incamminati verso Fort Stowell. Come promesso, nel tragitto il druido aveva spiegato alla strega il funzionamento degli intrugli che Alvarr aveva dato loro.
   “È vero. Anche se mi fa un po’ strano essere tornato bambino. In parte, mi ricorda la prima volta che ci siamo incontrati.”
   “Può darsi.” tagliò corto Morgana. “Per ora so solo che non riesco a mettere due passi in fila senza rischiare di cadere giù come un tronco! Inoltre, ci abbiamo messo un’eternità ad arrivare!”
   “Beh, è normale se abbiamo dovuto sostare in continuazione. Però, non ci ha riconosciuti nessuno.”
   “E come avrebbero potuto?! Per gli altri sembriamo solo un’anziana donna con le ossa malconce e suo nipote dal piglio esuberante che camminano innocentemente. Il problema è che a me è toccata la parte peggiore!”
   “Mi dispiace, ma se fosse stato per me avrei scelto la trasformazione in gatto. Oramai ci sono abituato e riesco a passare del tutto inosservato in quella forma. Ma Alvarr ha insistito per farci “camuffare” in questo modo…”
   “Maledetto Alvarr!” pensò Morgana. Non aveva più le forze in corpo neanche per respirare. Erano giorni che assumeva la pozione invecchiante e ogni volta sembrava che risentisse sempre di più dei suoi effetti. Era vero che senza non avrebbe fatto molta strada. Infatti, durante il viaggio, avevano incrociato diverse pattuglie di cavalieri in giro per le vie del regno, ma per loro fortuna non avevano sospettato niente. Non sapeva come quella storia sarebbe finita, ma era ansiosa di arrivare alla sua conclusione. Presto quell’essere odioso si sarebbe pentito del male che le aveva fatto. Una volta ricongiuntasi con la Morgause di quel mondo e riacquistato permanentemente i suoi poteri, avrebbe trovato un modo per fargliela pagare e per tornare poi indietro alla sua vita. Non sapeva ancora come, ma era certa che ce l’avrebbe fatta. Lei era Morgana, la più grande sacerdotessa dell’Antica Religione, e non si sarebbe fatta mettere in ridicolo da nessuno. Men che meno da quello spirito da quattro soldi.
   “Guarda, siamo arrivati.” annunciò d’un tratto Mordred, indicando una taverna dall’altra parte della strada.
   “Bene. Era ora!” esclamò lei sbuffando mentre si accingeva a raggiungerla.
   “Aspetta!” la fermò il druido. “Dobbiamo scambiarci le pozioni. Così potremo tornare normali prima che gli effetti si esauriscano.”
   “Come vuoi.” acconsentì Morgana, afferrando l’ampolla col liquido verde, scambiandola con quella col contenuto rosso. “Anche se è più prudente tornare al nostro aspetto una volta dentro. Non credi?”
   “Certo, ma io non verrò.”
   “Cosa? E perché?”
   “Devo fare alcune commissioni per Alvarr. Il mio compito era di scortarti fin qui. Secondo le istruzioni di Morgause, ognuno non deve fare più di quello per cui è chiamato in causa. Altrimenti, rischiamo di compromettere tutto quanto.”
   “Capisco.” replicò la strega accigliata.
   La sorella doveva aver programmato la sua fuga fin nei minimi particolari per aver messo su un piano tanto elaborato.
   “Buona fortuna, Morgana. Spero di rivederti ancora.”
   “Sì. Anch’io.”
   Con quelle parole, i due si congedarono, procedendo ognuno per la propria strada. E, mentre Mordred si allontanava, Morgana si avviò verso la taverna.
   Non appena fu arrivata sulla soglia, stappò la boccetta ed ingoiò a grandi sorsi il suo contenuto. Di colpo avvertì un senso di estraneità. Dopo alcuni istanti riprese completamente il suo aspetto originario, sentendosi di nuovo giovane e forte come prima. A quel punto entrò. All’interno non c’era praticamente nessuno, fatta eccezione per una donna dietro al bancone che era intenta a riordinare dei calici. Nonostante gli abiti un po’ succinti, a risaltare agli occhi era senza dubbio lo strano cappello che indossava, di forma cilindrica e con dei motivi bizzarri e alquanto singolari.
   “Un po’ presto per bere, non ti pare?” chiese lei senza distogliere lo sguardo da quello che stava facendo.
   “Non sono qui per bere.” replicò Morgana decisa. ““Io sono Alice”.” disse poi, ripetendo la parola d’ordine concordata.
   La taverniera non batté ciglio, ma si limitò ad annuire.
   “Te la sei presa comoda. Aspettavo tue notizie da ieri.”
   “Che insolenza!” pensò Morgana contrariata. Nessuno poteva permettersi di parlarle in quel modo. Tuttavia, dovette ingoiare ancora il rospo e lasciar correre quella mancanza di rispetto.
   “Allora? Cos’hai per me?”
   La donna prese d’improvviso due boccali dallo scaffale alle sue spalle e li riempì con del vino. Poi, ne avvicinò uno verso Morgana, mentre iniziò a sorseggiare l’altro. La strega capì il gesto e si avvicinò al bancone, però decise di non bere. Come aveva già detto, non era lì per quello.
   “Io sono Eira.” si presentò la taverniera.
   “Ti ho per caso chiesto il tuo nome? Non tergiversiamo e andiamo dritte al punto!”
   “Come vuoi.” acconsentì Eira, lanciando sul bancone un foglio di pergamena.
   “Cos’è?” domandò Morgana, osservandola confusa.
   “Una mappa di Camelot.”
   “E cosa dovrei farmene?”
   “Ho segnato su di essa il percorso e l’orario in cui dovrai metterti in cammino. In questo modo arriverai al confine indisturbata, senza correre alcun pericolo.”
   La strega prese la mappa e la osservò con più attenzione.
   “Come fai a essere così certa che le indicazioni siano giuste?”
   Eira sorrise e bevve un altro sorso di vino.
   “Ho i miei mezzi.”
   “E quali sarebbero?”
   “Questo posto è molto famoso in tutta Camelot. Tanto da attirare popolani e viandanti da ogni parte del regno. Anche molti cavalieri della regina ci omaggiano della loro presenza.”
   “Continua. Va’ avanti.” la esortò Morgana.
   “Vedi, capita spesso che, dopo aver bevuto un bicchiere di troppo, si cominci a parlare a briglia sciolta. Diciamo che con un po’ di… “persuasione” sono riuscita ad ascoltare anche cose molto interessanti.”
   “E quindi? Non vedo come i tuoi modi da sgualdrina possano tornarmi utili!”
   Eira sbottò a ridere incontrollata. Di certo non si era offesa per come era stata definita.
   “Possono tornarti utili, eccome, i “miei modi”. Devi sapere che è da tempo che sono entrata nelle grazie di uno dei cavalieri. Grazie a lui sono a conoscenza di molti segreti del regno, compreso il tragitto di pattuglia che sono soliti fare.”
   “Interessante.” commentò Morgana, d’un tratto stupita. “Ma siamo certi che queste informazioni siano affidabili?”
   “Puoi contarci. Sir Galvano non ha segreti per me.” rispose Eira convinta. “Inoltre, ho un altro modo per esserne assolutamente sicura.”
   “E quale?”
   “Questo.”
   A quel punto, la taverniera indicò il suo copricapo.
   “Non capisco cosa c’entri il tuo stupido cappello. A parte farti sembrare fuori di testa, non credo serva ad altro.”
   “Questo “stupido cappello” potrà anche farmi sembrare un po’ matta, ma è a dir poco necessario per i miei scopi.”
   “E in che modo? L’unica cosa che noto è che non passa di certo inosservato.”
   “Oh, ti stupiresti di quanti non ci facciano neanche caso. Del resto, di rado chi passa di qui mi guarda dal collo in su.”
   “Affascinante!” commentò Morgana sarcastica. “Posso solo immaginare la galanteria delle persone che sono solite frequentare questo posto. Tuttavia, ancora non capisco a cosa serva il cappello.”
   “A leggere le menti altrui.” spiegò semplicemente Eira. “La sua magia mi permette di ascoltare i pensieri di chi mi è intorno.”
   “Mai sentito di un copricapo con un potere così smisurato.” ribatté la strega in tono scettico. “Se è come dici, allora dimostramelo. Leggi la mia mente.”
   La taverniera scosse il capo.
   “Non posso. Io non ho poteri magici e, quindi, per far sì che funzioni devo prima … “disinibire” il mio bersaglio.”
   Morgana annuì pensierosa, fissando il boccale a pochi centimetri dal suo braccio.
   “Ecco perché li fai ubriacare prima, tentando di fargli abbassare la guardia. Anche con me volevi fare la stessa cosa. Dico bene?”
   “Sì, mi hai scoperta. Ma devo riconoscere che tu sei più furba di quegli stolti che entrano qui. Per alcuni non mi sono nemmeno dovuta impegnare. Come per sir Galvano, che è caduto ai miei piedi in un attimo.”
   “In effetti, è il più stupido tra tutti i cavalieri di Camelot. Hai scelto proprio bene la tua “preda”.”
   Ora che conosceva il percorso da seguire senza essere vista da nessuno, uscire dal regno sarebbe stato più facile del previsto. E doveva ringraziare Morgause per questo, che aveva pianificato tutto con estrema attenzione e accuratezza. Ma, del resto, sapeva che era l’unica persona su cui poteva fare affidamento. Da quando nel mondo reale era morta, lei aveva sentito molto la sua mancanza. Ripensandoci, forse avrebbe potuto trovare un modo per portare la versione di quella realtà con sé. In fondo, non le sembrava così improbabile. Ma su questo, comunque, avrebbe riflettuto a tempo debito. Adesso, doveva pensare solo a raggiungerla. Così, afferrò la pergamena e si diresse subito verso l’uscita.
   “Un’ultima cosa.”
   “Cos’altro c’è ancora?”
   “Sta’ attenta. Si dice in giro che la regina sia molto adirata nei tuoi confronti, specialmente dopo la morte del re. Sembra che voglia la tua testa ad ogni costo.”
   Morgana riprese a camminare verso la porta.
   “Molto bene. Staremo a vedere chi la spunterà!”
 
***
 
   Lasciatasi indietro Fort Stowell, Morgana percorse il tragitto che la separava dalla salvezza, seguendo alla lettera le indicazioni di Eira che, nonostante tutto, si rivelarono corrette e quanto mai fondamentali. Il viaggio fu più lungo e tedioso di quello che aveva immaginato, ma d’altronde non poteva pretendere di più da se stessa, specialmente considerando che aveva percorso l’intero tratto di strada completamente a piedi.
   “Finalmente!” esclamò esausta, osservando il limitare della foresta di Balor, ultimo baluardo prima del confine.
   Secondo le istruzioni di Morgause, questa l’avrebbe attesa in una vecchia fattoria disabitata, situata proprio in quella zona. Osservandosi attorno, non impiegò molto ad intravedere l’edificio. Di fronte ad esso scorse anche una figura con un lungo mantello nero da viaggio che attendeva pazientemente. Morgana, quindi, si avvicinò.
   “Sorella!” esordì una donna da sotto il soprabito nero quando la vide arrivare.
   “Morgause!” replicò rincuorata la strega, correndole incontro ed abbracciandola.
   “Iniziavo a preoccuparmi. Vedendo che tardavi, ho incominciato a pensare che qualcosa fosse andato storto.”
   “Non temere, il tuo piano era talmente ben preparato che non ci sono stati problemi.”
   Morgana era contenta di poter stringere sua sorella tra le braccia, a maggior ragione dato che erano passati anni dall’ultima volta. Almeno per lei.
   “Bene.” continuò Morgause. “Adesso credo sia meglio se ci incamminiamo. Non è sicuro restare qui fuori a lungo.”
   “Aspetta!” la fermò Morgana. “Prima preferirei che tu mi togliessi questo maledetto collare. A meno che non ci voglia molto, ovviamente.”
   “No. A malapena qualche minuto.”
   “Allora preferisco che tu lo faccia ora. Non voglio rimanere un solo istante di più senza la mia magia. Lo detesto!”
   Morgause sorrise.
   “Ti capisco. Va bene, allora stai ferma e lascia fare a me.”
   Detto questo, allungò le mani verso il collo della sorella. Poi, da queste fece fuoriuscire una piccola scarica di energia magica, che andò a colpire il collare di metallo. Il suono che ne scaturì dall’impatto fu simile allo scoppiettio di un fuoco. Era incredibile quanto potere potesse avere quell’oggetto, così semplice a prima vista. Ma, per fortuna di Morgana, Morgause ne sapeva molto di magia, probabilmente anche più di lei. Ecco perché si sentiva così al sicuro al suo fianco. Ed era bello poter contare ancora su qualcuno. Fu proprio nel preciso momento in cui la stava fissando negli occhi con una certa ammirazione che però accadde l’impensabile.
   “No!”
   La magia che era in atto s’interruppe d’improvviso. Una freccia si conficcò nel petto di Morgause, facendola lentamente cadere a terra con lo sguardo fisso nel vuoto. Morgana rimase impietrita sul posto, con gli occhi sbarrati, come incapace di reagire a quell’avvenimento così inaspettato. Subito dopo quell’attacco, diversi cavalieri sbucarono dal nulla e le circondarono con le spade sguainate.
   “Non muoverti!” gridò a gran voce sir Parsifal, afferrandola e legandole i polsi.
   “Cosa avete fatto?!” urlò di rimando Morgana, palesemente sconvolta anche solo per ribellarsi. “Assassini!”
   “Senti chi parla!” intervenne sir Galvano sarcastico.
   “Come avete fatto a trovarci?!”
   Ancora una volta fu Galvano a risponderle con uno sguardo di sfida.
   “Vi abbiamo attirato in trappola.”
   “Che significa?!” ribatté Morgana al limite delle sue forze mentali. Da come girava convulsamente la testa da una parte all’altra era chiaro che la sua lucidità stava venendo completamente a mancare.
   “Che le informazioni che ho dato a quella poco di buono della taverniera erano false.” spiegò il cavaliere compiaciuto. “Ogni cosa che le ho detto era finalizzata all’unico scopo di attirarvi qui, alla nostra mercé. Credevate di imbrogliarci, ma in realtà quelle che sono state giocate siete voi.”
   “Non… è… possibile. Non potevi ingannarla. Lei ti ha letto la mente.”
   “Sapevamo anche di questo. Mi è bastato semplicemente controllare i miei pensieri e il gioco è fatto! Credevate che fossi uno stupido, ma non potete competere con il mio acume!”
   “Adesso non esagerare, Galvano!” si inserì Parsifal. “Che genere di “acume” avresti usato quando ti appartavi con quella donna, sentiamo?!”
   “Lascia stare, Parsifal.” intervenne sir Elyan. “Probabilmente, non sa neanche cosa significa la parola “acume”!”
   Galvano, stizzito, stava giusto per controbattere, quando sir Leon si avvicinò con un’espressione seria in volto.
   “Piantatela con queste chiacchiere. Abbiamo un prigioniero da scortare fino al castello e sta per calare la notte. Non abbiamo un minuto da perdere. Quindi forza, sbrigatevi!”
   “Me la pagherete!” ringhiò Morgana, dimenandosi dalla presa di Parsifal mentre la trascinava.
   “No, invece sarai tu a pagare.” ribatté Leon calmo. “Preparati perché, una volta arrivati, sarà la regina in persona a giudicarti.”
 
***
 
   Condotta senza indugio fino al castello, Morgana venne rinchiusa nuovamente in una cella, in attesa del giudizio inoppugnabile della regina, previsto per l’indomani. Quella notte, la strega rimase seduta in un angolo dell’angusta prigione in completo stato di catatonia. Il piano per scappare da Camelot era fallito; sua sorella Morgause era morta, persino in quella realtà; il collare che la privava della sua magia, invece, era ancora attaccato al suo collo. Niente era andato come doveva.
   “Tutto per colpa di quello spirito!” pensò, fuori di sé.
   La mattina seguente, due guardie la prelevarono e la portarono nella piazza adiacente alla grande fortezza, dove anche suo padre, re Uther, soleva emettere i suoi proclami e giustiziare i condannati. Lì, ad attenderla vi era la regina, vestita con dei colori rosso vivo, con al seguito un buon numero di cavalieri. Al centro dell’area era stato posizionato un ceppo, mentre un uomo con un cappuccio nero in testa affilava a pochi passi una grande e possente ascia. Lo sguardo di tutti i presenti era fisso su Morgana mentre veniva portata al cospetto della sovrana del regno.
   “Bentrovata, Ginevra.” esordì la strega con un ghigno derisorio, rompendo il silenzio che si era creato.
   La regina, senza proferire parola, portò il braccio all’indietro e poi le mollò uno schiaffo in pieno volto. Morgana perse l’equilibrio e cadde in ginocchio, sputando del sangue a terra.
   “Vedo che ti sei abituata al ruolo di regnante.”
   “Come hai potuto?” ribatté Ginevra disperata, ignorando le sue parole. “Come hai potuto uccidere tuo fratello?”
   “Oh, è stato più facile di quello che cre…”
   Un altro schiaffo la fece tacere.
   “Vergognati! Artù era un uomo di sani principi. Non meritava la fine che ha fatto per colpa tua!”
   “Puoi dire quello che vuoi, Gwen, ma alla fine l’unica che ci ha guadagnato in questa storia sei stata tu! Dovresti ringraziarm…”
   Di nuovo, un altro ceffone colpì la strega in faccia.
   “Non osare dire certe cose! In più di un’occasione Artù ti ha risparmiato la vita, nonostante non lo meritassi affatto! Ti voleva ancora bene, anche dopo tutto il male che hai fatto a lui e al regno! Ha preferito darti l’opportunità di redimerti piuttosto che condannarti! In te vedeva ancora la sorella che è cresciuta con lui!”
   Morgana rise maliziosamente.
   “Allora è stato uno sciocco! Non è colpa mia se credeva ancora alle favole!”
   “Dopo queste parole, meriteresti di essere giustiziata all’istante!” esclamò Ginevra con rabbia. Poi, però, emise un lungo e profondo respiro e riprese il controllo delle sue emozioni “Ma non posso non prendere atto della sua volontà. Quindi, ho deciso di concederti un’ultima possibilità. Se ti penti di ciò che hai fatto ad Artù e a tutti quelli che hanno sofferto per causa tua, sarai libera.”
   “Cosa?” chiese Morgana sussultando. “Vuoi concedermi la grazia?”
   La regina annuì.
   “Sì, in onore di Artù, voglio darti l’opportunità di ricominciare. Questo soltanto se ti arrendi alla tua cieca battaglia per il trono e se rinunci per sempre alla magia. Cosa mi rispondi?”
   La strega si alzò da terra e fissò Ginevra dritta negli occhi.
   “Mai!” dichiarò con fermezza. “Sei tu che dovresti implorare per la mia pietà! Sei tu che hai preso ciò che è mio! E, comunque, preferirei morire piuttosto che stare al tuo giogo!”
   La regina annuì mesta. Poi, fece un cenno a Parsifal.
   “Come desideri. Se è la morte che vuoi, allora quella avrai.” disse in tono piatto. “Tagliatele la testa!”
   A quel punto, Morgana venne trascinata verso il ceppo. Poi, le poggiarono la testa sopra la base, mentre il boia si metteva in posizione.
   “Le tue ultime parole?” chiese Ginevra alla condannata.
   Morgana represse la voglia di dimenarsi per non darle alcuna soddisfazione e si limitò a replicare in tono acido e provocatorio.
   “Credi di essere una buona sovrana, ma io so come sei davvero! Fai credere agli altri di essere caritatevole e generosa, una vera “Regina di cuori”, ma non puoi ingannare me! Un giorno avrò la mia vendetta, stanne certa! Neanche la morte riuscirà a fermarmi!”
   “Procedete!” ordinò Ginevra voltandosi ed allontanandosi.
   Morgana, nonostante le sue premesse, chiuse subito gli occhi, impaurita. Sentì l’aria spostarsi ed il filo della lama farsi sempre più vicino. Finché… niente! Non avvertì altro, né in quell’istante, né in quelli a seguire. Eppure il boia non avrebbe dovuto impiegarci così tanto.
   Allora, aprì lentamente le palpebre. Con suo grande stupore, nei paraggi non c’era più nessuno. Né la regina, né i cavalieri, né tantomeno il boia. Era sola. O quasi…
   “No, no e no!” urlò una voce leggermente gracchiante a pochi passi da lei.
   Morgana si alzò e si voltò di scatto, anche se aveva già riconosciuto quel verso così sgradevole al suo udito.
   “Sei andata malissimo!” aggiunse Grimm contrariato. “Avevi l’opportunità di conquistarti il tuo agognato lieto fine e, invece, hai mandato tutto in fumo!”
   “Maledetto spirito!” gridò Morgana, tuffandoglisi addosso. Grimm, però, si smaterializzò prima di essere afferrato, per poi ricomparire qualche metro più in là.
   “Dovevi solo dire “sì”! Era così complicato?!”
    “Cosa vai blaterando?! A cosa avrei dovuto dire “sì”?”
   “Ma all’offerta della regina, ovviamente! Avevi l’occasione di poter ricominciare daccapo, perché non l’hai sfruttata?”
   Morgana lo fissò infuriata.
   “Perché io non voglio un’altra possibilità. E non sarò soddisfatta fin quando il trono di Camelot non sarà mio!” inveì a squarciagola. “Adesso, basta con questa farsa! Toglimi subito questo collare e riportami da dove sono venuta!”
   Grimm scosse la testa come sconsolato.
   “Ah! Che peccato! E io che credevo di poterti far ragionare. Invece, non c’è più niente da fare con te.”
   “Maledetto!” esclamò di colpo Morgana, avventandosi di nuovo su di lui. Questa volta, però, lo spirito, invece di spostarsi, la immobilizzò con un gesto delle dita.
   “La tua superbia sarà la tua rovina. Tutto questo porterà solo alla tua disfatta, impietosa ed inesorabile.”
   “È una minaccia?!”
   “No, è soltanto il tuo destino. Ma non sarò di certo io a compierlo. Comunque, lo vedrai molto presto.” “Nel frattempo, per ingannare l’attesa, devo scegliere la nuova “parte” da farti svolgere nel mio sortilegio.”
   “Di cosa diamine stai parlando?”
   “Oh, ci sono! Dato che ti piace tanto il ruolo di “strega cattiva”, ho il personaggio perfetto da assegnarti! Sono sicuro che rimarrà a bocca aperta anche Emrys!”
   Così dicendo, Grimm schioccò le dita e fece scomparire Morgana in un istante.
   “Bene. Alla fine, questa storia è stata sia divertente che triste allo stesso tempo.” commentò, grattandosi la testa. “Del resto, senza il lieto fine è sempre tutto un po’ mogio e incompleto. Ma solo chi se lo merita davvero può raggiungerlo. Questa è l’unica regola importante.”
   A quel punto, lo spirito iniziò a camminare su e giù, pensieroso.
   “Uffa! Adesso che faccio?! Mi annoio ancora!” sbottò impaziente. Come era successo prima di dar vita a quella fiaba, sembrava non sapere in che modo passare il tempo. Dopo averci riflettuto un po’, però, sobbalzò con lo sguardo illuminato e puntò il dito davanti a sé.
   “Ma certo! Giocherò con te!”
   …
   …
   “Ehi, non fare finta di niente! Sto parlando con te, inutile umano dall’altra parte dello schermo!” “Sei l’unico qui nei paraggi con cui posso giocare, quindi poche lamentele. Se hai letto la storia fino a questo punto, sai bene come funziona. Ora, ti mando in una fiaba e tu dovrai semplicemente trovarle il lieto fine. Facile, no?”
   “Bene, sei pronto? Uno, due…”
   Poco prima che Grimm schioccasse le dita, ecco che di colpo si illuminò il cristallo di Neahtid che aveva in tasca. Allora, lo afferrò di getto e lo osservò attentamente. Al suo interno erano riflesse alcune immagini di Merlino, in piedi di fronte alla Dama del Lago.
   “Oh, accidenti! Emrys è arrivato alla fine della storia! Devo sbrigarmi! Tra poco tocca a me entrare in scena!” disse Grimm con agitazione. “Per ora, umano, ci dobbiamo salutare qui. Ma non temere, adesso che ci siamo conosciuti, ho intenzione di farti visita al più presto.”
   Dopodiché, schioccò le dita, sparendo in un istante.
   “Alla prossima!”
   
 
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