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Autore: PrimPrime    18/08/2023    4 recensioni
Emily Lewis è sorpresa quando riceve la sua lettera per Hogwarts, ma inizia a frequentare la scuola con grandi aspettative.
Quello che una nata babbana come lei non sa, però, è che cinque anni prima in quella stessa scuola ha avuto fine una guerra che aveva spaccato in due il mondo magico.
Inoltre non sa che i pregiudizi tra i maghi non sono del tutto spariti, come anche la competizione e l’antipatia di una casa verso l’altra.
E così Emily, quando stringe le sue prime amicizie e viene smistata in una casa diversa dalla loro, non ha idea di cosa l’attende.
In quella scuola dove un tempo si era combattuta una guerra, dove in qualche modo lei riuscirà a sentirsi al sicuro, non sa che verrà messa alla prova da sfide ben più complicate di un compito in classe.
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Leggendo questa storia conoscerai Emily e i suoi amici, e li seguirai in un percorso di crescita ed evoluzione che avrà inizio al primo anno scolastico e continuerà fino al settimo e oltre.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Filius Vitious, Horace Lumacorno, Minerva McGranitt, Nuova generazione di streghe e maghi, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
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Capitolo 2



La sua prima notte a Hogwarts, Emily dormì come un sasso. Anche se all’inizio temeva che non sarebbe riuscita a chiudere occhio per l’emozione, presto tutta la stanchezza aveva preso il sopravvento.

L’indomani si svegliò prima delle compagne, quindi si affrettò a prepararsi e a vestirsi. Solo in quel momento notò che i colori della sua uniforme erano leggermente cambiati, infatti ora aveva una cravatta verde e argento che svettava sull’uniforme prevalentemente nera. Simboleggiava la sua appartenenza a quel dormitorio.

Ancora contrariata e confusa dalla scelta del cappello parlante, che l’aveva smistata nella casa dei ricchi spocchiosi con i genitori maghi, si decise a scendere per fare colazione.

Meno male che non dovevano esserci discriminazioni, pensò tra sé e sé mentre saliva le scale, ricordando il discorso di benvenuto della preside.

Varcato il portone della sala grande si accorse con piacere che gli altri studenti si erano seduti dove volevano. Forse la mattina erano liberi di fare come preferivano, accomodandosi a fare colazione con gli amici di altre case.

Rimase lì impalata a vagare con lo sguardo finché non individuò Cecil, seduto con un gruppetto di Grifondoro. Si incamminò verso di lui, inspirando profondamente per trovare il coraggio necessario a interrompere la loro chiacchierata. Aveva davvero bisogno di parlarci e, in generale, di vedere un volto amico.

“Buongiorno,” disse attirando la sua attenzione, quindi non perse tempo e si sedette nel posto libero accanto a lui.

“Buongiorno Emily,” la salutò Cecil, ignorando gli sguardi straniti dei compagni che a lei non passarono certo inosservati.

Ebbe l’impressione che nemmeno lì fosse benvoluta.

“Com’è andata la tua prima sera a Hogwarts?” le domandò, mentre lei si serviva la colazione.

Era stata disastrosa, ma era felice che tra lei e Cecil le cose non fossero cambiate, anche se erano stati messi in due case diverse.

“Speravo meglio, a dirla tutta. Questa storia dello smistamento mi ha confusa, non capisco perché io sia finita a Serpeverde,” confessò.

Stavano parlando con un tono di voce basso che gli altri difficilmente avrebbero sentito. Inoltre anche loro erano impegnati a conversare, perciò Emily si sentì libera di confidarsi con l’amico.

“La scelta del cappello parlante si basa sul carattere, anzi sulle qualità di ognuno,” spiegò Cecil.

“E quali sarebbero le qualità dei Serpeverde?” domandò allora Emily, quindi prese una cucchiaiata di porridge.

Cecil esitò un istante prima di rispondere, come se fosse in difficoltà.

“L’ambizione, per dirne una,” tagliò corto, tornando rivolto verso il proprio piatto.

Doveva riconoscerlo, Emily sapeva di essere ambiziosa.

“E invece i Grifondoro?” chiese ancora, non del tutto convinta.

“Noi Grifondoro siamo coraggiosi e leali,” rispose.

“Chissà perché, rispetto alla tua, la mia casa sembra quella dei cattivi,” si lasciò scappare, a sguardo basso. “Anzi, da quando hanno saputo che sono una nata babbana, i miei compagni di casa sembra che non vogliano avere a che fare con me, perciò ho più di un motivo per crederlo,” confessò.

La parola babbana non era nel suo vocabolario, ma l’aveva sentita dire da alcuni Serpeverde e ne aveva capito subito il significato, come quello di nata babbana, perché stavano parlando di lei.

Cecil posò il cucchiaio e le rivolse uno sguardo preoccupato.

“Ecco, immagino che tu non sappia molto della seconda guerra magica…”

“Perché, ce n’è stata anche una prima?” gli chiese, spiazzata.

“Appunto. Ehm, in poche parole c’era una forte discriminazione verso i maghi nati babbani e verso quelli con un genitore mago e uno babbano,” specificò. “L’intero mondo magico è stato sconvolto da Voldemort e dai suoi seguaci, che credevano nella superiorità dei maghi purosangue.”

“E fammi indovinare, questa credenza era condivisa dai ricchi Serpeverde…” aggiunse Emily, alzando gli occhi al cielo.

“Esatto. Molti dei suoi seguaci, se non tutti, erano Serpeverde. Anche se la preside ha detto che le discriminazioni non saranno tollerate, ci sono state per moltissimo tempo e hanno lasciato il segno,” aggiunse, a sguardo basso.

Era come se si sentisse in colpa a ritrovarsi dall’altra parte, a spiegare a una nata babbana cosa avevano fatto i purosangue come lui, per quanto lui non c’entrasse niente.

“Allora è proprio ingiusto che io sia finita nella loro stessa casa, visto che sono una di quelli che tanto odiano,” sospirò.

Cecil non ebbe il coraggio di commentare, ma era visibilmente dispiaciuto e lei se ne accorse.

“Parliamo di una cosa più bella, ti va? Hai ricevuto l’orario delle lezioni?” chiese lui, in difficoltà.

“Sì,” rispose Emily, prendendo la pergamena dalla borsa. “Ho due ore di incantesimi con i Tassorosso e poi due ore di pozioni.”

“Peccato che non saremo insieme a incantesimi,” commentò Cecil, riprendendo a mangiare con aria triste. “Però ci rivedremo a pozioni. Ho scoperto che l’insegnante che vedi seduto là è Lumacorno, quello di pozioni, ed è anche il capo casa di Serpeverde. Questo significa che, se avrai bisogno di qualcosa, potrai rivolgerti a lui.”

“Sembra un tipo simpatico, sono curiosa di vederlo a lezione e di imparare la mia prima pozione,” dichiarò, entusiasta, dopo averlo osservato brevemente. “Oh, e chi è il capo casa di Grifondoro?” chiese poi.

“Il professor Opal Fiery, è quello seduto là nell’angolo,” rispose, rivolgendo un altro fugace sguardo al tavolo dei professori. “Insegna babbanologia.”

“Babba…che?” domandò Emily, sorpresa.

“Una materia opzionale, non ce l’abbiamo al primo anno,” tagliò corto l’amico, senza però rispondere davvero alle sue domande, alle quali in effetti non aveva dato voce.

Presto arrivò il momento di separarsi, quindi Emily salì le scale seguendo il flusso di Serpeverde e Tassorosso. Una volta entrata nell’aula di incantesimi, illuminata dalla luce di una grande vetrata, cercò Blue con lo sguardo.

Non la trovò, quindi scelse uno dei lati della stanza dove erano disposti i banchi e si sedette da sola. Tirò un sospiro di sollievo quando la vide varcare la porta, notarla e raggiungerla con un sorriso stampato sul viso.

“Ehi Emily!” la salutò, accomodandosi di fianco a lei.

“Ciao Blue, tutto bene? Non ti ho vista a colazione,” le disse, felice di poter parlare con lei.

“Ho dormito troppo, infatti ho una fame che non ti dico,” confessò la bionda, ridacchiando con fare imbarazzato.

“Come ti trovi con gli altri Tassorosso?” le chiese Emily, mentre prendeva dalla sua borsa tutto l’occorrente per la lezione.

“Benissimo, sono tutti simpatici! Sai, speravo di essere una Tassorosso, dato che anche mio padre lo era,” raccontò.

Dopo aver parlato, salutò con la mano delle ragazze della sua casa che erano appena entrate nell’aula.

“Tua madre invece?” domandò Emily, curiosa.

Trovava affascinante che i suoi amici fossero maghi da generazioni, e che aspirassero a entrare nella stessa casa dei genitori. Era completamente diversa dalla sua situazione, ma forse in futuro avrebbe avuto dei figli che avrebbero frequentato Hogwarts con lo stesso desiderio.

“Lei è babbana. Quando ha saputo che papà era un mago si è presa un colpo! Me lo racconta spesso e ogni volta c’è da morire dal ridere.”

Ascoltando le sue parole, Emily pensò che forse l’amica poteva capirla almeno un po’.

“Nella tua casa come ti trovi? Qualcuno è stato cattivo con te?” domandò, al che Emily intuì che aveva già capito tutto.

“No, ma diciamo che non sono accoglienti quanto speravo,” rispose, abbassando il tono di voce. “Poi, quando ho detto che i miei genitori sono babbani…” sospirò. “Per me non è un problema, ma da come mi trattano pare che lo sia.”

“Ah, non pensarci. Hai me che ti tengo compagnia, non hai niente di cui preoccuparti!” esclamò, mettendole un braccio intorno alle spalle e stringendola a sé.

In quel momento il professor Flitwick entrò in aula e diede inizio alla lezione. Era lui che aveva tenuto il discorso di benvenuto ed Emily era felice di scoprire che si trattava dell’insegnante di incantesimi.

Quel giorno avrebbero imparato Lumos, quindi spiegò prima la teoria servendosi anche del libro di testo. Poi chiese agli studenti di prendere le loro bacchette per esercitarsi con il gesto.

L’incantesimo non era difficile da pronunciare, ma Emily non lo sottovalutò. Quando fu il momento della prova pratica le servirono diversi tentativi, ma alla fine fu soddisfatta di vedere una piccola luce emergere dalla punta della sua bacchetta.

Anzi, ne fu estasiata! Era riuscita a fare il suo primo incantesimo.

Anche Blue ce la fece, e con loro molti altri studenti. Il professore chiese di continuare a esercitarsi, perché alla prossima lezione avrebbe voluto vedere se ci erano riusciti tutti prima di continuare. Emily uscì dall’aula con il morale alle stelle, desiderosa di perfezionare Lumos e di continuare a studiare quella materia così affascinante.

Era il momento di andare a pozioni, quindi salutò l’amica e scese nei sotterranei in cerca dell’aula. Questa era un luogo affascinante pieno di calderoni e boccette dal misterioso contenuto.

Individuò Cecil seduto da solo e lo raggiunse, chiedendogli se potesse occupare il posto accanto a lui. Aveva fatto erbologia quella mattina, perciò gli chiese se potesse raccontarle qualcosa a riguardo.

Presto arrivò Lumacorno, che si presentò alla classe e diede inizio alla lezione. Quel giorno avrebbero imparato a realizzare la pozione curabolle, quindi ne mostrò una già pronta, contenuta in un calderone vicino alla cattedra.

Emily ne studiò con lo sguardo il colore, la consistenza e l’odore, affascinata. Dopo aver preso appunti sulla sua funzione e sulla preparazione, arrivò il momento della pratica. Insieme a Cecil, raccolse tutti gli ingredienti necessari e si mise al lavoro.

Una ragazza di Grifondoro seduta davanti a loro per poco non si bruciò i capelli sul fuoco del calderone, al che Emily fu contenta di averli corti. Le arrivavano poco più su delle spalle, perciò non avrebbe avuto problemi di quel tipo.

Alla fine della lezione Lumacorno passò tra i banchi a controllare la pozione di tutti. Fece i complimenti a lei e a Cecil, che ne avevano realizzata una di buona qualità. Uscirono dall’aula soddisfatti e si diressero alla sala grande per il pranzo.

Qui, Emily fu costretta a salutare l’amico e ad avviarsi verso il tavolo di Serpeverde. Sospirò e si incamminò, ma due ragazzi le passarono accanto spintonandola e rischiando di farla cadere a terra. Erano gli stessi che avevano preso di mira Cecil il giorno prima.

Strinse i denti, fingendo di non averli sentiti ridacchiare, e si incamminò con passo più svelto per andare a sedersi in fondo al tavolo, dove l’avrebbero notata meno persone possibili.

Dopo pranzo aveva del tempo libero, perciò andò in cerca della biblioteca portando con sé il necessario per ripassare le lezioni di quella mattina. Quando arrivò, però, decise come prima cosa di colmare le sue lacune sulla guerra che c’era appena stata.

Chiese alla bibliotecaria, madama Pince, dove potesse trovare ciò che stava cercando, quindi prese un primo libro dallo scaffale.

Cecil le aveva spiegato qualcosa, il che era bastato a farle capire l’atmosfera che si respirava soprattutto tra i Serpeverde, ma sapeva che non era tutto. Faceva parte di quel mondo anche lei adesso, perciò conoscere dei fatti così recenti sarebbe stato il minimo.

Non era una lettrice veloce, inoltre ciò che aveva tra le mani non era certo una lettura leggera. Dopo un po’ chiuse il tomo per tirare fuori i libri di testo e dedicarsi ad altro. Rilesse la teoria della pozione imparata quella mattina, dopodiché passò ai suoi appunti. Quando decise di dedicarsi a incantesimi, qualcuno posò con forza un libro sul suo tavolo facendola sobbalzare.

“Ecco dov’eri!” esclamò Blue, in piedi davanti a lei.

Subito madama Pince le intimò di fare silenzio, al che la ragazzina annuì con un’espressione di fintissimo dispiacere sul viso.

“Ti stavo cercando, speravo volessi esplorare il castello con me,” continuò, stavolta a bassa voce, mentre prendeva posto.

“Più tardi vengo molto volentieri, ma volevo ripassare prima delle lezioni del pomeriggio,” le rispose.

“Ripassare cosa?”

Emily sollevò il libro che aveva aperto mostrandole la copertina del testo di pozioni.

Blue sgranò gli occhi e spalancò la bocca.

“Vieni, andiamo a farlo da un’altra parte,” le propose tornando in piedi, sorridendo divertita.

Emily decise di fidarsi e seguire la sua nuova amica, ma prima tornò alla cattedra di madama Pince per prendere in prestito il libro di storia che aveva consultato.

Seguì Blue fino al cortile della torre dell’orologio dove altri ragazzi di tutte le case stavano trascorrendo il loro tempo libero. Qualcuno era seduto a terra a giocare a qualcosa e l’amica, notando la sua curiosità, le disse che le piccole sfere che stavano usando erano gobbiglie.

“Ti insegno a giocarci una volta, se ti va,” le propose, mettendosi a sedere su un muretto. “Ora però prendi questa,” aggiunse, mettendo una mano in tasca e tirando fuori un pacchetto contenente una tortina di zucca.

Emily accettò e Blue ne aprì una per sé, quindi fecero merenda.

“E così ti chiami Blue Sugar Cane,” disse, ricordando che si era stupita a sentire il suo nome completo la sera prima, durante lo smistamento.

“Sì, ma non ne vado fiera. Dimentica che il mio secondo nome è Sugar e che il mio nome sembra un inno alla canna da zucchero, ti prego,” la implorò teatralmente l’amica, congiungendo le mani in segno di preghiera e socchiudendo gli occhi con fare sofferente.

Emily rise. Quella ragazzina solare aveva il potere di metterla di buonumore in un attimo.

Tra le due, Blue fu la prima a prendere la bacchetta per esercitarsi.

“Lumos!” esclamò, mentre eseguiva il gesto con la mano.

Non successe niente, così la ragazza fece una smorfia confusa.

“Non capisco, in classe c’ero riuscita…” sbuffò.

Emily riprese in mano il libro e cercò la pagina dedicata a quell’incantesimo, quindi ripassarono velocemente la teoria. Dopo averlo fatto si esercitarono insieme finché non furono soddisfatte, cioè fino a quando non riuscirono a produrre un fascio di luce dalla bacchetta.

“Guarda, è molto più luminoso di stamattina!” esclamò Blue, felice.

Emily annuì, in ammirazione. Adesso credeva di ricordare perfettamente come eseguire l’incantesimo, ma era tardi per dedicarsi all’esplorazione del castello. Salutò l’amica e corse nei sotterranei, per tornare nella sua camera a lasciare i libri di testo e quello sulla seconda guerra magica. Veloce come era arrivata, tornò su per le scale perché presto sarebbe iniziata la sua prima lezione di volo.

Doveva ammetterlo, si era stupita quando aveva scoperto di dover imparare anche quello.

La lezione era con i Grifondoro. Arrivata al campo di allenamento, salutò Cecil con una mano ma non poté andare a parlargli perché la professoressa Bumb li divise subito in due schieramenti in base alla casa di appartenenza.

Consegnò una scopa a ognuno e spiegò tutto ciò che dovevano sapere sulla sua manutenzione. Dopo aver imparato come occuparsi del proprio manico di scopa, fu il momento di chiamarlo a sé, letteralmente.

Emily si posizionò accanto al suo, tese la mano ed esclamò: “su!”

Ci volle un po’, ma alla fine riuscì a farlo sollevare da terra e ad afferrarlo. Malgrado questo piccolo successo, tirò un sospiro di sollievo quando scoprì che non avrebbero davvero volato, non ancora almeno. L’idea la rendeva nervosa.

La lezione era finita, perciò rivolse uno sguardo a Cecil ma lo trovò insieme a dei compagni di casa, gli stessi di quella mattina. Stavano parlando animatamente e lui sembrava coinvolto dal discorso, anche se ascoltava in silenzio. Non le parve il caso di intromettersi, perciò andò da sola a riporre la scopa nel magazzino.

Stava per voltarsi e uscire quando sentì pronunciare un incantesimo e cadde in avanti, come se qualcuno le avesse fatto lo sgambetto. I Serpeverde che l’avevano spintonata erano alle sue spalle e stavano ridendo, uno dei due aveva la bacchetta puntata nella sua direzione.

“Eh no! Signori Baxter e Napier, sono costretta a togliere venti punti a Serpeverde per questo scherzo!” esclamò madama Bumb, che aveva visto tutto da fuori.

Come nominò i punti, i due ragazzini rivolsero uno sguardo carico d’astio a Emily quasi fosse colpa sua.

Dopo averle chiesto se stava bene, la professoressa li afferrò per la divisa e li portò via con sé, forse intenzionata a metterli in punizione.

Cecil entrò in fretta nel magazzino e le offrì una mano per aiutarla.

“Ti sei fatta male?” domandò, poi rivolse uno sguardo preoccupato ai compagni portati via dalla professoressa.

“No, niente di rotto,” rispose lei prendendo la sua mano per accettare l’aiuto.

Si fregò via la polvere dai vestiti e sbuffò. Era solo il suo primo giorno di scuola, eppure era già stanca di avere a che fare con quei due. Non intendeva fargliela pagare perché non voleva abbassarsi al loro livello, però non poteva far finta di niente. Peccato che conoscessero più incantesimi di lei.

“Vieni, ti porto a vedere una cosa,” le disse l’amico, al che Emily lo seguì senza fiatare.

Cecil si fermò davanti alla porta di un’aula nella quale lei non era mai entrata.

“Il mio amico Parker mi ha detto che in quest’aula si terrà un club dei duellanti e secondo me dovresti partecipare.”

“Duellanti? Quindi ci si allena a combattere con gli incantesimi?” domandò lei, incuriosita.

“A combattere, a difendersi, tutto. Le attività non sono ancora iniziate, ma se quei due ti hanno presa di mira secondo me ti conviene frequentarlo,” rispose.

“Sembra che ce l’abbiano anche con te, o forse persino con tutti. Ti iscriverai insieme a me?”

“No, io non sono tagliato per questa roba. Se li ignoro, prima o poi smetteranno. Tu invece adori gli incantesimi, hai gli occhi che brillano quando ne parli, perciò ho pensato che ti sarebbe interessato anche duellare,” si giustificò.

Emily annuì, ma non era del tutto convinta. Duellare sembrava davvero interessante oltre che utile, ma sperava di passare più tempo con gli amici piuttosto che da sola. Inoltre credeva davvero che potesse fare comodo anche a Cecil.

Sospirò e promise che ci avrebbe pensato su.

“Blue voleva esplorare la scuola, ti unisci a noi?” gli propose, cambiando discorso.

“Va bene, ma lei dov’è adesso?” domandò il ragazzo.

“Aveva difesa contro le arti oscure, ormai la lezione dovrebbe essere finita.”

Si avviarono per i corridoi fino a raggiungere l’aula di difesa e trovarono la porta ancora chiusa, così si sedettero accanto alla parete in attesa che la lezione finisse.

“Sai, si dice che il professore di difesa sia un ex auror,” commentò Cecil, osservando la porta come per potervi vedere attraverso.

Non ci volle molto perché essa si aprisse, segno che la lezione era terminata. I Corvonero e i Tassorosso affollarono il corridoio, ma fu facile individuare tra tutti la chioma bionda e disordinata di Blue.

Insieme, i tre amici esplorarono Hogwarts domandandosi quali misteri nascondessero quelle mura e quante avventure avessero ospitato.

Dopo cena Emily scese nella sua stanza e si dedicò alla lettura, ma presto dovette posare il libro e arrendersi alla stanchezza.
   
 
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