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Autore: InvisibleWoman    22/08/2023    0 recensioni
Alfrene - Alfredo e Irene | Questa storia parte dal biglietto che Stefania ha regalato a Irene per raggiungerla in America. Segue il canon, ovvero Stefania vive lì con Federico. Si sono spostati a New York, anche se pare che nella soap siano a San Francisco, ma l'ho scoperto dopo (dettagli). Gloria vive lì con Ezio, ma siccome non mi piacciono i Colombi mi sono inventata un viaggio di lavoro per tenere lontano Ezio e non doverlo scrivere (sorry, not sorry). E Irene raggiunge Stefania in America accompagnata da Alfredo. Questa storia è successiva a "Se fossimo dei suoni sarebbero canzoni". Spero vi piaccia!
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Siamo ancora in tempo per cambiare idea?” chiese Alfredo in fila in aeroporto. Lo sguardo sorridente che però nascondeva una reale preoccupazione che divertiva Irene. Lo aveva sempre visto così sicuro di sé, così spavaldo, sempre pronto a mettersi in gioco qualsiasi fosse la richiesta di Irene, che vedere questo altro lato di lui quasi la inteneriva. 

“Assolutamente no” asserì lei nel suo scamiciato a fiori viola e una valigia tra le mani, l’unica che Alfredo e le sue amiche le avevano permesso di portare. ‘Non stai partendo per l’America’ si diceva sempre quando qualcuno esagerava con i preparativi o con dei saluti troppo melodrammatici. Eppure lei stava effettivamente partendo per l’America, era convinta che almeno un’altra valigia avrebbero potuto concedergliela. 

Stentava ancora a credere di essere prossima a salire per la prima volta su di un aeroplano e di rivedere finalmente la sua migliore amica dopo tutti quei mesi di distanza. Quanto le era mancata in quel lasso di tempo, e quanto la sua vita era cambiata in quello che in fondo non era ancora nemmeno un intero anno solare. 

Stefania era partita prima di Natale. Con Marco. Ma quella era un’altra faccenda su cui Irene aveva già messo ampiamente bocca in quelle poche telefonate che si erano potute concedere per via del fuso orario e degli impegni lavorativi di entrambe. Stefania le aveva spiegato tutto per filo e per segno tramite una lettera, ma non era la stessa cosa che poterne parlare a voce, una davanti all’altra. E a Irene questo era mancato terribilmente. Le mancavano le loro chiacchierate la sera sul letto, di ritorno da una lunga giornata lavorativa. Le mancavano le loro cioccolate calde sul divano. E le era mancata una voce amica, una che la conosceva appieno e non la giudicava, specialmente in quel caos che era stata la sua vita, e la sua mente, in quegli ultimi mesi da quando aveva realizzato di provare qualcosa di serio per Alfredo. 

Fin quando era al Paradiso, Stefania non aveva mai dato peso a quel rancore della sua amica verso il magazziniere. Troppo presa dai suoi problemi, dapprima con la madre, poi con Marco, poi la partenza. Irene aveva continuato per mesi a fingere che di Alfredo non le importasse assolutamente nulla, tanto da convincere per un po’ non solo se stessa, ma anche le persone che le stavano accanto. E ogni tanto si domandava come sarebbero andate le cose se Stefania fosse stata lì e avesse avuto lei con cui confidarsi, anziché Maria. Voleva bene a quest’ultima, ma per qualche motivo non era la stessa cosa. Semplicemente non era Stefania. 

E quando un paio di mesi prima la sua migliore amica le aveva telefonato e Irene era riuscita a dirle ufficialmente di essere fidanzata con Alfredo, dopo tante tribolazioni, Stefania era andata su di giri e l’aveva letteralmente obbligata a usare quel biglietto aereo per raggiungerla durante il mese di ferie concesso dal Paradiso per il mese di agosto. 

“Guarda che Alfredo è ancora un magazziniere, non un benestante pubblicitario, nonché figlio di Umberto Guarnieri come il tuo” la pungolò Irene.

“Ancora?” aveva ridacchiato Stefania dall’altro capo del telefono, posto a migliaia di chilometri lontano da Milano. “Hai in progetto qualcosa per renderlo il ricco principe azzurro che hai sempre desiderato?” la prese in giro.

“Non ancora. Mi ingegnerò in qualche modo, ma di certo non entro agosto” aveva commentato con ironia Irene. Il suo biglietto era stato gentilmente offerto da Stefania e da Marco, ma Alfredo non poteva infilarsi nella sua valigia - anche se in quel caso almeno le avrebbero concesso di portarne un’altra -, e non aveva abbastanza soldi da parte per un biglietto per Washington, almeno non con così poco preavviso. 

Dille che offro ioaveva sentito Irene in lontananza. 

“Cosa?” chiese a Stefania. “Ci sono interferenze?”

“No, no” rise l’amica. “E’ mia madre. Dice che vuole essere lei a pagare il biglietto per Alfredo, così potrai venire!”

“Davvero?” aveva esclamato dapprima, presa dall'entusiasmo. “No, non mi sembra il caso” aveva aggiunto dopo, sentendosi a disagio all’idea che la loro vecchia capocommessa, la signorina Moreau, potesse pagare per il suo fidanzato. 

“Guarda che lei è contenta se venite, dice che le piaceva molto Alfredo.”

“Perché, a te no?” si risentì Irene.

“Beh, no, è che io non lo conosco abbastanza bene. Se non ti ricordi, quando ero lì lo tenevi lontano neanche avesse la peste” disse prendendola in giro. “Anche per questo non vedo l’ora di conoscerlo. Quindi accetta, dovete venire per forza.”

Dopotutto Irene era una donna maggiorenne, non sposata, certo, ma indipendente. Non aveva mai lasciato che suo padre le dicesse cosa fare, non lo aveva mai fatto prima, non avrebbe cominciato adesso. Quando gli aveva annunciato della partenza aveva fatto le sue solite storie. Alfredo lo aveva conquistato, gli piaceva e segretamente sperava che potesse essere proprio lui a sposare quella figlia turbolenta che gli aveva dato non pochi problemi. Ma partire da soli senza essere sposati per un posto tanto lontano come l’America, avrebbe fatto risentire qualsiasi genitore. E Lorenzo Cipriani non era da meno. Ma Irene aveva fatto di testa sua come sempre. E anche lei doveva ammettere di essere spaventata all’idea del volo - non aveva mai preso un aereo, esattamente come Alfredo -, la agitava rivedere Stefania, Gloria, di stare con Alfredo da soli in un posto che non conoscevano. Ma allo stesso tempo era anche elettrizzata esattamente per gli stessi motivi. D’altra parte Irene Cipriani non era mai stata una persona coerente.

“Che c’è, hai paura?” domandò Irene ben sapendo di provocare una reazione in lui, che non tardò ad arrivare.

“Io? Ma va” replicò Alfredo con l’aria di chi si sentiva quasi offeso di non essere stato ritenuto abbastanza coraggioso o capace di fare qualcosa. “Ormai dopo quello che mi hai fatto passare tu, non mi spaventa più niente. Sono temprato” si riempì il petto con aria tronfia e Irene non poté fare a meno di ridacchiare. 

“Visto? E tu te ne lamentavi. E poi si sa che le cose belle vanno sudate” rispose con la sua solita aria da diva.

“E tu sei la cosa più bella che c’è, amore mio” aggiunse con il suo solito fare sdolcinato che su di chiunque altro avrebbe stonato e avrebbe portato Irene a roteare gli occhi al cielo e prenotare una visita immediata dal dentista per controllare eventuali carie. Ma la dolcezza di Alfredo la inteneriva. Non era mai stata trattata così da nessuno. Lui la faceva sentire speciale, venerata, quasi, come se fosse realmente una dea e non si atteggiasse unicamente a esserlo. 

Una volta dentro l’aereo, al momento del decollo, Irene cercò d’istinto la mano di Alfredo, come a darsi forza e cercare un appoggio, nonostante fino a pochi istanti prima avesse preso in giro il suo fidanzato e la sua titubanza. Anche Alfredo ricambiò la stretta e per questa volta Irene intuì non si trattasse unicamente della sua voglia di averla vicina. Tuttavia, superata la fase drammatica del decollo e il loro continuo guardare attraverso la finestrella dell’aeroplano ogni cinque minuti per almeno la prima ora di volo, il viaggio filò liscio e, almeno per Alfredo, anche abbastanza veloce dato che, come la maggior parte degli uomini, anche lui era capace di dormire in qualsiasi posto e in qualsiasi situazione. A un certo punto lo sentì appoggiarsi contro la sua spalla e Irene sorrise, inclinando la testa contro la sua nel tentativo di addormentarsi a sua volta. E in parte ci riuscì, ma tra la preoccupazione, le turbolenze e la posizione scomoda, quando l’aereo finalmente atterrò, aveva accumulato soltanto un paio di ore di sonno. Anche quello di Alfredo era stato disturbato e intermittente, ma se non altro aveva riposato molto più di lei, proprio lui che tra i due si era mostrato il più ansioso all’idea di salire su quell’aggeggio.

“Ma proprio in America doveva trasferirsi?” Irene si lamentò sbuffando mentre si incamminava, insieme alla sua valigia e ad Alfredo che la teneva per mano per evitare che si perdessero nel marasma dell’aeroporto di New York, dove Stefania si era trasferita dopo la rottura da Marco.

“Però non è stato così male il viaggio” commentò lui e Irene in quel momento avrebbe voluto sollevare la valigia e dargliela in testa.

“Certo, per te che hai dormito tutto il tempo.” 

“Ma che dici” replicò sorridendo sotto ai baffi, ben conscio che in realtà la sua fidanzata avesse ragione.

“Irene!” sentì d’un tratto la voce di Stefania che la chiamava da qualche parte, e qualche istante dopo vide il suo braccio che ondeggiava teso in aria per cercare di farsi notare da lei. Le due si corsero letteralmente incontro, abbracciandosi e Alfredo afferrò il borsone che Irene aveva lasciato cadere per terra e che per tutto il viaggio aveva trattato come un bene prezioso. Evidentemente era meno prezioso della sua migliore amica.

“Mi sei mancata” le disse Stefania, prendendole il viso tra le mani.

“Anche tu” rispose Irene cercando di ricacciare indietro le lacrime di commozione che minacciavano di venire fuori contro il suo permesso.

“Mi sembra così assurdo che tu sia davvero qui” aggiunse Stefania mentre i tre si incamminavano fuori dall’aeroporto. 

“A chi lo dici” disse prendendo a braccetto la sua amica, mentre Alfredo, che era stato solo brevemente presentato poco prima, le seguiva tenendo ancora le valigie di entrambi.

“Vedo che hai pure portato con te un valletto, come la diva che sei” li prese in giro, dato che Alfredo si barcamenava nella confusione con due valigie e un giubbotto sotto al braccio. “Garzone, vuole tenere anche la mia borsetta?” Stefania finse di porgergliela.

“Molto simpatiche” commentò lui, mentre le due ridacchiavano tra di loro, escludendolo da un mondo a cui gli era stato vietato l’accesso in quanto uomo, fidanzato e, soprattutto, quasi sconosciuto per Stefania. A lui sembrava quasi di conoscerla, dati i racconti di Irene, il modo in cui lei le voleva bene, quella foto che aveva recuperato per farla felice. Ma a conti fatti aveva interagito ben poco con lei quando abitava ancora a Milano. Dubitava che Stefania sapesse qualcosa di Alfredo, che Irene le avesse parlato di lui. 

“Federico!” esclamò Irene trovandosi un distinto Federico Cattaneo appoggiato alla macchina come un divo del cinema. La sigaretta tra le dita, i capelli bene impomatati e l’aria sofisticata di chi ormai conduceva una vita agiata e di successo. Eppure il sorriso e il suo fare affabile era lo stesso di sempre. Irene trovava un po’ strana quella situazione e si sentiva un po’ a disagio insieme a quei due. Avevano confabulato tanto in passato lei e Stefania per cercare di farle conquistare il bel pubblicitario, scrittore, poeta - e chi più ne ha più ne metta - di cui la sua amica era stata infatuata da che ne avesse memoria. Eppure era sembrata acqua passata quando Stefania aveva conosciuto Marco. Adesso invece ogni cosa aveva preso una piega differente. Stefania aveva capito di non aver mai dimenticato quello che provava per Federico. E Marco… beh, Marco aveva perso qualsiasi stima Irene potesse provare per lui quando aveva scoperto di lui e Gemma. Per quanto fosse strano vederli finalmente insieme e non aver assistito agli inizi della loro relazione, cosa che - da pettegola quale era - la mandava fuori di testa, Irene doveva ammettere di essere contenta che la sua migliore amica avesse accanto a sé un uomo per bene e degno di essere chiamato tale. Al contrario qualcun altro. 

Federico si avvicinò per abbracciarla, neanche fossero amici di lunga data. In fondo, però, un po’ lo erano. Si conoscevano da anni ed entrambi tenevano infinitamente alla stessa persona.

“Com’è andato il viaggio?” chiese lui. 

“Se avessi portato dietro un’altra valigia, probabilmente sarei rimasta qui per sempre pur di non prendere di nuovo quel trabiccolo infernale” rispose lei, con il suo solito fare melodrammatico.

“E che problema c’è. Guardaroba nuovo!” si aggiunse Stefania ridacchiando. Avrebbe fatto carte false per riavere la sua migliore amica lì con lei. Magari fosse rimasta per sempre!

“Ciao, noi non ci conosciamo. Federico Cattaneo” disse poi ad Alfredo, allungandogli la mano per presentarsi. Finalmente qualcuno che si rendeva conto che c’era anche lui.

Irene, presa dal ricongiungimento con la sua amica e dall’incontro dopo tanto tempo con Federico, si era totalmente dimenticata di presentare Alfredo.

“Sì, lui è il mio…”

“Il suo fidanzato” Stefania completò la frase. 

“Esatto” aggiunse Alfredo con un sorriso forzato. Credeva che avessero ormai superato l’ostacolo del fidanzamento pubblico e in effetti Irene a Milano, da quando si erano rimessi insieme, si era comportata in modo esemplare. Allora perché aveva tentennato pochi istanti prima?

“Sì, Alfredo” continuò Irene con fare impacciato, prendendogli il braccio. Stefania non l’aveva mai vista con qualcuno. Era stata presente durante la parentesi con Rocco, ma non li aveva mai visti effettivamente insieme. L’aveva vissuta solo tramite i racconti della sua amica. 

A dirla tutta Irene non riusciva a riconoscere nemmeno perché si sentisse così in imbarazzo. Si sentì una stupida per quella piccola gaffe. Trovarsi immersa in quella nuova dimensione, fatta di eleganza, magnificenza e libertà, le aveva fatto notare quanto, invece, fosse piccolo il suo mondo. Alfredo era un magazziniere, ma anche lei era solo una commessa e venivano da una città che ritenevano fosse il centro di ogni cosa, quando invece, al confronto con New York, che si dispiegava davanti ai loro occhi mentre Federico li accompagnava a casa di Stefania, si rivelava essere solo un puntino minuscolo. Non indossavano vestiti alla moda come quello di Stefania, né guidavano una Ford nera e talmente lucida da potercisi specchiare dentro come quella di Federico. Per un attimo le era sembrato quasi fossero passati degli anni da quella separazione e ora, nonostante non ci fosse più un oceano a dividerle, la avvertiva persino più distante di quando stava a Milano e poteva sentirla solo qualche volta all’anno. Almeno in quei frangenti poteva fingere che nulla fosse cambiato. Eppure lo era. In meglio. Per entrambe, doveva ammettere. E il suo sguardo si voltò a cercare Alfredo, intento a guardare con lo stupore di un bambino tutti quegli enormi grattacieli. 

Non si erano detti praticamente più nulla dopo quella goffa presentazione, e nel mentre Stefania canticchiava una canzone in inglese che suonava alla radio e di tanto in tanto le indicava qualcosa degno di nota da osservare. Irene cercò allora la mano di Alfredo, che teneva ferma su una coscia e quando lui, sorpreso, si voltò a guardarla, lei gli sorrise. Un sorriso rassicurante, sereno, innamorato. Forse erano piccoli in quella vastità che li circondava. Ma potevano affrontarla insieme.



 

“Allora, quella è la camera di mia madre, di là c’è la mia. Ma abbiamo deciso che io e lei dormiamo insieme così quella la lasciamo a Irene e tu Alfredo…”

“Dovrai accontentarti di un divano” disse Gloria con fare dispiaciuto. “Non è l’ideale, ma è comodo, te lo assicuro”

“Andrà benissimo, grazie mille” ringraziò lui, mentre Stefania guardava Irene con curiosità per vedere se avrebbe concesso al povero Alfredo di dormire con lei nella stessa camera oppure no. Dopotutto quella non solo era l’America, dove la gente sostanzialmente si faceva gli affari propri, ma inoltre lì non erano conosciuti da nessuno. Se avessero deciso di stare insieme, ora che potevano permetterselo, né Stefania e né Gloria avrebbero giudicato. Ma Irene non sembrò fare alcun passo e Stefania arricciò le labbra in un sorriso divertito, mentre li accompagnò a sistemare i propri vestiti nello spazio che Gloria aveva lasciato per loro per quelle settimane.

“Che c’è?” chiese Irene mentre Alfredo si era seduto sul letto. Aveva preferito spostare nell’armadio giusto le camicie che rischiavano di sgualcirsi, il resto lo aveva tenuto dentro la valigia per non dare troppo fastidio. “Stanco?”

“Un po’” commentò lui con fare serio. Ma sembrava ci fosse dietro qualcos’altro. Sembrava pensieroso.

“E’ strano, vero?” disse mentre lui la afferrò per la vita non appena lei si avvicinò e la trascinò sulle sue gambe. 

“Stare qui? Molto strano” rispose Alfredo. “Ti rendi conto che siamo praticamente tornati indietro nel tempo?” il suo viso si illuminò di stupore.

Irene rise. “Che ore saranno da noi? Mezzanotte, forse?”

“Sì, più o meno. E qui invece è pieno pomeriggio. Follia” si portò una mano alla tempia per simulare uno scoppio con le dita.

“Se non altro se ci affacciamo dalla finestra la visuale è simile. Palazzi, palazzi e ancora palazzi.”

“Solo molto più alti” disse Alfredo con un velo di nervosismo.

“Hai paura dell’altezza?” Irene sorrise, cercando di cogliere un suo punto debole. Si mostrava sempre così forte, così spavaldo e temerario, pronto a lanciarsi in qualsiasi avventura, che trovargli qualche debolezza lo rendeva più umano ai suoi occhi. Più vero. Glielo aveva già detto che preferiva questa versione di sé, rispetto a quella dello spaccone. Era se stesso, senza maschere.

“No, ma va” provò a mantenere la facciata di uomo che non deve chiedere mai.

“Affacciati, allora” lo intimò lei.

“Va bene, va bene, forse un pochino?”

“Ti voglio proprio vedere in questi giorni in giro per la città.”

“Perché, visiteremo grattacieli?” chiese con un filo di preoccupazione in voce.

“Potremmo, chi lo sa.”

“Allora mi terrò stretto stretto a te” scherzò lui.

“Ah sì? E come?” domandò con fare provocatorio.

“Così” rispose lui stringendola forte e affondando il viso nel collo di Irene, solleticandole il collo con il naso.

“La smetti” rise lei, nonostante la stanchezza. “Dai, fammi finire di sistemarmi, non è carino lasciare Stefania e Gloria di là da sole” cercò di alzarsi.

“Ti amo” le disse lui guardandola negli occhi, prima di lasciarla libera di allontanarsi. Irene lo guardò a lungo a sua volta, poi gli sorrise, gli diede un bacio e si alzò, lasciando un Alfredo deluso sul letto. Di nuovo.

Non era ancora stata capace di rispondere a quel ‘ti amo’, non perché non provasse per lui gli stessi sentimenti o perché non avesse il coraggio di esternarli, ma perché quel dubbio che non aveva ancora risolto continuava a farla andare avanti in quel rapporto con il freno a mano tirato. Sì, perché non voleva sentirsi stupida. Nella sua testa ammettere di amarlo ad alta voce, mentre era convinta che tra Alfredo e Clara ci fosse ancora qualcosa di irrisolto, l’avrebbe fatta risultare poco assennata. Dunque, per quanto diventasse sempre più difficile frenarsi e non dirgli apertamente ciò che provava, e al contempo affrontare ogni volta la delusione nei suoi occhi, non riusciva a fare altrimenti, per quanto questo alimentasse i dubbi e l’insoddisfazione di entrambi.

Certo, avrebbe sempre potuto optare per la verità: chiedergli in modo diretto se ci fosse qualcosa che le stesse nascondendo. Ma come poteva essere sicura poi che lui rispondesse sinceramente? Doveva scoprirlo da sola per essere certa. E nelle ultime settimane, data la sempre più assidua frequentazione tra Clara e Francesco e adesso la loro partenza per l’America, era diventato sempre più difficile provare a coglierli in fallo. Ammesso ce ne fosse uno.

“Vado a tenere loro compagnia di là” disse allora Alfredo, ricevendo un segno di assenso con la testa da Irene.

 

Il viaggio era stato molto lungo, non avevano riposato molto e dunque Stefania non aveva previsto per quella sera chissà quali svaghi. Aveva pensato a una cena tranquilla in casa con lei, Gloria, Irene e Alfredo. Federico aveva del lavoro da sbrigare e in ogni caso aveva preferito lasciare loro un po’ di intimità, senza imporre la propria presenza. Si sarebbero rivisti tutti quanti il giorno successivo.

Quando Alfredo riemerse dalla stanza, trovò Gloria ai fornelli e Stefania intenta a preparare un’insalata.

“E Irene?” chiese quest’ultima.

“Sta finendo di sistemare” rispose lui.

“Meno male che le abbiamo permesso di portare una valigia sola” dissero entrambi all’unisono ridendo. Conoscevano molto bene Irene. 

Alfredo si avvicinò per osservare cosa stessero preparando per cena. A dirla tutta moriva di fame, era effettivamente molto tardi secondo il loro fuso orario italiano.

“L’America è famosa per la sua carne” Stefania disse, leggendo la curiosità di Alfredo. “Non hanno una cucina molto tipica.”

Gloria rispose con una smorfia. Non si era ancora abituata molto alla cucina americana e al loro caffè. Aveva vissuto per tanti anni in Francia, ma era un ambiente per certi aspetti ancora simile all’Italia e il confine non era poi così lontano. Lì a New York, invece, era tutto molto diverso, ma era contenta di poter stare vicina a sua figlia. Quella era la cosa più importante, sebbene le mancassero molto l’Italia, il Paradiso e Irene, alla quale si era molto affezionata.

“Tutto bene?” chiese Gloria. “Non hai fame?”

“Sì, sì” rispose Alfredo, ancora un po’ abbattuto per le mancate conferme da parte di Irene. “Anzi, volevo approfittare per ringraziarla per il biglietto, per avermi permesso di essere qui. Troverò il modo per ripagarla, glielo prometto” disse spinto da un moto d’orgoglio. Non avrebbe voluto accettare quel regalo, non gli sembrava giusto che qualcuno che conosceva appena pagasse una cifra così importante per lui. Lo faceva sentire in difetto. Sminuito, quasi, specialmente agli occhi di Irene. Aveva faticato tanto per farsi accettare da lei per quello che era, uno squattrinato, certo, ma disposto a tutto per renderla felice, che l’idea che lei lo vedesse ancora come qualcuno che aveva bisogno di un aiuto esterno per soddisfare i suoi desideri lo faceva sentire a disagio. Ma alla fine non aveva potuto fare altro che accettare. Irene aveva insistito e lui non voleva stare senza di lei per delle settimane. Chi poteva assicurargli che non avrebbe trovato un ricco banchiere newyorchese? O che confrontandolo con Federico e l’ambiente che frequentavano lui e Stefania, non si sarebbe di nuovo resa conto che ciò che lui poteva offrirle non era abbastanza? Tre settimane erano troppe.

“Non serve, Alfredo. Era un regalo, non un prestito. E poi quale modo migliore di usare i propri soldi se non per rendere felici le persone a  cui si vuole bene?” rispose Gloria con fare materno, osservando per un attimo la figlia. Per quanto Alfredo le stesse simpatico, non era per lui che aveva deciso di pagare quel viaggio. Lo aveva fatto per sua figlia Stefania e per Irene, che sapeva quanto tenessero ad avere qui presente anche il magazziniere. A lei aveva fatto piacere accontentare loro, e in fondo anche lui. Era un bravo ragazzo. 

“E comunque dammi pure del tu. Ormai non lavoriamo più insieme e passeremo le prossime settimane sotto lo stesso tetto. Abbandoniamo certe formalità” aggiunse con un gesto della mano.

“Va bene. Allora grazie… Gloria” rispose lui, facendo una certa fatica ad assecondare quella richiesta. Era tutto molto strano. L’idea di trovarsi in America, un mondo così lontano dal loro, insieme a persone che in fondo conosceva poco e con le quali aveva diviso soltanto l’ambiente lavorativo. Si sentiva un pesce fuor d’acqua, quasi di troppo. Non era come Irene, che a queste persone era molto legata. Lei, pur lontana da casa propria, era certo si sentisse a casa, in un certo senso. 

“Eccola la diva” esclamò Stefania vedendo arrivare Irene. 

“Bisogna sempre farsi desiderare” scherzò lei.

“E io ne so qualcosa” commentò Alfredo, mentre Gloria avvicinò una mano alla guancia di Irene per una veloce carezza divertita. Si era creata una connessione istantanea con la Venere, e non solo perché era amica di sua figlia. In qualche modo si rivedeva in Irene e nelle sue insicurezze. E aveva subito riconosciuto in lei delle qualità che sapeva tenere ben nascoste. Quella ragazza aveva solo bisogno che qualcuno credesse in lei e le desse fiducia per poter splendere e brillare di luce propria.

“Come va al Paradiso?” le chiese allora.  

“Povere Veneri, quanto le starà facendo penare” si intromise Stefania che conosceva bene il carattere deciso e intransigente della sua amica.

“Va bene la fermezza, ma tatto e gentilezza come ti ho detto, almeno?” 

“Sono un angioletto” rispose, mentre Stefania sghignazzava e Alfredo si coprì la bocca con le mani per evitare di essere colto in flagrante e subire le ire della sua fidanzata. 

“Saresti fiera di me” ammise Irene con aria tronfia. Era la degna erede di Gloria, era diventata un’ottima capocommessa, comprensiva e disponibile, ma anche precisa e professionale.

Gloria sorrise. “Lo ero già prima” le fece l’occhiolino, mettendole poi un braccio attorno alle spalle.

“Va bene, adesso possiamo finirla con queste smancerie e mangiare?” tagliò corto Stefania.

“Posso fare qualcosa? Apparecchio?” domandò Irene, causando una certa ilarità nella sua migliore amica.

“Ma se quando abitavamo insieme non hai mai mosso un dito” ridacchiò, prendendola in giro.

“Beh, stiamo già approfittando della vostra ospitalità. Non sono mica maleducata io” si difese.

“No, no, ci mancherebbe” continuò Stefania, mentre Gloria sorrideva per le scaramucce tra quelle due. Proprio come fossero davvero due sorelle. 

“Dai, basta, voi due. Stefania, metti i piatti in tavola” disse Gloria spegnendo il fuoco e iniziando a tirare fuori i piatti dagli sportelli.

Alfredo si avvicinò subito per aiutarla. “L’aiuto io” iniziò. “Ti aiuto” si corresse subito dopo. Sarebbe stato proprio difficile cercare di mantenere quel livello di confidenza con l’ex capocommessa. 

O almeno così credeva Alfredo inizialmente. In realtà dopo il disagio iniziale, avevano trascorso una serata piacevole. Alfredo era stato, come al solito, l’anima della festa. Aveva riempito le due di battute e aneddoti e da come Stefania la guardò a tavola un istante, sorridendo, Irene capì che le piaceva e approvava, ed era contenta che la sua amica avesse al suo fianco una persona che le voleva così bene. Anche con Gloria Alfredo sembrava aver trovato una certa sintonia e dopo un po’ diventò sempre più facile darle il tu che quell’ultima aveva preteso da lui. 

Tuttavia, la serata non si era prolungata a lungo. Madre e figlia sapevano che il viaggio era stato lungo e che, per via del fuso orario, i loro amici erano svegli da diverse ore. Dovevano essere le tre o le quattro in Italia e sia Irene che Alfredo erano stremati. Così li avevano lasciati da soli e si erano salutati preannunciando una giornata piena il giorno successivo. 

Come avevano deciso, Alfredo si era sistemato sul divano e Irene era in camera di Gloria. Si era soffermata per un po’ sul divano con lui per dargli la buonanotte, ma poi si erano divisi. Non avevano mai dormito insieme e per quanto sembrasse il contrario, Irene alle apparenze teneva particolarmente. Era una brava ragazza, nonostante qualcuno in passato avesse provato a dipingerla diversamente. Eppure in quel momento fu molto tentata di invitarlo a raggiungerla in camera. Un po’ perché le dispiaceva farlo dormire lì, specialmente dopo un viaggio tanto lungo e faticoso, un po’ perché avrebbe voluto averlo accanto. Dopotutto quali occasioni avrebbero avuto in futuro per stare insieme così vicini?

Proprio mentre ragionava sul da farsi, quasi pronta ad alzarsi per vedere se Alfredo era ancora sveglio, sentì bussare alla porta. Accese l’abat jour sul comodino e vide il suo fidanzato affacciato alla porta e gli sorrise, mentre lui si chiudeva la porta alle spalle, dato che non aveva incontrato le resistenze di Irene. 

“Che cosa diranno domani Stefania e Gloria?” scherzò lei. “Guarda che io sono una ragazza per bene.”

“Ma cosa vuoi che dicano” commentò Alfredo con un sorriso, mettendosi su un fianco per guardarla negli occhi. “Posso restare, quindi?”

Irene annuì e Alfredo sospirò sollevato.

“Non dormi?” le sussurrò poi.

Lei scosse la testa. Erano talmente stanchi che si sarebbero dovuti addormentare all’istante non appena avessero appoggiato la testa sul guanciale. Invece forse, proprio per questo, erano troppo scombussolati e avendo passato l’orario solito in cui andavano a dormire, il loro orologio biologico era entrato in confusione, tenendoli svegli fino a tardi. 

“Non sei felice?” di essere lì con Stefania, intendeva.

Irene annuì. “Sei stato bravo, stasera” aggiunse, mentre lui accennò un sorriso che Irene poté notare grazie alla lampada ancora accesa. 

“Ho superato la prova?”

“Brillantemente.”

“Te lo dicevo io che i genitori in genere mi adorano” rispose Alfredo, sottolineando una cosa che Irene non gli aveva mai confermato ad alta voce, ma che corrispondeva alla verità. Gloria, in un certo senso, era per lei una figura materna. L’aveva capita, l’aveva aiutata, l’aveva spronata, non l’aveva mai giudicata. L’aveva aiutata a diventare una persona più matura e consapevole e grazie ai suoi insegnamenti adesso riusciva ad essere una capocommessa meritevole di fiducia. Poi Stefania per lei era praticamente una sorella, essendo entrambe figlie uniche, dunque questo faceva di Gloria una sorta di madre putativa. Ci teneva che entrambe apprezzassero Alfredo e fu piacevolmente sorpresa di vedere che quest’ultimo l’avesse intuito. Era evidentemente più perspicace di come lo dipingeva lei.

“E’ vero, hai conquistato mio padre, Gloria e Stefania. Direi che non manca più nessuno” gli concesse. Quelle tre persone, insieme a Maria e alla zia, erano quelle che le stavano più a cuore. Non aveva una famiglia numerosa come quella di Alfredo. Sua madre era morta anni prima, non aveva fratelli né sorelle e il rapporto con suo padre era burrascoso, nonostante Irene tenesse molto a lui. Il lavoro per Alfredo era semplice: aveva ben poche persone da convincere e aveva un carattere a cui era facile voler bene, al contrario suo.

“E te. Ho conquistato anche te, no?” chiese Alfredo prendendole la mano che Irene teneva sotto il cuscino.

Irene sorrise teneramente e poi annuì. “Ci è voluto un po’ ma… direi di sì” disse svincolando la mano dalla presa di Alfredo per sfiorargli le labbra con i polpastrelli.

“Ah, diresti? Non sei ancora convinta? Vuoi che mi lanci tra i carboni ardenti per dimostrarmi degno del tuo amore?” enfatizzò come suo solito, prendendo tra i denti le dita di Irene. 

Lei ridacchiò, mentre Alfredo le stampava dei baci sulle nocche. Ma avrebbe voluto dirgli che non aveva bisogno di lanciarsi da nessuna parte, le sarebbe bastato avere la dimostrazione che tra lui e Clara non ci fosse niente, le sarebbe bastato fidarsi di lui, per avere la certezza di avere davanti la persona giusta. Eppure non era così. Perché se Alfredo le avesse mentito, se avesse scoperto che aveva agito alle sue spalle, a maggior ragione con la sua coinquilina, avrebbe dimostrato di essere proprio la persona che Irene aveva sempre creduto.

“Non bisogna mai essere troppo sicuri. Bisogna sempre diffidare e vigilare, diceva mia nonna” gli rispose Irene. “E stai attento perché io prendo molto alla lettera i suoi insegnamenti” e il tono della sua voce portò Alfredo a irrigidirsi. 

“Hai diffidato di me per sette mesi, lo so bene” cercò di buttarla sul ridere. Non era una grossa bugia quella che le stava nascondendo. Non era successo niente tra lui e Clara. Per fortuna Irene gli aveva inconsapevolmente impedito di commettere l’errore più grande della sua vita. Perché Alfredo non voleva Clara, non era interessato a lei. Clara lo faceva solo sentire apprezzato, desiderato, benvoluto. E in quel momento di debolezza dopo la loro rottura, quando Irene non lo aveva fatto sentire abbastanza importante per lei, il modo in cui Clara lo aveva supportato e sostenuto lo aveva portato ad avvicinarsi alla persona sbagliata per i motivi sbagliati. Ma lui amava Irene, di questo era certo, non aveva mai avuto alcun dubbio. Se le aveva mentito era perché la conosceva bene e sapeva che non lo avrebbe perdonato facilmente se avesse saputo di quel suo attimo di debolezza. Era più facile nascondere la polvere sotto il tappeto, anziché affrontare una verità scomoda solo per una questione di principio. A cosa avrebbe portato, dopotutto? Cosa sarebbe cambiato se le avesse detto tutto? La verità in fondo Irene la sapeva già: lui amava lei. Il resto era solo un contorno. Non voleva rischiare di perderla per una sciocchezza che non contava nulla. 

“Beh, te lo sei meritato” ribatté prima di accoccolarsi contro il suo petto. Era bello poter stare abbracciati in quel modo. Vivere quell’intimità che a Milano non si sarebbero mai potuti permettere senza dare adito a voci di condominio. 

Si era sempre detta una persona indipendente, che aveva bisogno dei propri spazi e apprezzava il contatto fisico solo a dosi limitate. Ma adesso che sentiva così vicino l’odore della sua colonia e il battito del suo cuore contro il suo orecchio, le sue certezze iniziarono a vacillare. E quando Alfredo le posò un bacio tra i capelli, Irene si era già addormentata. Nella sicurezza e nel conforto di quell’abbraccio, anche il fuso orario e l’orologio biologico dovevano arrendersi all’evidenza e lasciarli tra le braccia di Morfeo.

 
  
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