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Autore: InvisibleWoman    08/09/2023    0 recensioni
Alfrene - Alfredo e Irene | Questa storia parte dal biglietto che Stefania ha regalato a Irene per raggiungerla in America. Segue il canon, ovvero Stefania vive lì con Federico. Si sono spostati a New York, anche se pare che nella soap siano a San Francisco, ma l'ho scoperto dopo (dettagli). Gloria vive lì con Ezio, ma siccome non mi piacciono i Colombi mi sono inventata un viaggio di lavoro per tenere lontano Ezio e non doverlo scrivere (sorry, not sorry). E Irene raggiunge Stefania in America accompagnata da Alfredo. Questa storia è successiva a "Se fossimo dei suoni sarebbero canzoni". Spero vi piaccia!
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quella mattina Irene non era stata la prima a svegliarsi. Quella camomilla aveva fatto miracolosamente effetto e si era ritrovata a dormire come un sasso per il resto della notte. Durante la quale si era mossa e spostata dall’abbraccio di Alfredo, o forse era stato lui a pretendere il suo spazio, dopo essersi trovato il braccio indolenzito fermo nella stessa posizione per qualche ora.

Di fatto Alfredo si era alzato e aveva lasciato Irene a dormire. Il giorno prima Stefania e Gloria avevano rivelato loro che sarebbero state impegnate entrambe al lavoro, quantomeno per la mattinata, e dunque era certo di non trovare nessuno in salotto quando sgusciò fuori dalla camera da letto. Vi trovò invece Gloria seduta sul divano con dei documenti davanti a sé, già vestita e pronta entro poco ad uscire dall’appartamento. Indossava un vestito amaranto e teneva i capelli raccolti in una coda alta. Aveva il volto accigliato e occupato a leggere un documento, ma quando si accorse della presenza di Alfredo il suo viso si illuminò in un sorriso.

“Alfredo, buongiorno” gli disse. “Il caffè è pronto in cucina e stamattina Stefania prima di andare al lavoro è andata a comprare delle ciambelle” lo informò. “Donuts, li chiamano qui.”

“Grazie, ma non dovevate. Io e Irene potevamo cavarcela per mezza giornata da soli.”

“Nessun problema. Stefania ha tutta l’intenzione di viziarvi il più possibile finché sarete qui. E devo dire che anch’io sono del suo stesso avviso.”

Alfredo ricambiò il sorriso gentile di Gloria. “Pensavo fosse già andata al lavoro pure lei. Cioè, tu” si ricordò poi.

“Oh, non preoccuparti. Ho quasi finito e poi mi toglierò dai piedi. Potrete stare da soli tu e Irene” commentò con un gesto della mano.

“Ma no, figurati. E’ casa vostra, siamo noi gli ospiti” aveva risposto Alfredo, che a dirla tutta non smaniava di rimanere da solo con Irene. Non dopo quello che aveva sentito la sera prima.

“Mi dispiace di non potervi portare in giro questa mattina, ma purtroppo, o per fortuna, il lavoro chiama. E con Ezio lontano al momento, devo per forza occuparmene io” si giustificò Gloria.

“Sono certo che Irene troverà qualcosa da fare” commentò lui con una smorfia che Gloria non perse occasione di notare. 

“Va tutto bene?” gli chiese, vedendolo un po’ abbattuto. Gli fece poi cenno di sedersi accanto a lei sul divano. Aveva ancora qualche minuto da dedicargli, prima di dover scappare nell’azienda di tessuti che lei ed Ezio avevano aperto lì in America. “Anche tu hai dormito poco?”

In effetti anche Alfredo aveva problemi col fuso orario, sebbene meno accentuati rispetto a Irene. Tendeva a svegliarsi più spesso durante la notte, ma quella volta non era stato il cambio di ora ad averlo tenuto più sveglio del normale. Irene non si era accorta di nulla, ma quando la sera prima si era alzata dal letto, si era svegliato a sua volta. L’aveva sentita sgusciare piano fuori dalla stanza e aveva notato il raggio di luce fugace che aveva fatto il suo ingresso quando Irene aveva aperto la porta per raggiungere la sua migliore amica. 

Era rimasto per qualche minuto a letto, convinto che Irene sarebbe presto tornata a dormire a avesse avuto un motivo in particolare per essersi alzata. Aveva cercato di riprendere sonno, senza successo. Poi non sapeva nemmeno perché l’avesse fatto, non si era fermato troppo a ragionarci. I suoi piedi lo avevano trascinato fino alla porta e l’aveva scostata leggermente, cercando di scrutare al di fuori. Aveva visto Irene seduta sul divano insieme a Stefania e aveva captato le loro voci. Non tutto era arrivato alle sue orecchie, gli mancavano pezzi di frasi, risposte a delle domande. Ma qualcosa aveva capito. Qualcosa che, per ovvi motivi, non gli aveva fatto piacere. 

Quando Irene aveva accettato di tornare insieme a lui e conoscere la sua famiglia, Alfredo aveva creduto che lei avesse messo totalmente da parte le proprie remore nei suoi confronti, specialmente quelle relative alla sua estrazione sociale. Si era convinto che Irene avesse capito cosa fosse realmente importante. Che lui fosse realmente importante, come lei stessa gli aveva confermato mesi addietro. Ma quelle mezze frasi e quei silenzi riportavano la loro storia al punto di partenza. Sembrava come un gioco dell’oca sfortunato, in cui il dado continuava a fargli fare passi indietro ogni volta che credeva di essere sempre più vicino alla meta. 

Si era rintanato sul letto quando si era reso conto che Irene lo stava per raggiungere e aveva fatto finta di niente. L’aveva sentita muoversi fino a raggiungere il suo braccio e spostarlo per trovare spazio sul suo petto. Aveva sentito le sue domande, i suoi respiri, il suo bacio prima di addormentarsi. E aveva fatto finta di niente. 

Alfredo era una persona estremamente paziente. Era difficile che arrivasse a sbottare contro qualcosa o qualcuno, specialmente qualcuno a cui teneva davvero. Era solito sopportare, cercare di mediare. E senza dubbio era abituato a fare il primo passo, specialmente con Irene. Ma era stanco di dover essere sempre lui a trovare del terreno comune. Chiederle spiegazioni o avvicinarsi in cerca di un confronto. Era stufo anche di rimanere in silenzio ed accettare passivamente ogni azione e  comportamento di Irene, subendoli senza fiatare. Dava cento e riceveva in cambio dieci. 

“C’entra forse Irene?” chiese allora Gloria, mettendogli una mano sul braccio. Alfredo le rispose con un gesto della testa e un sorriso mesto. “Devi avere pazienza con lei. Ha un carattere complicato, ma è capace di amore incondizionato, se gliene dai l’opportunità” gli disse. “Vedi con Stefania. E’ stata lei a sceglierla, proteggerla, farle da guida. Non c’è niente che non le perdonerebbe.” 

Alfredo soppesò quelle parole con un’aria malinconica. “Allora forse è qui il problema. Io ho scelto lei, ma lei non ha scelto me.” Irene aveva deciso immediatamente, istintivamente, di fidarsi di Stefania. Era stata una sua decisione, aveva visto qualcosa in lei, c’era stata una connessione immediata. Al contrario, era stato Alfredo a scegliere Irene. A corteggiarla insistentemente per mesi, andando contro ai continui rifiuti di lei. Irene non lo aveva scelto, forse l’aveva solo presa per sfinimento.

“Ma perché dici così?” reagì subito Gloria. “Non dire sciocchezze. Irene stravede per te. Anche se non sembra” gli sorrise. 

“Forse è così” minimizzò lui con un gesto della testa.

Gloria gli strinse il braccio in segno di supporto. “Fa solo più fatica a dimostrarlo. Ma io lo vedo. Stefania lo vede. Per notare le sue dimostrazioni bisogna solo prestare un po’ più di attenzione, i suoi gesti sono meno plateali, ma ci sono.” Aveva imparato a conoscerla, a notare quei piccoli gesti di premura che Irene aveva verso le persone a cui voleva bene, e Alfredo era uno di questi. Doveva solo imparare ad esternare ciò che provava, perché dopotutto a tutti faceva piacere sentirsi amati e apprezzati.

Alfredo annuì, poco convinto. “Non voglio disturbarla oltre… disturbarti, scusa” si affrettò nuovamente a correggersi. Probabilmente si sarebbe abituato a darle del tu solo prima della loro partenza per l’Italia. 

Gloria si rimise in piedi poi gli poggiò una mano sulla spalla. “Non crucciarti. Irene è complicata, ma è una brava ragazza e ti vuole bene. Ha bisogno solo di un po’ di tempo” gli disse, prima di uscire dall’appartamento e lasciarlo da solo coi suoi pensieri.

Eppure Alfredo di tempo a Irene ne aveva dato fin troppo. Aveva penato per sette lunghi mesi. Aveva accettato le sue bugie, era tornato sui suoi passi e l’aveva perdonata. L’unica colpa di cui si macchiava era quella di aver rischiato di buttare tutto al vento per un momento di debolezza con Clara. Ma potevano biasimarlo, visto come Irene lo aveva trattato? O almeno questo era ciò che diceva per convincersi di non essere nel torto. Dopotutto non aveva oltrepassato il punto di non ritorno. 

“Buongiorno” sentì la voce di Irene ridestarlo all’improvviso dai suoi pensieri.

“Non ti avevo sentita” ammise lui, mentre lei si chinava per posargli un bacio tra i capelli. Era in momenti di affetto come quelli che Alfredo metteva da parte tutti i suoi dubbi. Perché vedeva come Irene fosse diventata più espansiva, più desiderosa di cercare il contatto fisico con lui. E tutto questo entrava in collisione con le sue parole e alcuni dei suoi comportamenti. Dov’era la verità?

“Ciambelle!” disse lei con entusiasmo dopo aver trovato il tesoro nascosto da Stefania.

Alfredo sorrise. “Donuts” pronunciò lui con un accento migliore di quello di Irene.

“Che?”

“Gloria ha detto che qui le chiamano così” aggiunse mettendosi in piedi per raggiungerla in cucina, mentre Irene provava a dirlo a sua volta a ripetizione, come una bambina che scopriva una parola nuova e sentiva il bisogno di memorizzarla. Lui la guardò colmo d’amore e accennò un sorriso, dandole un bacio sulla punta del naso dove si era sporcata con lo zucchero a velo.

 

Avevano percorso le vie di New York abbracciati, quel giorno che le temperature si erano abbassate e permettevano loro di stare vicini senza provare fastidio. Alfredo le aveva circondato le spalle e Irene teneva tra le mani una mappa che la sua amica le aveva fatto trovare sul tavolo quella mattina. Aveva deciso di fare un giro a Central Park, sia per trovare ulteriore refrigerio, sia perché Stefania glielo aveva consigliato.

“Ha detto che c’è un lago enorme e si può fare un giro sulla barchetta” gli disse Irene. 

“E tu sai remare?” la prese in giro Alfredo, imboccando la strada per il parco. 

“Non l’ho mai fatto, ma sono sicura di riuscirci” commentò con una smorfia sicura.

“Ah, sì? Allora guidi tu?” la mise alla prova. Per un po’ i suoi pensieri erano stati allontanati dalle smancerie di Irene. Dopotutto non poteva tenerle il broncio tutto il giorno e un po’ la discussione con Gloria lo aveva rincuorato.

“Certo” rispose con convinzione.

Inutile dire che quando erano saliti sulla piccola barchetta di legno, dopo il pic nic fatto sul prato per pranzo, non era stata Irene a tenere le redini. Ci aveva provato, finendo per farli arenare in un angolo, incastrati tra dei massi in una zona in cui l’acqua era più bassa. Alfredo aveva così preso il comando, rivelandosi piuttosto capace a manovrare quel barchino.

La vista da lì era spettacolare, pensò Irene, chinandosi indietro per osservare il paesaggio. Lasciò cadere la testa all’indietro e chiuse gli occhi, beandosi del sole. Quanto era bella, pensò Alfredo.

Consapevole di quella gita al parco, aveva optato per dei pantaloni celesti e una camicetta bianca con dei pois. Teneva i capelli bloccati dietro le orecchie con un paio di forcine e aveva sfilato i tacchi prima di mettersi sul barchino, per timore di cadere o di rovesciarla. Adesso giacevano sul fondo della barca, mentre lei teneva le gambe lunghe verso di lui.

Alfredo lasciò andare un remo per un attimo e iniziò a solleticarle i piedi, portandola a divincolarsi.

“Smettila” esclamò a tratti divertita, a tratti spaventata dall’idea di finire a mollo. “Vuoi farci cadere?”

“Tanto sai nuotare, no?” scherzò lui, ricordando l’estate prima trascorsa al mare e quella gita alle terme.

“Lo sai” rispose lei dandogli un piccolo colpo sulla gamba con il piede. “Ma non ci tengo a nuotare nelle acque torbide di un laghetto, grazie. Quindi stai buono” gli intimò. E lo guardò in un modo che rischiava di fargli uscire il cuore dal petto. 

Si fermò in una zona più ombreggiata e si chinò per darle un bacio sulle labbra, facendo oscillare il piccolo barchino.

“Dio, quanto ti amo” si lasciò scappare d’istinto mentre le afferrava il viso con una mano. Si pentì immediatamente di quello slancio, perché sapeva che Irene non avrebbe ricambiato. Doveva avere pazienza, gli aveva detto Gloria. Ma lui di pazienza con lei ne aveva avuta fin troppa. Adesso non era il momento che anche lui ricevesse qualcosa da lei? 

Deglutì quando vide Irene sorridere e allungarsi a sua volta per ricambiare il bacio. Quella era la sua risposta ogni volta che Alfredo tirava fuori l’argomento. Pensava a zittirlo con un bacio. Ma non era più abbastanza. Non dopo quello che aveva sentito il giorno prima. Non dopo tutti quei mesi di attesa, di rifiuti, di prese in giro. 

“Ma tu mi ami o no, Irene?” la incalzò di petto, questa volta, senza darle la possibilità di tirarsene fuori. Erano letteralmente in mezzo al lago, nessuna via di uscita, né fisica né metaforica.

Lei lo guardò con aria imbarazzata, a tratti infastidita. L’aveva messa in una situazione scomoda, dove sapeva fosse ormai impossibile uscirne trionfante. Sia che l’avesse ammesso, sia il contrario, le cose non sarebbero andate come voleva lei. Non avrebbe ammesso i suoi sentimenti nel modo che avrebbe preferito. Ma glielo avrebbe tirato fuori con la forza, o si sarebbe trovata a dover mentire e negare, deludendolo ulteriormente. 

“Ma che domande sono” provò inutilmente a tirarsene fuori, sapeva che non sarebbe servito a niente, a quel punto. 

“Sono domande, Irene” fece lui. “Domande che mi frullano in testa da un po’. Domande per cui credo di meritare una risposta, non credi?”

“Perché fai così?” gli chiese spostando le gambe per mettersi seduta e avvicinarsi a lui. Gli prese le mani tra le sue. “Lo sai quello che c’è tra di noi. Lo sai quello che provo per te.”

“No, non lo so. O non te lo avrei chiesto” sbottò. “Ci sono momenti come questo in cui stiamo così bene insieme che mi sembra impossibile che tu non voglia davvero stare con me e sia capace di fingere così bene.”

“Non sto fingendo” gli disse delusa che lo avesse anche solo pensato.

“E momenti in cui, come ieri sera, mi sembra che ogni volta che facciamo un passo avanti, tu ci riporti di nuovo al punto di partenza. Quindi sì, te lo chiedo un’altra volta: mi ami o no? Vuoi davvero stare con me?” continuò diretto. Non le avrebbe permesso di liquidare la questione con un bacio o qualche moina. Aveva bisogno delle sue risposte.

“Certo che voglio stare con te” ammise, sviando il discorso sui sentimenti. Poi, come se si fosse resa conto solo in quel momento del significato delle sue parole, gli lasciò le mani e si tirò indietro. “Che vuol dire ieri sera? Cos’è successo ieri sera?” Non poteva riferirsi ancora alla questione del conto pagato da Federico, né a Rocco, di cui avevano ampiamente già discusso.

“Ti ho sentita, Irene” confessò. “Con Stefania. Ho sentito cosa vi siete dette. E lo so che non sono l’uomo che immaginavi di avere al tuo fianco. Ma pensavo che quella faccenda fosse superata, che avessi accettato di stare con me perché avevi capito che l’amore era più importante. Ma forse mi sono sbagliato. Forse non sarò mai abbastanza per te.”

“Mi hai spiata?” gli domandò arrabbiata. 

“Di tutto quello che ho detto questa è l’unica parte che ti interessa?” sbuffò, scuotendo la testa. Afferrò i remi e cercò di far ripartire il barchino. Prima tornavano a riva, prima poteva allontanarsi a lei. Al momento era talmente deluso che non riusciva nemmeno a guardarla in faccia. Cos’era, le faceva comodo che lui l’accompagnasse per quel viaggio, altrimenti non l’avrebbero lasciata partire da sola? Voleva qualcuno a cui aggrapparsi in caso di paura? Qualcuno stupido come lui da fare qualsiasi cosa lei volesse? Ma ora basta, era stanco.

“Cosa c’è tra te e Clara?” Il volto di Irene era duro, vendicativo. Se Alfredo la metteva in discussione in quel modo, dimostrando di non conoscerla affatto e di non capire quello che davvero provava per lui, allora avrebbe ribaltato le parti per mettere anche lui alla berlina.

Alfredo si fermò di colpo, sbiancando. “Cosa c’entra Clara, adesso?”

“Non sono stupida. La percepisco la tensione ogni volta che Clara entra nella stanza. Vedo come inizi a sudare freddo ogni volta che ti guarda, come cerchi di scappare ogni volta che è presente. Quindi, cosa c’è tra te e Clara? Giuro che se c’è stato qualcosa, tu in Italia non ci torni vivo” lo guardò accigliata, il volto contratto. 

“Non c’è stato niente tra me e Clara” rispose Alfredo a disagio. “Cosa vai a pensare. Comodo sviare l’argomento da te a me.”

“Alfredo” ribadì lei, sfilandogli uno dei remi dalle mani per impedirgli di proseguire verso le scale. 

“E’ stato un errore, ma…” iniziò lui, ma a quelle cinque parole Irene non ci vide già più. Si allungò per sfilargli anche l’altro remo e iniziò a sbatterli nell’acqua nel tentativo, maldestro, di portarli fuori da lì. Era stata una pessima, terribile idea. 

“Non è successo niente!” le ripeté, ma Irene non sembrava più ascoltarlo. “Avrebbe potuto ma non è successo. Io amo te, ma è chiaro che per te non è lo stesso.”

“Oh, non provare a dare la colpa a me, adesso” esclamò lei, che nonostante tutto sembrava essere miracolosamente riuscita a riportarli vicini all’uscita.

“Dammi” provò a riprendere lui il controllo, più che altro per la loro incolumità. Teneva lui stesso, tanto quanto lei, a tirarsi fuori da quella situazione ingestibile. 

Ma lei non sembrava intenzionata a lasciargli decidere un bel niente, di certo non la rotta che avrebbe preso la sua vita. Né la barca. Aveva già fatto abbastanza danni. Quando arrivarono finalmente a destinazione, Irene si rizzò subito in piedi. Trovò una mano pronta ad aiutarla, mentre con l’altra teneva i tacchi che avrebbe presto calzato ai piedi per allontanarsi ad ampie falcate. 

“Piano” le intimò Alfredo, mentre sentiva il barchino ondeggiare. Fu una questione di attimi, non si rese conto nemmeno di come fosse successo, troppo intento a guardare Irene che come una furia cercava di scappare da lì, che senza rendersene conto sentì questo ribaltarsi completamente e riversare lui in quel lago melmoso. 

Irene avvertì del rumore alle sue spalle e le lamentele di Alfredo mentre si ribaltava e finiva a mollo. 

“Alfredo” esclamò preoccupata, non vedendolo risalire immediatamente. Lo vide poi muovere il barchino e riemergere, completamente zuppo. L’uomo che prima aveva aiutato lei, adesso stava allungando una mano verso Alfredo, che lui accolse di buon grado, mentre Irene si copriva la bocca con le sue. 

“Alfredo, mi dispiace” disse passandogli le mani sul viso e tra i capelli. Alfredo notò l’apprensione di Irene prima, il dispiacere poi, e infine un piccolo accenno di sorriso divertito, mentre lui si sfilava le scarpe per lasciar fuoriuscire l’acqua. La camicia gli si era appiccicata contro il petto e aveva i capelli dritti lungo la fronte. Irene tirò fuori dalla borsetta un foulard e glielo passò tra i capelli, cercando di tamponarglieli, e poi sul viso. Non che servisse a molto.

“Un po’ te lo sei meritato” commentò, rischiando di poco il linciaggio. Alfredo la guardò torvo e in un altro momento avrebbe riso anche lui di quella situazione. Ma in mente aveva solo la discussione che avevano avuto poc'anzi e adesso voglia di ridere non ne aveva nemmeno un po’. 

 

Affrontarono il resto del tragitto in silenzio, ognuno preso dai propri pensieri e deciso a mantenere il punto. Aveva avuto ragione. Irene aveva sempre ragione. Queste cose se le sentiva. Non avrebbe potuto dirgli che lo amava, sapendo adesso che lui l’aveva presa in giro. Diceva che non era successo niente con Clara, ma doveva credergli? Le aveva mentito. Le aveva detto che tra di loro era stata tutta una messinscena per darle una lezione e metterla alla prova. Ma non era vero. Che fosse successo o meno qualcosa, il fatto che le avesse mentito diceva tutto. O non avrebbe sentito il bisogno di dirle una menzogna. Come poteva più fidarsi di lui? Aveva avuto ragione sin dall’inizio. Non avrebbe dovuto lasciare che lui la convincesse a darle una possibilità. Era solo un farfallone inaffidabile e lei una delle tante prede che, una volta conquistate, veniva messa da parte per dare spazio a quella successiva. Quanto era stata stupida, pensò, mentre varcavano la soglia dell’appartamento Colombo. 

“Spogliati” gli disse avvicinandosi a lui per aiutarlo a sbottonare la camicia che gli si stava asciugando addosso. “Hanno il pavimento in legno, lo stai bagnando tutto” si giustificò, sebbene una parte di sé era anche mossa dalla premura e dal senso di colpa perché in fondo era anche - solo - per colpa sua che era finito a mollo nel lago. Certo, se lui non l’avesse fatta arrabbiare, non sarebbe finito in quella situazione. Quindi forse, tutto sommato, era ancora colpa di Alfredo.

Lui si lasciò aiutare in silenzio finché, rimasto ormai in mutande, si rintanò in bagno per farsi la doccia. Dopotutto non era la prima volta che Irene lo vedeva in quelle condizioni. 

Alfredo sperava che sotto l’acqua corrente i suoi pensieri venissero lavati via. Immaginava di vederli scorrere giù per lo scarico e liberarlo da quel peso che sentiva sul petto. Aveva sbagliato, sapeva di essere nel torto. Così come sapeva che aveva mentito solo per paura di perderla. Non provava niente per Clara, era stato un errore. Ma dirlo a Irene significava rischiare di mettere tutto in discussione. E per cosa, in fondo? Non significava niente. Quello che aveva descritto prima Irene era solo nervosismo per il terrore di essere scoperto. Niente di più. E fosse stata un’altra situazione avrebbe cercato di spiegarle ciò che provava e prostrarsi ai suoi piedi per ottenere il suo perdono. Ma adesso anche lui era ferito dal comportamento di lei. Alfredo aveva sbagliato, e lo sapeva, ma anche lei era in torto con lui. Come facevano a trovare il modo di comunicare se entrambi restavano fermi nelle loro posizioni? Letteralmente.

 

Irene era seduta da un lato del divano a sfogliare una rivista e Alfredo su una delle poltrone con gli occhi chiusi e la testa poggiata su una mano, entrambi in silenzio. Così Gloria e Stefania li trovarono quel pomeriggio. Non si erano più rivolti la parola da quando Alfredo era uscito dalla doccia. La tensione era palpabile nell’aria. 

“Cos’è successo qui?” chiese Stefania a bassa voce a sua madre.

Entrambe si avvicinarono con fare circospetto, come davanti a un campo minato, bene attente a non farne saltare una. 

“Ti ho sentita” rispose subito Irene. “Ma sai, forse ti ha sentita pure Alfredo. D’altronde è abituato a origliare le discussioni altrui” gli lanciò una frecciatina, guardandolo con aria di sfida.

“Certo, perché è una colpa gravissima, hai ragione. Ho osato ascoltare una conversazione che, guarda caso, mi riguardava pure. Mi cospargo il capo di cenere!” rispose lui. “Almeno io non ho preso in giro nessuno.”

Irene rise sardonica. “Non hai preso in giro nessuno? Tra me e Clara, e tutte le ragazze che sono venute prima di noi, direi che la lista è lunga.”

Stefania e Gloria si guardarono, perplesse. Dovevano separarli, dovevano intervenire, dovevano lasciarli fare? Cosa diavolo era accaduto in quelle poche ore in cui li avevano lasciati da soli? Si sentivano come in uno di quei libri fantascientifici in cui il personaggio si risvegliava anni dopo e il mondo attorno a lui era cambiato drasticamente. Gloria li aveva visti quella mattina scambiarsi effusioni, eppure adesso le parole dubbiose di Alfredo iniziavano ad avere un senso. Si chiese che conversazione avesse sentito, per l’esattezza. E istintivamente si ritrovò a guardare Irene con l’aria di chi avrebbe voluto darle una sonora rimproverata. Era evidente ciò che provava per quel ragazzo e in quei giorni entrambe avevano imparato a conoscerlo meglio e apprezzarlo. Si erano rese conto di quanto anche lui stravedesse per lei. Allora perché Irene continuava ad autosabotarsi?

“Ragazzi” Stefania provò piano a intervenire. “Mi volete dire cos’è successo?”

“Niente” risposero all’unisono, mentre Irene scattò in piedi, pronta a uscire di casa insieme alle due, come le avevano promesso la sera prima. Stefania le aveva detto che dopo il lavoro sarebbero andate a fare delle compere e che le avrebbero regalato un abito, dato che non avevano fatto in tempo a vedersi per il suo compleanno passato da un paio di mesi soltanto. In quel momento a Irene importava poco dell’abito, quanto più di uscire da quell’appartamento e poter stare lontana da Alfredo, di cui stentava a sopportare persino la presenza.

“Federico verrà a prenderti tra poco” gli disse Stefania. Avevano coinvolto il suo fidanzato per tenere impegnato quello di Irene. Era sembrato poco carino lasciarlo da solo in casa, così Federico le aveva promesso che gli avrebbe fatto fare un giro e magari fatto provare l’esperienza di un pub americano, o qualcosa del genere. 

 

Dopo essersi date una rinfrescata a turno, per evitare di lasciarli soli e che tra Irene e Alfredo accadesse l’irreparabile, le tre donne erano uscite dall’appartamento per recarsi in un elegante atelier. Irene doveva ammettere che era parecchio più bello del suo Paradiso, sebbene quest’ultimo le mancasse più di quanto immaginasse. Iniziò a scorrere tra i capi, un po’ per interesse personale, d’altronde era la nuova capocommessa, doveva essere informata sulle ultime tendenze in fatto di moda. E un po’ perché sapeva che Maria le avrebbe fatto il terzo grado su tessuti, tagli, fantasie, accessori, scarpe, insomma, tutto. Così prendeva un capo per volta tra le mani e se lo squadrava per bene. 

Ne aveva scelti un paio che sulla gruccia sembravano interessanti e Stefania e Gloria avevano fatto altrettanto.

“Allora?” chiese uscendo dal camerino con un vestito color porpora. Entrambe la guardarono con aria poco convinta. “Non vi piace?” A Irene piaceva abbastanza quel modello meno svasato, che le segnava con più precisione la vita e le forme. Ma non era certa che quello fosse un colore adatto a lei. 

“Su di te stanno meglio i colori pastello” commentò Gloria, per l’appunto.

“E’ vero” la seguì a ruota Stefania, alzandosi subito per mettersi alla ricerca di qualche altro vestito. C’erano un paio di commesse lì dentro, ma era un atelier, non un grande magazzino come il Paradiso. Stefania aveva detto loro che preferivano occuparsene da sole e una delle due donne era rimasta in disparte ad aiutare altre clienti, mentre la seconda era ferma in cassa e le guardava da lontano come un avvoltoio.

Irene si specchiò qualche altro istante, poi si allontanò a sua volta, seguita da Gloria, verso una rella dove erano posizionati altri abiti. 

“Hai proprio l’occhio critico e interessato di una vera e propria capocommessa” le disse sfiorandole il braccio, per poi afferrare un vestito verde acqua e avvicinarlo a lei per provarlo. Sì, quel colore poteva andare bene, pensò, mentre lo appoggiava sul braccio.

“L’ho anche promesso a Maria” rispose Irene con un sorriso appena accennato. “Adesso che deve occuparsi lei dell’intera collezione, chi la sopporta più. E’ diventata ingestibile” roteò gli occhi al cielo. 

“E’ comprensibile, però, no?” Gloria provò a introdurre l’argomento. Data la reazione di Alfredo di quella mattina e le paure di Irene, l’istinto la portò a credere che fosse proprio quest’ultima la causa di quel litigio. “Si sta mettendo alla prova in qualcosa di completamente nuovo per lei. Ci sta avere paura.”

Irene si voltò a guardarla per qualche istante ed ebbe la sensazione che la vecchia capocommessa non stesse parlando di Maria. Perché davano sempre tutti per scontato che la colpa fosse la sua? Non era stata lei a mentirgli per mesi, avvicinandosi a un’altra persona. Adesso tutte le difese di Clara, il modo in cui lo guardava, tutto era diventato più chiaro e aveva acquisito un senso. Come aveva potuto non notarlo? L’amore l’aveva resa così stupida?

Prese un altro vestito dalla rella, stavolta per se stessa e lo osservò qualche istante, prima di tornare ai divanetti. Lo andò ad appendere in camerino e Gloria fece lo stesso col suo. Poté vedere Stefania dall’altro lato del negozio ancora intenta a scegliere la sua proposta. 

“Vuoi parlarmene?” le chiese Gloria, tornando a prendere il proprio posto sul divano rosso dell’atelier.

Irene si strinse nelle spalle e si andò a mettere accanto a lei, dove prima era seduta Stefania.

“Stamattina Alfredo era un po’ abbattuto. Abbiamo chiacchierato un po’” le rivelò Gloria.

“Ti ha detto che ha origliato la nostra conversazione?” sbottò irata.

“No” cercò di placarla. “Ma che aveva dei dubbi sul tuo… trasporto nei suoi confronti. Cos’è che vi siete dette tu e Stefania?” domandò curiosa, ma con un vago tono di rimprovero.

“Ma niente, ho solo detto che non è… non è la persona che ho sempre immaginato al mio fianco” confessò infine, abbassando lo sguardo.

“E lo chiami niente?” la guardò accigliata. “Che cos’ha che non va? Ti vuole molto bene, Irene. E tu ne vuoi a lui, lo vedo, anche se lui non ne è convinto.”

“Certo che gli voglio bene” esclamò di getto. “Ma… quando immaginavo il mio futuro, lo pensavo molto diverso, tutto qua.”

“E come lo immaginavi?”

“Non voglio finire a fare la casalinga per un uomo che lavora tutto il giorno, lasciandomi da sola a crescere tre o quattro marmocchi in una casa di ringhiera” le spiegò con aria contrita.

“E pensi che sia questo che accadrà se sposerai Alfredo?”

“E’ ovvio! Cos’altro dovrebbe fare una donna alla mia età? Al massimo finirò come Paola a ritagliarmi dello spazio per lavorare, per poi fare a casa il doppio del lavoro tutto a fine serata.”

“Irene, il tuo futuro non è scritto. Tu e Alfredo lo scriverete insieme. Parlagli, digli cosa vuoi, quali sono le tue paure. O quel ragazzo inizierà a dare delle risposte sbagliate alle sue domande” disse Gloria prendendo la mano di Irene. 

Quest’ultima sorrise. “Stefania ha detto la stessa cosa ieri sera.”

Il volto di Gloria si illuminò a sua volta. “Beh, è pur sempre mia figlia” ammise fiera. E davanti a quel naturale moto d’orgoglio, Irene si rabbuiò. Lei una madre non ce l’aveva più, e l’aveva vista spegnersi troppo presto, piena di rimpianti e di aspettative per il suo futuro, accanto a un uomo che non la rendeva felice. Non voleva, non poteva, finire come lei. Tuttavia, si chiese se sarebbe stata fiera di lei e della donna che era diventata, così come Gloria lo era di Stefania.

“Che succede adesso?” indagò Gloria, dandole un piccolo colpetto di spalla. 

“Mia madre voleva viaggiare, era una donna indipendente. Era bella, fiera” disse Irene illuminandosi. Trovava sempre così semplice confidarsi con Gloria. Era come se riuscisse ogni volta a trovare il momento giusto e le chiavi corrette per aprire quel suo cuore protetto da grosse muraglia di cemento.

“Come te” sottolineò la donna.

“Lei era molto meglio di me. Le volevano bene tutti. Ma il mondo non è fatto per donne sole. Ha sposato mio padre, ma non era felice. E’ morta piena di rimpianti per tutto ciò che avrebbe voluto fare, ma non ha fatto. Era una madre, una moglie, il suo dovere era nei confronti della sua famiglia. E poi…” 

“Poi non ha avuto il tempo” annuì Gloria.

“Io non voglio finire come lei. Non voglio vivere di rimpianti.”

“Sei innamorata di Alfredo?” le domandò di getto, spiazzandola. 

Irene scosse la testa in assenso. 

“E allora non sarebbe un rimpianto anche lasciarlo andare?”

In effetti lo era. Non ci aveva pensato.

“Il matrimonio non è sempre una prigione o una gabbia, se sposi la persona giusta” le disse Gloria. “Forse avresti potuto trovare un uomo con cui vivere una vita agiata, ma non saresti stata padrona di quei soldi o della tua vita. Vedi Matilde Di Sant’Erasmo. Ne ho viste troppe di donne spegnersi in matrimoni con uomini di potere” aggiunse stringendole la mano che teneva già nella sua. “Alfredo non potrà darti la vita che immaginavi, ma forse ti darà la libertà che tanto cerchi.”

Irene sospirò profondamente e annuì. Forse aveva ragione. Alfredo la amava, non le aveva mai imposto nulla, anzi aveva sempre fatto di tutto per renderla felice, persino andando contro ai suoi bisogni e alle sue esigenze, pur di soddisfare lei. Non aveva mai ricevuto un tale livello di attenzioni, non era mai stata messa al centro della vita di qualcun altro. E forse era proprio questo a spaventarla. Perché per la prima volta nella sua vita era felice e si ritrovava ad avere esattamente quello che cercava e non era in grado di gestirlo. Come se tutta quella felicità non spettasse a lei, come se fosse talmente tanta da destabilizzarla. 

Eppure quello che Alfredo le aveva confessato oggi le dimostrava di avere avuto ragione. Forse davvero tutta quella felicità non spettava a lei. 

“Se fosse come dici, se davvero è preoccupato che io non ricambi i suoi sentimenti, perché si è avvicinato a Clara?” chiese Irene con rabbia.

“Ha fatto cosa?!” esclamò Stefania spalancando la bocca. Aveva tra le braccia almeno tre o quattro vestiti e davanti a quell’informazione li lasciò cadere tutti su una delle poltrone e si avvicinò alle due, sedendosi sul tavolino da caffè davanti a Irene. Poteva sentire già lo sguardo contrariato di una delle due commesse dell’atelier per il loro comportamento, ma in quel momento a Stefania non importava. Interessava solo della sua amica e di cosa le aveva fatto quel farabutto! Non ci avrebbe messo niente a buttarlo fuori di casa, qualora le allusioni di Irene si fossero rivelate reali. 

“Non avrai esagerato?” disse sua madre indicando con lo sguardo la mole di vestiti che era andata a raccattare. 

“Non sono mai troppi” scosse la testa lei. “Quindi?” chiese poi a Irene.

“Prima di farlo finire a mollo nel lago…” iniziò lei, e allora entrambe le puntarono uno sguardo sconcertato.

“Quello di Central Park?” strabuzzò gli occhi Gloria.

“Caspita” esclamò Stefania. “Gli è già spuntata una seconda testa?”

“Stefania” la riprese sua madre.

Irene le osservò preoccupata per un brevissimo istante, prima di ricordare il motivo per cui la barca si era ribaltata e tornare dunque alla sua espressione contrariata. 

“Non lo so, e un po’ se lo è meritato” ribadì con sicurezza. “Avevo da tempo dei sospetti, l’ho messo in situazioni in cui potevo osservarlo con Clara. E oggi me li ha confermati. Stavano per baciarsi” rivelò infine, lasciando madre e figlia interdette.

“Quel farabutto!” esclamò Stefania.

“Piano, con calma. Deve esserci una spiegazione” cercò di placarle Gloria.

“Quale spiegazione può esserci per avermi tradita?”

“Beh, non ti ha proprio tradita” puntualizzò Stefania.

“Il fatto che ci abbia anche solo pensato e sia stato molto vicino a farlo per me è già un tradimento!” sbottò furiosa.

“In effetti” commentò l’amica.

“Dice che è grato che io l’abbia inconsapevolmente fermato, perché sarebbe stato un errore, dato che è innamorato di me” continuò Irene con poca convinzione.

“Ma stavate già insieme quando è successo?” domandò Gloria, cercando di fare chiarezza sulla situazione.

“No, mi aveva lasciata.”

“Vi siete lasciati?” chiese Stefania che non era al corrente di quella breve inversione di rotta. “Perché?”

“Perché…” tentennò Irene. Sapeva che quella confessione avrebbe ribaltato la situazione e posto lei sul banco degli imputati. “Perché gli ho mentito” si decise a vuotare il sacco.

Stefania poggiò le mani sulle ginocchia di Irene e poi lasciò cadere la testa sulle sue gambe, sconsolata. Gloria le rivolse un’occhiataccia di rimprovero. 

“E perché gli hai mentito?” le chiese quest’ultima.

“Eh… perché, perché, quante domande. Parlava già di matrimonio, di data da fissare, voleva che incontrassi la sua famiglia. E sono in tanti. Davvero tanti. Non me la sono sentita” aggrottò le sopracciglia.

“Irene” iniziò Gloria col tono materno di quando si cerca di spiegare a un bambino di tre anni perché mangiare la terra sia sbagliato. “E pensi che se gliene avessi parlato lui non lo avrebbe capito? Che bisogno c’era di dirgli una bugia?”

Irene rimase per qualche istante in silenzio, incapace di trovare una risposta che galleggiasse in superficie. Dovette scavare a fondo dentro se stessa per capire quali fossero i reali motivi che l’avevano spinta ad autosabotarsi.

“Non volevo deluderlo” iniziò, sebbene non fosse l’unica motivazione. “E non volevo che pensasse che non volessi fare sul serio. Perché lo volevo, è solo che… ho bisogno dei miei tempi. E se gli avessi detto che non me la sentivo, dopo averlo fatto penare per mesi, avevo paura…”

“Di perderlo?” chiese Stefania in brodo di giuggiole per quella confessione a cuore aperto. La sua migliore amica era veramente innamorata persa, come non l’aveva mai vista.

“Quindi è possibile che lui, scoprendo la verità, si sia sentito preso in giro e abbia pensato esattamente quello che tu volevi evitare che pensasse” riassunse Gloria. 

Irene annuì.

“Ed è possibile quindi si sia sentito lusingato dalle attenzioni di Clara, essendo stato privato delle tue, e quindi abbia scambiato il suo affetto per altro?” continuò Stefania, guardando la madre mentre facevano collegamenti tra le loro deduzioni, come se fossero due poliziotte intente a risolvere un crimine efferato.

“Insomma, quindi, gira e rigira, è sempre colpa mia” Irene si abbandonò allo schienale del divano.

Pretty much” rispose Stefania in inglese, causando un breve risolino da parte della madre, mentre Irene la guardava come se avesse appena detto una frase in aramaico antico. 

“Non vi è permesso prendermi in giro in una lingua che non conosco” le guardò male.

“Hai ragione, hai ragione. Non si fa, Stefania” la riprese Gloria. 

“Quindi dovrei perdonarlo?” chiese allora Irene, ancora abbattuta.

“Bisogna vedere se lui perdona te” scherzò Stefania.

“Non ti è permesso prendermi in giro nemmeno in una lingua che conosco!” sbuffò, facendo ridere Stefania che si lanciò sedendosi sulle sue gambe per abbracciarla. 

“Secondo me dovete parlare. Dirvi quello che provate, mettere le carte in tavola. E da lì ripartire” concluse Gloria. “E se poi il problema fossero i soldi, Irene, sai che noi saremo sempre qui ad accogliere te e Alfredo a braccia aperte e soddisfare la tua voglia di avventura. L’America è così grande, ci sono tantissimi posti da visitare” le sorrise e poi allungò una mano per farle una carezza sulla guancia. “Anzi, sai cosa facciamo? Prima di partire prendiamo già due biglietti a vostro nome, senza data, così saprai che la prossima volta che avrai voglia di staccare dalla solita vita, sarai libera di farlo senza pensieri.”

“Non posso accettare” Irene scosse la testa.

“Certo che puoi. Anzi devi, o mi offendo” Gloria la guardò torva.

“E tu non vuoi che mamma si offenda, vero?” Stefania la seguì a ruota, con aria divertita. A quel punto Irene sorrise e annuì, mentre Stefania si buttava di nuovo su di lei per stringerla, e Gloria si unì a quell’abbraccio collettivo che sapeva di futuro e di speranza. Perché forse Irene non aveva una famiglia numerosa, non aveva più una madre pronta a consolarla e non aveva mai avuto fratelli o sorelle, ma quelle due erano la famiglia che si era scelta. E loro, per qualche assurdo e strano motivo, avevano scelto lei. E nonostante tutto, anche dall’altra parte del mondo, le dava una certa consolazione sapere che avrebbe sempre avuto qualcuno su cui contare e delle braccia nelle quali rifugiarsi.

 

Il momento poetico era stato sgarbatamente interrotto da una delle commesse che era accorsa per lamentarsi di come stessero trattando i loro capi e il loro arredamento. Dopotutto Irene indossava ancora l’abito porpora che aveva provato e Stefania era seduta sopra di lei, stropicciandoglielo. Non potevano darle torto, dovevano ammetterlo. Così da quel momento in poi si erano comportate da clienti modello, e alla fine Irene aveva optato proprio per il vestito verde acqua con dei piccoli fiori rosa ricamati che le aveva suggerito Gloria. 

Non aveva ancora capito dove stessero andando. Sapeva solo che d’un tratto Stefania si era allontanata per cercare il telefono del negozio e pretendere che le facessero fare una telefonata. Per fortuna Federico era già tornato a casa sua con Alfredo.

“Cambio di programma” iniziò, raccontandogli cosa avesse in mente e lo pregò di aiutarla a organizzare tutto.

“Non ricevo abbastanza baci per tutto questo” rispose Federico dall’altro capo del telefono.

“Quando avrai fatto ti ripagherò di tutti gli sforzi” Stefania aveva roteato gli occhi al cielo divertita. 

E così alla fine sia Alfredo che Irene erano finiti dritti nella loro trappola. Avevano comprato il vestito per Irene e l’avevano convinta a tenerlo perché sarebbero andati tutti quanti a cena fuori. Non che Irene fosse particolarmente convinta, vista la conclusione della serata precedente e soprattutto la situazione in cui si trovava lei con Alfredo. Ma avevano talmente insistito che non se l’era sentita di dire di no. Anche se una parte di lei dubitava dei loro progetti. Il suo sesto senso le diceva che c’era qualcosa che non le stavano dicendo. E infatti quando il taxi la lasciò davanti a un edificio e solo Stefania uscì dall’abitacolo, le guardò con aria poco convinta.

“Sali” le intimò Stefania, neanche fosse la carnefice autrice di un sequestro. Beh, più o meno.

Irene alzò un sopracciglio, ma non fece in tempo a protestare perché Stefania la prese per mano e la trascinò su. Sul pianerottolo c’erano già Federico e Alfredo. Quest’ultimo portava una camicia azzurro cielo che non gli aveva mai visto prima, come sempre arrotolata sui gomiti, e dei pantaloni beige. I capelli erano meno impomatati del solito e i riccioli si sentivano liberi di mostrarsi al mondo. 

Quando le vide arrivare dapprima gli si mozzò il fiato davanti alla vista di Irene, poi guardò perplesso sia Stefania che Federico. Irene gli sembrò meno ostile di come l’aveva lasciata. 

“Che ci facciamo qui?” chiese comunque lei con aria contrariata, ma incuriosita.

“Questo è l’appartamento di Federico. Voi dovete parlare, quindi parlate” disse spalancando la porta di casa per spingerli dentro. “Non uscirete di qui finché non avrete chiarito!” li informò con aria seria, richiudendo di colpo la porta, senza nemmeno dare loro il tempo di protestare o capire cosa stesse succedendo. Poi infilò la chiave nella toppa e diede due mandate.

“Addirittura” commentò Federico.

“Almeno così non possono scappare” rispose lei, come se fosse la cosa più normale del mondo.

“E se dovessero avere bisogno di scappare?”

“Nah” ribatté lei con una smorfia, incamminandosi verso l’uscita. Poi però tornò indietro sui suoi passi.

“Ah, ovviamente fateci sapere quando avrete finito. Sul mobile in salotto c’è un telefono, da qualche parte ci sarà il numero di casa mia” gli urlò davanti alla porta, senza però aprirla. I vicini di Federico dovevano pensare fossero impazziti, pur non capendo nemmeno una parola di quello che stavano dicendo. “Non chiamate se prima non avrete parlato!” ripeté un’ultima volta.

“E per piacere, non distruggete niente” li pregò Federico, davanti a una divertita Stefania che lo trascinava fuori di lì e due attoniti Alfredo e Irene che fissavano la porta chiusa con aria stralunata.

“Stefania!” urlò Irene dando dei colpi alla porta, sentendo però i passi della sua amica che si allontanavano dal corridoio. Era completamente impazzita?

“Non è normale” si lasciò scappare, mentre Alfredo si appoggiava alla parete senza sapere cosa dire o fare.

Irene fece qualche passo per oltrepassare l’ingresso e si ritrovò in un appartamento adatto a uno scapolo o al massimo una coppia. Dopo un piccolo ingresso c’era un salone abbastanza ampio con un divano e una poltrona. Davanti a tre finestre strette e lunghe era posto un tavolo quadrato per due persone. Irene immaginò che a sinistra si trovassero le altre stanze, ovvero una piccola cucina, una camera da letto e un bagno. Le pareti del salotto erano adornate da numerosi scaffali che contenevano altrettanti numerosi libri. 

Irene si avvicinò alla finestra e fece in tempo a vedere Federico e Stefania correre dritti verso la Ford di lui tra una risata e l’altra. Risate fatte a sue spese, pensò Irene sbuffando. Notò poi che sul tavolino c’erano già apparecchiati due piatti e al centro una candela già accesa. Un’altra era posta sul tavolino da caffè di fronte al divano. Avevano pensato proprio a tutto, sorrise. 

“Presumo quindi che l’unico modo per uscire da qui sia fare quello che ha chiesto Stefania” iniziò Alfredo, avvicinandosi a lei. “Sei bellissima, comunque.” Osservò per qualche istante il suo vestito nuovo, ma perlopiù si concentrò su di lei, e sui suoi occhi dello stesso colore del vestito.

“Grazie” rispose lei. “Tu non hai ancora… due teste” aggiunse poi, senza pensarci. 

“Cosa?” chiese Alfredo aggrottando le sopracciglia. 

“Niente” sorrise. “Stai bene anche tu.”

Alfredo annuì, poi le fece cenno di andarsi a sedere al tavolo. Le scostò la sedia, come un vero gentiluomo e poi si mise a sedere a sua volta. Rimasero per un po’ in silenzio mentre cenavano da soli. Niente musica, solo il rumore delle macchine che passavano davanti alle finestre che davano dritte sulla strada. Un po’ a disagio, Irene iniziò a bere dal bicchiere di vino bianco con cui accompagnavano la cena. 

“Federico mi ha portato a bere qualcosa con dei suoi amici americani” provò a raccontare lui. Era stato perlopiù in silenzio ad annuire imbarazzato, dato che la maggior parte della conversazione era avvenuta in inglese. Federico ogni tanto si fermava a tradurre o lo invitava a prendere parte al discorso spiegando ai suoi amici quello che stava dicendo. Non la serata migliore della sua vita, doveva ammetterlo.

“Hai capito qualcosa di quello che dicevano?” chiese per l’appunto Irene.

“No, ovvio che no” ribatté con una breve risata. “E tu ti sei divertita?” 

Irene lasciò la forchetta a mezz’aria e poi iniziò a torturarsi la guancia dall’interno. “Abbastanza” cominciò. “Abbiamo anche parlato un po’.”

“Ah, bene, bene” rispose lui. “Di quell’imbroglione del tuo fidanzato che origlia le vostre conversazioni?”

“Anche” ribatté Irene con una smorfia. Che lei avesse la sua parte di colpe non rendeva lui totalmente innocente. Aveva ben poco da scherzare.

“E che…” cercò di tirare fuori quello che quasi mai le riusciva: scusarsi. Irene non era mai stata brava ad ammettere i propri errori, a differenza di Alfredo. Lui, pur di accontentarla e dargliela vinta, a volte ammetteva persino colpe non proprie. Mentre per Irene tirare fuori i propri sentimenti non era mai stato affare semplice. Specialmente in quel caso che di cose importanti da dire ne aveva parecchie. Non sapeva se sarebbe riuscita a trovare il coraggio di farlo. 

“E che?” provò a darle una spinta. 

“Potrei avere anche io… parte della colpa di questa situazione” concluse di tutta fretta, distogliendo poi lo sguardo.

“Ah” esclamò lui con sorpresa. “Questo sì che è un colpo di scena.”

“Ho detto parte, eh. Non fare il gradasso” si premurò di precisare immediatamente, prima che Alfredo si gonfiasse come un tacchino. “Tu hai ancora da spiegarmi quello che è successo con Clara.”

Il sorriso di Alfredo si spense, ma poi prese un profondo respiro e annuì. “Va bene, va bene. Ma sostanzialmente non c’è niente in più rispetto a quello che ti ho già detto stamattina.”

“Vi stavate per baciare quel giorno che vi ho interrotti, vero?” domandò Irene, ma sapeva già la risposta. Aveva avvertito delle sensazioni strane nell’aria. Il modo in cui i due si fossero trovati d’un tratto totalmente a disagio. Le gote arrossate di Clara. 

“Sì” ammise lui. Tanto valeva ormai essere sinceri. “Ma sarebbe stato un errore, Irene. Non sarebbe stato giusto nei confronti di Clara, l’avrei solo illusa. E nei confronti tuoi, soprattutto.”

“Lo sapevo” scosse la testa lei, pentendosi immediatamente di avergli concesso la soddisfazione di ammettere di avere avuto torto a sua volta. 

“Aspetta” Alfredo cercò di placare la sua fantasia mettendo una mano sulla sua. “Io voglio stare con te, Irene. Ho sempre voluto stare solo con te. E’ che…” Irene lo guardò con aria di sfida, spingendolo a dire tutta la verità e smetterla con le prese in giro. “Quando hai detto che non volevi conoscere la mia famiglia ho pensato che alla fine ti vergognassi davvero ancora di me. Che la nostra storia fosse solo un passatempo.”

“Io ho dovuto farlo perché stavi correndo troppo!” gli ringhiò lei. Come poteva pensare che una come Irene Cipriani fosse pronta al grande passo e a conoscere l’intero albero genealogico di una persona con la quale aveva solo da poche settimane iniziato una relazione? Aveva creduto che Alfredo la conoscesse ben più di quanto aveva invece dimostrato. “Non mi conosci affatto.”

“Hai ragione, ho corso troppo. Ma non è vero, io ti conosco, Irene. E ora col senno di poi so che ho sbagliato. Mi sono fatto prendere dall’entusiasmo. Dopo tanti mesi di corteggiamento, di rifiuti, di insulti, di prese in giro, non vedevo l’ora di dire a tutti che stavamo finalmente insieme” ammise lui.

“Così mi fai sembrare un mostro” sbottò lei. E’ vero che lo aveva trattato male per mesi, ma aveva avuto i suoi buoni motivi. Alfredo l’aveva presa in giro a sua volta, corteggiandola per poi sparire dalla faccia della terra. Lo aveva immaginato in giro a lottare per la prossima conquista. Dopotutto era partito da Maria, prima di arrivare a lei. E adesso sembrava puntare a Clara. Potevano biasimarla se non riusciva a fidarsi di lui? Se aveva fatto tutto quello che era in suo potere per metterlo alla prova e tenerlo a distanza? 

“Non sei un mostro, Irene” rispose lui con tenerezza. “Ma capisci che anche io ho bisogno di certezze, di sicurezze, di sapere che dall’altra parte c’è una persona che mi vuole bene, che mi stima.”

“E Clara non ti fa mancare niente di tutto questo” replicò lei sardonica.

“E’ vero” rispose lui onestamente. “Ma io non voglio Clara. E se l’avessi baciata me ne sarei pentito.”

“Eri talmente pentito che mi hai, anzi mi avete, ricoperto di bugie per mesi” si alzò. Le era passata la fame. 

“No, Irene” la seguì prendendole una mano. “Ho mentito non perché provassi qualcosa per lei. Ma perché temevo di… temevo di perderti” sospirò. “Avevo paura che avresti reagito proprio così. Che avresti pensato di avere sempre avuto ragione su di me, che facevi bene a non fidarti e…”

“E infatti facevo bene!” sbottò lei, liberando la mano dalla sua presa.

“Lo pensi davvero?” le chiese guardandola con quegli occhi talmente sinceri e talmente bisognosi di conferme che non riuscì a ferirlo.

“Non lo so” disse allora, sedendosi sul divano.

“Irene, credo sia il momento di essere onesti l’uno con l’altra” si sedette accanto a lei. “Basta girarci intorno, basta bugie, basta sotterfugi. Cosa provi per me?”

“Io…” provò a dire, colta alla sprovvista da quell’improvvisa schiettezza, ma le parole le morirono in gola. Era estremamente complicato per Irene ammettere ad alta voce i propri sentimenti. La salivazione si azzerava, la respirazione si faceva più veloce e sentiva una morsa stringersi attorno al suo collo. Perché doveva essere così difficile?

“Mi ami?” Alfredo cercò di facilitarla, notando la sua evidente difficoltà. Almeno così, che fosse una risposta in positivo o in negativo, non avrebbe dovuto articolarla. Si trattava di pronunciare due semplici sillabe.

“Sì” ammise infine, guardando in basso perché non riusciva a reggere il suo sguardo. Si sentiva nuda. 

“E perché non me lo hai mai detto? Sarebbero bastate due semplici parole: ‘anch’io’, non mi sembra chissà quale sforzo, no?” chiese Alfredo prendendole con due dita il mento per sollevarglielo. 

“Perché… avevo dei sospetti su Clara e non volevo rendermi stupida” perché è così che Irene si sarebbe sentita se gli avesse confessato di amarlo e poi avesse scoperto solo in seguito del suo momento di debolezza con Clara. Non si sarebbe perdonata di aver ceduto così facilmente ai sentimenti, di essersi fidata tanto di un uomo da permettergli di ferirla, di non aver capito prima, lei che era solitamente così scaltra e sveglia. 

Alfredo annuì. Questo poteva comprenderlo. Ma iniziò a domandarsi perché, allora, non gli avesse posto la domanda diretta molto tempo prima. Perché aveva aspettato di arrivare dall’altro capo del mondo?

“E se te lo avessi chiesto mi avresti detto che mi stavo immaginando tutto” aggiunse dando una risposta concreta alle domande di Alfredo. Non aveva tutti i torti. Alfredo doveva ammettere che non sarebbe stato sincero con lei, se la situazione fosse stata differente.  Avrebbe avuto troppa paura di perderla, per rischiare tutto per un semplice abbaglio trascurabile. Ma doveva ammettere anche che ora che la questione era venuta a galla, si sentiva molto più leggero, come se quel peso gli fosse stato tolto dal petto. 

“Quindi… vuoi un futuro con me?” le chiese dopo qualche istante di silenzio, prendendole una mano e iniziando a giocherellare con le sue dita affusolate. 

“Forse” ammise con aria distaccata. “Un giorno” si affrettò a sottolineare per placarlo, in caso si stesse facendo venire in mente strane idee.

“Un giorno” ripeté lui annuendo con convinzione. 

“Visto che dobbiamo essere sinceri… Alfredo, io non sono come le altre” si appoggiò allo schienale del divano. “Non voglio sposarmi a breve. Non voglio riempirmi di marmocchi. Non voglio smettere di lavorare. Non voglio vivere un’esistenza noiosa e abitudinaria. Se è questo ciò che vuoi tu, è meglio dirselo subito” confessò. Immaginava che potesse essere quello il futuro che Alfredo immaginava per sé, specialmente dato che proveniva da una famiglia tanto numerosa. Era abituato a vivere circondato da gente. Non come Irene che aveva solo i suoi genitori. I cugini li vedeva, certo, ma non erano tanti come quelli di Alfredo e si incontravano perlopiù alle feste comandate. La maggior parte del tempo Irene era sola.

Alfredo le sorrise e la tirò a sé, circondandole le spalle con un braccio. “Se fossi come le altre non mi piaceresti, Irene” l’aveva già detto una volta anche a Vito. A lui le ragazze tranquille non interessavano. Ironico, dato che per un breve lasso di tempo aveva voluto frequentare proprio Maria, la fidanzata di Vito. 

“Ah, no? E Clara?” chiese allora lei.

“E Clara infatti non mi piace” le confermò. “A me piacciono le intriganti imbroglioncelle come te” le tirò una guancia con le dita, tra le proteste di Irene. 

“Ho vissuto per tutta la vita in una famiglia numerosa, dovendo sgomitare per ottenere qualsiasi cosa, o anche solo essere notato.” Per la prima volta Alfredo si stava aprendo con lei, e Irene aveva fatto altrettanto, rivelandogli dettagli intimi e privati che solo a una persona di cui ci si fidava si tendeva a raccontare. Avevano detto niente più segreti, niente più inganni. Era davvero arrivato il momento di essere totalmente onesti tra di loro. Solo così quel rapporto avrebbe potuto funzionare. Si erano ritrovati entrambi a mentire per paura del giudizio e di perdere l’altra persona, e non era sano. Non se volevano davvero avere un futuro insieme.

“Per questo spesso sono eccessivo e non riesco a tenere a freno la lingua. Perché altrimenti avrei paura di… perdermi” disse appoggiando la testa su quella di Irene. Erano seduti l’uno accanto all’altra sul divano, lui teneva stretta Irene in un abbraccio. 

“Sì, me l’hai detto una volta” rispose Irene, spiazzando Alfredo che pensava non ricordasse di quella sua confessione e si ritrovò ad annuire.

“Non voglio una famiglia numerosa, non voglio la stabilità e la monotonia della mia famiglia. Irene, io voglio la pazzia che solo tu sai darmi. Voglio non prendermi mai sul serio, voglio cambiare i programmi all’ultimo minuto, voglio scappare in mutande da una piscina” Irene rise. “Voglio… voglio solo stare con te.” 

C’era da dire che tra i due fosse palesemente lui quello più adatto a fare discorsi e dichiarazioni in grande stile. Irene non sarebbe riuscita a dire nemmeno l’1% di quello che aveva appena confessato Alfredo. Ma le sue parole la rincuorarono. Erano sulla stessa lunghezza d’onda e per tanto tempo era rimasta a farsi domande, a fuggire da quel rapporto per colpa delle sue paure, quando tutte le risposte erano sempre state lì, a portata di mano.

“Anch’io voglio stare con te” rispose Irene, accoccolandosi di più contro il suo petto. Alfredo le posò un bacio tra i capelli. 

“Quindi pace fatta?”

“Non lo so, ci devo pensare” Irene arricciò le labbra. 

“Ah, pure? Certo che sei proprio…” 

“Come?” lei alzò la testa per guardarlo. O minacciarlo, che dir si voglia.

“La donna più incredibile che abbia mai incontrato” ribatté Alfredo, cercando di trattenere un sorriso.

“Ah, ecco” Irene allungò le gambe sul tavolino da caffè, sfilandosi prima i tacchi. Non era certa che Federico gradisse già quell’incursione in casa propria, men che meno che gli graffiassero i mobili. 

“Dovremmo chiamare Stefania?” gli chiese allora. 

“Nah” Alfredo intrecciò una mano con quella di Irene. “Prima o poi verranno a prenderci” commentò con una strizzata di spalle e lei ridacchiò. E Alfredo sperava arrivassero il più tardi possibile. Dopotutto lì, entrambi, avevano già tutto quello di cui avevano bisogno. 

E Irene realizzò che Gloria aveva ragione, Alfredo forse non poteva darle la vita piena di agi che aveva sempre desiderato, ma le dava una cosa più importante: la libertà. La libertà di non dover per forza incastrarsi all’interno di un percorso già deciso da altri, la libertà di non badare ai commenti e alle imposizioni. La libertà di essere se stessi.

 
  
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