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Autore: _aivy_demi_    08/09/2023    4 recensioni
La raccolta partecipa al #Writeptember2023 del gruppo Hurt and Comfort Italia
Visto che ogni tot mi riprendo benissimo per One Piece, stavolta, grazie alla spinta della visione del Live Action su Netflix, ho deciso di dedicargli una raccolta per challenge.
Genere: Avventura, Commedia, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Drakul Mihawk, Monkey D. Rufy, Roronoa Zoro
Note: Missing Moments, Movieverse, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Questa storia partecipa alla challenge del #Writeptember2023
del gruppo Hurt and Comfort Italia.

Day 6:
3. “Sei un medico?”
4. Si fa per ridere

 

Fandom: Netflix One Piece
Personaggi: Zoro, Sanji

 

 

 

«Guarda se devo trovarmi in una situazione simile con te. Siamo in isolamento, ed è tutta colpa tua.» Sanji era steso su una barella, affiancato a quella dove giaceva Zoro, incurante della situazione, che se la stava dormendo della grossa. «Sto parlando con te, sei l’unico qui dentro e non vedo nessuna infermiera. Ah, che sfortuna.»
«Zitto, non riesco a dormire così. Fa’ come me, chiudi gli occhi e taci.» Zoro calcò sull’ultima parola, sicuro di far passare il giusto messaggio: il silenzio.
«Se credi che me ne starò zitto solo perché lo vuoi tu… potrei parlare tutto il tempo. Sai che ne sarei capace.»
Il discorso a senso unico di Sanji venne interrotto dalla presenza di uno strano medico, un omone di mezza età intento a studiare il contenuto di due cartellette.
«Oh, ecco qualcuno con cui ragionare. Buon uomo, non è che potrebbe spieg
«Silenzio! Non sono qui per perdere tempo, io. Immagino sappiate il motivo per cui vi trovate in quarantena.»
«Quarantena?» Sanji parve perplesso, Zoro alzò una palpebra giusto per osservare la situazione senza essere osservato a sua volta.
«Zitto! Sì, quarantena, se soltanto voi stolti pirati non aveste fatto finta di niente ora sareste a casa vostra. Invece no, avete deliberatamente ignorato il cartello, per cosa poi?»
Zoro sollevò le braccia con gesto teatrale, ridendo ironico: «non è colpa mia se questo imbecille ha voluto inseguire un gruppo di infermiere fino a dentro il campo medico. Stupido.»
«Coglione. Che ne vuoi sapere tu?»
«Niente, infatti. A quest’ora saremmo già sulla nave, e invece devo condividere la compagnia di un cretino e un medico che non sa farsi i cazzi propri.»
«Come, scusi? Guardi che le conviene portarmi rispetto. Se sarete sfortunati, sarò l’ultima persona che vedrete.»
«Qui?»
«Non solo.»


Una infezione locale. Il centro medico era stato isolato per il riscontro di patogeni di origine sconosciuta in più pazienti e in parte dello staff, ma questo Sanji non poteva saperlo, troppo impegnato nel suo vizio più soddisfacente e destabilizzante: l’esistenza del genere femminile. La situazione pareva surreale, lui e Zoro erano chiusi in una tenda, uguale ad altre con lo stesso identico scopo, quello di tenere gli eventuali infetti lontani dal resto degli ospiti.
Anche se i sintomi non si erano ancora palesati.
Il dottor Lancet li aveva avvertiti, non sarebbero potuti uscire fino a quando gli esami non sarebbero risultati negativi; alla domanda di quanto tempo ci sarebbe potuto volere per ottenerli, la risposta li aveva spiazzati.
Ventiquattro ore.
Ventiquattro ore chiusi in uno spazio relativamente angusto, nella compagnia reciproca senza possibilità di uscire, sgranchirsi, fumare una sigaretta. Due brande, una toeletta, un baule per gli effetti personali, nient’altro: spoglia, vuota, non insonorizzata.
Infatti la prima cosa che aveva spiazzato i due pirati era il suono dei lamenti di altri chiusi lì intorno, come loro. O di chi pregava per sé e per la propria salvezza.


Il nervosismo di Sanji per la mancanza di nicotina era pari a quello di Zoro nel sentirlo lamentarsi. Non si tolleravano granché, e le poche frasi scambiate l’uno con l’altro erano insulti e colpevolezze sputate con cinismo. Poco importava di chi fosse stata l’idea, la situazione non era a loro favore: avrebbero potuto tranquillamente eludere la sorveglianza, ma questo avrebbe voluto dire rischiare di portare il virus a bordo, farlo uscire dal campo d’isolamento e inevitabilmente diffonderlo per i mari e nelle altre isole dell’arcipelago. Non era una buona idea, erano abbastanza svegli – furbi – per non scatenare con il loro egoismo una eventuale pandemia inarrestabile.
La sera aveva lasciato il posto a una nottata fin troppo rumorosa e inquieta: nuove voci si erano aggiunte a quelle di qualche ora prima, a quanto pareva il decorso della malattia era abbastanza rapido. I pirati non volevano darlo a vedere ma il disagio e la preoccupazione stavano cominciando a invadergli la testa. La tenda buia non permetteva possibilità di muoversi in modo decente, cosa che a Zoro stava cominciando a pesare: avrebbe voluto uscire e camminare, allenarsi, perché no, picchiare eventualmente qualcuno per sfogarsi ma non avrebbe osato.
«Non mi da fastidio, fuma se devi.»
Sanji si accese con dedizione una sigaretta, gustandone il sapore acre scendere nella gola: la soddisfazione data dal vizio alleggerì i suoi pensieri per quei pochi minuti, prima di farli riaffiorare ben più forte. Il silenzio in fondo non aiutava affatto, e le prime domande intrusive non tardarono ad arrivare.
«Non cominciare, è notte, voglio dormire.»
«Zoro, ma secondo te, quanto tempo impiegheremmo a morire se ci ammalassimo?» Una questione giustamente interessante per la loro situazione.
«Non saprei. Senti quanto urlano ancora loro, calcola da quando siamo qui e hai la risposta alla tua domanda.»
«Fai schifo, sei un cinico bastardo.»
Zoro non si scompose a quell’insulto, lo sapeva bene: aveva già così tanto giocato con la morte che per lui non era un pensiero poi tanto lontano, disgustoso o terrorizzante come sarebbe potuto essere per molti altri. «No, voglio solo portare a casa la pelle, quindi me ne sto tranquillo.»
«E se fossimo stati contagiati? E se…» Sanji singhiozzò, fu il primo a stupirsi di quel gemito. «E se…»
«E se niente, tu non morirai, io non morirò e torneremo sulle nostre gambe da quel testone di Luffy.» Esitò Zoro, sapendo che probabilmente ciò che aveva detto avrebbe faticato ad arrivare a destinazione. «Te lo prometto.»
«Ah, ma perché, adesso sei un medico?»
«Idiota, stavo solo cercando di farti stare meglio. Ovvio che non sono un medico, ma sto provando a evitare di sentirti piangere come un bambino.»
«Chi starebbe piangendo come un bambino? Stai scherzando, vero? Guarda, adesso vengo lì e giuro che ti gonfio!»
A pochi centimetri uno dall’altro i due si sfidavano, ne avevano abbastanza; non che fosse inusuale, semplicemente era irreale la situazione dove si erano cacciati. Cominciava a fare male essere separati dagli altri per cause di forza maggiore, come idee difficili battevano irrispettose in un angolino del cervello alla ricerca di attenzione. Una attenzione pericolosa.
«Non ti sopporto più, adesso ti meno, esco di qui, me ne frego il cazzo di tutto quello che sta succedendo e torno alla Going Merry. Che piaccia o no a questa gente!» Sanji si rivestì, recuperò i propri effetti personali e si fece pronto ad andarsene, circondato da gemiti lontani e lamenti soffocati. «Non vieni?»
«Ovvio che no, non posso permettermi di fare cazzate come te. Ci tengo a questa gente, ci tengo alla mia ciurma, e per qualche motivo scemo che ancora non capisco, tengo anche a te.»
Sanji si fermò a pochi passi dall’uscita della tenda, stringendo l’accendino: quel maledetto spadaccino sapeva come rigirare un coltello all’interno della coscienza di un uomo… sospirò, si voltò. «Si fa per ridere, pensi sul serio avrei messo in pericolo tutti per me stesso e basta?»
«Fino a due minuti fa sì. Torna a stenderti e dormi, e smetterò di pensare a te come a un bastardo.»


I denti di Sanji battevano tra loro, lievi, tanto da essere udibili praticamente solo da lui, eppure rimbombavano con fretta ai suoi timpani. Non sapeva con precisione da quanto fossero lì, non gli interessava saperlo altrimenti avrebbe iniziato a contare ogni singolo minuto di quella nottata. A parte qualche piccola voce lontana, la confusione all’esterno era scemata: un buon segno, o qualcosa di molto peggiore? “Potrebbero star dormendo, potrebbero stare meglio o… potrebbero essere morti…” Non poteva escludere nulla di tutto questo, non fino al mattino successivo e alle notizie portate da quel fantomatico medico. Sospirò, non riusciva a dormire e questo lo stava innervosendo maggiormente.
«Smettila di pensarci, dormi.»
«Sto dormendo!»
«Come no. Mi hai appena risposto e stai facendo una confusione tremenda. Tieni a bada i tuoi molari e la tua ansia, voglio riposare.» Lo stoicismo di Zoro era… snervante, quasi alienante.
«Posso essere libero di stare male? Eh? O devo chiedere il permesso a te per poter avere paura?!» l’affanno era aumentato, si portò la mano al petto. Qualcosa non andava e respirava troppo velocemente.
«Ehi, ehi… ascoltami, Sanji, va tutto bene.» Zoro si alzò raggiungendo il compagno di viaggio, esitò nel superare la soglia dello spazio vitale e toccò le spalle dell’altro. «Stai iperventilando, guardami. Respira con me. Seguimi.»
Contava il ritmo, ma non serviva.
«Sanji, non perderti adesso. Guardami. Conta.»
I numeri tremavano nella tenda.
«Non abbiamo sintomi, non siamo malati.»
«Non sei un medico!» E il ragazzo scoppiò a piangere, «non… non sei un medico…»
Zoro lo sollevò di peso, lo caricò sul proprio giaciglio e gli impose di farsi stretto. Gli si stese accanto, evitando deliberatamente di guardarlo negli occhi – per paura forse di far notare quanto quella cosa stesse sconvolgendo pure lui? «Non sarò un medico ma conosco il mio corpo abbastanza da capirlo. Sono sano, tu sei sano, che ti basti questo.»
I singhiozzi silenziosi si spensero piano. Un gemito accompagnò il sonno di Sanji, cascato in un paio di minuti: mai Zoro avrebbe potuto immaginare di ritrovare un carattere così fragile dietro all’ironia tagliente di quel dongiovanni senza scrupoli. Ne avevano affrontate tante, era convinto che ben poco potesse scalfirli ma il terrore dello sconosciuto poteva insinuarsi in modo subdolo, così come era successo quella notte.
Istintivamente allungò la mano e gli strinse il braccio, si spostò sul suo petto e sì, il cuore batteva regolare. Si inumidì l’indice e lo passò sotto alle narici di Sanji, respirava in modo regolare. Era riuscito a calmarlo, a zittirlo, e adesso avrebbe pure potuto dormire.


«Buongiorno piccioncini, porto belle notizie


 


                    




   
 
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