Questa
storia partecipa alla challenge del #Writeptember2023
del gruppo Hurt and Comfort Italia.
Day 6:
3. “Sei un medico?”
4. Si fa per ridere
Fandom:
Netflix One Piece
Personaggi: Zoro, Sanji
«Guarda se devo
trovarmi in una situazione simile con te. Siamo in isolamento, ed è tutta colpa
tua.» Sanji era steso su una barella, affiancato a
quella dove giaceva Zoro, incurante della situazione, che se la stava dormendo
della grossa. «Sto parlando con te, sei l’unico qui dentro e non vedo nessuna
infermiera. Ah, che sfortuna.»
«Zitto, non riesco a dormire così. Fa’ come me, chiudi gli occhi e taci.» Zoro
calcò sull’ultima parola, sicuro di far passare il giusto messaggio: il
silenzio.
«Se credi che me ne starò zitto solo perché lo vuoi tu… potrei parlare tutto il
tempo. Sai che ne sarei capace.»
Il discorso a senso unico di Sanji venne interrotto
dalla presenza di uno strano medico, un omone di mezza età intento a studiare
il contenuto di due cartellette.
«Oh, ecco qualcuno con cui ragionare. Buon uomo, non è che potrebbe spieg-»
«Silenzio! Non sono qui per perdere tempo, io. Immagino sappiate il motivo per
cui vi trovate in quarantena.»
«Quarantena?» Sanji parve perplesso, Zoro alzò una
palpebra giusto per osservare la situazione senza essere osservato a sua volta.
«Zitto! Sì, quarantena, se soltanto voi stolti pirati non aveste fatto finta di
niente ora sareste a casa vostra. Invece no, avete deliberatamente ignorato il
cartello, per cosa poi?»
Zoro sollevò le braccia con gesto teatrale, ridendo ironico: «non è colpa mia
se questo imbecille ha voluto inseguire un gruppo di infermiere fino a dentro
il campo medico. Stupido.»
«Coglione. Che ne vuoi sapere tu?»
«Niente, infatti. A quest’ora saremmo già sulla nave, e invece devo condividere
la compagnia di un cretino e un medico che non sa farsi i cazzi propri.»
«Come, scusi? Guardi che le conviene portarmi rispetto. Se sarete sfortunati,
sarò l’ultima persona che vedrete.»
«Qui?»
«Non solo.»
Una infezione locale. Il centro medico era stato isolato per il riscontro di
patogeni di origine sconosciuta in più pazienti e in parte dello staff, ma
questo Sanji non poteva saperlo, troppo impegnato nel
suo vizio più soddisfacente e destabilizzante: l’esistenza del genere
femminile. La situazione pareva surreale, lui e Zoro erano chiusi in una tenda,
uguale ad altre con lo stesso identico scopo, quello di tenere gli eventuali
infetti lontani dal resto degli ospiti.
Anche se i sintomi non si erano ancora palesati.
Il dottor Lancet li aveva avvertiti, non sarebbero potuti uscire fino a quando
gli esami non sarebbero risultati negativi; alla domanda di quanto tempo ci
sarebbe potuto volere per ottenerli, la risposta li aveva spiazzati.
Ventiquattro ore.
Ventiquattro ore chiusi in uno spazio relativamente angusto, nella compagnia
reciproca senza possibilità di uscire, sgranchirsi, fumare una sigaretta. Due
brande, una toeletta, un baule per gli effetti personali, nient’altro: spoglia,
vuota, non insonorizzata.
Infatti la prima cosa che aveva spiazzato i due pirati era il suono dei lamenti
di altri chiusi lì intorno, come loro. O di chi pregava per sé e per la propria
salvezza.
Il nervosismo di Sanji per la mancanza di nicotina
era pari a quello di Zoro nel sentirlo lamentarsi. Non si tolleravano granché,
e le poche frasi scambiate l’uno con l’altro erano insulti e colpevolezze
sputate con cinismo. Poco importava di chi fosse stata l’idea, la situazione
non era a loro favore: avrebbero potuto tranquillamente eludere la
sorveglianza, ma questo avrebbe voluto dire rischiare di portare il virus a
bordo, farlo uscire dal campo d’isolamento e inevitabilmente diffonderlo per i
mari e nelle altre isole dell’arcipelago. Non era una buona idea, erano
abbastanza svegli – furbi – per non scatenare con il loro egoismo una eventuale
pandemia inarrestabile.
La sera aveva lasciato il posto a una nottata fin troppo rumorosa e inquieta:
nuove voci si erano aggiunte a quelle di qualche ora prima, a quanto pareva il
decorso della malattia era abbastanza rapido. I pirati non volevano darlo a
vedere ma il disagio e la preoccupazione stavano cominciando a invadergli la
testa. La tenda buia non permetteva possibilità di muoversi in modo decente,
cosa che a Zoro stava cominciando a pesare: avrebbe voluto uscire e camminare,
allenarsi, perché no, picchiare eventualmente qualcuno per sfogarsi ma non
avrebbe osato.
«Non mi da fastidio, fuma se devi.»
Sanji si accese con dedizione una sigaretta,
gustandone il sapore acre scendere nella gola: la soddisfazione data dal vizio
alleggerì i suoi pensieri per quei pochi minuti, prima di farli riaffiorare ben
più forte. Il silenzio in fondo non aiutava affatto, e le prime domande
intrusive non tardarono ad arrivare.
«Non cominciare, è notte, voglio dormire.»
«Zoro, ma secondo te, quanto tempo impiegheremmo a morire se ci ammalassimo?» Una
questione giustamente interessante per la loro situazione.
«Non saprei. Senti quanto urlano ancora loro, calcola da quando siamo qui e hai
la risposta alla tua domanda.»
«Fai schifo, sei un cinico bastardo.»
Zoro non si scompose a quell’insulto, lo sapeva bene: aveva già così tanto
giocato con la morte che per lui non era un pensiero poi tanto lontano,
disgustoso o terrorizzante come sarebbe potuto essere
per molti altri. «No, voglio solo portare a casa la pelle, quindi me ne sto
tranquillo.»
«E se fossimo stati contagiati? E se…» Sanji
singhiozzò, fu il primo a stupirsi di quel gemito. «E se…»
«E se niente, tu non morirai, io non morirò e torneremo sulle nostre gambe da
quel testone di Luffy.» Esitò Zoro, sapendo che
probabilmente ciò che aveva detto avrebbe faticato ad arrivare a destinazione.
«Te lo prometto.»
«Ah, ma perché, adesso sei un medico?»
«Idiota, stavo solo cercando di farti stare meglio. Ovvio che non sono un
medico, ma sto provando a evitare di sentirti piangere come un bambino.»
«Chi starebbe piangendo come un bambino? Stai scherzando, vero? Guarda, adesso
vengo lì e giuro che ti gonfio!»
A pochi centimetri uno dall’altro i due si sfidavano, ne avevano abbastanza;
non che fosse inusuale, semplicemente era irreale la situazione dove si erano
cacciati. Cominciava a fare male essere separati dagli altri per cause di forza
maggiore, come idee difficili battevano irrispettose in un angolino del
cervello alla ricerca di attenzione. Una attenzione pericolosa.
«Non ti sopporto più, adesso ti meno, esco di qui, me ne frego il cazzo di
tutto quello che sta succedendo e torno alla Going Merry. Che piaccia o no a questa gente!» Sanji si rivestì, recuperò i propri effetti personali e si
fece pronto ad andarsene, circondato da gemiti lontani e lamenti soffocati.
«Non vieni?»
«Ovvio che no, non posso permettermi di fare cazzate come te. Ci tengo a questa
gente, ci tengo alla mia ciurma, e per qualche motivo scemo che ancora non
capisco, tengo anche a te.»
Sanji si fermò a pochi passi dall’uscita della tenda,
stringendo l’accendino: quel maledetto spadaccino sapeva come rigirare un
coltello all’interno della coscienza di un uomo… sospirò, si voltò. «Si fa per
ridere, pensi sul serio avrei messo in pericolo tutti per me stesso e basta?»
«Fino a due minuti fa sì. Torna a stenderti e dormi, e smetterò di pensare a te
come a un bastardo.»
I denti di Sanji battevano tra loro, lievi, tanto da
essere udibili praticamente solo da lui, eppure rimbombavano con fretta ai suoi
timpani. Non sapeva con precisione da quanto fossero lì, non gli interessava
saperlo altrimenti avrebbe iniziato a contare ogni singolo minuto di quella
nottata. A parte qualche piccola voce lontana, la confusione all’esterno era
scemata: un buon segno, o qualcosa di molto peggiore? “Potrebbero star
dormendo, potrebbero stare meglio o… potrebbero essere morti…” Non poteva
escludere nulla di tutto questo, non fino al mattino successivo e alle notizie portate
da quel fantomatico medico. Sospirò, non riusciva a dormire e questo lo stava
innervosendo maggiormente.
«Smettila di pensarci, dormi.»
«Sto dormendo!»
«Come no. Mi hai appena risposto e stai facendo una confusione tremenda. Tieni
a bada i tuoi molari e la tua ansia, voglio riposare.» Lo stoicismo di Zoro
era… snervante, quasi alienante.
«Posso essere libero di stare male? Eh? O devo chiedere il permesso a te per
poter avere paura?!» l’affanno era aumentato, si portò la mano al petto.
Qualcosa non andava e respirava troppo velocemente.
«Ehi, ehi… ascoltami, Sanji, va tutto bene.» Zoro si
alzò raggiungendo il compagno di viaggio, esitò nel superare la soglia dello
spazio vitale e toccò le spalle dell’altro. «Stai iperventilando,
guardami. Respira con me. Seguimi.»
Contava il ritmo, ma non serviva.
«Sanji, non perderti adesso. Guardami. Conta.»
I numeri tremavano nella tenda.
«Non abbiamo sintomi, non siamo malati.»
«Non sei un medico!» E il ragazzo scoppiò a piangere, «non… non sei un medico…»
Zoro lo sollevò di peso, lo caricò sul proprio giaciglio e gli impose di farsi
stretto. Gli si stese accanto, evitando deliberatamente di guardarlo negli
occhi – per paura forse di far notare quanto quella cosa stesse sconvolgendo
pure lui? «Non sarò un medico ma conosco il mio corpo abbastanza da capirlo.
Sono sano, tu sei sano, che ti basti questo.»
I singhiozzi silenziosi si spensero piano. Un gemito accompagnò il sonno di Sanji, cascato in un paio di minuti: mai Zoro avrebbe
potuto immaginare di ritrovare un carattere così fragile dietro all’ironia
tagliente di quel dongiovanni senza scrupoli. Ne avevano affrontate tante, era
convinto che ben poco potesse scalfirli ma il terrore dello sconosciuto poteva
insinuarsi in modo subdolo, così come era successo quella notte.
Istintivamente allungò la mano e gli strinse il braccio, si spostò sul suo
petto e sì, il cuore batteva regolare. Si inumidì l’indice e lo passò sotto
alle narici di Sanji, respirava in modo regolare. Era
riuscito a calmarlo, a zittirlo, e adesso avrebbe pure potuto dormire.
«Buongiorno
piccioncini, porto belle notizie.»