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Autore: MaxB    11/09/2023    4 recensioni
Questa è una storia che ho iniziato a scrivere dopo aver finito di leggere il secondo volume, quando ancora doveva uscire il terzo.
La considero una prosecuzione della storia originale come se il terzo libro non esistesse, e narra quindi delle vicende familiari che si sono succedute dopo la fine de Gli scomparsi di Chiardiluna, con leggere modifiche alla trama.
Sostanzialmente, Thorn e Ofelia saranno alle prese con la vita quotidiana da coppia sposata, cercando di capirsi, vivere insieme e prendere confidenza l'uno con l'altra.
E con un inaspettato desiderio di Ofelia...
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eccomi qui. Non è passato nemmeno un anno da quando ho concluso Ingranaggi, a novembre 2023, eppure mi sembra molto di più. Mi sembra un'altra vita.
Avevo archiviato questa parte della storia, l'ultima parte, nel mio pc, dicendo che prima o poi l'avrei pubblicata. Ma me lo sono scordata. O meglio, penso che il mio cervello abbia voluto scordarsene, per non renderlo vero.
Vi avevo detto nell'epilogo che sarebbe stata una parte estremamente drammatica. Non credo però che immaginiate quanto. Forse pensate che sarà la morte, dopo anni di felicità, ad una veneranda età, nel proprio letto, al calduccio, circondati dalla famiglia, di Thorn o di Ofelia.
Lo spererei anche io, ma non è questo che mi sono sentita di scrivere.
Quindi, se non volete che la magia di questa storia finisca, se volete davvero un epilogo felice per Ofelia e Thorn, un epilogo che la Dabos non ha scritto (non è una critica, non posso criticarla per aver creato questo meraviglioso universo), non leggete questo capitolo.
Io ho dovuto scriverlo, perché volevo che la mia storia fosse reale. Ma non può essere reale, se la Dabos ha scelto un epilogo diverso.
Nulla di quello che c'è dentro Ingranaggi esisterebbe dentro la storia originale.
Però niente ci impedisce di... sognare.
Grazie di cuore a tutti.


Il Sogno di una Vita

Ofelia si svegliò in preda all'affanno, respirando convulsamente, madida di sudore e con i capelli più aggrovigliati del solito.
La sciarpa le allungò gli occhiali, mettendoglieli lei stessa sul naso. Ofelia l'accarezzò, grata più che mai dell'aiuto che le aveva fornito in quegli anni, ma se li tolse usando i palmi. Si massaggiò il viso, ricordandosi come poteva strofinarsi per bene gli occhi quando aveva delle dita.
Solo allora si rese conto, sentendosi in colpa, che a letto c'era solo lei. Le lenzuola di fianco a sé erano fredde, Thorn si era alzato da un po'. Eppure era sicura che fosse ancora notte.
- Sono qui - rispose lui, come se le avesse letto nel pensiero.
Una voce profonda, un timbro duro, un tono privo di qualsivoglia dolcezza.
Ofelia si rimise gli occhiali e guardò subito verso il punto da cui aveva sentito provenire la voce.
Thorn se ne stava abbarbicato su una vecchia poltrona nell'angolo, curvo, ripiegato come un mobiletto. Sembrava fatto di vetro, un materiale sottile e crepato pronto a frantumarsi in qualunque momento.
Ofelia sentì il cuore decelerare quando lo vide, si sentì pervasa di una calma immotivata. Se Thorn era lì con lei, andava tutto bene.
Doveva essere così, no?
- Incubo? - chiese lui, con il piglio da inquisizione che aveva sempre avuto in un altro tempo, in un altro luogo.
Ofelia annuì, sentendo un improvviso dolore alla nuca. Sopportabile, ma inaspettato.
Thorn parve quasi intuirlo. - Non mi interessa, data la botta che hai preso ieri in testa. Hai dormito per dodici ore filate. Non c'è traccia di commozione cerebrale.
Ofelia si tastò la testa con i palmi, sentendo l'inconfondibile protuberanza di un bernoccolo. Era caduta dalle scale, il giorno prima. Aveva battuto la testa.
Si portò poi le mani sulla pancia, battendo più volte le palpebre. Parve realizzare qualcosa, e le sue spalle si afflosciarono.
Thorn le fu accanto in un attimo, silenzioso e rapido come sempre. Il suo sguardo si affilò quando Ofelia cercò i suoi occhi, come se si recriminasse per qualcosa che non poteva darle. Come se si biasimasse. Sapeva sempre, in qualche modo, quando Ofelia soffriva per un motivo che non si dava la pena di descrivergli. Nonostante gli anni, era come se ciò che gli aveva rivelato su di sé fosse ancora un segreto. Come se, evitando di parlarne, Ofelia potesse considerarlo una bugia, qualcosa che non la riguardava. Ingannando se stessa e Thorn, anche se Thorn non si faceva ingannare. E sapeva, sapeva più di quanto lasciasse vedere.
Sotto gli occhi dal bagliore metallico aveva delle occhiaie scure e così profonde che Ofelia si chiese se dormisse, prima di ricordarsi che in effetti no, quasi non dormiva.
Poco a poco il sogno stava scivolando via, sostituito da pezzi di realtà. Pezzi affilati come dei vetri. Come dei rasoi.
Thorn non dormiva quasi nulla da quando era... tornato da lì. Da quando lei era riuscita a tirarlo fuori, dopo anni. E dopo mesi, ancora Thorn non dormiva. Come se fosse possibile, il suo corpo era diventato ancora più magro e spigoloso. Non aveva più quella leggerissima morbidezza che aveva percepito... nel suo sogno. In quella realtà, lei non lo aveva mai costretto a mangiare, e lui non l'aveva assecondata.
La sua inquietudine doveva essere palese, perché Thorn l'abbracciò. All'improvviso, bruscamente, come suo solito, ma era tutto quello di cui Ofelia aveva bisogno. Avrebbe voluto aggrapparsi alla sua camicia, invece si limitò a posargli i palmi sul petto. Sentiva il suo cuore battere forsennatamente, come se fosse stato contagiato dalla sua ansia.
Le si inumidirono gli occhi. Thorn le accarezzò i capelli, incerto su come fare. Non era mai stato bravo a consolare, Ofelia lo sapeva. Ma qualsiasi gesto lui tentasse con quello scopo era come balsamo su una ferita.
- Parlamene - le ordinò Thorn.
Se non fosse stata così sconvolta, Ofelia avrebbe sorriso per il suo tono. Non era più intendente da anni, ma quel ruolo gli era impresso addosso come se lo covasse sotto pelle, nei nervi e nel sangue, come gli artigli.
Non era una domanda, era un ordine.
Ofelia esitò, ma poi si rese conto che i contorni del sogno diventavano più sfumati. Le lasciavano dentro solo una sensazione agrodolce, che un domani sarebbe diventata piacevole, ma per il momento era solo bruciante. Come un'epifania. Come lo scorcio di una vita altrui. Una vita che avrebbe amato, ma non avrebbe mai potuto ottenere. Chissà se un'altra Ofelia, compiendo scelte diverse, avrebbe potuto vivere quell'esistenza. Imperfetta, certo, eppure...
- Non è stato un incubo. È stato... un sogno molto bello. Avrei voluto che durasse ancora un po'.
Il vero incubo era, ora, saper di dover vivere senza quella prospettiva. Il suo cuore scoppiava di gioia da quando aveva ritrovato Thorn, ma c'era sempre un fondo di acuminato dolore sotto tutto quell'amore. Come se, nonostante tutto, amandosi si ricordassero a vicenda ciò che era stato e che avevano perso, ciò che erano stati e non avrebbero più potuto essere.
Ofelia si convinse che sarebbe stato difficile solo per quel giorno, come sempre quando un sogno ti destabilizza. A volte sognava Renard, sognava Gaela e talvolta anche Archibald, e sentiva un'infinita tristezza invaderle le membra come se la loro assenza l'appesantisse.
Sarebbe passata, quella sensazione. Domani, forse.
Ma non voleva che il sogno svanisse. Non voleva dimenticarsene, come purtroppo accade con tutti i sogni, a volte anche dopo poche ore, o pochi minuti.
Ofelia guardò Thorn, scostandosi appena. Non voleva allontanarsi dal suo calore. Voleva qualcuno che conservasse la sua memoria, seppur fantasiosa, anche quando fosse evaporata dalla sua mente come la rugiada al mattino.
Thorn non le mise fretta.
- Puoi... conservare tu questo sogno per me? Io di sicuro lo dimenticherò.
- Io non dimentico mai nulla.
Ofelia sorrise tristemente. - E non ne sono mai stata così felice.
Prese un respiro profondo, premette il viso contro il petto del marito. Contro il suo cuore.
Persino Thorn perse la nozione del tempo impiegato da Ofelia per raccontare quel sogno. Un sogno lungo, un sogno vivido, un sogno che lui non avrebbe mai potuto darle. Ma un sogno che stava già svanendo da lei, che era costretta a lunghe pause per ricostruire i fatti avvenuti quando c'erano dei buchi di memoria.
Thorn fu paziente. Ascoltò in silenzio. La strinse, così immobile che Ofelia temeva che non sarebbero più stati in grado di muoversi, di staccarsi.
E così, grazie a Thorn, rievocò una vita insieme, una vita che avevano scelto, che non era stata imposta loro da nessuno. Riportò in vita Serena, Balder, Tyr, persino Lisbeth, e Mira e Belle. Gli narrò di Ilda e Randolf, di Renard e Gaela. Dopo un tentennamento piuttosto lungo, gli raccontò anche di Archibald... Archibald e Serena. E poi dei loro nipoti. Di quanto lui fosse stato un padre eccezionale e un nonno incredibilmente amato. Cercò di fargli sentire com'era stato, nel suo sogno, tenere in braccio i loro figli appena nati, e vedere lui fare lo stesso, con estremo amore, estrema cura, estrema capacità. Gli parlò di loro. Arrossì, addirittura.
E quando finì, molto tempo dopo, Thorn la baciò delicatamente. Non disse nulla, ma Ofelia sapeva che era un po' come il suggellamento di un patto, quel bacio. Thorn sarebbe stato il custode del suo sogno.
Avrebbe condiviso con lei quel fardello, e insieme lo avrebbero affrontato, un giorno alla volta.
Ofelia tornò a sdraiarsi sul letto. Implorò con gli occhi Thorn, affinché la spogliasse.
Si amarono lentamente, intensamente, come se un'estrema cura nei loro gesti potesse dare loro ciò che entrambi sapevano non essere possibile.
Un atto che avrebbe dovuto portare alla generazione di un figlio, un'unione d'amore che avrebbe dovuto generare altro amore, che avrebbe dovuto generare una cosa meravigliosa: un bambino che fosse in parte Ofelia e in parte Thorn.
Avrebbe dovuto.
Invece li restituì solo a se stessi, ricordò loro che l'altro c'era, e ci sarebbe sempre stato. Che ne avevano passate tante, insieme e da soli, e tante altre ne avrebbero passate, ma solo insieme.
Non si sarebbero separati mai più, si sarebbero sempre bastati.
E, in qualche modo, Thorn avrebbe sempre portato con sé i loro figli, ricordandoli come se fossero davvero esistiti. Perché, un po', erano parte di loro.
E loro erano parte l'uno dell'altra.
  
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