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Autore: Bebess    12/09/2023    0 recensioni
Hiroki, ragazzo giapponese appena diciottenne, ha un bagaglio emotivo non indifferente, dovuto anche al covid.
Francesco, ricercatore italiano, ha una passione per la cultura giapponese che lo spingerà improvvisamente a cambiare vita. Due destini diversi tra loro ma con una lezione di vita in comune.
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Il giorno successivo all’incontro a cui non sono andato,  sento dalla mia stanza mia madre che parla al telefono con qualcuno, penso sia il dottore.
-Sì, la ringrazio. E mi scusi ancora.- dice.
Mi butto sul letto ma mia madre bussa alla porta.
-Hiroki, scusami se ti disturbo. Ha chiamato il dott. Suzuki e mi ha detto che ieri non ti sei presentato all’appuntamento. Sai, io pago per queste visite e non voglio che mi fai perdere i soldi.-
La guardo per un attimo ma non rispondo. Dopo un minuto di silenzio riprende il discorso.
-Comportati da persona responsabile!- noto che il suo tono di voce è leggermente nervoso.
Mi guarda ma io continuo a non replicare, così chiude la porta e se ne va.
Trascorro il resto della giornata davanti al pc e mi rendo conto che la presenza di mia madre in casa sta cominciando ad infastidirmi. Mi sento irrequieto ma anche colpevole per averle confessato di aver visto quella donna che mi voleva uccidere.
Sapevo fin da subito che lei non mi avrebbe capito, ma nonostante questo ho voluto provarci.
Ho un po’ di fame anche se non vorrei mangiare, ma ormai il mio obiettivo di morire digiunando è stato distrutto dal dott. Suzuki quando sono andato in ospedale. Prima di entrare nel suo ufficio mi aveva incitato a mangiare i cosiddetti “biscotti d’accoglienza” come li chiama lui.
Sto pensando che devo trovare un altro modo di morire perché il cibo non sta funzionando.
 Intanto vado giù in cucina per cercare qualcosa e noto che accanto al frigo c’è un sacco della spazzatura con un biglietto attaccato sopra. C’è scritto “buttala per favore” e sicuramente l’ha scritto mia madre per me. Onestamente non mi va di uscire e sembra che lei non lo capisca, come il resto delle altre cose, ma oggi si è arrabbiata con me e mi sento in colpa e quindi farò questo sacrificio. I cassonetti della spazzatura si trovano a pochi metri da casa quindi non mi succederà niente.
Metto da un lato il pezzo di pane che ho addentato e prendo il sacchetto, mi metto le chiavi nella tasca posteriore dei jeans ed esco. Oggi fa meno caldo rispetto agli altri giorni, o almeno rispetto all’ultimo giorno in cui sono uscito.
Fortunatamente non c’è nessuno nei pressi di casa mia, ma considerando che è quasi ora di cena è abbastanza normale. Dopo aver buttato la spazzatura mi dirigo verso l’entrata di casa, ma ecco che vedo una persona seduta nella panchina del parco affianco: è una donna ed è girata di lato, e non so perché sono incuriosito da lei. Non ho intenzione di avvicinarmi a lei e cerco di spiarla da lontano, sperando che giri il volto perché c’è qualcosa di lei che mi è familiare e vorrei capire se la conosco. Ha i capelli che le arrivano lungo la schiena ma raccolti con una coda bassa, con un vestito giallo fino alle ginocchia e delle scarpe che sembrano essere le tipiche ciabatte da casa. Non so per quale motivo siano invernali visto che ancora la temperatura è calda, ma probabilmente sente freddo.
Mi avvicino di qualche metro ma cercando di tenere la giusta distanza fra me e lei, e finalmente si gira verso di me. La riconosco, è la stessa donna di sempre. Allora esiste davvero, non è solo frutto della mia fantasia come mi hanno fatto credere mia madre e il dott. Suzuki.
Sento che sto tremando perché ha lo sguardo ancora più duro del solito, ed ho timore.
-Scusa.- dico, con la speranza che almeno questa volta mi risponda.
Ma nel momento in cui parlo lei non mi guarda più, si volta di lato come prima.
-Non so se mi riconosci, non voglio essere scortese ma vorrei sapere perché mi segui. Non so chi sei, me lo puoi dire?- provo nuovamente ad ottenere qualche informazione.
La sua indifferenza mi fa agitare perché continuo a non ricevere risposte.
Mi guarda di nuovo con la coda dell’occhio e allora decido di prendere più coraggio e dirle quello che realmente penso.
-Senti, io ho paura. Devi dirmi chi sei, sennò chiamerò la polizia.-
Soltanto dopo aver pronunciato queste ultime parole mi ricordo che ho lasciato il cellulare a casa, quindi non posso chiamare nessuno. Lei continua a non battere ciglio e a non muoversi dalla panchina e io sento che sto andando in panico. Indietreggio e mi viene in mente che forse dovrei dirigermi verso casa per prendere il telefono. Ma chi mi dà la certezza che quando tornerò, lei sarà ancora qui? Probabilmente se ne andrà perché l’ho minacciata di chiamare la polizia. Allora decido di restare e cercare di comunicare con lei. Vorrei sedermi accanto a lei, ma ho paura e non voglio restare troppo tempo fuori. Così rimango in piedi a distanza da lei e sto in silenzio con quel barlume di speranza di sentire la sua voce per la prima volta.
Ma invece che parlare, vedo che gira il busto per prendere qualcosa alla sua destra. E’ una foto e me la porge. La guardo stranito e intanto osservo e riconosco subito l’uomo raffigurato, è mio zio, il fratello di mia madre. Mi sento ancora più confuso di prima.
-Come fai ad avere questa foto?- le chiedo, ma ovviamente non mi risponde. –Senti, cosa vuoi da me? Sto cominciando ad arrabbiarmi, anche se non mi piace urlare.-
Sento nuovamente che mi manca il respiro, come l’ultima volta che l’avevo vista. Ma l’unica differenza è che stavolta le sue mani non sono attorno al mio collo.
-Dimmi chi sei!- urlo in preda al panico.
Sono angosciato, ma in lontananza scorgo un  uomo con un cane che sta camminando verso di noi. Sento un po’ di sollievo, anche se vedere troppe persone insieme mi mette ansia. Ma in questo momento ho bisogno di aiuto e non ho il cellulare, quindi devo prendere coraggio e parlare.
Appena vedo che si sta avvicinando sempre di più a dove mi trovo io, gli parlo.
-S-scusi.-
L’uomo sta guardando il telefono non curante di ciò che gli accade intorno, e appena gli rivolgo la parola mi guarda con uno sguardo strano.
-Buonasera.- mi dice.
-Ehm…- mi tremano le mani, non sono abituato a parlare con degli sconosciuti. E soprattutto è molto strano che una persona ferma un’altra senza motivo in mezzo alla strada.
Sto temporeggiando perché non ho il coraggio di parlare, l’uomo lo capisce e fa per andarsene riprendendo a guardare il telefono.
-Scusi,c’è quella donna che mi vuole fare del male.- indico la panchina con il dito indice della mano sinistra. -Mi segue da giorni, ma non so chi sia. Mi aiuti, per favore.- riprendo.
Lui si volta, ma ho l’impressione che rimanga impassibile alla mia richiesta. Dopo aver osservato un po’ in direzione della donna, mi guarda e non dice niente.
-E’ là.- continuo ad indicare lo stesso punto.
-Figliolo, sei sicuro di stare bene? Sei da solo?-
Non capisco la sua domanda. Perché mi chiede se sto bene e se sono da solo?
-P-per favore mi aiuti. Quella donna è pericolosa.- lo incito a seguirmi e lei è ancora lì seduta, che riprende a guardarmi solo quando mi avvicino.
-E’ lei. E’ da giorni che me la ritrovo dappertutto, anche dentro casa. Ho paura. L’altra sera ha provato ad uccidermi. Oggi mi ha dato una foto di un mio parente, ma io non so chi sia questa donna. Vorrei chiamare la polizia ma ho lasciato il cellulare a casa, la prego mi faccia usare il suo telefono.-
-Io non vedo niente. Scusami, però mi sto preoccupando. Hai fatto uso di droghe?- risponde.
-No! Nessuna droga, signore. Per favore, come fa a non vederla? E’ qua seduta sulla panchina, ci sta guardando. Mi ha dato la foto.-  faccio per cercare la fotografia ma non ce l’ho fra le mani e neanche in tasca. Forse me l’ha rubata lei.
-Non trovo più la foto, ridammela!- urlo verso la donna, cercando di toccarla per smuoverla e mostrarsi all’uomo. Ma quando poso le mani su di lei, mi sembra di toccare il niente. Nonostante la foto sia sparita, lei continua ad essere presente, ma non riesco a trascinarla verso il signore.
-O sei drogato o ubriaco.- l’uomo mi sembra apparentemente tranquillo, anche se penso abbia l’intenzione di chiamare la polizia per farmi arrestare.
-Io le giuro che non bevo e non mi drogo.-
Decido di prendere il polso della donna e stringerlo sperando che finalmente l’uomo riesca a vederla.
-Non la vede? E’ qua accanto a me!- non mi risponde ed io mi accorgo che stanno per uscire delle lacrime dai miei occhi. Neanche questo sconosciuto mi vuole aiutare, eppure io sto facendo degli sforzi per parlargli.
-Dove abiti? Se vuoi ti posso accompagnare a casa e ti riposi. Sennò sono costretto a chiamare la polizia.-
Capisco che quest’uomo non vuole capire e che i miei sforzi sono vani.
-Vado da solo, abito qua vicino. Grazie comunque.-
Fa un cenno con la testa per salutarmi e io mi dirigo verso l’entrata di casa mia. Appena arrivo davanti la porta, mi volto per controllare se la donna è ancora seduta nella panchina, e mi accorgo che non c’è più. Ma sono sicuro che tornerà, ed io ho la sensazione che non riuscirò mai a liberarmi di lei.
  
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