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Autore: udeis    13/09/2023    0 recensioni
La storia del destino di un regno e di chi ne è stato artefice e compartecipe.
1. Re -Io, che preferii l'azione a un'immobile sconfitta, misi in moto gli ingranaggi del fato di mia spontanea volontà.
2. Figlia dell'inverno - Nessuno sembrava amare l’inverno, così iniziai a detestarlo anche io perchè mi aveva fatto diversa da tutti gli altri.
3. Strega - I suoi occhi neri come la notte come fuoco consumano il mio animo.
4. Fame - Avevo fame e mi sarei nutrita ad ogni costo.
5. Quello che ho perso - in poche e semplici parole avevano negato il mio sacrificio, non gliel'avrei permesso.
6. Appartengo alla terra - appartengo alla terra e alla terra tornai tra pianti e maledizioni.
7. Il principe che venne da lontano - C’era una volta un principe in cerca di una terra da poter chiamare sua
8. Dea - io ricordo solo le donne che mi videro
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Dea


Io esisto da sempre sono la terra, sono l’acqua sono la luna. Mutevole eppure sempre fissa, vecchia e giovane, esisto. Sono il flusso delle cose che vive. Mi nutro della vostra devozione e del vostro terrore, raccolgo promesse e anime. Si dice che alcune donne camminino sulla mia strada, ma io ho memoria solo delle donne che mi videro.

La prima donna che mi vide non era ancora una donna, ma una bambina, camminava nel bosco spoglio, sgranocchiando un pezzo di pane secco. Quando il silenzio si faceva troppo opprimente, imitava i versi degli uccelli e poi rideva, compiaciuta dalla sua stessa bravura. Gli occhi immensi, spalancati su un viso smunto e pallido, le ossa sporgenti e quei vestiti, usati e di due taglie più grandi, che non l’avrebbero protetta a lungo dal gelo della notte. Quando mi vide i suoi occhi si fecero ancora più grandi dallo stupore, poi batte le mani e rise: “Madre” mi disse “hai una casa per me?”.

La seconda donna che mi vide lavava furiosamente i panni al fiume: le mani gonfie rosse e screpolate per il lungo contatto con l’acqua gelida, le nocche tagliate e rotte per la rabbia. Ogni muscolo rigido teso contratto, gli occhi di una fiera intrappola, pianto e maledizioni, ad accompagnare ogni suo respiro. Lavava via le macchie che tradivano il suo primo menarca e con esse cercava di lavare via anche il suo destino di moglie e madre. Quando mi vide, cancellò le lacrime dal suo volto con il dorso della mano: “Prendimi con te, mia signora” affermò “e non tradirò mai la tua guida”.

La terza donna mi vide con la coda dell’occhio, ma non si girò a controllare. Aveva appena consumato un amplesso con un giovane uomo. Ora lui dormiva, scarmigliato e contento, vicino a lei, tenendole la vita con un braccio. Lei gli aveva intrecciato un papavero nei capelli e poi si era messa ad osservare le nuvole e il volo degli uccelli, serena. I capelli scarmigliati, le guance rosse, il vestito ancora in disordine e gli occhi brillanti come fiamme mal trattenute. Fischiò piano un accenno di melodia, quasi a non voler disturbare. “Sei stata qui tutto il tempo, vero? È da maleducati guardare”

La quarta donna che mi vide aspettava un figlio e pregava di sopravvivere. Voleva il figlio e lo voleva in salute, ma temeva il parto. La sua mente era piena di sangue e paura e del volto candido dell’amica e sorella che aveva dovuto seppellire pochi mesi prima. Raccoglieva camomilla e valeriana, raccoglieva more e lamponi, raccoglieva, finocchio salvatico e sedano. Intrecciava corone di viole, frivola, in onore della primavera, per poi gettarle via quando si ricordava della sua condizione. I movimenti erano impacciati dal pancione, ma il passo seguiva il ritmo dei suoi pensieri, frenetico, incostante, incerto. Fu presa dalle doglie mentre camminava e si sdraiò, sola, sotto una betulla: Chi si sarebbe occupato del bambino se fosse morta nel bosco? La paura vorticava violenta, feroce. “Ti prego, resta.” mi supplicò, “Salva me e il mio bambino”.

La quinta donna aveva appena seppellito sua madre. Piangeva e non voleva fermarsi. Non era vero che ci si abituava alla morte, non era vero che dopo un po’ ce ne si faceva una ragione. Per lei ogni perdita era bruciante e improvvisa quanto un fulmine. Era accovacciata in angolo del prato e scavava dei solchi per terra con una roccia. Lo strato erboso accuratamente rimosso e posato poco distante in una pila ordinata. Pugnalava il terreno con insistenza: con l’altra mano, invece spostava gli accumuli di terreno accatastandoli in una piccola montagnola. Si interrompeva brevemente per soffiarsi il naso in un fazzoletto già fradicio e poi ricominciava, instancabile, come le sue lacrime. Continuò a piangere, ai miei piedi, supplicando incoerente un conforto che non c’era.

La sesta donna che mi vide stava per morire e mi tese la mano. “Portatemi con voi,” disse “come avete sempre fatto”.
  
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