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Autore: Jamie_Sand    22/09/2023    4 recensioni
Nel pieno della seconda guerra magica, lontano dalla famiglia, senza più una fidanzata e con ben pochi amici rimasti al suo fianco, il giovane Percy Weasley cerca di fare del suo meglio per limitare i danni.
Poi, una notte di fine ottobre, l'incontro con una babbana di nome Audrey Manning.
Genere: Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Audrey, Famiglia Weasley, Percy Weasley | Coppie: Audrey/Percy
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
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Capitolo 16

 

Il sole stava sorgendo sul castello distrutto e la Sala Grande si stava man mano bagnando della luce dell’alba. 

La McGranitt aveva risistemato i tavoli delle Case al loro posto, ma nessuno era più seduto nell'ordine giusto: erano tutti mescolati, insegnanti e allievi, genitori, fantasmi ed elfi domestici; un centauro era disteso in un angolo a riprendersi, mentre un gigante guardava dentro la Sala da una finestra rotta e la gente lanciava cibo nella sua grande bocca ridente. 

Percy Weasley era seduto su una delle panche da un po’ — Bill da una parte e Ginny dall’altra, — ma non sapeva nemmeno lui come ci fosse finito. 

Ricordava di aver ripreso i sensi in un corridoio distrutto, si era trascinato in Sala Grande dove la tregua stava permettendo loro di sistemare i caduti con dignità, poi di nuovo la battaglia ed ora erano lì, erano insieme, stretti nel loro dolore, tutti uguali con le loro chiome rosse e le loro lentiggini. Eppure Percy si sentiva terribilmente fuori luogo. 

La battaglia era finita, ma non sembrava così per sua madre, che si muoveva come posseduta da un’energia insana: andava avanti e indietro, aiutava i feriti, nutriva chi era affamato… 

Lo fa per non pensare a Fred, si disse Percy, mentre la guardava aggirarsi come una trottola tra la folla. 

Suo padre, invece, sembrava arrabbiato, abbandonato sulla stessa panca dei figli, lo sguardo vuoto e la bacchetta ancora stretta in pugno.

E poi c’era George. 

George era… diverso. Come se non fosse del tutto vivo. Se ne stava lì, seduto dall’altra parte del tavolo, con Angelina Johnson al suo fianco, zitto, con un’espressione vuota dipinta in volto e una tazza di tè davanti, vuota anch’essa. 

La battaglia era finita. 

Percy aveva intravisto il corpo morto di Tom Riddle poco fa e si era sentito felice; e poi disperato. 

La battaglia era finita, ma niente sarebbe tornato come un tempo. 

Fred era morto. 

Fred. 

Era morto.

Percy aveva cominciato a ripetere quelle parole nella sua testa senza un perché, come una sorta di macabro mantra, da quando si era ripreso.

Fred era morto e la sua famiglia non si sarebbe mai più ripresa.

Fred era morto e Audrey aveva perso sua sorella.

Fred era morto ma sarebbe dovuto morire lui.

Fred era morto e lui non riusciva a entrare in sintonia con il dolore dei suoi genitori e dei suoi fratelli. 

Perché? Perché lui? Perché loro?

Percy si alzò facendo un sospirò. - Io… vado a vedere se c’è bisogno di una mano per spostare i corpi. - Farfugliò, ma nessuno sembrò dargli ascolto. 

Tanto meglio, si disse, prima di attraversare la Sala Grande a passo svelto. 

I caduti della battaglia erano stati sistemati nella Sala d’Ingresso, in attesa di venire trasportati al San Mungo, proprio come i moltissimi feriti. Oliver, Katie e Aberforth stavano coordinando tutto, mentre intere squadre di medimaghi sembravano aver invaso il castello con le loro tuniche verdi e azzurre.

Percy passò accanto a quella fila di cadaveri senza abbassare lo sguardo su nessuno di loro. Non voleva rivedere il viso di suo fratello e nemmeno quello di Lucy. Poi raggiunse Katie, che se ne stava in piedi vicino alla porta con un foglio di pergamena in mano e disse: 

- Fammi fare qualcosa. - Esordì. 

Katie alzò lo sguardo e poi alzò le labbra in un sorriso davvero triste. - Percy… stanno per portare Fred al San Mungo. - Gli disse. - Stai con la tua famiglia. - 

Percy si sentì la gola secca quando tentò di deglutire. Come poteva spiegare che stare con la sua famiglia in quel momento gli frantumava il cuore? Come poteva dire di sentirsi un estraneo tra i suoi fratelli? 

- Io non… non ci riesco. - Rispose semplicemente con la voce spezzata. - Lasciami fare qualcosa, ti prego. Qualsiasi cosa. - 

Katie sospirò. - Torna a casa e avverti Audrey e i Cattermole che è finita, questo sarebbe molto utile. Saranno preoccupatissimi. - 

- No. - Rispose bruscamente Percy. - No… Audrey… sua sorella è morta. È morta stanotte e io non credo di farcela… - 

Codardo, sei un maledetto codardo. 

- Oh. Oh… - Fece Katie, assumendo un’espressione contrita. - Se non te la senti di parlarle allora ci pensiamo io o Oliver, non preoccuparti. - 

Percy annuì in fretta. - Sì… io non me la sento. Non me la sento per niente. - 

Già, perché sei un codardo. Dovresti andare lì, guardarla negli occhi e dirle di aver condannato Lucy il giorno stesso in cui l’hai portata a Hogwarts per tentare di salvarla. 

- Percy. - La voce di Katie lo riportò bruscamente alla realtà. Quando alzò lo sguardo, si rese conto che l’amica aveva poggiato una mano sulla sua spalla. - Devi andare al San Mungo con i tuoi fratelli e i tuoi genitori adesso. - 

- Voglio dare una mano qui. - 

- Lo so. Lo so… - Sospirò Katie. - Ma il dolore esige di essere sentito. - 

Percy prese un paio di profondi e faticosi respiri e poi annuì e scosse la testa insieme. Fosse stato per lui, in quel preciso istante, avrebbe dato qualsiasi cosa per smettere di sentire ciò che stava provando.

- Bell, vieni a darmi una mano. - La voce di Aberforth Silente, che se ne stava fermo sulla porta con un foglio di pergamena in mano, fece riscuotere Percy. 

- Sì, Abe, eccomi. - Rispose alla svelta Katie, prima di rivolgere nuovamente lo sguardo all’amico. - Stai con la tua famiglia, Perce, va bene? - 

Lui si limitò ad annuire e un attimo dopo si ritrovò da solo in quella Sala d’Ingresso piena di cadaveri. Si guardò rapidamente intorno, ma prima che potesse anche solo pensarci, le sue gambe si mossero. 

Iniziò così a camminare per quei corridoi distrutti, senza una meta e totalmente scollegato da sé stesso; attraversò la galleria delle armature e si ritrovò nella Sala dei Trofei. Lì, tutto sembrava essere rimasto intatto: le targhe e i premi vinti dagli studenti erano ancora conservata nelle teche di cristallo, non c’era traccia della battaglia appena finita e soprattutto c’era silenzio. Un meraviglioso e rassicurante silenzio. Era come essere precipitato in un’altra dimensione e Percy sarebbe rimasto volentieri lì per sempre. 

Dopotutto quello era sempre stato il suo rifugio per anni: era lì che andava, ai tempi della scuola, quando diventava tutto troppo… troppo. 

Se ne stava lì, guardava i trofei e si ripeteva che ne valeva la pena, valeva la pena beccarsi le prese in giro e avere pochi amici, perché lui eccelleva, perché anche il suo nome un giorno sarebbe stato importante e conosciuto. 

Rimase in piedi e immobile per una manciata di secondi, fermo davanti ai premi che la squadra di quidditch di Grifondoro aveva vinto negli anni. Le coppe vinte durante gli anni da capitano di Charlie, i nomi dei membri della squadre, il nome di Fred tra i battitori… 

Poi il rumore di passi provenienti dalla galleria delle armature adiacente attirò la sua attenzione. Quando si voltò verso la porta notò la presenza di una ragazza. Non era sporca e sconvolta come chiunque avesse partecipato alla battaglia, ma Percy ci mise comunque qualche attimo per riconoscerla. Notò che i suoi capelli biondi non erano mai stati più lunghi di quanto non fossero in quel momento, ma non era cambiato proprio niente sul bel viso di Penelope.

- Oh… Percy… - Soffiò lei commossa, buttandosi letteralmente tra le sue braccia. - Sono arrivata solo ora, sapevo che ti avrei trovato qui. - 

Percy si lasciò abbracciare, assumendo nel frattempo un’espressione un po’ perplessa. Non sapeva esattamente quando avesse smesso di pensare a lei. Ricambiò quella stretta quasi con cortesia e poi si rese tristemente conto che lì, in quel momento e con la propria fidanzata tra le braccia, non provava proprio nulla. 

Si staccò da lei e fece un passo indietro, scrutandola. Penny era sempre la stessa: aveva ancora l’aspetto innocente di chi non aveva vissuto nessun orrore nella sua vita, era così sana, intoccata, bellissima.

La guardò negli occhi, quei bellissimi occhi grandi e color cielo che però in quel momento non gli erano da conforto. 

Tutto quello a cui Percy riusciva a pensare dopo quasi un anno di lontananza da lei era Fred. 

E Audrey. Le labbra di Audrey, i suoi capelli, il suo corpo. Avrebbe dato qualsiasi cosa per stare con lei in quel momento, ma allo stesso tempo sapeva di non poter più guardare il suoi occhi senza sentirsi attraversare moralmente dal senso di colpa. 

- Come… come ti senti? Sei ferito? - Gli chiese Penny, incerta.

Percy scosse la testa, il suo volto vacuo e privo di ogni espressività. - E tu come stai? I tuoi genitori? - 

- Sto bene, stanno bene. Stiamo bene, ma solo grazie a te. - Rispose lei, facendogli un dolce sorriso e accarezzandogli piano una guancia. - Mi sei mancato così tanto... sono stati mesi terribili senza di te. Tutti i giorni ascoltavo radio Potter pregando di non sentire il suo nome, è stato… oh, Perce, adesso però sono qui, va bene? - 

Percy annuì in modo impercettibile, e sempre con quel piccolo sorriso che le piegava le labbra rosa, Penny si mise sulle punte e lo baciò. 

Fu breve, goffo e strano per Percy, che si allontanò per primo, ma non per Penny, che invece sembrava al settimo cielo per aver ritrovato il suo grande amore anche in quell’inferno. 

- Penny, io non so se… - 

- Andrà tutto bene da ora in poi. - Lo interruppe lei, stringendogli le mani. - Adesso sono qui, siamo insieme, questa è la cosa più importante. - 

Percy la guardò intensamente, poi scosse la testa. - Fred è morto. - Dichiarò. 

Le sopracciglia chiare di Penny si aggrottarono. - Oh no, Perce. Mi dispiace tanto… è terribile, davvero terribile…cosa posso fare per te in questo momento? Come stai? Se posso fare qualcosa per te o la tua famiglia… - 

Ti prego, smetti di parlare… 

Percy fece un passo in avanti e premette le labbra su quelle di lei all’improvviso, senza grazia né dolcezza. Lei approfondì quel contatto con entusiasmo, incrociando le braccia attorno al collo di lui e facendo aderire i loro corpi, cosa che fece sentire a Percy l’urgente bisogno di farsi indietro. 

- Devo andare al San Mungo con la mia famiglia, il corpo di Fred sarà trasportato lì tra poco, insieme a quello di tutti gli altri. - Disse lui, senza nessuna inflessione. 

- Vengo con te. - Si offrì Penny. 

- Non so se è il caso. - 

- Non voglio lasciarti solo ad affrontare una cosa del genere. - Ribatté fermamente lei. - Te l’ho detto, sono di nuovo qui, non ti lascerò. - 

Percy, senza la forza di sindacare, acconsentì con un cenno della testa, riprendendo poi a fissarla per una manciata di secondi. Come poteva dire alla sua fidanzata perfetta e amorevole di essere innamorato di un'altra persona? Come poteva spezzare il cuore purissimo di Penelope, che lo aveva aspettato e che era corsa da lui non appena aveva avuto l’occasione?

Forse ci sarebbe stato tempo per quello, dopo. 

 

.

 

Audrey si era resa conto che qualcosa non fosse andata come previsto quando, passata la mezzanotte, si era ritrovata da sola sotto il portico, a fissare la minacciosa oscurità della campagna che, circondando la fattoria dei Bell, si estendeva a perdita d’occhio davanti a lei. Era rimasta lì, seduta al vecchio e traballante tavolo da esterno, cercando conforto nelle tazze di tè caldo che di tanto in tanto la signora Cattermole le aveva portato, era rimasta lì con la speranza di veder comparire Percy dal nulla. 

Percy, insieme a Lucy. 

Era rimasta lì, aveva guardato in totale silenzio il cielo puntellato dalle stelle tanto care a sua sorella, pensando a quanto Lucy avrebbe adorato quel cielo, così diverso da quello di Londra di notte. 

Quel silenzio non era stato interrotto neppure una volta dal tipico suono di una smaterializzazione, e adesso il sole era sorto e né di Percy, né di Lucy (e nemmeno di Katie e Oliver) c’era ancora stata traccia. Eppure la battaglia era finita, avevano vinto, lo aveva detto la radio. 

Ma allora perché? Perché si trovava ancora sola sotto quel portico, a fissare le prime luci del giorno che illuminavano il prato ormai fiorito che circondava la fattoria? 

Perché Lucy non era lì ad abbracciarla in quel momento? Perché non erano tornate a casa? Qualcosa era andato storto, non bisognava essere particolarmente sensibili per capirlo. Audrey lo sentiva, lo sentiva nella pelle. 

- Abbiamo finito il tè, ma abbiamo ancora il caffè. - Una voce alla sua sinistra la fece voltare verso la porta d’ingresso della casa. La signora Cattermole era sulla soglia, con in mano una tazza fumante, il viso accartocciato di chi aveva passato l’intera nottata in bianco. - Ne vuoi un po’? - 

- Grazie, signora Cattermole. - Rispose Audrey, cercando di apparire tranquilla. 

La donna appoggiò la tazza sul tavolo e poi, dopo un attimo di esitazione, si sedette su una delle tre sedie rimaste libere attorno ad esso e prese a osservare Audrey per qualche silenzioso secondo. 

In quei mesi aveva imparato a conoscerla e poteva dire di provare una certa simpatia ma anche una certa apprensione per quella ragazzina babbana. Audrey era arrivata in quella casa terrorizzata e ora, proprio qualla mattina, sembrava un guscio vuoto. Forse tutta la paura degli ultimi mesi era riuscita a spezzarla alla fine. 

Era stanca Audrey; stanca della sofferenza e del lutto, stanca di quella vita reclusa, stanca di sentire la mancanza di sé stessa, della sua migliore amica Anne, di suo padre e suo zio e persino di sua madre. Era stanca di sognare la morte di sua nonna e di fingere di non provare niente per quell’idiota che le aveva promesso che sarebbe tornato e che invece in quel momento sembrava perso nell’etere.

- Mi sono resa conto di amare il mio Reg durante la prima guerra magica. - Parlò improvvisamente Mary, tirandola fuori dai suoi pensieri. - Anche in quel caso, in quanto nata babbana, la mia sopravvivenza fu messa a dura prova. I mangiamorte si divertivano a fare strage di babbani, sai? Reg aiutò me e la mia famiglia a stare al sicuro. - 

Audrey tirò su i lati della bocca senza sapere cosa dire e tacque. 

- Quando si sopravvive a qualcosa del genere si crea un legame indissolubile… un po’ come per te e il giovane Weasley. - 

Audrey aggrottò le sopracciglia, poi un sorrisetto imbarazzato piegò le sue labbra. - Io e lui non… lui in realtà ha una fidanzata di vecchia data. - Farfugliò. 

Mary fece una faccia scettica. - Mio marito non è d’accordo, ma secondo me lui è uno di quelli buoni. - Proseguì, ignorando totalmente le sue parole. - Uno di quelli da presentare alla propria madre. - 

La giovane fissò assorta la tazza piena di caffè davanti a lei per qualche istante. Non aveva pensato molto a sua madre negli ultimi mesi, non quanto aveva pensato a nonna Constance, nonna Harriette e lo zio Elijah. Tuttavia era abbastanza certa che lei non la stesse cercando in quel momento, anzi, probabilmente non si era nemmeno resa conto che le sue figlie erano sparite dalla circolazione. 

Questa consapevolezza strinse il cuore di Audrey in una morsa. Si sentiva così sola… 

- Mia madre non è quel tipo di madre. - Disse piano.

Ma non fece in tempo a elaborare quella frase ulteriormente che un suono molto familiare, secco e improvviso attirò la sua attenzione. 

Audrey sorrise ancor prima di voltarsi verso il giardino, aspettandosi di vedere il viso di sua sorella e Percy, entrambi sani e salvi, magari stanchi ma vivi. Ma quando lo fece, quando si voltò in quella direzione, fu solo Katie Bell a rivolgerle lo sguardo. 

Audrey ricambiò quell’occhiata: era così palese che la giovane strega fosse appena sopravvissuta all’inferno. Katie aveva i vestiti sporchi di terra e polvere, c’erano delle macchie scarlatte sulla manica destra della sua feste e una ferita vicino alla tempia piena di sangue raffermo, mentre i suoi occhi erano arrossati e stanchi. 

No, ti prego, pensò Audrey, mentre la sua espressione mutava radicalmente. 

Si alzò in piedi: - Dove sono? - Chiese bruscamente, camminando verso la ragazza. 

- Audrey… - Tentò di dire Katie, cauta. 

- No, okay? No. - La interruppe subito Audrey. - Dov’è Lucy? Perché non l’hai portata con te? - 

- Audrey, forse è meglio se… - 

- No! - Esclamò lei, fermandola di nuovo. - No, non cominciare, non farlo. Dimmi dov’è, dimmelo e basta. Dimmi dove sono tutti e due! - 

Katie fece uno sguardo di apprensione e sospirò, chiedendosi quali fossero esattamente le parole giuste da dire in quella circostanza. Le tornò in mente all’improvviso la mattina in cui venne a sapere che sua madre non ce l’aveva fatta, le parole esatte di suo padre, dette senza nessuna delicatezza, che la colpirono in faccia come uno schiaffo. No, non voleva quello per Audrey, non voleva guardarla negli occhi e dirle solo che sua sorella, la sua sorellina di quindici anni, che era morta ammazzata in una battaglia che non avrebbe nemmeno dovuto combattere. 

- Lucy… il suo corpo… - Balbettò, maledicendosi. - Il corpo di Lucy è al San Mungo in questo momento… mi dispiace tanto, Audrey. -

All’inizio Audrey non ebbe nessuna reazione in particolare, ma poi fissò Katie come se non avesse capito nemmeno una parola e scosse la testa. 

- Mi dispiace… mi dispiace tanto. - Tornò a parlare l’altra. - La battaglia è stata davv… - 

Audrey alzò una mano, facendo bloccare Katie a metà della frase, chiuse gli occhi e ancora scosse la testa. - Katie… ti prego. - La supplicò, piegando le labbra verso il basso. 

- Mi dispiace, Audrey... - Ripeté Katie, sentendo i suoi occhi pizzicare davanti a tutto quel dolore e prendendola una mano. 

La giovane dapprima tentò di liberarsi dalla presa della mano di Katie, ma poi la strinse ancor più forte, quasi come se avesse paura di vederla sparire davanti ai suoi occhi, e singhiozzò. Aveva la mente completamente annebbiata, mentre le gambe si erano fatte improvvisamente molli, come se fosse sul punto di svenire. Si guardò attorno, rendendosi conto che quella era proprio una bella giornata, una giornata di primavera. Faceva caldo, gli uccelli e gli insetti volavano e strisciavano, le galline nel pollaio facevano rumore e lei non riusciva a crederci: il mondo stava continuando a girare anche se sua sorella era morta.

Sentiva la presenza di una mano artigliata infilata nelle sue viscere; il dolore sembrava così reale, così insopportabile e destabilizzante che per un attimo si dimenticò di sé stessa.

Aveva così tante domande, eppure sembrava essersi dimenticata come si usasse la voce per parlare, e dubbi rimbombarono nella sua testa come proiettili impazziti: Lucy era morta soffrendo? Chi l'aveva uccisa? Perché la scuola non era stata evacuata? E poi… 

- P… Percy? - Chiese, con la voce soffocata, alzando di nuovo lo sguardo appannato sul viso di Katie. - Anche lui è… è… - 

- No, no. - Si affrettò a rispondere lei. - Percy sta… è vivo. Anche lui si trova al San Mungo in questo momento… suo fratello Fred purtroppo non ce l’ha fatta… - 

Audrey mugugnò qualcosa, annuendo con aria assente, per poi allentare la stretta sulla mano dell’amica. Si sentiva così confusa e distaccata, come se fosse finita in un orribile sogno da cui però sembrava non riusciva più a svegliarsi, come se qualcosa dentro di sé si fosse irrimediabilmente rotto. Era troppo. 

- Cosa… cosa devo fare adesso? - Domandò, dopo un respiro profondo, assaporando la strana sensazione di avere il petto completamente vuoto. - Devo andare da Lucy, vero? E da Percy. Avrà bisogno di me. - 

Io ho bisogno di lui… 

- Posso accompagnarti al San Mungo, se vuoi. - Propose Katie, fissandola con uno sguardo preoccupato. - Ma se hai bisogno di più tempo non c’è problema. Puoi restare quanto vuoi. - 

Audrey scosse solo la testa, poi si voltò verso la casa. Lì, sotto al portico, la signora Cattermole stava guardando verso di lei e Katie con una certa apprensione. 

Era finita. La guerra era finita. Sarebbe tornata a casa sua. 

Sarebbe tornata a casa senza Lucy. 

Non ci sarebbe stata più sua nonna pronta a friggere del platano per lei, non avrebbe mai più ascoltato le strane storie di nonna Constance né avrebbe mai più rivisto il sorriso sbilenco di suo zio Elijah. 

Che ne sarebbe stato di lei, adesso che era rimasta sola? 

- Andiamo al San Mungo. - Disse lentamente, girandosi nuovamente verso Katie. 

Katie annuì, poi la afferrò per un braccio e un attimo dopo tutto diventò nero.



 

L’insensatezza di questo capitolo non me la spiego nemmeno io. Non mi andava di farvi leggere di una battaglia di cui teoricamente avete già letto quindi… ecco queste circa tremila parole, il vuoto totale. Mi è uscito così, abbiate pietà e vi prometto che il prossimo sarà migliore. 

Non so se si nota, ma ho una bella crisi creativa in atto: ho tante idee ma scarsa capacità di metterle in atto e questo si riflette su questa storia e anche su altre cose che ho pensato di scrivere. 

Ringrazio chi sta continuando a seguire nonostante il rallentamento negli aggiornamenti, non sapete quanto sono utili i vostri feedback per continuare nonostante tutto. 

Alla prossima,

J.

   
 
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