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Autore: Emma Speranza    28/09/2023    12 recensioni
Il Ministero è caduto, le lettere di convocazione al Censimento per i Nati Babbani sono state inviate e quando Lydia Merlin riceve la sua, sa che è arrivato il momento di nascondersi. Ma una lezione che ha imparato durante i sette anni ad Hogwarts è che i suoi piani non vanno mai come dovrebbero.
Un incontro fortuito con un ex compagno di scuola ed un bambino troppo chiacchierone le ricorderanno che la fuga non è un’opzione, e che in un mondo magico che ha dimenticato cosa sia l’umanità e la pietà, c’è ancora qualcosa per cui vale la pena combattere.
Una storia di sopravvivenza, ingiustizia e dei mostri che si annidano nei luoghi più oscuri.
Dall'Epilogo:
​«Corri!»
Lydia sapeva che era arrivata la loro fine.
Nulla li avrebbe salvati.
Sfrecciò in mezzo ad un gruppetto di anziane signore, che reagirono lanciandole imprecazioni che mal si addicevano a delle così adorabili nonnine.
«Scusate, scusate!»
E ovviamente Lance perse tempo a cercare di farsi perdonare piuttosto che correre per salvarsi la vita.
Genere: Avventura, Guerra, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mangiamorte, Nuovo personaggio, Ordine della Fenice, Vari personaggi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Capitolo 9
Il ritorno degli eroi
 

La vita a casa O’Brien procedette in maniera relativamente tranquilla considerando la convivenza forzata tra la famiglia e i bambini sempre più numerosi. Gli stessi bambini che diventavano più scalmanati e ingestibili man mano che superavano di numero gli adulti della casa. Passavano infatti la maggior parte delle giornate ad escogitare marachelle e scherzi, oltre che a tentare di far prendere un colpo alla signora O’Brien e Katherine (e talvolta a Lance). Con Lydia non avevano lo stesso effetto, anzi, quando una mattina, mentre stava facendo le sue pulizie di routine, aveva trovato un bambino appeso al corrimano che tentava di scendere le scale come una scimmia, Lydia si era limitata ad agitare la bacchetta e con un incantesimo non verbale lo aveva sollevato e riposato con leggerezza sul pavimento, alzando a stento gli occhi dal suo lavoro. Il bambino l’aveva ringraziata con un «Uh-uh!» grattandosi la testa, ancora immedesimato nella scimmia, prima di saltellare di nuovo di sopra.
Il passatempo preferito da tutti i piccoli rimaneva però quello di distruggere il vecchio vaso della nonna di Lance e chiedere a qualunque mago talmente sventurato da passare di lì in quel momento, di sistemarlo per loro. L’avevano già rotto così tante volte che ormai quando i maghi e le streghe di casa sentivano il rumore dei cocci infranti, si dileguavano, ricomparendo dopo ore pur di non doverlo riparare di nuovo. Un giorno Lydia era rimasta nella sua camera per quattro ore pur di non essere presa di mira, ma quando era scesa per cercare uno spuntino, era stata placcata da Simon, che si era aggrappato alla sua gamba cercando di spingerla verso i resti del povero vaso. Lydia aveva così scoperto che i bambini avevano organizzato dei turni di guardia in attesa che uno sfortunato passasse dal pianerottolo. Il giorno dopo aveva usato un incantesimo di Disillusione per camminare indisturbata, passando sotto al naso di Daniel senza che lui si accorgesse di nulla.
Alla fine, presi dalla disperazione, Lydia e Lance si offrirono volontari per montare i giochi acquistati. Tutto pur di far uscire i bambini di casa per più ore possibili. Cercarono di coinvolgere Caitlin nel progetto considerando che anche lei li aveva accompagnati durante gli acquisti, ma la ragazza si dileguò all’istante lamentandosi di un improvviso e fastidiosissimo mal di testa che le avrebbe impedito di lavorare sotto il sole.
«Non saremo sotto il sole!» urlò Lydia mentre Caitlin saliva di corsa le scale per tornare in camera. «Li costruiamo sotto il tendone! E se ne è andata…» sbuffò «Fa niente, siamo comunque in due, li monteremo in un battibaleno.»
«Ci sono anche io!» Lydia e Lance sobbalzarono e si voltarono di scatto per vedere chi li aveva spaventati comparendo improvvisamente alle loro spalle. Non c’era nessuno. Abbassarono lentamente lo sguardo e trovarono Henry, un sorriso gigante che mostrava chiaramente i due denti davanti che stavano sbucando dalla gengiva. Saltellava sul posto, esaltato all’idea di poterli aiutare a costruire.
Lance posò una mano sulla testa di Henry per farlo smettere di saltare. «No.» sentenziò.
Il sorriso di Henry si spense all’istante. «Ma io voglio aiutarvi. Aiuto sempre la mia mamma a fare i lavoretti. So usare il martello!» Lydia immaginò Henry con in mano un martello e si affrettò a negare anche lei il permesso, per evitare di rimanere senza qualche arto entro la fine dei lavori.
«E allora io non gioco con voi.» E anche Henry si allontanò di corsa su per le scale.
Lydia cercò di ignorare il minuscolo senso di colpa che avvertì nel suo cuore. «Forza! Prima iniziamo prima i bambini saranno fuori casa! Quanto vuoi che ci impiegheremo a montare alcuni giochi?»
 
Un’ora dopo Lydia stava rasentando la disperazione.
«Ci rinuncio!» sentenziò. Lasciò cadere a terra i pezzi di plastica che aveva cercato di unire fino a quel momento.
«Abbiamo iniziato solo un’ora fa e già rinunci?» Lance, al contrario, sembrava deciso a completare il proprio lavoro, anche se gli effetti non erano molto diversi.
«Siamo maghi!» esclamò lei spazientita «Non siamo capaci di fare queste cose babbane.» guardò con disprezzo i pezzi di plastica e le viti che la circondavano.
Lance iniziò a stringere una vite, o almeno tentò visto che stava ruotando il cacciavite dalla parte sbagliata, ma Lydia decise di non farglielo notare. «Certo, siamo maghi, ma abbiamo vissuto entrambi undici anni come babbani, circondati da babbani a fare cose babbane.»
Se avesse ripetuto un’altra volta ‘babbani’ Lydia lo avrebbe colpito con il martello che si trovava lì vicino sul tappeto di gomma, nella confusione che regnava attorno a loro. Almeno sarebbe tornato utile visto che fino a quel momento avevano utilizzato solamente due cacciaviti.
Si trovavano nel tendone che Duncan e il signor O’Brien avevano innalzato qualche giorno prima. Il soffitto era aperto e lasciava entrare il sole mattutino, e infatti, all’inizio dei loro lavori, Caitlin aveva spalancato la finestra della sua camera per urlare. «Visto? Siete sotto il sole! Povera la mia testa.» per poi chiudere violentemente la tapparella, anche se Lydia era convinta che li stesse tuttora spiando.
«Dai, non vorrai far vedere a mio fratello che un Grifondoro si tira indietro alla minima difficoltà.» Lance sapeva perfettamente come motivare Lydia.
«Questa non è una difficoltà, è proprio una missione impossibile! Sarebbe più facile sfidare un basilisco ad una sfida a chi tiene lo sguardo più a lungo.»
Lance si grattò il mento con la punta del cacciavite. «Effettivamente sarebbe una sfida interessante. Ipotizza che indossi gli occhiali, allora verresti pietrificato e potresti mantenere lo sguardo all’infinito e…»
Lydia schioccò le dita davanti al volto di Lance. «Concentrati, Lance.»
E così tentarono di nuovo, decidendo di abbandonare lo scivolo e lasciarlo distrutto per potersi dedicare all’altalena, che dalle istruzioni sembrava un progetto più semplice. O meglio, il libretto delle istruzioni aveva molte meno pagine. Invece quando arrivò l’ora di pranzo erano ancora al punto di partenza, ma con molti più oggetti a ricoprire il pavimento del tendone tanto da non riuscire più a vederlo.
«Venite a mangiare?» li chiamò gentilmente la signora O’Brien dall’ingresso di casa.
«No!» urlarono entrambi, e la signora O’Brien decise che per quella volta era meglio non insistere e si limitò a portare due panini imbottiti e delle bottigliette d’acqua fresca, utili per combattere l’ora più calda del giorno.
 
«Il pezzo A deve essere unito al pezzo B.» Lydia indicò il libretto delle istruzioni, che recitava, in modo molto più complesso e con mille giri di parole, la stessa identica cosa.
«Ma come facciamo a capire quale è il pezzo A e quale il pezzo B?» Lance stava esaminando le sbarre di ferro, sperando che le lettere fossero marchiate lì, o che un segnale divino gli indicasse la differenza.
«Perché non fanno dei disegni?» L’istinto di Lydia le urlava di distruggere quei fogli, incenerirli, andare a dormire e dimenticare quella giornata infernale. Era illegale trascorrere un giorno intero alle prese con dei dannati giochi e ritrovarsi al punto di partenza. L’unica cosa che le impediva di arrendersi era il suo spirito da Grifondoro, o meglio la rivalità contro i Serpeverde, in quel caso rappresentati da Duncan, che a metà pomeriggio era passato a vedere a che punto fossero e se ne era andato ridendo senza ritegno. Lance aveva dovuto gettarsi addosso a Lydia per impedirle di lanciargli un cacciavite appuntito. Non che questo avesse migliorato la situazione: Lance si era ritrovato praticamente sdraiato sopra Lydia proprio nel momento in cui Caitlin era passata accanto al tendone, il suo finto mal di testa completamente dimenticato, e anche lei si era allontanata ridendo come una pazza.
«Quello è il pezzo A.» disse una vocina alle loro spalle. Henry indicava una sbarra che si trovava a qualche metro di distanza da loro.
«E tu come fai a saperlo?» chiese sospettosa Lydia.
Il bambino alzò le spalle, senza rispondere.
Lance si slanciò verso la sbarra indicata, spargendo nel frattempo sul pavimento un contenitore pieno di viti. «E sai quale è il pezzo B?»
Henry indicò una sbarra a diversi metri da loro.
«Henry, come fai a saperlo?» ripeté invece Lydia con un tono fin troppo calmo.
«Che cosa importa! Basta che ci aiuti ad uscire da questo incubo!» sospirò Lance alzandosi per recuperare la sbarra. Barcollò, le gambe mezze addormentate dopo essere rimasto seduto per tante ore di seguito. Vedendo i movimenti sconnessi del ragazzo, Lydia si alzò e si massaggiò leggermente le gambe, per far riprendere la circolazione, prevedendo quello che sarebbe accaduto entro poco.
Continuò a fissare Henry. Sapeva che il bambino avrebbe ceduto molto presto, infatti bastò una semplice occhiata per farlo confessare.
«Quando stamattina non mi avete voluto con voi ho preso tutti i libretti delle istruzioni, ho tolto le prime pagine con le immagini e li ho scambiati tutti!» disse spaventato «E’ colpa vostra! Dovevate lasciarmi stare qui con voi!»
Lance si bloccò sui suoi passi per fissare Henry con uno sguardo tra l’ammirato e lo scioccato. «Quel bambino è un genio del male.» commentò e scambiò un cenno di intesa con Lydia.
«Henry.» Lydia incrociò le braccia sul petto e sorrise. Per un attimo Henry si sentì al sicuro, lo avevano perdonato! E invece: «Ti consiglio di iniziare a correre.» e il bambino non se lo fece ripetere. Corse verso il giardino, inseguito dai due ragazzi.
Fecero due volte il giro della casa, fino a quando Henry decise che il posto più sicuro sarebbe stato a fianco della signora O’Brien. Aprì di scatto la porta d’ingresso, andando a colpire Duncan sul volto (e, grazie a questo, Lydia decise che forse poteva perdonarlo) e si diresse verso la cucina.
«Ma quanto corre veloce quel bambino?» chiese senza fiato Lance «E dire che noi siamo anche scappati da uno stupido Mangiamorte, dovremmo essere in forma!»
«Che cosa avete fatto voi?» Lydia e Lance si bloccarono sul posto, impietriti. Il signor O’Brien li fissava con uno sguardo torvo dalle scale.
«Niente!» esclamò subito Lydia «E’ una storia che abbiamo inventato per impressionare Henry.» sorrise.
«Ma non mi avete mai detto...» Henry, appena comparso dalla porta della cucina si rimangiò subito le sue parole, troppo spaventato dall'occhiataccia di Lydia.
«Ora dobbiamo andare a finire il nostro lavoro.» Lance cercava di sembrare innocente ma non era molto convincente.
«Dobbiamo proprio andare.» gli diede corda Lydia, indietreggiando. Afferrò il braccio del ragazzo e si dileguarono con la stessa velocità con la quale erano arrivati.
 
Solamente alle tre di notte riuscirono a portare a termine il duro lavoro.
«Come ti sembra?» chiese assonnata Lydia, osservando i risultati da una delle finestre della casetta appena costruita. Ma nessuno rispose. «Lance?» Il ragazzo si era addormentato. Sdraiato occupava praticamente metà della costruzione, la parte davanti alla porticina. Per poter arrivare al suo letto, Lydia avrebbe dovuto scavalcarlo, camminare fino all'ingresso, salire le scale che nella sua mente sembravano infinite, e attraversare un intero corridoio. Troppa strada. E così si sdraiò nel poco spazio rimasto e non appena appoggiò la testa al pavimento di gomma si addormentò, nonostante la posizione scomoda e il leggero russare di Lance.
E sarebbe andato tutto bene se la mattina dopo non fossero stati scoperti a dormire nella casetta proprio da Caitlin e da un’orda intera di bambini. Scoprirono solo in seguito che Caitlin li aveva spiati per tutto il tempo proprio come sospettato da Lydia, e quando si era accorta che nessuno dei due si trovava nella propria camera, aveva preso l’iniziativa di portare i bambini a vedere i loro nuovi giochi. La signora O’Brien era rimasta profondamente commossa dall’altruismo di Caitlin, senza sospettare minimamente le sue vere intenzioni. E così Lance e Lydia si erano svegliati quando i bambini erano corsi nella casetta calpestandoli senza pietà, e si erano dovuti sorbire per tutto il giorno le domande curiose dei bimbi sul perché avevano dormito all’aria aperta e se potevano farlo anche loro, oltre che alle frecciatine e i sorrisetti di Caitlin, la quale non aveva perso tempo per raccontare l’intera vicenda a Duncan, facendo in modo che anche lui iniziasse a dare loro il tormento, nonostante i tentativi di bloccarlo da parte di Katherine.
Continuarono in quel modo per l’intera giornata, fino a quando, durante la cena, il signor O’Brien entrò nella sala da pranzo vestito con il mantello da viaggio e un sorriso soddisfatto sul volto. «Ci siamo messi in contatto con l’Ordine della Fenice!» A quelle parole il cucchiaio scivolò dalla mano di Lydia ricadendo nella zuppa e schizzando i suoi vicini.
«Quell’Ordine della Fenice?» chiese senza fiato.
«Quando sei uscito?» domandò invece Caitlin, contrariata. In effetti non lo avevano visto per qualche ora, ma avevano dato tutti per scontato che si trovasse nel suo ufficio a studiare la mappa, come faceva spesso negli ultimi giorni. «Ecco, avevi detto che eri bloccato in casa anche tu visto che sei il nostro Angelo Custode o come si dice e invece esci sempre quando vuoi! Perché solo io non posso uscire? Sono maggiorenne, ho tutto il diritto di andare fuori casa quando voglio come fate tutti voi e…»
«Caitlin. Ora la smetti, oppure vai in camera tua senza cena.» disse semplicemente la signora O’Brien, zittendo in un colpo solo la figlia, la quale però incrociò le braccia al petto offesa e squadrò l’intera tavolata.
Il signor O’Brien proseguì come se nulla fosse successo. «Proprio quello.» si sedette al suo posto e si riempì il piatto di zuppa, incurante degli sguardi sbalorditi che i suoi commensali gli stavano lanciando (tranne Caitlin, chiusa ora in un mutismo totale).
«Non ci posso credere!» Lydia si alzò in piedi e si diresse velocemente verso di lui, sedendosi sulla sedia accanto, la quale era già occupata da Lance, che fu costretto ad aggrapparsi al tavolo per non cadere a causa della spinta della ragazza.
Il primo libro magico che Lydia aveva mai letto riguardava storia contemporanea. Lo aveva comprato suo padre perché voleva informarsi riguardo all’attualità del mondo dei maghi e così si era ritrovata anche lei a leggere le cronache riguardo alla prima guerra contro Colui Che Non Doveva Essere Nominato. Nel libro veniva nominato un gruppo di resistenti: un certo Ordine della Fenice. La ragazzina di undici anni che si apprestava ad entrare nel mondo magico era rimasta affascinata da quel gruppo misterioso che lottava contro il male, una reazione completamente opposta a quella del padre, il quale si era preoccupato all’idea che nel mondo magico fosse appena terminata una guerra ingiusta e sanguinaria. In ogni caso, per Lydia, sapere che quel fantomatico Ordine esisteva davvero e che il signor O’Brien era riuscito addirittura a mettersi in contatto con loro, aveva riacceso la sua curiosità e l’ammirazione che provava. «Come sono?» chiese ignorando i tentativi di Lance di riconquistare la sedia.
«Alcuni li conosci.» rispose il signor O’Brien. A questo punto anche Lance gli prestò la sua completa attenzione, accontentandosi di poter rimaner seduto su un angolo minuscolo della sedia.
«Chi?»
Il signor O’Brien abbassò la voce e parlò solamente a Lydia e Lance, non che gli altri fossero molto interessati: Caitlin continuava ad essere offesa per il fatto che suo padre fosse uscito di casa, i bambini avevano ricominciato a giocare con il cibo, non molto entusiasti della cena a base di zuppa, e la signora O’Brien era intenta a rimproverare i bambini mentre tentava allo stesso tempo di far ragionare la figlia. Duncan e Katherine invece parlavano tra loro, da come avevano reagito si capiva che quella storia non li era del tutto nuova e probabilmente avrebbero chiesto aggiornamenti in un momento successivo, in un posto meno rumoroso.
«La professoressa McGranitt.»
L’intransigente professoressa di Trasfigurazione faceva parte di un gruppo che lottava contro Colui Che Non Doveva Essere Nominato?
«E’ fantastico!» esclamò Lydia.
Aveva da sempre un misto di ammirazione e terrore nei confronti della professoressa McGranitt e, pensandoci bene, non la stupiva il fatto che fosse in prima linea nella battaglia.
«Ovviamente nessuno deve saperlo, è un’informazione strettamente confidenziale che condivido solo perché mi fido di voi e della vostra discrezione. Non fatemi pentire.» Lydia annuì energicamente, qualsiasi cosa pur di continuare il discorso. Il signor O’Brien si tranquillizzò ed iniziò a mangiare la sua zuppa tiepida. «La professoressa McGranitt tornerà ad Hogwarts ad insegnare ed è meglio che nessuno sappia della sua appartenenza all’Ordine o sarebbe immediatamente scacciata dalla scuola, se non peggio.»
«E all’Ordine fa comodo avere occhi e orecchie anche nella scuola...» concluse Lance.
«E anche a noi! E’ proprio lei ad averci procurato i nomi dei Nati Babbani che dovrebbero iniziare a frequentare Hogwarts quest’anno!» Si vedeva che il signor O’Brien era orgoglioso del suo lavoro. Non solo aveva contattato un’organizzazione nascosta al mondo, ma con questo contatto sarebbe riuscito anche a salvare dei ragazzini. «Settimana prossima saranno loro a dover affrontare il Censimento, proprio pochi giorni prima dell’inizio dell’anno scolastico. Abbiamo scoperto che sono stati divisi in due turni, uno giovedì e uno venerdì ma agiremo lo stesso giorno per tutti i ragazzi. Abbiamo concordato di andare a prenderli questo sabato, per concederci un lasso di tempo in caso le cose non vadano secondo i piani. Sarà una missione delicata e dovremo organizzarci alla perfezione, tanto che non potremo farlo noi da soli ma avremo bisogno di collaborare con i ragazzi delle altre Case Sicure, e l’Ordine stesso ci aiuterà fornendoci gli indirizzi dei ragazzi e rinforzi in caso di necessità. Oltre che una nuova scorta di Pozione Polisucco.»
«Anche la nostra è quasi pronta.» si affrettò ad aggiungere Lance.
«Lo so, ma è una Pozione delicata da preparare e hai visto con quanta velocità la consumiamo.»
Lydia invece era rimasta letteralmente a bocca aperta: avrebbe collaborato con l’Ordine!
«Lydia, chiudi la bocca...» sospirò Lance, che non capiva l’entusiasmo dell’amica e vedeva il salvataggio di sabato non molto differente da tutte le altre missioni.
«Dove ci incontreremo?»
«In uno dei nostri rifugi. Sono i più sicuri in cui stabilire la nostra base operativa.»
«E Harry Potter è con loro?» chiese Lydia, piena di speranza. Se Harry Potter faceva parte dell’Ordine della Fenice, loro avrebbero potuto avere notizie riguardo al ragazzo che sembrava essere destinato a salvare il mondo magico e ai suoi progetti per concludere quell’insensata guerra. Anzi, avrebbero potuto persino collaborare con lui ed aiutarlo in quella missione che sembrava impossibile.
Il sorriso del signor O’Brien si incrinò e così tutte le fugaci speranze di Lydia. «No, è stato costretto alla fuga il giorno della Caduta del Ministero.»
«Vuol dire che è scappato?» Questo Lydia non se lo aspettava. Pensava che Harry Potter avrebbe combattuto in prima linea contro il nemico, non che fosse scomparso nel nulla il giorno stesso in cui Colui Che Non Doveva Essere Nominato aveva conquistato definitivamente il potere. In fondo durante gli anni che avevano condiviso ad Hogwarts non era mai scappato di fronte al pericolo: aveva ingannato un drago, scacciato centinaia di dissennatori al termine del suo terzo anno con un incantesimo che si imparava solamente al settimo e ucciso un Basilisco a soli dodici anni! E queste erano solo poche delle voci o dei fatti riguardanti le sue imprese. Per un attimo ripensò alle calunnie e alle critiche che avevano accompagnato Harry Potter durante quegli stessi anni, riguardo al fatto che in realtà non avesse compiuto nessuna di queste imprese, godendo invece della popolarità che aveva acquisito sopravvivendo all’Anatema che Uccide. Lydia aveva sempre negato quelle voci, andando a volte contro Alice e Paul per questo. E se invece avessero avuto ragione? Scosse la testa per rimettere in ordine i pensieri.
«Lo sapevo.» Duncan si intromise nella conversazione dando inconsapevolmente voce ai dubbi di Lydia «E’ solo un ragazzino spaventato! Altro che ‘Prescelto’.»
Pur di non essere d’accordo con Duncan, Lydia tornò immediatamente dalla parte di Harry. «Sei solo invidioso.»
Duncan scoppiò in una risata di scherno che attirò l’attenzione del resto dei commensali «Perché mai dovrei essere invidioso di Potter? Ma non puoi negare che il tuo eroe è scomparso quando il mondo magico ha avuto e ha tuttora davvero bisogno di lui. Tutte le bugie raccontate negli anni stanno finalmente venendo a galla.» Dopo questa frase, Duncan si beccò una gomitata leggera da parte di Katherine, che però non sortì alcun effetto. «Colpa nostra, che ci siamo bevuti ogni singola fesseria. A forza di credere che lui sia il salvatore, tutti i maghi hanno perso la volontà di lottare. E’ comodo vivere con la convinzione che qualcun altro risolverà tutti i nostri problemi.»
«Duncan, smettila.» lo rimproverò Katherine.
«Sto solo dicendo che dovremmo prendere in mano la situazione e lottare tutti in prima persona contro Voi-Sapete-Chi, senza aspettare che un tizio a caso venga a salvarci.»
Su questo Lydia concordava, ma un vecchio orgoglio la portò a ribattere. «Harry Potter è sopravvissuto due volte ad uno scontro con Tu-Sai-Chi!»
«Il fatto che sia sopravvissuto all’Anatema che Uccide è stato solo un caso, lo sai anche tu questo.» Duncan continuava a parlare con tranquillità, come se stesse spiegando dei concetti elementari ad una persona poco sveglia, comportamento che fece infuriare ancora di più Lydia.
«Ha ucciso un Basilisco!»
«Hai mai visto il cadavere?»
«Duncan, Lydia, ci sono i bambini!» provò a fermarli la signora O’Brien, anche lei senza riscuotere alcun successo.
Lydia continuò imperterrita «E la seconda volta che ha affrontato Tu-Sai-Chi? Ha duellato contro di lui, circondato dai Mangiamorte ed è riuscito a tornare ad Hogwarts.» Ormai la tavolata assisteva incantata alla scena, muovendo le teste all’unisono come se fosse un incontro di ping pong.
«Peccato che l'unico che potesse testimoniare la verità di quella scena sia morto.» Lydia percepì Lance irrigidirsi accanto a lei. «E se davvero la coppa Tremaghi era una Passaporta come dicono loro, perché Potter non l’ha ripresa subito appena si è accorto di essere uscito dai confini di Hogwarts? O avrebbe potuto farlo Diggory, anche se non era un ragazzo molto sveglio.»
L’allusione a Cedric Diggory fu la goccia che fece traboccare il vaso. Lance si alzò di scatto rischiando di far ribaltare Lydia dalla sedia e prendendo la bacchetta dalla tasca. La puntò alla testa di Duncan, gli occhi infuocati e la mano che stringeva convulsamente la sua arma. Lydia non lo aveva mai visto così infuriato. Faceva quasi paura.
«Lance!» esclamarono in coro i signori O’Brien. Caitlin dimenticò completamente di essere offesa ed iniziò a seguire la scena con un entusiasmo fuori luogo. I bambini invece non riuscivano a capire cosa stesse succedendo.
«Ripetilo, se ne hai il coraggio.» sibilò Lance.
«Ho detto solo la verità.» rispose Duncan.
«Non osare dire una parola su Cedric!»
Duncan ridacchiò. «Se no che fai? Mi trasformi in un ingrediente per le tue stupide pozioni?»
Dalla bacchetta di Lance sfuggirono alcune scintille azzurre che si avvicinarono pericolosamente al viso di Duncan, il quale reagì alzandosi di scatto e mirando la sua bacchetta contro Lance, estratta dalla tasca con un movimento talmente veloce da essere stato invisibile agli occhi degli altri. Vedendo Duncan minacciare Lance, Lydia agì d’istinto. Si alzò facendo cadere la sedia con un tonfo e puntò la sua bacchetta sulla fronte di Duncan.
«Duncan! Lydia! Non iniziate anche voi!» La signora O’Brien era talmente stupita da rimanere paralizzata sulla sua sedia.
Il marito invece si alzò in piedi e tentò di calmare le acque. «E’ meglio discuterne in modo civile, e in privato.»
Duncan ignorò i suoi genitori. «Abbassa quella bacchetta, scricciolo.»
«Prima ritira quello che hai detto su Cedric.»
Lydia sapeva perfettamente il motivo dell’improvviso scoppio d’ira di Lance: Cedric Diggory aveva solo un anno in meno rispetto a loro, era un Tassorosso e per questo motivo Lance lo conosceva molto bene e aveva stretto con lui un’amicizia durante gli anni di Hogwarts. Lydia ricordava bene il momento in cui si erano accorti che Harry Potter aveva riportato dal labirinto il cadavere di Cedric. Le urla di orrore risuonavano ancora nelle sue orecchie e Lance non era stato più lo stesso dopo quel giorno. Duncan non aveva nessun diritto di parlare in quel modo di Cedric.
«Mi hai sentito, ritira quello che hai detto su Cedric!» ripeté Lance, il braccio della bacchetta teso a tal punto da far risaltare i muscoli e le vene.
«Basta così!» Il signor O'Brien aveva perso il suo solito contegno e guardava Lydia e il figlio minore con rimprovero «Mettere via quelle bacchette, immediatamente!» e se Lydia fosse stata sola l’avrebbe fatto, ma Lance non sembrava avere intenzione di cedere e lei si sarebbe comportata di conseguenza nello stesso modo.
Il tavolo era stranamente silenzioso, anche i bambini, di solito entusiasti alla vista delle bacchette, erano ammutoliti e li fissavano sconcertati, alcuni con le lacrime agli occhi.
Vedendo che il fratello non aveva intenzione di rispondere, Lance continuò «Lydia ha ragione. Sei solo invidioso, perché tu non vali neanche la metà di Harry Potter e ti pesa il fatto che sia lui il Prescelto mentre tu sei una nullità in confronto. Vorresti avere il potere che ha lui, l’importanza che il mondo magico gli ha dato, ma ti do una notizia: tu non sei nessuno e al mondo non gliene frega nulla di quello che pensi.»
Duncan reagì velocemente, con un gesto fluido sferzò la bacchetta e lanciò contro di loro un incantesimo.
La reazione di Lydia fu guidata dall’istinto più che dal buon senso. Rimasta stupita che Duncan avesse davvero lanciato un incantesimo, fu presa alla sprovvista e reagì in modo irrazionale nonostante la bacchetta alzata. In quel millisecondo tra l’inizio dell’incantesimo e l’impatto contro di loro, pensò da babbana: si buttò a terra trascinando Lance con sé e, per errore, l’intera tovaglia a cui Lance si era aggrappato quando si era sentito spingere, iniziando una reazione a catena che li portò ad essere circondati da stoviglie rotte e pezzi di vetro. E a quel punto Lydia fece una cosa ancora più stupida. Nel tentativo di rialzarsi, spinse inavvertitamente la sedia vicina contro il tavolo, ma questa si inclinò all’indietro e cadde verso di lei, che per schivarla rotolò su se stessa finendo proprio sopra i pezzi scheggiati di un bicchiere. Un urlo di dolore le sfuggì dalle labbra quando sentì il vetro penetrare nella pelle e nel muscolo della spalla.
Un rumore di vetri che stridevano sul pavimento e Lance fu immediatamente al suo fianco «Lydia!» la afferrò ed aiutò a mettersi seduta, allontanando con la mano avvolta nella maglietta i cocci e la zuppa ormai fredda rovesciata attorno a loro. Lydia avrebbe voluto ringraziarlo ma al momento era concentrata sulle fitte di dolore che si irradiavano dai punti in cui si erano conficcati i frammenti di vetro più grossi.
Il signor O’Brien stava urlando contro Duncan, anche se Lydia non riusciva a comprenderne le parole a causa dei pianti di alcuni bambini, spaventati dall’incantesimo e dal rumore di stoviglie rotte. Inoltre, sentendo il liquido scendere copioso dal braccio, si rese conto che una pozza di sangue si stava allargando ai suoi piedi, mischiandosi alla zuppa rovesciata e creando una poltiglia sul pavimento che le diede il voltastomaco.
Lance le stava osservando preoccupato le ferite e Lydia si sentì in dovere di rassicurarlo, riuscendo a recuperare la voce «Guarda che ho sentito di peggio.» con la mano non ferita indicò la guancia attraversata dalla cicatrice. Era vero, il dolore che provava ora alla spalla e al braccio non erano nulla in confronto a quello che aveva sentito quel giorno infernale e le settimane successive.
«Ma quella volta non era colpa mia.» Lydia si accorse che Lance evitava il suo sguardo, per questo posò la mano destra sul volto del ragazzo, costringendolo a guardarla negli occhi.
«Non è colpa tua.» disse decisa e avrebbe voluto aggiungere qualcos’altro per convincerlo, ma il signor O’Brien decise proprio in quell’istante di rivolgersi a loro, dopo aver strigliato Duncan.
«E sono profondamente deluso anche da voi! Siete stati degli…» ma non seppero mai cosa erano stati in quanto l’uomo, impegnato prima a deviare l’incantesimo di Duncan e poi a rimproverarlo, non si era reso conto fino a quel momento del sangue che gocciolava sul pavimento. «Caitlin, vai a prendere la borsa del primo soccorso.» disse invece.
Lydia riuscì a rimettersi in piedi barcollando e intravide la signora O’Brien che faceva uscire dalla stanza tutti i bambini, aiutata da Katherine. Lance continuava a sostenerla e Lydia gli fece notare con un sorriso che riusciva a camminare da sola. «Davvero, guarda che non mi fa neanche male!» Una bugia a fin di bene, o meglio, per non far andare Lance completamente nel panico.
Lydia si raddrizzò e, mascherando il dolore, raggiunse il divano del salotto, seguita a ruota da Lance e dal signor O’Brien. Caitlin era già seduta sul tavolino, intenta a rovistare in una borsa con il simbolo del pronto soccorso. Estrasse soddisfatta un paio di pinzette appuntite contenute in un sacchetto di plastica sigillato, una boccetta di disinfettante e alcune bende. Lydia sentì le ferite bruciare alla sola vista del disinfettante rosso. Quando lo odiava. Con uno sbuffo si lasciò cadere sul divano e allungò una mano per prendere le pinzette.
«Che fai?» le chiese Caitlin recuperando anche un paio di guanti di lattice.
«Mi tolgo i vetri.» rispose Lydia come se fosse la cosa più naturale del mondo. Si era già tolta delle schegge e dei piccoli pezzi di vetro da una mano una volta (una lunga storia che coinvolgeva una manticora molto arrabbiata). Certo, i frammenti che ora spuntavano dalla sua spalla erano di dimensioni maggiori, ma era sicura di potercela fare. Forse.
Caitlin alzò gli occhi al cielo e si infilò i guanti. «Non fare la stupida. Ci penso io.» Strappò l’involucro delle pinzette. Lance si sedette accanto a Lydia sul divano, stringendo tra le mani un asciugamano e indeciso se poteva usarlo per tamponare le ferite senza causare danni maggiori.
«Emh… no, davvero, posso farlo io.» replicò Lydia, incerta su come e se ammettere che, per quanto poco la conoscesse, non si fidava di Caitlin.
Fu il signor O’Brien ad intervenire per tranquillizzarla. «Non devi preoccuparti, Caitlin ha seguito diversi corsi di primo soccorso.» Lo stupore le fece dimenticare per un secondo il male. Solo per un secondo perché quello successivo Caitlin aveva già strappato un pezzo di vetro dal braccio facendola trasalire per il dolore.
«Volevo fare il medico. Ho iniziato a seguire i corsi di primo soccorso perché volevo portarmi il più avanti possibile.» spiegò Caitlin facendo ricadere il vetro sporco di sangue in un contenitore di metallo fatto comparire dal nulla dal padre. Strappò dalle mani di Lance l’asciugamano che lui aveva provato ad avvicinare alla nuova ferita aperta di Lydia. «Sai quanti germi ci sono qui sopra? Vuoi ucciderla?» buttò per terra lo straccio e imbevve un batuffolo di cotone con il disinfettante. «Ecco, renditi utile ed usa questo.» Il modo in cui fu trattato aiutò Lance a riprendersi dal senso di colpa. Si imbronciò e tamponò con delicatezza la ferita di Lydia.
Sì, Lydia odiava profondamente il disinfettante.
«Comunque adesso ha cambiato idea.» disse Lance.
«Che utilità può avere un dottore se voi potete curare le ossa rotte in una notte con i vostri disgustosi intrugli?» ed estrasse un altro pezzo di vetro facendo sibilare Lydia.
«L’unico motivo per cui voleva diventare medico era perché pensava che noi non fossimo capaci di curarci. Poi quando sono stato ricoverato al San Mungo per intossicazione da Actaea, ha scoperto che noi ce la caviamo abbastanza bene nella medicina, o meglio in quei ‘disgustosi intrugli’, come li chiama lei.»
Se Lance era delicato nei movimenti nonostante la rabbia, Caitlin invece non aveva lo stesso sangue freddo e strappò il vetro successivo con una forza eccessiva. «Insomma!» protestò Lydia ritirando il braccio dalla presa di Caitlin, mentre delle lacrime le scorrevano sulle guance.
«Ragazzi, vi prego… Non di nuovo.» Il signor O’Brien era esausto e anche i suoi tentativi di bloccare i figli erano sempre più deboli.
«E’ stato Lance!»
«Ha iniziato lei!»
«E’ il mio braccio!» protestò Lydia.
Vedendo la sua faccia dolorante gli animi si calmarono per i successivi dieci secondi.
«E comunque sì.» proseguì infine Caitlin, mentre estraeva con delicatezza una delle schegge più grandi. «Ho cambiato idea, e ho deciso di studiare per diventare ricercatrice.»
«Per dimostrare al mondo che la magia non esiste e che ogni incantesimo è spiegabile con la scienza.» Lance buttò il cotone nel contenitore di metallo e ne prese uno nuovo, schiacciò il disinfettante facendone finire qualche schizzo anche sulla sua maglietta.
«Lance! Adesso basta!»
«Non ti preoccupare, papà. Ha ragione.» Caitlin scrollò le spalle «Tanto non è un segreto, anzi, è il mio obiettivo di vita. Un giorno leggerai un saggio con il mio nome stampato sopra che confermerà tutte le mie ipotesi.» A Lydia sembrò un proposito molto triste, anche se non lo ammise ad alta voce e non lo avrebbe mai confessato. Almeno Caitlin aveva un obiettivo nella vita, non come lei che non aveva la minima idea di quale strada prendere né di cosa volesse diventare. «Quando ero a scuola ho iniziato a fare ricerche sul DNA. Il mio professore di biologia era talmente contento del mio impegno da mettermi in contatto con il Dipartimento di Biologia dell’università di Cambridge, e così ho potuto partecipare ad un progetto di ricerca. Ho chiesto loro di esaminare il mio DNA e di confrontarlo con quello di Lance. Hanno accettato subito visto che stavano portando avanti uno studio sulla genetica dei gemelli, mentre io volevo solo scoprire cosa ha portato lui ad avere i poteri mentre io non ho nulla.»
«Caitlin… sai che non è co…»
Caitlin interruppe il padre. «Comunque non hanno scoperto niente.» Distese un lungo pezzo di garza ed iniziò ad arrotolarlo attorno al braccio di Lydia, partendo dalla mano. «Nessuna anomalia strana o alterazione genetica. Quel giorno sono uscita dal Dipartimento delusa e per puro caso sono passata accanto ad una dimostrazione del Dipartimento di Fisica in cui usavano dei magneti per far levitare oggetti di varie forme e dimensioni. Avevo visto papà fare quell’incantesimo milioni di volte ed è stata una gioia infinita vedere alcuni babbani fare la stessa identica cosa senza avere nel corpo neanche un goccio di magia. Ho pensato che sarebbe stato grandioso scoprire altri fondamenti della fisica che potessero spiegare scientificamente le vostre ‘magie’.» Fissò la benda ed osservò soddisfatta il suo lavoro. «E così dopo aver finito la scuola mi sono iscritta a Fisica, e un giorno leggerai un saggio-»
«Con il tuo nome stampato sopra e bla bla bla.» completò Lance mentre cercava di pulirsi la maglietta dal disinfettante con una salviettina recuperata dal kit di pronto soccorso.
Caitlin fremette per il nervoso. «Ridi quanto vuoi, ma quel giorno anche i tuoi stupidi e disgustosi intrugli diventeranno inutili e saranno considerati per quello che realmente sono: una cialtroneria.» e chiuse di scatto la borsa del pronto soccorso, per poi allontanarsi a grandi passi con il naso all’insù e profondamente offesa, seguita dal signor O’Brien che le diceva qualcosa sul non essere inutile e sulla ricchezza del diverso. Lydia evitò di ascoltare, era più interessata a Lance, ancora intento a pulirsi la maglietta. Con la salviettina in realtà aveva peggiorato la situazione. Ora le macchie si erano allargate talmente tanto da occupare metà del tessuto. Scoraggiato, buttò la salviettina nel contenitore di metallo ancora pieno dei vetri sporchi di sangue, e quando sollevò lo sguardo trovò Lydia intento a studiarlo. Lance sospirò. «Ora hai visto con cosa ho a che fare dal nostro undicesimo compleanno.» Lydia non lo invidiava nemmeno un po’.
La signora O’Brien comparì in cima alle scale e corse da loro. Al contrario di quanto si aspettava Lydia, non era arrabbiata ed era più preoccupata per la sua salute rispetto al fatto che aveva puntato la bacchetta contro il figlio maggiore. La accompagnò in camera, ripetendo diverse volte che doveva riposare dopo le brutte ferite che aveva riportato. Lydia provò a protestare, più che altro per evitare che Lance ricadesse di nuovo nei sensi di colpa, ma la signora O’Brien non volle sentire ragioni. Ordinò a Lance di andare a prendere delle pozioni contro il dolore e per la rimarginazione delle ferite e poi aiutò lei stessa Lydia a mettere il pigiama, visto i movimenti limitati che riusciva a fare con il braccio bendato, arrivando persino a rimboccarle le coperte. Anche se Lydia aveva il sospetto che il suo vero obiettivo era bloccarla a letto e impedirle di rialzarsi.
Tempo dieci minuti la signora O’Brien le aveva augurato la buona notte e aveva costretto Lance, appena tornato per consegnarle le pozioni, ad uscire dalla stanza, buttandolo letteralmente fuori. Con un ultima raccomandazione sull’importanza del riposo, la signora O’Brien aveva spento la luce e chiuso la porta, lasciando Lydia nell’oscurità.
Solo una volta rimasta sola, Lydia ripensò alle facce dei bambini quando lei e Lance erano caduti a terra, ma soprattutto a due occhioni blu che aveva iniziato a conoscere fin troppo bene. E così ignorò completamente il volere della signora O’Brien, riuscì a districarsi dal bozzolo di coperte e si avviò di soppiatto verso il piano superiore.
Lydia era stata su quel piano solo nei momenti in cui i bambini erano fuori, per pulirlo, trattenendosi sempre solo lo stretto indispensabile. Sapeva che era diviso in diverse stanze e che per ora i bambini erano divisi tra maschi e femmine. Si diresse silenziosamente verso la camera dei maschi. Aprì la porta con un pizzico di terrore.
E se fossero stati svegli?
Sarebbe scappata.
Optò per aprire solo uno spiraglio e ci infilò la testa, strizzando gli occhi per riuscire a distinguere qualcosa in quella penombra. Nell’oscurità le sembrò che tutti i bambini stessero dormendo tranquilli nei loro lettini, solo quando le sue pupille si abituarono al buio riuscì a distinguere dei movimenti agitati da uno dei lettini in fondo alla stanza. Il bambino si era coperto anche la testa ma dal leggero tremore delle lenzuola, si capiva che stava piangendo, fatto confermato dai singhiozzi sottili che risuonavano nel silenzio.
In che guaio si era cacciata?
Doveva andare a chiamare la signora O’Brien. Ma in quel caso la madre di Lance si sarebbe arrabbiata con lei per non averla ascoltata e non essere rimasta a letto. Rassegnata, Lydia aprì del tutto la porta, scivolò dentro la stanza e la richiuse prima che la luce della luna proveniente dai finestroni del corridoio svegliasse gli altri bambini. Un bambino poteva anche gestirlo, una dozzina no. Lydia si avvicinò in punta di piedi al lettino. Uno sguardo veloce allo zainetto appoggiato sotto il comodino confermò i suoi dubbi su chi fosse il bambino in questione. Lydia si chinò sul lettino e ripiegò le coperte scoprendo il viso intriso di lacrime di Henry.
«Ehi.» Lydia si sedette sull’orlo del letto.
«Ciao.» gracchiò Henry, si asciugò le lacrime con la manica del pigiama.
«Perché piangi?» Che domanda stupida, si rimproverò Lydia. «Non devi piangere. Era solo un litigio, abbiamo già fatto la pace.» Una grossa bugia considerando che Duncan si era eclissato non appena Caitlin aveva iniziato ad estrarle i pezzi di vetro dal braccio.
«Non piango per quello...» Il bambino singhiozzò e altre lacrime resero lucidi i suoi occhi blu. «Harry Potter non ci ha abbandonati!» esclamò infine con rabbia.
«Shh!» sibilò Lydia facendogli segno di abbassare la voce e guardandosi intorno freneticamente, con il terrore che si fosse svegliato qualcun altro. Daniel, sdraiato sul letto accanto a quello di Henry, borbottò qualcosa, si voltò dall'altra parte e si riaddormentò all’istante. Vedendo che tutti gli altri stavano continuando a dormire tranquilli, Lydia rivolse di nuovo la sua attenzione ad Henry. «No, non ci ha abbandonati.» sussurrò, e con le maniche del pigiama asciugò il volto del bambino. «Vedrai che tornerà.»
Henry annuì «Mamma dice sempre che lui ci salverà da Tu-Sai-Chi. La mia mamma dice che è l’eroe più forte. Lo sai che la mia mamma mi voleva chiamare Harry quando sono nato ma papà non voleva, e mi ha chiamato Henry.» La mamma di Henry aveva trovato una buona soluzione considerando l’assonanza tra i due nomi «Quando la mia mamma è andata ad Hogwarts aveva paura di dover tornare a casa perché i nonni sono babbani, ma invece Harry Potter ha sconfitto il cattivo e lei è rimasta una strega.»
Dal tono di voce del bambino, Lydia capì che Harry Potter era davvero l’eroe preferito da Henry e questo le fece provare una tenerezza per quel bambino indifeso che non sentiva da tanto tempo. «Harry Potter non è scappato.» Questa volta lo disse con maggiore sicurezza «Ci ha sempre salvati e lo farà anche questa volta, solo che serve tempo per questo genere di cose. Gli serve avere un piano e non farsi scoprire. Noi invece dobbiamo solo avere pazienza ed aiutarlo nel suo compito. Ora dormi, è tardi.» E seguendo quella tenerezza che le scaldava il cuore, baciò la fronte del bambino e gli sorrise ancora una volta. «Buonanotte, Henry.» Inconsapevolmente rimboccò le coperte di Henry con gli stessi gesti con cui la signora O’Brien aveva rimboccato le sue pochi minuti prima.
Con un ultimo saluto, Lydia fece per andarsene ma Henry la fermò «Puoi restare?» chiese con voce supplicante, il volto rigato da nuove lacrime.
Lydia si ritrovò di nuovo impossibilitata a resistere a quegli occhioni e, con delle pacche leggere sulla spalla di Henry, lo fece spostare e si infilò anche lei sotto le coperte.
«Tu conosci bene Harry Potter?» chiese Henry non appena Lydia ricoprì entrambi con le lenzuola.
Lydia sprofondò nel cuscino, lo sguardo perso nell’oscurità in cui era stato inghiottito il soffitto. «Sì.» In realtà aveva parlato con lui solo in poche occasioni, la maggior parte di esse per congratularsi per le vittorie a Quidditch, ma sapeva che quella era la risposta che Henry voleva sentirsi dire e che gli serviva. Era chiaro che Henry aveva una fiducia illimitata verso Harry Potter e se questo l’avrebbe aiutato ad affrontare i mesi difficili che si prospettavano davanti a loro, Lydia avrebbe fatto di tutto per mantenere intatta quella convinzione. E avrebbe potuto convincerlo solo facendogli credere che lei conoscesse bene il Prescelto. «Lo sai che al suo primo anno ha rubato la Pietra Filosofale dalle mani di Tu-Sai-Chi?» Il bambino spalancò la bocca stupito e Lydia non aspettò la sua domanda per raccontare il resto della storia «Aveva solo undici anni eppure è riuscito, con l’aiuto dei suoi amici, a superare le prove che i professori di Hogwarts, i maghi più saggi che esistano al mondo, avevano progettato per mantenere al sicuro la Pietra Filosofale.» e continuò a bisbigliare il suo racconto fino a quando Henry cadde nel mondo dei sogni, popolati da animali fantastici ed eroi invincibili.
 
 
 
 Curiosità: La scena della costruzione del parco giochi in giardino era originariamente contenuta in una serie di one-shot che descrivevano la vita quotidiana in casa O’Brien, ma ammetto di aver cambiato idea e deciso di inserire molte di esse nella storia principale perchè mi permettevano di far evolvere le relazioni tra i personaggi e i loro caratteri. A tal proposito, ieri sera ho avuto un momento di pentimento perchè durante l'ultima rilettura, il capitolo mi era parso troppo lungo (o sono io che ormai li conosco tutti a memoria xD), ma l'unica soluzione sarebbe stata cancellare la parte iniziale, ma come avrei mai potuto fare questo a Henry? E poi, la scena in cui sbatte la porta in faccia a Duncan meriterebbe duemila parole solo per quella!
 
 Note: Il capitolo è dedicato a Michael Gambon, il nostro Albus Silente, che ci ha lasciati oggi all'età di 82 anni. 

 
 
 
'Piume di Cenere' è disponibile anche su Wattpad
Per informazioni o anticipazioni visitate la pagina Instagram ufficiale: @piumedicenere
 
  
   
 
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