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autore
Purtroppo,
anche questa fic è
terminata.
Adesso
manca solo un membro per
formare la ciurma di Barbabianca così come
l’abbiamo conosciuta in “Tutte le
scialuppe in mare”, e in questo capitolo, più
lungo e bello degli altri, almeno
a mio giudizio, scopriremo come e per quali motivazioni si è
convinto ad
arruolarsi.
Prima
di concludere ringrazio di
cuore tutti quelli che, silenziosamente e fedelmente, hanno seguito la storia, e mi
piacerebbe che
tramite le recensioni mi dicessero cosa li è piaciuto di
più.
Ad
ogni modo le mie scene
preferite sono il flashback di Kizaru e lo scontro fra Teach e Newgate
in
Irlanda. Al solito le recensioni non sono obbligatorie, ma caldamente
raccomandate, e mi fareste un favore immenso comunicandomi le vostre
impressioni.
Prima
di andarcene: a partire da
giovedì pubblicherò un’altra storia
ancora, e per la precisione una raccolta di
one-shot introspettive in cui, immedesimandomi in un personaggio di O.P. ( anticipo già
che i Mugiwara non saranno
presenti perché ho in mente qualcosa di speciale per loro)
intento a scrivere
una pagina del proprio diario di bordo, racconterò dal suo
punto di vista un
avvenimento importante del manga per ognuno degli otto capitoli.
Mi
raccomando, leggete e recensite
numerosi, e ci vediamo giovedì!
Aokiji-
Un’isola nel mare blu
Polinesia
meridionale, 27 dicembre 1817
E
invece quell’acquisto, fatto per
poche sterline d’argento, si era ancora una volta rivelato
vincente.
Nei
mesi seguente, grazie
all’abilità dei due ramponieri, che non
sbagliavano mai un colpo e riuscivano sempre
a centrare la preda senza farla infuriare eccessivamente, la ciurma
della
“Neptune” riuscì a catturare un buon
numero di balene sulle calde coste
dell’Africa, lungo la linea
dell’Equatore che tagliava a metà
l’Atlantico come una staccionata e al
largo del Sudamerica.
I
barili di olio e fanoni, il
ricavato della cui vendita sarebbe finito in tasca principalmente
all’armatore
e al capitano, cominciavano a riempire la stiva; ma non tutti erano
stati
acquisiti in modo del tutto legittimo.
Alla
fine i timori di Kizaru si
erano rivelati fondati: dietro la faccia del duro e inflessibile
baleniere si
nascondeva un crudele pirata che non esitava
a derubare altre navi del frutto dei loro sforzi.
Non
appena incontravano un veliero
identificabile senza dubbio come una baleniera, se non era di passaggio
nessun
altro, la ben addestrata e numerosa ciurma scattava, caricava i cannoni
e
andava all’arrembaggio, senza fare prigionieri: non doveva
esserci nessun
testimone.
Barbanera,
infervorato per quella
sorta di ritorno alle origini, era sempre in testa alle squadre
d’abbordaggio,
e rubava e uccideva come se avesse il diavolo in corpo; Kidd e
Doflamingo, poi
non si facevano certo pregare: arpiona, accoltella, rapina e bevi,
questo era
il loro motto.
Quanto
al primo ufficiale, in un
primo momento era rimasto semplicemente inorridito dal voltafaccia di
colui
verso cui provava gratitudine per averlo strappato dalla miseria; ma,
vincolato
a lui da obblighi di lealtà e onore, non poteva fare altro
che combattere senza
infamia e senza lode, seminando morte con la sua grande spada.
In
un solo caso aveva fatto
eccezione, quando si era trovato davanti uno dei suoi ex marinai che lo
avevano
vilmente calunniato e abbandonato: a sangue freddo gli
spaccò la testa con un
ascia.
Nonostante
quella piccola
vendetta, sentiva ancora insoddisfazione e rancore verso Newgate dentro
di sé:
questi stessi sentimenti lo avrebbero condotto alla rovina molti anni
dopo.
Nel
frattempo la “Neptune”
viaggiava, solcava le onde e, lasciatasi alle spalle
l’America e le burrasche
prese a navigare nell’oceano battezzato
“Pacifico” da Ferdinando Magellano, o,
come lo avrebbero chiamato Kidd e Doflamingo, Fernao de Magalhaes.
Sospinta
da venti a correnti, la
baleniera cominciò a fare slalom fra barriere coralline e
isole deserte a parte
palme e pappagalli, alla ricerca di una terra abitata.
Capitan
Barbabianca infatti aveva
stabilito che avevano bisogno, in casi di emergenza, di un altro
ramponiere ancora,
e che questi sarebbe dovuto essere ad ogni costo un polinesiano.
“Perché
il capo vuole per forza un
cannibale?” si lamentava Barbanera rivolgendosi a Doflamingo,
che come il suo
compagno aveva imparato in fretta l’inglese,
poiché nella sua visione semplicistica
del mondo tutti coloro che non venivano dall’Irlanda erano
eretici o cannibali.
“Non
saprei mister Teach.
Probabilmente è convinto che, come noi portoghesi, tutti gli
isolani siano
bravissimi a infilzare balene. Io me ne infischio, mi basta un boccale
di rum e
sono felice”.
D’improvviso
fece la sua comparsa
davanti a loro, magnifico nel lungo cappotto bruno e beffardo in viso
come al
solito, Eustass Kidd, che disse loro: “Siamo arrivati. A
quanto pare il vecchio
vuole fare un tentativo su quest’isola. Mah!
Quell’uomo è matto: vorrebbe
creare una ciurma perfetta, ed è proprio per questo che mi
piace! Con lui non
c’è sempre da divertirsi”.
Parte
della ciurma si arrampicò
sui pennoni e cominciò pazientemente ad arrotolare le vele
in grossi fasci, mentre
altri uomini spingevano a fatica le aste di legno dell’argano
per calare le
ancore.
“Ricordatevi,
potete far salire a
bordo quanti indigeni volete- spiegò il comandante rivolto
al secondo
ufficiale, che durante il viaggio aveva ottenuto una bella giacca nera
con le
spalline- ma non permettete loro di rubare nulla, perché
vanno famosi per
questo! Avete capito?”.
La
scialuppa fu messa in acqua con
le gru e prese a farsi strada fra le canoe dei nativi che, stupiti e
impauriti,
si avvicinavano a quell’enorme vascello, tenendosi a
ragionevole distanza anche
perché i cannoni erano stati spinti fuori dai portelli come
ammonimento.
Newgate
era ritto a prua,
stringendo un cannoncino girevole come quelli usati per gli abbordaggi,
mentre
Kidd, Doflamingo e altri facevano forza sui remi, spingendo lo
slanciato scafo,
e Kizaru teneva il timone con ambo le mani.
Fra
la vasta folla di abitanti
dell’isola che osservavano la scialuppa appressarsi alla riva
spiccava uno
molto alto, scuro di carnagione, con i capelli ricci e labbra spesse,
che
indossava un gonnellino, un mantello di piume rosse ed era armato con
una
lancia e una mazza
di pietra.
Aokiji,
famoso guerriero, membro
di un nobile clan, aveva sparso la fama del suo nome in tutto
l’arcipelago e
anche più in là partecipando ad avventurose
scorribande con i suoi
connazionali.
Contrariamente
a loro non usava
divorare il cervello dei nemici per assorbirne il valore e lo spirito,
semplicemente perché pensava di averne già
abbastanza da solo.
Tutti
lo rispettavano in patria,
eppure non era soddisfatto: desiderava viaggiare, vedere il mondo che
si
estendeva oltre le lagune e i coralli e, soprattutto, incontrare i
bianchi che
si diceva vivessero oltre il mare, viaggiassero su canoe enormi e
combattessero
con bastoni che sputavano fuoco.
Ora
ne aveva la possibilità, e ne
avrebbe approfittato.
“Lasciamo
qui le armi, o
potrebbero credere che siamo venuti per combattere”
ordinò ai suoi uomini
Barbabianca saltando fuoribordo e appoggiando sciabola e fodero su un
banco di
voga.
“Brutto
affare” farfugliò
Doflamingo spogliandosi del fido arpione. “Non mi piace
l’idea di stare in
mezzo a questi selvaggi indifeso come un bambino” disse a
Kidd che,
controvoglia come gli altri, posava moschetto e pistola ma al contempo
si
infilava il coltello in tasca: non si sapeva mai.
Il
gruppetto di europei avanzò,
circondato da ogni lato da una massa di indigeni sempre crescente; poi
Newgate
parlò con voce stentorea, mentre un interprete che si era
portato da Tahiti
traduceva le sue parole: “Salute a tutti voi! Veniamo da
lontano, oltre il
mare, e non vogliamo farvi del male. Vi chiediamo umilmente di
rifornirci di
provviste per il nostro viaggio. Ma c’è
dell’altro: noi vaghiamo per gli oceani
cacciando balene, e stiamo cercando qualcuno che possa aiutarci. Tutti
coloro
che vogliono unirsi a noi sono pregati di presentarsi qui fra
un’ora, e
dovranno dimostrare le loro capacità! Il vincitore si
aggiudicherà questa!” e
nel mentre cavò dal borsellino una delle sue sterline
d’argento, sollevandolo
in aria dove mandò bagliori accecanti riflettendo la luce
solare.
Un
solo, lungo sospiro di
meraviglia si levò da centinaia di bocche, i cui occhi non
avevano mai visto
nulla del genere.
Mentre
si scambiavano asce,
bottiglie, pezzi di metallo e orologi con pesce, acqua di sorgente,
banane,
noci di cocco, patate e polli il comandante sorrideva,
perché sapeva che
chiunque avesse vinto sarebbe entrato a far parte del suo vasto piano
per
annientare quell’insolente yankee di Garp.
Un’ora
dopo si erano presentati
non meno di trenta uomini, soprattutto pescatori.
Eppure
fra loro si distinguevano i
ricci e il rosso mantello di Aokiji, il quale, incantato
dall’aspetto, dai modi
di fare, dalle armi e dalla nave degli stranieri aveva deciso di
tentare.
Una
singola prova, forse, avrebbe
potuto consentirgli di realizzare ogni fantasia e di appagare la sua
sete di
viaggiare.
La
gara consisteva nel colpire con
la fiocina a una distanza di dieci metri un barile galleggiante fissato
alla
prua della “Neptune”, il tutto in piedi su una
scialuppa traballante in mezzo
ai flutti.
Era
necessario, sosteneva
Barbabianca, che un bravo ramponiere sapesse compiere il suo dovere con
la
massima precisione, senza farsi influenzare negativamente dal moto
ondose anche
in una tempesta.
A
turno tutti i polinesiani
salivano su una barca e tentavano; il primo mancò di poco il
bersaglio, il
secondo neppure lo sfiorò, il colpo del terzo quasi
tranciò il cavo che legava
il barile, il lancio del quarto superò di appena un metro la
prua e
così via, per la gioia dei marinai a bordo
della “Neptune” che
elargivano a piene
mani commenti maligni e altre osservazioni.
Aokiji
era il ventesimo, e quando
prese posto a prua l’inglese che reggeva il timone gli disse
beffardo: “Sei
ancora in tempo a ritirarti, eviterai una brutta figura”.
Il
guerriero non comprese il suo
discorso e afferrò l’arpione, stupendosi per la
sua pesantezza: non era neanche
paragonabile alle lance da guerra e alle fiocine da pesca che il suo
popolo
usava.
Alzando
con entrambe le mani la
robusta asta di legno, la soppesò per un attimo, a occhi
chiusi; si rese conto
di ciò che quel colpo significava, e di cosa significasse un
fallimento: il
taglio di tutti i
ponti
a lui noti verso il resto
del mondo.
Scagliò
con tutte le sue forze.
L’arma
saettò scintillando sopra
le onde, quindi centrò in pieno il barile frantumandolo in
un vorticare di
pezzi di legno; tutti, sulla nave e a terra, rimasero a bocca aperta.
“Ha
una mira pazzesca! Anch’io
l’avrei colpito a stento!” pensò
sgomento il vanaglorioso Kidd, mentre Kizaru
si rese conto di non aver mai visto nulla del genere in tutta la sua
carriera e
il capitano sorrise, sapendo di aver appena scovato il proprio uomo.
Aokiji salì a sul
veliero con una scaletta, e
ricevette sul palmo la moneta d’argento promessa al vincitore.
“Benvenuto
a bordo ragazzo. Sono
convinto che tu possa grandi cose” si complimentò
sincero Barbabianca, ma in
quel momento si udì un urlo: Teach, che impugnava una
pistola per mano, era
furibondo per il furto di un cannocchiale, e, fuori di sé,
minacciava di
uccidere tutti i nativi presenti nei dintorni..
Punito
il ladro e ultimato il
carico di provviste, venne il momento di spiegare le vele e abbandonare
anche
quell’isola così piena di fascino.
Era
un tramonto magnifico che
infuocava il cielo e imporporava le acque, e mentre la baleniera
proseguiva
verso il disco luminoso del sole Aokiji, sporgendosi dal parapetto del
limite
estremo della poppa, osservava la terraferma farsi sempre
più distante,
rimpicciolirsi e infine sparire dietro la linea
dell’orizzonte.
Dietro
di sé lasciava tanti
ricordi, tutte le persone care, ogni cosa; e in quel momento si
chiedeva se
avesse fatto bene a sacrificare tutto ciò alla propria
ambizione di sogni e
avventura.
“Non
essere triste, non sei il
solo” disse improvvisamente qualcuno, e il nuovo ramponiere,
che adesso
indossava una bianca casacca da marinaio, voltandosi vide Kizaru che si
avvicinava facendo scorrere la mano sul parapetto.
“Si
vede che ti manca la tua
patria- continuò il danese- e sei molto confuso, ma non
preoccuparti, non ti
troverai male. Il mio paese è freddo e non
c’è sempre il sole come da voi,
eppure mi manca, lo sogno ogni notte. Considerati fortunato,
perché il nostro
comandante e un grand’uomo” concluse senza sapere
se davanti a sé ci fosse un
nobile selvaggio o un barbaro senza morale.
Il
lato comico di quella
situazione era che l’interpreto al momento non era presente,
e che il
polinesiano non poteva aver capito nulla di quello che il primo
ufficiale
affermava perché l’inglese per lui era ancora uno
dei tanti misteri del mondo
di fuori; eppure, appellandosi a quel patrimoni interiore e
inesplicabile che
ogni uomo si porta dentro, le parole dell’altro riuscirono ad
aprire un piccolo
spiraglio nel suo fiero cuore.
“Io..
Io..” balbettò, senza
riuscire a esprimere i propri sentimenti.
Sembrava
una ciurma così fortunata
e bene assortita, eppure quindici anni dopo i cadaveri di Edward
Newgate,
Kizaru, Marshall D. Teach, Donquijote Doflamingo, Eustass Kidd e Aokiji
sarebbero giaciuti in fondo a quello stesso oceano, vittime di passioni
e
follie.