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Autore: starlight1205    30/09/2023    3 recensioni
Edimburgo, 1996
Diana Harvey è una normale ragazza che vive con la zia e lavora nel negozio di antiquariato di famiglia. Una serie di circostanze e di sfortunati eventi la porteranno a confrontarsi con il mondo magico, con il proprio passato e con un misterioso oggetto.
Fred Weasley ha lasciato Hogwarts e, oltre a dedicarsi al proprio negozio Tiri Vispi Weasley insieme al gemello George, si impegna ad aiutare l'Ordine della Fenice nelle proprie missioni.
Sarà proprio una missione nella capitale scozzese a far si che la sua strada incroci quella di una ragazza babbana decisamente divertente da infastidire.
[La storia è parallela agli eventi del sesto e settimo libro della saga di HP]
- Dal Capitolo 4 -
"Diana aveva gli occhi verdi spalancati e teneva tra le dita la tazza di tè ancora piena.Non riusciva a credere a una parola di quello che aveva detto quel pazzo con un'aria da ubriacone, ma zia Karen la guardava seria e incoraggiante. Il ragazzo dai capelli rossi nascondeva il suo ghigno dietro la tazza di ceramica, ma sembrava spassarsela un mondo. Diana gli avrebbe volentieri rovesciato l'intera teiera sulla testa per fargli sparire dal viso quell'aria da sbruffone."
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Fred Weasley, George Weasley, Mundungus Fletcher, Nuovo personaggio | Coppie: Bill/Fleur
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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Diana Harvey si aggirava incorporea e senza peso nell’erba umida senza produrre alcun rumore.
Conosceva quel luogo.
Le lapidi di pietra grigia conficcate nel terreno.
Un confortante silenzio innaturale.
Un senso di malinconica pace la avvolse in silenziose spire, mentre riconosceva l’ormai famigliare cimitero.
Si avvicinò con rapidi passi al punto in cui sapeva trovarsi la lapide dedicata a zia Karen.
Al suo fianco sorgeva la tomba di Robert Murray.
Non sapeva perchè, ma sentiva premere su di lei un’inspiegabile urgenza.
Come se dovesse sbrigarsi ad andarsene e come se non dovesse trovarsi in quel luogo.
Il cielo dalle sfumature violacee e surreali come un quadro espressionista sembrava gravare su di lei rendendole ogni passo più difficoltoso.
Il terreno fangoso e scivoloso non faceva altro che ostacolare la sua andatura disturbando quell’inspiegabile premura.
La sensazione di triste pace che l’aveva rassicurata, si dileguò non appena Diana posò lo sguardo sulle due lapidi.
Le lettere parvero mescolarsi come per magia facendola affondare in un acquitrino d’inquietudine.
Diana sentì il proprio respiro mozzarsi e il cuore martellarle nel petto quando le lettere smisero di vorticare per formare due nuovi nomi e rimpiazzare quelli precedenti.
Un urlo le lacerò il petto, mentre il cielo si colorava di viola e poi si incupiva fino a diventare nero come petrolio; le lapidi parvero tremare e il terreno vibrò fino a sfaldarsi e perdere consistenza sotto ai suoi piedi.
Un rombo basso e minaccioso, simile ad un tuono, echeggiò sopra la sua testa, mentre pesanti gocce di pioggia cominciavano a cadere diventando tanto fitte e battenti da sembrare solide.
Diana si rese conto con orrore che ciò che precipitava dal cielo non erano più gocce di pioggia e nemmeno grandine.
Erano pietre. Pesanti e affilate.
Con il panico che le serrava la gola cercò di ripararsi la testa con una mano e si guardò intorno alla ricerca di una via di fuga, ma una pietra delle dimensione di un mattone la colpì sul braccio destro strappandole un lamento sofferente.
Sembrava che i suoi piedi stessero sprofondando lentamente in una palude che le impediva di muoversi.
Una voragine scura come la notte si spalancò sotto di lei risucchiandola nel vuoto e facendola precipitare in un orrendo buco nero senza fine.
Mentre precipitava riusciva solo a percepire un senso di nausea crescente, ad udire il proprio urlo permeare il buio e davanti ai suoi occhi non faceva altro che rivedere i due nomi dolorosamente scolpiti sulle due lapidi.

Diana Harvey
Fred Weasley

 

Quando si svegliò di soprassalto, stava ancora urlando.
Aveva la gola talmente secca che si morse la lingua nel tentativo di zittirsi.
Con il fiato corto, la lingua dolorante e il cuore che sbatteva contro le costole tanto forte da farle male, cercò di riacquistare un briciolo di autocontrollo districandosi dalle lenzuola umide di sudore.
Il braccio destro le doleva e formicolava ferocemente come se fosse stato davvero colpito.

Era solo un sogno.

Eppure i nomi sulle lapidi…

Si alzò di scatto dal letto per cercare di scrollarsi di dosso il senso di appiccicoso panico che non sembrava intenzionato a scemare nemmeno dopo il risveglio.
Tesa come una corda di violino, uscì dalla stanza e per poco non gridò nell’andare a scontrarsi con un trafelato e preoccupato George Weasley che stava venendo dalla direzione opposta.
Per lo spavento, Diana si ritrasse con un balzo, orripilata.

- Hai gridato! - esclamò lui con apprensione da dietro il viso pallido e le occhiaie scure - che succede? Stai bene?

- Sì! Sto bene! Scusa…- Diana cercò di tranquillizzare anche sè stessa oltre al ragazzo che aveva di fronte e poi, come un fiume in piena, sfociò in una cascata di domande - Hai avuto qualche notizia? E’ cambiato qualcosa? Lui sta bene?

George, ancora in piedi, nello spazio tra la sua stanza e quella dove si trovava Diana, afflosciò le spalle e scosse la testa tornando ad immergersi in un’apatica tristezza: - Tutto come sempre.

Diana trasse inconsciamente un sospiro di sollievo e annuendo tornò sui propri passi, perchè quell’incubo le aveva fatto temere il peggio.

 

La Battaglia di Hogwarts era stata vinta.
La guerra nel mondo magico era finita da più di un mese.
Avevano perso delle persone.
Remus Lupin.
Ninfadora Tonks.
Robert Murray.
E tanti altri maghi e streghe che Diana nemmeno conosceva.

 

Diana aveva dei vaghi ricordi.
Sprazzi di memorie talmente confusi da mescolare incubo e realtà.
Sangue.
Pietre.
Urla.
Dolore.
Benjamin Murray che scostava le macerie con il viso ridotto ad una maschera di sofferenza.
Un penetrante fischio nelle orecchie che le impediva di udire le parole che l’uomo le rivolgeva.
George Weasley con il viso rigato da un pianto silenzioso che stringeva al petto il corpo privo di sensi del gemello.
Daniel Harvey ferito che veniva scortato da degli strani uomini con una strana divisa.
Buio.
E poi un letto d’ospedale e un’accecante biancore.
Il fischio era cessato, ma il dolore no.

- Dov’è Fred? - aveva chiesto in un flebile sussurro a chiunque fosse in ascolto.

- E’ vivo - le aveva risposto la voce tremante di Benjamin Murray prima di essere trascinato via da tre uomini in divisa.

Diana aveva cercato di gridare, di alzarsi, di trattenere Benjamin.
Un dolore acuto le aveva trafitto il braccio destro ed era scivolata di nuovo in un incosistente oblio, aggrappandosi alle parole di Benjamin.

 

Diana era stata dimessa dall’ospedale un paio di settimane dopo la battaglia: era acciaccata, malconcia e con un braccio ingessato, ma era viva.
Fred Weasley, invece, non aveva più ripreso conoscenza, aveva un gamba rotta, una ferita alla testa, ma era vivo.
Per poter andare più facilmente avanti e indietro dall’ospedale, Diana si era temporaneamente trasferita a Diagon Alley e divideva l’appartamento con un distrutto George Weasley.
Entrambi erano logorati da quella situazione di equilibrio precario appeso ad un filo, nel quale bastava l’arrivo di un gufo per ribaltare le sorti di giornate ansiose e nervose.
Chiunque avrebbe pensato che quel dolore comune li avesse potuti unire, invece ognuno si era isolato nella propria sofferenza.

Diana si sentiva sprofondare ogni giorno di più in un bruciante senso di colpa.
Non avrebbe mai dovuto andare ad Hogwarts.
Se fosse rimasta al suo posto, probabilmente, nessuna tragedia si sarebbe consumata.
Quasi temeva il confronto con George, troppo terrorizzata all’idea che lui, arroccato nel proprio dolore, le imputasse la colpa di quanto accaduto al gemello.
George, dal canto suo, si crogiolava nell’egoistica idea di essere l’unico ad avere il diritto di stare male per la sorte del fratello e che nessun altro potesse soffrire quanto lui. Dormiva e mangiava a malapena e passava la maggior parte del suo tempo in ospedale, al capezzale del fratello, lasciando il negozio, che ormai aveva riaperto i battenti, nel caos più totale. Nonostante l’aiuto di Lee Jordan e della ragazza di nome Verity che lavorava già come commessa da parecchio tempo, ogni giorno c’erano file di clienti che reclamavano prodotti non ancora riassortiti o che si lamentavano per il troppo tempo di attesa alla cassa.
Ogni tanto Diana aveva provato a improvvisarsi cassiera e a dare una mano, ma non riusciva ancora a capirci un granchè delle strane monete magiche e non aveva fatto altro che combinare un sacco di disastri con i resti, quindi si limitava a rifornire gli scaffali di merce con il vecchio e sano metodo babbano, sempre sotto la supervisione di un nervoso Lee.
Nessuno di loro aveva davvero la concentrazione necessaria per dedicarsi al lavoro.

 

- Sicura? - chiese George in tono stanco affacciandosi alla stanza di Fred.

Diana annuì.

- Oggi vieni in ospedale? - domandò George in tono atono e cambiando argomento.

- Certo… - sospirò Diana cercando di tenere sotto controllo i battiti del suo cuore, ancora accelerati per l’incubo da cui si era appena svegliata.

- Mi faccio una doccia e poi andiamo, ok?

Diana si limitò ad annuire di nuovo, mentre cercava con tutta sè stessa di scacciare le orribili immagini appena vissute.
Con il flebile rumore del getto d’acqua in sottofondo, Diana si abbandonandò stancamente sul letto sfatto con aria inespressiva.
Sul comodino, la foto di lei e Fred che danzavano nel soggiorno della Tana attirò la sua attenzione affondando una morsa di nostalgia in un punto non ben preciso al centro del petto.
Era stata molte volte a trovare Fred in ospedale: lui giaceva immobile in una stanza bianca come se fosse addormentato e, nonostante, tutta la sua famiglia si ostinasse a fargli visita, a parlargli o tenergli la mano non vi era stato nessun cambiamento nella sua condizione e Diana faceva fatica a rimanere immobile ad osservarlo senza poter fare nulla per aiutarlo.
Non riusciva a smettere di pensare che fosse tutta colpa sua.
Se lei non fosse stata a Hogwarts, probabilmente non sarebbe accaduto nulla a Fred.
E nemmeno a Robert Murray.
L’aspetto più frustrante della faccenda era che nessuno sembrava incolparla per quanto accaduto, ma addirittura i Weasley sembravano riconoscenti per il fatto che Diana si trovasse insieme a Fred durante la battaglia.
Percy Weasley, che aveva assistito alla scena, non faceva altro che ripetere che senza di lei, Fred sarebbe sicuramente morto.
Eppure Diana non ci credeva: se lei non fosse stata a Hogwarts, Fred non avrebbe mai raggiunto quel dannato corridoio per cercarla.
Insieme al bruciante senso di colpa, Diana era perennemente accompagnata da troppi interrogativi irrisolti ad affollarle la mente e troppe poche persone con cui potersi confrontare.
Daniel Harvey era incredibilmente sopravvissuto all’esplosione del Blackhole ed era stato rinchiuso ad Azkaban.
Benjamin Murray, pur essendosi redento e pur avendo combattuto contro i Mangiamorte, aveva subito la stessa sorte del cugino: purtroppo, secondo la legge magica, l’essersi pentito non bastava a porre rimedio a tutti i crimini perpetrati in passato.
Per questo, qualche settimana prima, Diana si era recata a parlare con l’unica persona che pensava potesse esserle d’aiuto.

 

Quel giorno il cielo era azzurro, ma chiazzato da delle passeggere nuvole chiare e Diana Harvey aveva dovuto farsi largo tra la folla che gremiva Diagon Alley.

George e Lee le avevano assicurato di non aver mai visto così tanta gente a popolare il quartiere magico: sembrava che i maghi non vedessero l’ora di stare liberamente all’aria aperta, attardarsi per strada a chiacchierare oppure assaporare un gelato ad uno dei numerosi tavolini del locale di Florian Fortebraccio.

La guerra era finita ed ogni pretesto era buono per festeggiare.

Diana aveva incrociato la fila di persone che già si accalcava fuori dalla porta d’ingresso del negozio TiriVispi Weasley: i bambini si agitavano impazienti di entrare e forse già consci del fatto che i loro genitori dal rilassato sorriso sarebbero stati inclini a comprare loro qualsiasi diavoleria avessero loro chiesto.
Diana si era lasciata alle spalle la folla vociante per fermarsi davanti al negozio di bacchette di Olivander.
Aveva esitato per un attimo, ma poi si era decisa ad entrare.

- E’ aperto? - aveva chiesto con aria titubante spingendo la porta cigolante e notando che l’interno del negozio era ancora spoglio e dimesso.

- L’apertura è prevista per domani - una voce l’aveva sferzata con un tono di rimprovero.

Il signor Olivander era apparso poco dopo con un’espressione scocciata che subito si era tramutata in una maschera d’incredulità nel riconoscere l’identità della visitatrice.

- Signorina Harvey…

- Buongiorno, disturbo?

- No! No! - si era affrettato a rispondere Olivander spostando le varie polverose scatole che erano malamente impilate sul bancone e sembravano dover crollare da un momento all’altro. 

A Diana avevano tristemente ricordato il disordine del negozio Harvey.

Dopo essersi scambiati dei rapidi convenevoli e dopo che Diana si era informata sullo stato di salute dell’anziano fabbricante di bacchette, la ragazza aveva deciso di passare subito al nocciolo della questione.

- Signor Olivander, ho bisogno di chiederle il suo parere in merito alla faccenda del Blackhole…

- Oh… - si era meravigliato lui innervosendosi - non ne so molto, ma spero di poterle essere d’aiuto!

Diana si era avvicinata al bancone e vi aveva appoggiato i gomiti unendo le mani davanti a sè e intrecciando nervosamente le dita. 
Aveva una grande paura e, allo stesso tempo, un grande desiderio di avere delle risposte, così aveva raccontato ogni cosa ad Olivander.

- Quindi il Blackhole è stato distrutto? - aveva domandato Olivander a racconto concluso.

In tutta risposta, Diana aveva estratto dalla tasca i resti del vecchio orologio da taschino: il coperchio non si chiudeva più ed era annerito e incrinato, il vetro del quadrante era andato in frantumi e le lancette erano immobili.

- E il suo potere…?

Diana si era concentrata per dare prova che l’energia del Blackhole fosse ancora dentro di lei ed aveva emanato un leggero bagliore azzurro dalla mano sinistra.
Olivander aveva osservato la scena con concentrazione, in silenzio.

- Secondo lei mio padre può avere ragione? - lo aveva incalzato Diana in tono ansioso - Sono davvero io il Blackhole?

- Io…non… - Olivander aveva boccheggiato a disagio, come se non avesse voluto prendersi la responsabilità delle proprie parole - Io credo che il signor Murray sia la persona più indicata con cui discutere questo argomento…

- Ma il signor Murray si trova ad Azkaban! - aveva sbottato Diana disperata - Quindi mi dica cosa ne pensa! La prego! Lei è l’unica persona che abbia un minimo di conoscenza della materia e io non so a chi altri rivolgermi!

Olivander sospirò e annuì.

- Secondo lei posso davvero fare del male a Fred come sostiene mio padre? - aveva domandato Diana velocemente.

- Il signor Weasley ha mai toccato il Blackhole? - aveva chiesto di rimando Olivander indicando ciò che rimaneva dell’orologio da taschino.

Diana era rimasta immobile a fissare l’orologio, sbattendo le palpebre e cercando di ricordare: - Io…no! Non penso… - sussurrò flebilmente passando in rassegna i ricordi per essere certa di ciò che stava dicendo.

- Ne è sicura? - l’aveva incalzata Olivander come se quella risposta fosse stata di vitale importanza.

- Io… - Diana si era interrotta perchè un ricordo le si era affacciato alla mente talmente bruscamente da lasciarla senza parole.

Era una scena che sembrava appartenere a una vita precedente, eppure in quel momento era nitida e perfettamente scolpita davanti ai suoi occhi.

Diana Harvey che usciva da una caffetteria a Victoria Street e un Fred Weasley ancora a lei sconosciuto la seguiva fuori dal locale tendendo una mano per consegnarle l’orologio da taschino che le era erroneamente scivolato dalla tasca a causa della fretta con cui aveva lasciato il locale.

La scena era svanita e Diana aveva messo a fuoco nuovamente il viso stanco e serio del vecchio fabbricante di bacchette.

- Sì… - aveva squittito Diana a fatica e poi, cercando di riprendersi, aveva aggiunto: - Sì, lo ha toccato! Ma è stato molto tempo fa! Non era ancora successo nulla! E perchè mi fa questa domanda?

Olivander si era appoggiato al bancone come se avesse dovuto tenere una lezione di storia:

- Signorina Harvey, non deve mai dimenticare lo scopo per cui i Blackhole sono stati creati…

Diana lo aveva fissato ammutolita, così Olivander aveva continuato: - Sono armi di difesa con cui i babbani si sono sempre protetti dalla magia! Quindi per un Blackhole il mago rappresenta il nemico e se il signor Weasley è entrato in contatto con esso…temo che suo padre possa aver ragione…

Il buco nero dentro di lei si era dolorosamente riaperto e aveva preso a vorticare su sè stesso con tale velocità da farla sprofondare di nuovo nell’angoscia e nel senso di colpa allo stesso modo in cui si era sentita la prima volta che aveva udito quelle parole.

- I Blackhole non erano altro che oggetti volti a tenere separati maghi e babbani…è indubbio che lei ne abbia incredibilmente assorbito i poteri, ma tutto ciò è una forzatura. Il potere del Blackhole non fa altro che mantenere ben distinta la linea di demarcazione tra… 

Diana aveva smesso di ascoltare.

La conferma di ciò che suo padre aveva asserito era dolorosamente impressa davanti ai suoi occhi.

Prima di annegare definitivamente dentro quel pozzo di torbido rimpianto, Diana era riuscita con fatica a ricomporsi e a balbettare:
- Gr-Grazie signor Olivander… le auguro una buona giornata! - e poi era fuggita dal negozio cercando di lasciarsi alle spalle le parole del fabbricante di bacchette e quella terribile verità che invece non avrebbe fatto altro che seguirla ovunque fosse andata.

 

Dopo aver parlato con Olivander, Diana era sprofondata in uno stato di shock misto a terrore.
Era davvero diventata uno strano manufatto magico vivente che non poteva vivere a stretto contatto con Fred Weasley?
Avrebbe messo in pericolo solo lui o qualunque mago le stava intorno?
La conversazione con Olivander non aveva fatto altro che gettarla in pasto a nuovi famelici interrogativi.
Non ne aveva parlato con nessuno. Nemmeno con George.
Come avrebbe potuto?
Cosa avrebbe dovuto fare?
I dubbi la attanagliavano costantemente e il senso di colpa non faceva altro che trascinarla in un incubo ad occhi aperti. Diana aveva quasi perso il conto degli innumerevoli momenti in cui si era lasciata prendere dal panico ed era assurdamente arrivata a desiderare che Fred non si risvegliasse mai dal limbo al quale era stato grottescamente confinato.
Sarebbe stato infinitamente più semplice per lei, perchè così non sarebbe stata costretta a compiere una scelta.
Puntualmente, dopo quei pensieri scoppiava in pianti disperati, maledicendosi per aver avuto anche solo il coraggio di pensare atrocità di quel calibro; quindi si limitava ad ingoiare le proprie lacrime e ad addormentarsi dicendosi che dal giorno successivo non avrebbe più osato essere così meschina e debole.
Puntualmente, il giorno dopo, quei pensieri non facevano altro che riaffacciarsi, spingendola sempre più in basso in una caduta senza fine nel profondo buco nero sempre pronto a risucchiarla dentro di sè.

 

La brusca interruzione del flusso d’acqua proveniente dal bagno, riportò Diana alla realtà.

Si alzò dal letto e si sfilò il pigiama per cambiarsi, saltellando goffamente per la stanza per infilarsi i jeans il più velocemente possibile; stava per perdere l’equilibrio, quando il suo sguardò si posò sul davanzale della finestra.
Vi era appollaiato un grosso e altezzoso allocco dall’aria supponente di chi si trovava lì da parecchio tempo e, per sottolineare il concetto, l’animale diede una sonora beccata al vetro per esortare Diana ad aprirgli la finestra.
Era Hermes, il gufo di Percy Weasley, e quella che portava legata alla zampa sinistra era indubbiamente una busta color verde acqua.
Diana caracollò per la stanza per aprire la finestra e slegò rapidamente la busta dalla zampa del pennuto che volò in casa per raggiungere il trespolo vuoto di Loki e affondare il becco nel mangime con sdegno.
Con mani tremanti, Diana riuscì ad appurare che il logo nell’angolo della lettera recava il simbolo dell’ospedale San Mungo: un osso incrociato con una bacchetta.
Sentì gli occhi inumidirsi istantaneamente per le lacrime e il respiro affannarsi.
Avrebbe dovuto aspettare George, ma le sue dita avevano già strappato la carta per estrarre un foglio dove erano scritte solo quattro parole.
Diana si precipitò verso la porta del bagno ancora chiusa e la spalancò incurante. George, fortunatamente vestito, si stava tamponando i capelli con un asciugamano. Si bloccò nel vedere Diana irrompere nella stanza.

- Diana, ma che cavolo… - si interruppe nel notare il suo viso rigato di lacrime e poi la busta scartata nella sua mano destra - che è successo??

Diana sorrise tra le lacrime e, incapace di parlare, gli passò il biglietto ormai umido sul quale era scritto: “Fred si è svegliato”.

Diana si sentì ancora una volta risucchiata da quell’orrendo buco nero che minacciava di distruggerla, ma si aggrappò con tutte le forze ai bordi di quel pozzo senza fine per cercare di mantenersi a galla, perchè il momento che aveva in egual misura desiderato e temuto era giunto.

 

La lucidità necessaria per affrontare la situazione era svanita tanto che Diana non era nemmeno stata in grado di opporre resistenza ad un euforico George Weasley che la afferrava per un braccio per smaterializzare entrambi in fretta e furia al San Mungo. In circostanze differenti, si sarebbe tenuta ben lontano da eventuali pericolosi contatti fisici con un mago, come aveva già fatto nelle settimane precedenti, ma quella era una situazione diversa.

Fred si era svegliato!

Non appena apparvero in un vicolo deserto, Diana si divincolò con repulsione dalla presa sul suo braccio, squadrando George con la circospezione di chi si aspettava di vederlo andare in fumo o rotolare a terra sofferente.

Non accadde nulla di tutto ciò.

George le scoccò un’occhiata indecifrabile e uscì rapidamente dal vicolo per attraversare una strada trafficata oltre la quale l’unica costruzione degna di nota era un grande magazzino in mattoni rossi dall’aria triste e desolata: le vetrine per metà ancora allestite con manichini abbigliati con vestiario di dubbio gusto erano ricoperte da cartelli che promettevano una temporanea chiusura per ristrutturazione dell’edificio.

La prima volta che erano stati all’ospedale San Mungo, Diana era rimasta parecchio impressionata dal fatto che avessero dovuto attraversare una vetrina nel pieno della trafficata Londra babbana e che nessuno dei passanti avesse mai notato la stranezza di persone che venivano risucchiate da un edificio quasi fatiscente.
Quel giorno, nemmeno ci fece caso.
Seguì George nell’atrio dell’ospedale, poi in un corridoio e infine in un ascensore, senza riuscire a mettere a fuoco nè l’ambiente circostante nè i propri confusi e vorticanti pensieri resi affannati dal tumulto di emozioni che si dibattevano dentro di lei.
Quando le porte dell’ascensore si aprirono, lo stretto corridoio azzurrino era costellato di persone.
George, sorridente e impaziente, si infilò quasi di corsa nella stanza di Fred, lasciando indietro una frastornata Diana che salutò con un cenno imbarazzato Harry e Hermione, i quali sembravano aver voluto lasciare un momento di privacy esclusivo per la famiglia Weasley.
Molly Weasley con il viso stanco e ancora umido di lacrime di gioia, sporse la testa fuori dalla stanza da cui già si sentivano provenire delle risate.

- Diana, cara…perchè non entri?

Diana annuì e con passo malfermo varcò la soglia con il cuore che batteva all’impazzata e le mani sudate.

La stanza era assiepata di teste rosse: c’erano Ginny e Ron seduti su un paio di poltroncine intenti a chiacchierare con Bill, Charlie e il signor Weasley, George e Percy erano in piedi ai lati del letto e talmente chini su Fred da celarne la vista.
Fu Bill il primo a notare il suo arrivo e si schiarì subito la gola con un secco colpo di tosse, tanto che George e Percy si spostarono aprendosi come le tende di un sipario teatrale, rivelando l’unico protagonista della scena.
Fred Weasley era semi sdraiato con la schiena appoggiata ad un paio di cuscini, i capelli rossi lunghi e spettinati, la carnagione pallida faceva risaltare le lentiggini, ma aveva stampato in viso un meraviglioso sorriso che parve addirittura allargarsi nel notare l’arrivo di Diana.
Prima che lei si potesse sciogliere nell’ennesimo pianto della giornata, Fred, senza smettere di sorridere, la salutò: - Ciao Pixie!
Diana, con lo sguardo sfocato dalle lacrime e il cuore che sembrava esplodere di gioia, riuscì a raggiungere il letto a tentoni, domandandosi come avesse potuto desiderare che quel momento non giungesse mai.

 

- Potresti anche sederti qui… - Fred si spostò di lato nel letto per farle spazio, invitandola ad avvicinarsi a lui.
Era passata circa una settimana dal risveglio del ragazzo e Diana era nervosamente seduta con le gambe raggomitolate sulla poltroncina accanto al letto.
Il cielo era grigio e aveva piovuto per l’intera giornata; oltre le ampie finestre dell’ospedale, i rami degli alberi ondeggiavano piegati dal vento del temporale estivo.

- Non voglio che tu stia scomodo - rispose prontamente Diana con l’intenzione di mantenere le distanze e lanciando un malinconico sguardo sulla città di Londra evitando di soffermarsi sul punto in cui fervevano i lavori per la costruzione del London Eye.

Fred corrugò la fronte contrariato e mise il broncio: non era di certo abituato a rimanere relegato in un letto e, nonostante stesse bene, i Medimaghi continuavano a volerlo tenere sotto stretta osservazione; di conseguenza, l’umore del ragazzo era sempre più annoiato e insofferente.

- Per una volta in cui siamo soli… - constatò Fred in tono lagnoso appositamente studiato per intenerire Diana.

- Non è colpa mia se hai un centinaio di parenti e amici che ogni giorno devono venire a trovarti - sospirò Diana con un sorriso teso.

- Non è colpa mia se tutti mi amano! - si giustificò Fred con ironica superiorità.

Diana roteò gli occhi al cielo: era una tortura mantenere le distanze e rimanere trincerata in un contegno che credeva di aver abbandonato già da tempo. 

Il suo sguardo si posò con nostalgia sulla mano di Fred abbandonata sul letto e cercò di tenere a bada l’impellente desiderio di stringerla nella sua.
Fred seguì il suo sguardo e assunse un’espressione interrogativa.
Prima che il ragazzo potesse formulare qualsiasi domanda, Diana si alzò di scatto con aria evasiva: 

- Sai che faccio? Andrò dai Medimaghi a chiedere un paio di cuscini in più per te! E’ assurdo che non te li abbiano ancora portati dopo che li abbiamo già chiesti due volte! E poi vado a prendere un caffè e…

- Pixie - la frenò Fred confuso - è già andato George a prenderti un caffè…sarà qui a momenti!

- Oh, sì! Giusto! - ammise Diana a disagio - Andrò comunque a cercare i Medimaghi per i cuscini… - e senza guardare Fred uscì dalla stanza.

Mentre percorreva il corridoio verso la stanza in cui erano soliti trovarsi i Medimaghi, trasse un profondo sospiro per calmare l’inquietudine che la attanagliava ogni giorno.
Era convinta che Fred avesse iniziato a sospettare che qualcosa non andasse in lei e le era preso il panico.
Non era pronta per affrontare la situazione e da brava codarda quale era non faceva altro che tergiversare.
Si fermò con le nocche a mezz’aria nell’atto di bussare alla porta quando udì delle voci provenire dall’interno della stanza.

- Hai visto le analisi del paziente della 217? - chiese una voce femminile.

Diana abbassò la mano e aguzzò l’udito nel sentir parlare della camera di Fred.

- Non ho mai visto nulla del genere… - continuò la voce femminile.

- Gli incantesimi hanno funzionato? - domandò una voce maschile - Ora dovrebbe essere pulito…

- Si certo che hanno funzionato - rispose la donna - ma non ho mai visto una così alta concentrazione di Magia Oscura! Ha rischiato di non svegliarsi più, lo sai? Che tipo di maledizione può averlo colpito per ridurlo così?

Diana trattenne il fiato e deglutì a disagio.

Un sospiro: - Non ne ho idea, ma il signor Weasley è tra i feriti della battaglia di Hogwarts! Dicono che abbia affrontato Bellatrix Lestrange in persona! Tutti sanno che spietate atrocità era in grado di compiere quella pazza…

Un tramestio di sedie riscosse Diana che prontamente tornò verso la stanza 217, mordicchiandosi compulsivamente l’unghia del pollice.
La Magia Oscura e le atrocità di cui parlavano i medici le aveva provocate lei.
Lei e il suo potere.
Lei e la sua incapacità di prendere una decisione.

 

- Dove sono i cuscini? - domandò Fred non appena la vide tornare a mani vuote.

Diana non riuscì a formulare una frase di senso compiuto, troppo turbata dalle parole che aveva appena udito.

- Pixie? Hai di nuovo litigato con gli infermieri?

- No…io…no! - rispose Diana cercando di dissimulare lo sconforto.

Fred si raddrizzò per mettersi seduto sul letto: - E’ da giorni che sei strana…

- Ma no! - Diana scosse la testa con vigore - Ti sbagli!

In un guizzo improvviso che Diana non aveva preventivato, Fred slanciò le gambe dal letto per alzarsi e fermarsi a pochi centimetri da lei; Diana, di riflesso, aveva fatto un balzo all’indietro allontanandosi il più possibile da lui con le mani tremanti per lo spavento.

- Lo vedi! - esclamò Fred con tono di rimprovero e con uno sguardo circospetto che tentava di analizzare il comportamento di Diana - non è normale! Credi che non mi sia accorto che mi tieni a distanza?

- Fred…io… - balbettò Diana portandosi nervosamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio - non dovresti alzarti dal letto…

Fred la ignorò sistematicamente, ma il suo sgaurdo si addolcì lievemente, mentre piegava la testa di lato e ipotizzava: - E’ per tuo padre? Per quello che ti ha fatto? Per la battaglia? E’ collegato al fatto che non volevi stare negli spazi chiusi? Non capisco…

Diana boccheggiò senza trovare una risposta sensata e infine si arrese: - Fred, siediti…devo dirti una cosa…
Non si aspettava che il ragazzo le ubbidisse, invece, lui incredibilmente, le diede ascolto sedendosi rigidamente come se il letto fosse irto di spine e con un’espressione preoccupata.
Diana tornò ad occupare la poltroncina accanto al letto e tormentandosi una ciocca di capelli con le dita esalò: - Ho venduto il negozio Harvey.

- Oh - rispose Fred rilassando leggermente le spalle - ok…? Cioè, va bene…perchè?

Diana scosse la testa tristemente: - Era un capitolo che andava chiuso…Robert non c’è più, Ben è ad Azkaban e io non me la sento di gestirlo da sola….Ho contattato Mundungus che si è occupato di vendere la maggior parte della merce, mentre il padre di Lyall si è preoccupato di trovare un acquirente adeguato.

Fred annuì: - E casa tua?

- Ho venduto anche quella…

- Oh… - ripetè Fred aprendosi in un sorriso diffidente - ok, fantastico! Puoi stare con me e George!

Diana pose subito fine all’allegria affermando in tono lapidario: - Non credo che sia il caso.

Fred sbattè un paio di volte le palpebre: sembrava confuso e desideroso di avere una spiegazione in merito a quel comportamento, ma allo stesso tempo sembrava anche intimorito dall’eventuale reazione di Diana se l’avesse messa troppo alle strette.

- Non capisco… - ammise lui passandosi una mano tra i capelli - abbiamo vissuto insieme per mesi e non mi è mai sembrato che ti dispiacesse o che fosse un problema. 

- No, non lo è, ma… - Diana si morse un labbro cercando di mantenersi lucida e di non capitolare di fronte allo sguardo ferito di Fred - io sono stanca di tutto questo…

Lui non parve capire, ma si limitò a scrutarla come se lei stesse parlando un’altra lingua.

- Ti sei stancata di me?

- No! - esplose Diana esasperata - sono stanca di perdere le persone a cui tengo! Mia madre, zia Karen, Robert, Benjamin….vuoi aggiungerti a questo elenco? Tutte le persone che mi stanno vicine rischiano la vita! Non voglio stare con te con il perenne timore di poterti fare del male! Hai visto quello che è successo a Hogwarts!?

Il peso che gravava su di lei parve farsi leggermente meno oneroso nel portare alla luce i pensieri celati fino a quel momento.

- Ho visto che mi hai salvato la vita! - esclamò Fred scattando in piedi - se tu non ti fossi presa la Maledizione Mortale al posto mio...

- Smettila! - lo interruppe Diana con un grido e con le lacrime a riempirle gli occhi - Smettila! - si prese la testa tra le mani affondando le dita tra i capelli - Non ho salvato nessuno! 

- Sì, invece! - gridò Fred frustrato - Percy mi ha detto che se non fosse stato per te che hai creato una specie di barriera con il tuo potere, il muro ci sarebbe crollato addosso e uccisi entrambi…

- Percy non capisce un cavolo, allora! - esclamò Diana mentre due lacrime bollenti rompevano gli argini - Non ti ha detto che sono io stata io a far crollare il soffitto!? Se non fossi stata lì non sarebbe mai successo, Fred! Tu non saresti mai finito in un letto d’ospedale se non fosse stato per me!

- E’ stato un incidente! Non lo hai fatto apposta!

- E quanti incidenti ancora devono accadere per convincerti che stare con me non è buona idea?

- E’ questo che stai facendo? Mi stai lasciando? - chiese conferma Fred a denti stretti e con lo sguardo velato da tristezza e confusione.

- Non voglio vivere con altri incidenti sulla coscienza! - concluse Diana asciugandosi le lacrime con il dorso della mano - non posso stare con te con la consapevolezza che potrei farti del male in qualsiasi momento! - si battè una mano sul petto per sottolineare l’imprescindibile presenza del potere del Blackhole.

Fred si passò una mano sul viso e alzò lo sguardo verso l’alto come per cercare un suggerimento sul da farsi, poi, velocemente si avvicinò a Diana, che di riflesso arretrò fino ad avere le spalle al muro.

- Cosa posso fare per farti cambiare idea? - domandò Fred. I suoi occhi erano tristi e speranzosi, ma provò comunque a incurvare le labbra in un sorriso obliquo e ad avvicinare lentamente una mano al viso di Diana. 

- Non puoi - rispose Diana in affanno per quell’improvvisa vicinanza che, nonostante tutto, le faceva battere il cuore per l’emozione e ribaltare lo stomaco per il terrore - Per favore, Fred… - lo supplicò tremante per la tensione e sgusciando fuori da quella situazione - M-mi dispiace - singhiozzò tra le lacrime.

- Se ti dispiace, non farlo! - esclamò Fred allargando le braccia nel vano tentativo di trattenerla.

Diana si limitò a scuotere la testa, incapace di parlare a causa dei singhiozzi che le scuotevano il petto.
Fred si limitava a guardarla senza emettere alcun suono.
Lo sguardo del ragazzo bastava e avanzava per farla sentire da schifo: tristezza, rabbia, delusione e frustrazione.
Diana agguantò la propria borsa e sgusciò velocemente fuori dalla porta, incapace di reggere quello sguardo per un altro minuto.

- Dove stai andando? - gridò la voce di Fred.

Diana si precipitò alle porte dell’ascensore, premendo freneticamente il pulsante, guardandosi le spalle con la paura che il ragazzo avesse deciso di seguirla.

- Signor Weasley! - la voce di un Medimago sovrastò quella di Fred - dove diamine crede di andare?

- Io devo… - tentò di protestare Fred.

- …tornare a letto immediatamente! 

Le proteste di Fred si spensero mentre spariva dal campo visivo di Diana a causa del Medimago che lo spingeva nella stanza.
Le porte dell’ascensore si aprirono e comparve George Weasley con in mano due tazze di caffè.

- Diana?! Che succede? - domandò preoccupato notando le sue lacrime - Fred sta bene?

Diana, presa dal panico non rispose, imboccò le scale e scese i gradini più veloce che poteva.

No, Fred non sta bene e la colpa è solo mia
Era questo che avrebbe voluto rispondere a George.

Tra il suo precario equilibrio e lo sguardo offuscato dalle lacrime, fu un miracolo l’arrivare sana e salva al pianoterra e senza incontrare altri membri della famiglia Weasley.
Uscì di filato dall’ospedale per riversarsi in strada sotto una pioggia battente.
Si guardò intorno, frastornata e senza riuscire a mettere a fuoco nulla se non il proprio tagliente dolore.
Mosse pochi e malfermi passi per appoggiarsi con la schiena al tronco di un albero, incurante di sporcarsi o del fatto di essere ormai completamente zuppa di pioggia, e strinse la propria borsa al petto.
Le fitte gocce di pioggia le pizzicavano il viso già arrossato e irritato dal pianto che non accennava a fermarsi.

- Diana! Che è successo?

La ragazza si irrigidì, mentre George Weasley camminava verso di lei.

- No! - sbottò lei convulsamente - non cambierò idea! E non mi importa se tu, Fred e tutta la vostra famiglia mi odierete! Anzi, avreste già dovuto odiarmi da parecchio tempo…

- Che stai dicendo? - sbottò George senza capire e allungando una mano verso di lei per cercare di appoggiarla sulla sua spalla.

- Non mi toccare! - Diana quasi gridò mentre scansava prontamente quel gesto e, mantenendo le distanze, mormorò: - L’ho lasciato…

George strabuzzò gli occhi, sferzato da quella notizia.
Diana, di nuovo scossa dai singhiozzi, abbassò lo sguardo sui propri jeans ormai intrisi d’acqua, mentre rivoli di pioggia gelida si insinuavano lungo la schiena facendola rabbrividire e un leggero mal di testa le appesantiva le tempie.

- So che non lo capirete… - mormorò Diana - ma l’ho fatto per lui…è giusto così!

George si limitò a studiarla rabbuiandosi: - A me sembra che tu lo abbia fatto per te! Per avere la coscienza pulita e per non sentirti più in colpa!

Diana scosse la testa e osservò George: - Può essere…ma è così che deve andare…è l’unico modo…

George aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse subito dopo come se non trovasse le parole giuste da dire.

Diana gettò uno sguardo verso l’alto in direzione della finestra dietro la quale sapeva trovarsi la stanza di Fred.
Lui era lì con una mano che batteva freneticamente la vetrata, le labbra che si muovevano in concitate parole e suppliche che Diana non poteva udire.
Anche George sollevò lo testa verso Fred.
Diana sentiva rimbombare nel petto ogni colpo di Fred sulla finestra.
Le orecchie le fischiavano.
Distolse lo sguardo e scosse la testa asciugandosi un misto di lacrime e pioggia dal viso.
Sollevò appena il mento in un cenno di diniego verso George e poi gli voltò le spalle dirigendosi verso un punto non ben identificato.
Il buco nero dentro di lei era pronto ad inglobarla. A masticarla. A distruggerla.
Ma Diana, retta e fortificata dalla consapevolezza di aver preso finalmente la decisione giusta, aggirò la voragine oscura per proseguire a camminare sotto alla nebulosa e fitta pioggia londinese.

 

[Fine?]


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Eccoci qui.
Siamo giunti alla fine di questo lungo viaggio :(
Come vedete, Fred è sopravvissuto anche se la sua strada e quella di Diana hanno dovuto separarsi...ve lo aspettavate? 
Vedete il fantastico punto di domanda di fianco alla parola "fine"? Beh...significa che forse dovrete sopportare ancora me, Diana e Fred! Non so se ha senso e non so quante persone ci saranno ad aspettare qualcosa che li riguarda, ma così mi gira XD
Per un po' mi riposerò e farò la lettrice, ma, come direbbe il caro Fred, "tornerò a tormentarvi" XD
Intanto voglio ringraziare tutte le persone che mi hanno accompagnato in questo viaggio: chi ha aggiunto la storia tra le seguite e preferite, chi ha speso tempo per leggere e soprattutto per commentare! In particolare un mega grazie di cuore va Jamie_Sand che ha seguito questa storia quando era ancora solo un timido prologo (mi ricordo ancora l'emozione della prima recensione ricevuta!) e che mi ha accompagnato in tutto questo tempo! Grazie a tutti coloro che hanno lasciato una recensione: Hikari91, Autumn Wind e RaBlack (non so se siete in pari con la storia o se ci siete ancora, ma comunque grazie!) e grazie a coloro che si sono aggiunti da poco come PrimPrime e Mokochan e grazie a tutti coloro che arriveranno a questo punto tra mesi o anni!
❤️
A presto :)
Sere

 

 

  
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