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Autore: EmmaJTurner    01/10/2023    6 recensioni
Un'Abbazia infestata arroccata sul fianco di una montagna, rose benedette, orme di troll, cadaveri, spiriti, erbe e pozioni... e due tollerabili compagni di viaggio. Cosa stiamo aspettando?
“A che livello di rompitura di cazzo siamo?”.
Logan le scoccò un’occhiataccia. “Discreta”.
Meli alzò gli occhi al soffitto. “Se vuoi me ne vado, eh”. Un lampadario di bronzo si mosse e cigolò sopra di loro. A Meli parve di vedere un movimento di aria densa tra i ceri accesi e…
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Cercasi Ammazzamostri'
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Un Sentimento in Comune

Il primo giorno di viaggio verso Aroi trascorse senza eventi degni di nota. Meli raccolse cantarelli e piantaggine per farci una zuppa; Logan perlopiù scrutò truce il cielo e lanciò occhiatacce ad ogni lepre e scoiattolo che frusciava nella vegetazione.

Incontrarono giusto qualche pixie e una marroca gigante estremamente fastidiosa; persero un po’ di tempo a togliersi la bava appiccicosa dagli stivali, ma riuscirono comunque a raggiungere entro sera la malga del passo delle Due Sorelle.

La malga era una bassa costruzione di pietra bianca, di forma rettangolare e con minuscole finestre; il tetto, di legno e paglia, pendeva floscio da un lato e sembrava aver bisogno di qualche lavoretto di ristrutturazione. Le porte erano due: una per gli alloggi estivi del malgaro; l’altra per la stalla delle vacche.

Bussarono e si presentarono chiedendo ospitalità per la notte. Il malgaro li accolse ridendo di gusto: andavano all’Abbazia del Roseto per il fantasma? Sarebbero tornati con la coda tra le gambe e le sopracciglia bruciate come gli altri, ci avrebbe scommesso. Meli ignorò il commento e ringraziò il pastore per l’ospitalità.

“Ah, macché macché” rispose il pastore, un uomo rubizzo dai begli occhi chiari incastonati nel viso rugoso e barbuto “mettetevi comodi nella stanzetta di destra, che è vuota; il mio compare è già sceso con le vacche nella baita bassa per la stagione invernale; io lo seguirò tra pochi giorni, giusto il tempo di sistemare alcuni lavoretti”.

Meli si offrì di pagare in navok e bacche essiccate di rosa canina, utili per malanni umani e vaccini; il pastore accettò di buon grado e indicò loro una mezza forma di formaggio stagionato e un grosso paiolo di rame appeso sul camino acceso. Meli sapeva già cosa ci avrebbe trovato dentro a sobbollire: una polenta gialla e densa, perfetta per riempire gli stomaci e scaldare lo spirito.

Mangiarono in silenzio, in quanto il pastore parlò abbastanza per tutti: ciarlò per ore di vitelli podalici e di congiuntivite delle vacche; si lamentò della troppa pioggia, poi della poca pioggia; dell’inverno in anticipo quest’anno; degli gnomi che infastidivano le galline e delle fate che rubavano il miele; infine, rintronati dalle troppe chiacchiere, lasciò i due ospiti liberi di andare nella loro camera per la notte.

Gli alloggi del pastore consistevano in una fredda stanza quadrata con una cassapanca, uno sgabello e uno stretto letto di paglia coperto di pelli di pecora. Meli si maledì di non aver fatto ricaricare a dovere la sua scaldapietra. L’inverno era davvero in anticipo quell’anno.

“Stesso dell’altra volta” commentò Logan, studiando l’unico letto.

“Siamo in due”.

Ma stavolta il letto era molto più stretto, le coperte troppo piccole per due persone, la stanza gelida, e fu difficile addormentarsi a causa delle continue gomitate. Dopo quella che sembrò un’eternità Meli, piena di lividi e tremando di freddo, si ritrovò a fissare il soffitto con le braccia conserte; la scaldapietra, inutilmente tiepida, infilata sotto l’ascella.

“Smettila di battere i denti, non riesco a dormire” le disse la voce di Logan. Era sdraiato su un fianco guardando il muro, e le dava la schiena.

“Fa un freddo maledetto” ribatté piccata Meli. “E se la smettessi di rigirarti e di tirarmi pugni, forse potrei dormire anche io”.

“Ma se sei tu che occupi tutto lo spazio”.

“Tu sei più grosso di me”.

“Questo è opinabile”.

Meli gli tirò una gomitata nelle reni, che l’uomo incassò senza fiatare. Restarono in silenzio per un po’. Meli, suo malgrado, ricominciò a tremare.

“Oh, perdio” borbottò l’ammazzamostri, rivoltandosi sotto le pelli di pecora. La afferrò di malagrazia per il fianco e la trascinò contro di sé.

“Ma cos…” cominciò Meli, già incazzata, ma Logan la interruppe. “Niente rogne. Fa solo un freddo del cazzo” fu il suo unico commento. Meli non osò ribattere, paralizzata dall’indecisione se tirargli una randellata tra le gambe per la libertà che si era preso, o se accoccolarsi verso quel calore inaspettato e piacevole. Nel dubbio, rimase immobile.

Lui colse la sua rigidità. “Niente rogne” ripeté lui, e Meli capì cosa intendeva. Fece un enorme, enorme sforzo di volontà, e scelse di fidarsi. Cercò di rilassarsi. Aveva la faccia vicinissima al suo mento. Tra l’odore di paglia fredda e di pelle di pecora, Meli percepì per la prima volta il suo odore. E, cosa che la irritò enormemente, le piacque. 

Piano piano smise di tremare. Il calore umano al suo fianco si diffuse dentro di lei, sciogliendo le membra rigide dal freddo meglio di qualunque scaldapietra. Al calduccio, infastidita, e pensando che quella era stata decisamente una cattiva idea, Meli chiuse gli occhi e si addormentò.

***

“Qui è passato qualcosa di grosso”.

Meli non poté che dirsi d’accordo. A circa mezz’ora di cammino dopo il Passo si erano ritrovati in una zona di bosco in cui abeti erano stati divelti, e enormi impronte, larghe almeno quanto la testa di un uomo, erano visibili sul suolo fangoso tra le felci e i sassi ricoperti di muschio.

Meli conosceva quelle orme: erano tra le prime che sua nonna aveva mostrato a lei e alle sue sorelle indicandole con il suo fidato bastone di biancospino. “Un troll di montagna".

Logan, che stava ancora fissando le impronte con le braccia conserte e la consueta faccia insofferente, confermò: “Sì. O un paio”.

“Mmh”. L’idea di trovarsi nell’area di caccia di un troll le piaceva per niente. Ma non avrebbe dovuto essere un loro problema: i troll si muovevano solo di notte, preferendo evitare la luce del sole dormendo dentro caverne o cavità del terreno. Bastava non avere la sfiga di camminarci sopra scambiandolo per un ammasso di pietre… Meli scacciò subito quel pensiero e si toccò il naso con un gesto scaramantico. Ci mancava solo che si accollasse il malocchio.

Logan scostò il mantello e si portò a destra della cintura un piccolo fodero di pelle contenente uno strumento arcuato che Meli non aveva mai visto.

“Cos’è quello?” chiese Meli.

Logan seguì il suo sguardo e estrasse l’arma misteriosa. Era composta da una maniglia ricurva da un lato, e due tubi di metallo dell’altra. Alla luce del sole, Meli notò gli intarsi incisi sull’intera lunghezza di legno e metallo, di circa due spanne. 

“Questa? È una pistola” rispose Logan. Lo sguardo vacuo di Meli invitò l’uomo a continuare.

“È un arcobuso più piccolo” tradusse, sofferente a doversi ridurre a dare quella spiegazione ridicola. “Nuova meccanica. È arrivata a Porto Venia dalle navi da oriente; sembra che i governatori di diversi distretti le vogliano introdurre come armi di ordinanza per la guardia cittadina”.

Meli era scettica. Come poteva una cosa così piccola essere utile contro un mostro qualsiasi? Un arcobuso, certo: un’arma da fuoco lunga quanto una spada che sganciava pallini di ferro con tanta potenza da attraversare un uomo; ma quella robetta? Meli osservò Logan risistemare la pistola nel piccolo fodero di pelle ora agganciato in bella vista a destra della cintura, dal lato opposto della spada; ma non commentò. Dopotutto, non era mica il suo lavoro ammazzare le cose.

“Scendi spesso giù a Valle?” gli chiese.

“Dio, no” rispose Logan con un ghigno schifato. “Frequento le città il meno possibile, soprattutto quel buco di Porto Venia. Ma a volte è necessario; per lavoro, o per acquisti… esotici”.

Meli condivideva il suo sentimento. Nata e cresciuta tra il cielo e i picchi della Catena Bianca, per lei qualsiasi luogo senza montagne era fonte di angoscia. Ancora di più se quel luogo era pieno di gente, di puzza e di immondizia. Adesso che aveva rilevato l’emporio di zia Fernanda, se le serviva una particolare specie botanica d’oltremare mandava le sue sorelle a contrattare con quei cialtroni nauseabondi del mercato di Porto Venia, e le pagava più che volentieri per il disturbo.

Sparlarono per un po’ di questo inaspettato sentimento comune - l’odio per Porto Venia, l’odio per tutte le cittadine dei distretti a sud della Catena e, sottinteso ma non troppo, l’odio per la gente in generale - e proseguirono spediti verso Aroi, mentre il sole compiva il suo indisturbato arco nel cielo.

Per grazia divina nessun troll sbarrò loro il cammino e nessun ridicolo archibuso in miniatura fu esploso; e nel tardo pomeriggio, sotto un cielo perfettamente azzurro, Meli e Logan arrivarono ai piedi dell’Abbazia.

   
 
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