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Autore: EmmaJTurner    27/09/2023    6 recensioni
Un'Abbazia infestata arroccata sul fianco di una montagna, rose benedette, orme di troll, cadaveri, spiriti, erbe e pozioni... e due tollerabili compagni di viaggio. Cosa stiamo aspettando?
“A che livello di rompitura di cazzo siamo?”.
Logan le scoccò un’occhiataccia. “Discreta”.
Meli alzò gli occhi al soffitto. “Se vuoi me ne vado, eh”. Un lampadario di bronzo si mosse e cigolò sopra di loro. A Meli parve di vedere un movimento di aria densa tra i ceri accesi e…
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Cercasi Ammazzamostri'
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Una Nuova Missione

Il campanello del negozio tintinnò. Meli rificcò le code di bisso galeto in cima allo scaffale e urlò “Arrivo!” prima di presentarsi, arruffata e sorridente, al primo cliente della giornata.

“Georg!” salutò Meli. “Qual buon vento! Cosa ti porta qui? Attraversi il passo?”

Il cliente, un esemplare di uomo di montagna peloso e tracagnotto, le mostrò i denti neri e storti in un sorriso gioviale. “Meli! Sei tornata! Sono molto contento. Ero stufo di parlare con quel mostriciattolo che chiami assistente”.

“Zeno? Oh, ma lui è molto bravo, ci deve solo prendere un po’ la mano. Sta ancora imparando. E poi è molto giovane, sai”.

“E molto inquietante”.

“Sì, anche quello. Allora, cosa posso fare per te?”

“Mi sono giunte voci che hai ancora qualche artiglio di strige”.

“E le voci sono vere! Me ne restano quattro. Quanti te ne servono?”

“Due. Riprovo la mistica, sai”.

“L’ultima volta non è finita bene”.

“Per questo ci devo riprovare”.

Meli andò nel retrobottega a recuperare gli artigli. Trovò Zeno intento a compilare l’inventario, con la coda squamosa che reggeva il taccuino mentre con le manine tozze spostava i barattoli di achillea.

Quando Georg se ne andò soddisfatto Meli poté lasciarsi cadere sullo sgabello dietro al bancone. Polpetta, il gattino grigio con i calzini sopravvissuto alle strigi e che l’aveva seguita fino a casa, si stiracchiò dal suo posto preferito: il cuscino di velluto viola su cui era posato il teschio di troll a decorazione del bancone. Inizialmente i due, gatto e teschio, ci stavano comodi entrambi, su quel cuscino; ma ora che il micio era grande il doppio da quando Meli l’aveva portato lì, il teschio era stato detronizzato, e Polpetta appallottolato sopra il cuscino era diventato parte integrante della decorazione del negozio. Quando non era in giro ad acchiappare lucertole, ovviamente.

Polpetta, stirandosi le zampe posteriori, si strusciò contro la mano della donna. Meli accarezzò il gatto dietro l’orecchio e pensò distrattamente che era piacevole poter fare il suo lavoro, nel suo paese, con la sua gente. Di sicuro era rilassante, dopo l’eccessiva dose di avventura che le era piombata addosso quando aveva accettato di coprire le consegne di sua sorella: Meli aveva pensato di dover raccogliere due fiori alla luna piena, e invece si era trovata a fare wrestling con una succube e a litigare con un enorme lupo-felino a sei occhi. E, non meno importante, aveva ancora sulle spalle le cicatrici degli artigli delle strigi. In seguito si era premurata di insultare per bene sua sorella Anja via lettera; ma lei le aveva risposto con un succinto “Sono contenta che tu stia bene. Dovremmo parlarne” che non le aveva dato nessuna soddisfazione.

Perché, in fondo, era preoccupata per lei. Non le risultava che ci fossero mai stati tanti mostri nel distretto di Zolden come in quel periodo, e sua sorella viaggiava in solitaria. Certo, gli ammazzamostri comuni erano utili per i licantropi e altre piccolezze, ma storicamente quella della Catena Bianca non era un’area di creature demoniache; infatti gli ammazzamostri di solito trovavano lavoro più a valle, tra le paludi e le pianure nebbiose della Val del Pola, o ancora più a sud, al di là del mare, nei deserti delle Sfingi e delle Ziggurat.

Ripensò a Logan e alla fortuna che aveva avuto nel selezionare uno come lui; se avesse scelto un ammazzamostri meno competente anche lei ora sarebbe stata cibo per i corvi, al pari delle strigi su a Monte Seghia.

Ogni tanto ripensava anche al biglietto di Meimei, che teneva al sicuro nella cassetta dei soldi sotto le assi del pavimento. Lo recitava come una litania: Qualcosa non va. Troppi mostri. Vengono da sotto, richiamati da qualcosa. 

Ci pensava soprattutto da quando avevano cominciato a sparire i bambini. Uno o due, sempre nei villaggi vicini. Sparivano nel nulla. A volte capitava che una strige agguantasse un ragazzetto e se lo portasse via per papparselo su al picco; ma con quella frequenza? Non passava settimana che non se ne sparisse uno, ormai. Bizzarro. Inquietante. 

Solo alcuni, pochi, riapparivano: come cadaveri nei fossi, come corpi straziati nei passi di montagna, o come schiavi nei bordelli giù a valle. La maggior parte però spariva e non si vedeva più. All’inizio nessuno ne parlava, ma ora…

Un tintinnio del campanello riscosse Meli da quei pensieri. Una zazzera di capelli neri entrò; sotto di essa, la faccia di uno che sembrava essersi svegliato trovando il letto pieno di cimici. Meli sorrise. Conosceva quella faccia.

***

“300 navok belli sonanti, come d’accordo”. Meli fece cadere la saccoccia di denaro sul bancone del negozio, dove risuonò con un piacevole thud.

Logan allungò la mano per afferrare i soldi, ma Meli parlò ancora: “Potrei avere un altro lavoro per te”.

Logan bloccò la mano a mezz’aria e, guardingo, scrutò la donna.

Due mesi erano passati e, come d’accordo, Logan era venuto a ritirare i soldi degli artigli di strige al suo negozio, l’Emporio di Erbe e Pozioni di zia Fernanda. 

E, a dire la verità, l’uomo non aveva affatto una bella cera. I capelli, sempre rasati sulla nuca, erano più lunghi e arruffati in cima alla testa; le cicatrici del nekorai, visibili sul collo e sulla mandibola, gli davano un aspetto feroce e poco raccomandabile; gli occhi chiari, coperti da una fascia di trucco nero che andava da orecchio a orecchio, erano visibilmente stanchi. E Meli poteva immaginare il perché: il lavoro degli ammazzamostri era aumentato in modo notevole nell’ultimo periodo. Strigi e viverne battevano i cieli, gobellini e lutin strisciavano dalla terra umida del sottobosco fin dentro le case. Non s’era mai vista tanta progenie demoniaca in almeno una decina d’anni. Punizione divina, dicevano i preti; colpa dell’eclissi solare, dicevano gli astronomi. Meli non aveva idea di cosa potesse essere: sapeva solo che era stufa marcia di scacciare ogni sera i pixie fuori dalla sua stanza a colpi di scopa.

Logan la fissò senza dire niente. Meli lo prese come un invito a continuare. 

“Devo fare una consegna a Aroi, giù per la valle a est, a due giorni di viaggio da qui. Ma lì vicino c’è un’abbazia, la conosci?”.

“L’Abbazia del Roseto?”.

“Proprio quella. Ebbene, è infestata”.

“Infestata?”.

“Infestata. Un fantasma chiassoso, dicono, ma nessuno l’ha visto; quindi potrebbe essere anche qualche altra schifezza capace di farsi trasparente”.

“Cosa fa?”.

“Scherzi di cattivo gusto, perlopiù. Ma ormai è lì da mesi, mi hanno detto. Ci hanno provato in decine, e nessuno riesce a scacciarlo. Per questo ho pensato a te. Come mi hai detto una volta… sei il migliore”. Meli gli scoccò un sorriso furbo, e poté giurare di aver visto un muscolo vicino alla bocca di Logan muoversi in quello che forse, un’altra dimensione in un universo parallelo, avrebbe potuto essere un accenno di sorriso. Ovviamente, sparì subito.

“La paga?” chiese l’uomo.

“Molto buona. Sono disperati. Alcuni frati non dormono nemmeno più dentro l’abbazia per paura dello spirito maligno. Se ne vogliono liberare a tutti i costi”.

“Si può trattare, allora”.

“Puoi provarci, se ti piace”.

Logan ci pensò su qualche secondo. “Due giorni di viaggio, hai detto”.

“Sì. Io ti faccio strada, ti metto una buona parola con i frati e completo la mia consegna; tu fai in modo che nessun nekorai selvatico mi ammazzi durante il viaggio e ti prendi i soldi del lavoro”.

“Non mi sembra molto equo; io lavoro due volte: come guardia del corpo e come ammazzaspettri”.

“Senti, è già tanto che non ti chieda una percentuale sul lavoro per la soffiata, quindi accetta e taci”.

Per la seconda volta, un muscolo nella mandibola di Logan si mosse, ma fu subito rimesso al suo posto.

Logan afferrò la saccoccia di navok e la intascò.

“Quando si parte?”.

   
 
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