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Autore: ChiiCat92    04/10/2023    0 recensioni
Anche quest'anno, come sempre, provo a portare a termine la challege del writober. Non so ancora se ci saranno solo cose originali, ogni storia verrà flaggata singolarmente all'inizio nell'introduzione.
Here we are again!
Questa storia partecipa al writober indetto da fanwriter.it, mi trovate anche su wattpad al link: https://www.wattpad.com/user/KiiKat92
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Yaoi, Yuri
Note: AU, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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#sovrannaturale #writober #pumpNIGHT #permesso #verde


Alexander fece un altro giro della casa. Una casa deliziosa. Sì, una delle tante villette a schiera che arredavano quel quartiere in modo ordinato come i pezzi degli scacchi, tutte nelle loro caselline con le adorabili finestrelle e porticine delle stesse dimensioni e le siepi tutte tagliate alla stessa altezza, per garantire una parvenza di privacy. Una delle tante ma allo stesso tempo un po’ diversa, per quanto il regolamento del quartiere permetteva: in giardino era stato piantato un cespuglio di rose bianche, il vialetto era composto da grossi tasselli di pietra piatti, tenuti insieme da cemento ancora nuovo, poi c’erano le decorazioni sulla veranda, adorabili vasi di gerani in fiore con tanto di irrigatore automatico collegato a un bidone pieno d’acqua nascosto alla vista. Alexander adorava quelle attenzioni, il modo in cui gli umani si costruivano il nido per renderlo più conforme possibile agli altri della loro specie, ma allo stesso tempo spruzzandolo di dettagli che potessero differenziarli da chiunque altro. Essere e non essere allo stesso tempo, non troppo appariscente ma visibile, non troppo rumoroso ma udibile. Era questo che piaceva ad Alexander. Anche se persino in questo tempo c’erano gli opulenti esemplari di essere umano che ostentavano le loro penne colorate e la grandiosità dei loro nidi di sassi, ai suoi tempi il divario era… come dire, più palpabile? Tutto, persino nell’aria che si respirava, si poteva capire su quale gradino della scala sociale si trovasse una determinata persona, adesso, invece, salvo esempi lampanti, non si poteva mai dire. La qualità della vita era migliorata, rispetto ai suoi tempi. Di questo Alexander era un po’ invidioso, lui non aveva avuto tutte quelle possibilità.

Si ritrovò di nuovo sul retro della casa, delimitato da un recinto basso e qualche altro oggetto di una banalità spiazzante: un barbeque, un tavolino da picnic con quattro sedie, un pallone da pallavolo arcobaleno. Mise le mani ai fianchi con un sospiro. Gli umani non smettevano mai di essere bambini ai suoi occhi. 

Tornò sul davanti, sul vialetto con gli adorabili tasselli di pietra, e salì i tre gradini della veranda per andare a suonare alla porta. Dlin dlon come il suono più comune dell’universo, come sentire il richiamo di un uccello o lo schianto di un albero abbattuto da un fulmine, sempre uguale, ormai intrinseco nella natura che gli umani avevano forgiato per i loro bisogni. 

« Sì? » rispose una voce maschile dall’interno.

Alexander apprezzava la tecnologia degli umani, non era come certi suoi simili, pretenzioso e borioso e con sulle labbra frasi da due soldi su come i giovani avevano rovinato il presente, per questo sollevò il polso sinistro e l’Apple Watch rimandò l’orario: 19:42. Non troppo presto, non troppo tardi, l’orario perfetto per presentarsi a qualcuno senza sollevare troppe rimostranze. Armò il suo viso di un sorriso morbido.  

« Buonasera, scusi se la disturbo. Sono appena arrivato, mi sono trasferito due case più giù. » si volse in quella direzione indicando la casa in questione. « Il punto è che… è saltata la corrente e non ho attrezzi con me, sa, è ancora tutto negli scatoloni… le andrebbe di darmi una mano? Da vicino a vicino? » 

Avvertì nell’aria il cambiamento, il leggero aroma del testosterone mentre l’umano soppesava la possibiltà di mostrare al nuovo arrivato chi fosse il gallo cedrone del pollaio. Incredibile come, per quanto si evolvessero e per quanti gadget inventassero, gli umani continuassero comunque a essere così simili agli animali. Animali di una squisitezza unica, adatti all’allevamento. 

« Certo. » rispose l’uomo. Un bell’uomo sulla quarantina con la barba curata e il fisico ancora attaccato alla gioventù. La fede al dito era solo decorativa, così come i titoli di “padre” e “marito”. In questo gli animali erano molto più empatici. L’uomo si tirò indietro per un attimo, socchiudendo la porta, poi ci ripensò, ci ripensavano sempre. « Vuole entrare? Ci metterò un po’. » 

Alexander sollevò le labbra in un sorriso gentile. « Posso? » chiese, la parola scivolò tra loro come se nulla fosse, pacata e morbida. 

« Sì, sì, prego, entri. » 

Era diverso, da vampiro a vampiro, quando un umano dava loro il permesso di entrare in casa. Alcuni lo avvertivano come una serratura che scatta, altri come uno scampanellio come di una porta che si apre, altri ancora come lo strappo di un tessuto sottile. Per Alexander, che la maggior parte dei suoi simili definivano frivolo, forse perché era così giovane, il permesso era il suono di un pacchetto che viene scartato, quando si sciolgono i nastri e si strappa la carta.

Una volta dentro, l’uomo non ebbe il tempo di pentirsi, o di capire che, forse, avrebbe dovuto pentirsi. Alexander fu gentile, ma lo uccise comunque. Gli uccideva tutti. 

Leccandosi le labbra, controllò sul suo Apple Watch l’orario. C’era ancora tempo per il dolce prima di rimettersi in viaggio.

 

 
   
 
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