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Autore: drisinil    05/10/2023    1 recensioni
Questa è una raccolta di pezzi brevi e brevissimi per il writober, come palestra di scrittura. L'ambientazione è originale, come i personaggi.
Sullo sfondo c'è una relazione MM platonica fra adolescenti.
--> Tutte le storie di questa raccolta partecipano al Writober 2023 di Fanwriter.it
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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5 ottobre - CANDIDO (come il sangue)

Ci aveva pensato parecchio, a cosa avesse quel tizio di speciale.

A parte come danzava, che forse era la cosa più importante, talmente perfetto da far tremare il cuore di freddo e commozione insieme.

C’era dell’altro, però, e capire cosa fosse non era stato per niente facile. 

Alla fine ci era arrivato: era il colore. Il suo colore.

Bianco. Non solo i piedi, le mani, i vestiti. Era bianco tutto, interamente, impregnato di bianco da fuori a dentro.

Non però trasparente, inconsistente, traslucido. No, proprio bianco, un bianco denso e pastoso, steso a grandi manate grossolane, grumoso e opaco come intonaco fresco.

Bianchissimo. Accecante. Fastidioso, perfino, quando si stagliava contro lo sfondo di un mondo a colori spenti, esausto, con più ombre che luci. 

Bianco, ma candido no. Il candore richiede ingenuità, illusioni, mancanza di malizia, lui quelle qualità non ce le aveva. Era troppo bravo a parole, tanto per cominciare. Aveva un lato egoista. Mentiva, talvolta. Barava. Ma non poteva comunque sporcarsi: il grigio lo sfiorava appena sui bordi, poi subito si ritraeva nella propria ombra, scivolando via senza aderenza. Perché gli altri colori lui li ingoiava senza pietà, li mordeva, li masticava, li digeriva e li assimilava. Mancava solo che ruttasse, saturo di tutte le frequenze, ma no, non avrebbe mai fatto una cosa tanto volgare.

Un bianco inarrivabile, se avesse potuto dargli un solo aggettivo avrebbe scelto quello. Freddo, come certe luci che si accendono all’improvviso di notte, mentre latrano i cani. Bianco di altezze vertiginose, idee astratte, nevi non ancora cadute. 

Per questo, forse, era così alto, e quando saltava, all’apice dell’elevazione, chissà cosa riusciva a vedere che al resto del mondo era precluso: certezze, direzioni, connessioni, significati nascosti nelle cose.

Era il motivo per cui, suo malgrado, si ritrovava sempre a guardarlo a bocca aperta e poi a infilare i piedi nelle grandi orme che lasciava dietro di sé, nitide, facili da seguire, bianche naturalmente. Erano cose da sfigati, e lo sfigato era lui, ma non poteva smettere di guardarlo. Non voleva smettere di vederlo.

Ed era anche il motivo per cui la distanza fra loro non si sarebbe mai ridotta: mancava lo spazio fisico per stemperare un colore nell’altro, per diluire l’infinita gamma di grigi che li separava. Doveva saperlo benissimo anche lui, come sapeva tutte le cose, ma probabilmente non gliene importava nulla. 

Gli veniva sempre da chiedersi se non avesse bianco anche il sangue. Pensava di sì, e avrebbe voluto versarlo, per vedere se aveva ragione.

 
   
 
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