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Autore: Milly_Sunshine    06/10/2023    3 recensioni
Kay è una giornalista radiofonica affermata e conduce un programma di cronaca, accerchiata da un entourage di fedelissimi, il marito Anthony, a sua volta giornalista, il loro collega Samuel e l'assistente Theresa. Fissata con i crimini irrisolti, matura un'ossessione insolita nei confronti dell'omicidio di un'anziana locandiera che le costa a sua volta la vita. Kay si ritrova a sua volta vittima di un delitto, lasciando le persone che le stavano intorno, oltre che la collega Rebecca, con la quale aveva una feroce rivalità appianata soltanto nelle sue ultime settimane di vita, a interrogarsi su chi l'abbia eliminata e perché, su chi fosse la femme fatale che si aggirava presso la sede della radio il giorno prima del delitto, oltre che sulle ragioni per cui fosse così in fissa con lo specifico caso della locandiera assassinata. // Long fiction scritta nel 2015 sulla base di un'idea già in parte sviluppata cinque anni prima, unisce elementi del giallo classico e del thriller.
Genere: Mistero, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Ambermount, 30 Luglio 1976

Carissima Harriet,
è mio dovere annunciarti che il nostro comune amico Albert Wilkerson è mancato la scorsa settimana in un incidente automobilistico.
Non avendo parenti ancora in vita, mi sono accollato io stesso l’organizzazione e le spese del suo funerale. Sapevo che avrebbe preferito una cerimonia privata, e così è stato.
Negli scorsi mesi mi aveva rivelato che Suzanne e Michelle erano figlie sue e che ti passava del denaro per contribuire agli studi della maggiore e al mantenimento della minore. In ricordo dell’amicizia che mi legava a lui e all’affetto che ho sempre provato per te, sarò lieto di fare il possibile per aiutarti. Tra le carte di Albert, ho trovato il numero del conto sul quale ti faceva i versamenti. Nei miei limiti, continuerò quello che aveva iniziato a fare lui. Non preoccuparti per me: sarò l’unico erede di un grosso patrimonio e, per tutto il resto della mia vita, difficilmente dovrò affrontare difficoltà di tipo economico. Anche per questa ragione sarò lieto di dare a te e alle tue figlie una vita migliore.
Non credo che ci incontreremo mai più di persona. Quando riceverai questa lettera, avrò già lasciato Ambermount: mi sto trasferendo e preferisco non comunicare a nessuno il mio nuovo indirizzo.
Qualora Marissa non ne sia informata, sei libera di comunicarle la notizia della morte del nostro amico Albert. Ti chiedo, però, di non divulgarle in alcun modo il contenuto di questa lettera e di non metterla al corrente dell’aiuto economico che ti sto offrendo per il futuro perché, da parte mia, non ho intenzione di avere mai più contatti con lei.

Saluti. P.C.


Appoggiato contro la porta del bagno, Samuel rilesse la lettera ancora una volta.
Erano passati oltre quindici anni da quando era stata scritta e indirizzata a Harriet Harrison. Era curioso che, dopo così tanto tempo, fosse ancora in giro. L’impressione era che la titolare fosse andata a ripescarla perché, per qualche ragione, aveva ritenuto opportuno rileggerla proprio in quei giorni.
Il testo, da sé, gli appariva quasi insignificante. Evidentemente Harriet aveva avuto due figlie con un uomo con il quale non era mai stata sposata, che l’aveva aiutata a mantenere le ragazze e che era deceduto nel corso degli anni Settanta.
Suzanne doveva essere la donna che lavorava in cucina, mentre l’altra, apparentemente più giovane... Samuel rabbrividì. Era solo un caso che si chiamasse Michelle Harrison, esattamente come la ragazza che lavorava a Radio Scarlet?
“Originaria anche lei, tra l’altro, di Ambermount...”
No, non si trattava di un caso.
Era assurdo pensare a una coincidenza... o forse no. Magari era stato proprio grazie a lei che Kay aveva iniziato a provare un interesse maggiore per il caso di Marissa Flint che, di per sé, non sembrava avere nulla di molto più significativo di tanti altri delitti analoghi rimasti irrisolti nel corso degli anni.
Samuel cercò di fare mente locale.
Michelle era figlia della titolare della locanda. Kay l’aveva scoperto per caso e, trovando un interessante collegamento con un vecchio caso di cronaca, aveva preso la decisione di vederci più chiaro.
“È possibile.”
Conoscendo Kay, doveva essere andata così, eppure Samuel non riusciva ad esserne convinto fino in fondo.
Rilesse la lettera da cima a fondo, ancora una volta.
Anche lì c’era qualcosa di strano, per esempio il fatto che fosse dattiloscritta. Era una lettera informale, tra due amici di vecchia data. Inoltre l’autore non sembrava cavarsela così bene nell’impaginazione, dando l’impressione di chi, in genere, stava ben lontano dalle macchine da scrivere.
“E poi c’è la firma.”
Almeno quella, avrebbe potuto farla a mano, invece di limitarsi ad apporre delle semplici iniziali in coda ai saluti.
A Samuel bastò poco per trovarsi a fantasticare su un ulteriore soggetto che, fingendosi quel P.C., chiunque fosse, aveva deciso di scrivere a Harriet Harrison spacciandosi per lui, battendo la lettera a macchina perché incapace di imitarne la grafia.
Ordinò a se stesso di smetterla. Doveva finire di prepararsi per scendere e, dal momento che Theresa dormiva ancora, approfittarne per andare a schiarirsi le idee all’esterno. Nonostante il temporale della notte precedente, il cielo era limpido e splendeva il sole.

Alla reception c’era una donna che Samuel non aveva ancora visto. Doveva avere sui cinquant’anni e, con tutta probabilità, lavorava alla locanda al mattino e durante le prime ore del pomeriggio. Non si era accorta di lui e, quando la salutò, sobbalzò.
«Mi scusi» borbottò. «Non mi ero accorta di lei.»
«Non si preoccupi.»
La donna guardò l’orologio.
«È prestissimo. Come mai è sceso a quest'ora?»
Effettivamente erano appena le sette e un quarto.
«Volevo andare a fare due passi fuori» ammise Samuel, «Ma dato che sono qui, magari ne posso approfittare per farle una domanda.»
L’espressione della donna rimase impassibile.
«Che genere di domanda?»
Samuel sapeva già come muoversi. Aveva funzionato con John Brooks, il giorno precedente, e c’era la possibilità di avere successo anche con la collega delle Harrison.
«Io e mia moglie siamo venuti qui perché è stata una mia zia a consigliarmi il posto. Purtroppo mia zia è molto avanti con gli anni e non si ricorda più molto bene le cose. Mi ha raccontato, qualche tempo fa, di avere conosciuto di persona un amico della titolare...»
Ancora una volta, la donna non gli parve molto interessata.
Ciò nonostante, lei lo esortò: «Continui, la ascolto.»
«Non so se sia vero o no» riprese Samuel, «Perché mia zia dimentica molto spesso le cose, oppure confonde le persone. Quel tale doveva chiamarsi Wilkins o qualcosa del genere...» Si finse pensieroso. «No, non era Wilkins. Forse era Wilker...» Simulò un’intuizione. «Wilkerson! Si chiamava Wilkerson!»
«Wilkerson...» ripeté la donna, palesemente distratta. «Non sono sicura di ricordarmi niente del genere. È da poco che lavoro qui in pianta stabile. Quando c’era ancora Marissa - una donna che lavorava qui fin da quando era ragazza, che purtroppo è mancata un paio d’anni fa - io venivo solo a fare le pulizie un giorno sì e un giorno no. Non ricordo bene gli amici di Harriet, sempre ammesso che quel Wilkerson venisse qui a trovarla.»
«Non so se venisse qui» ammise Samuel, «Ma so che è morto. È stato un incidente stradale, o almeno così dice mia zia. Lui si chiamava... Alfred? No, forse era Albert. Sinceramente non ricordo. I discorsi di mia zia sono un po’ confusi e...»
«Albert Wilkerson!» esclamò la donna, finalmente interessata. «Lui e Harriet non erano solo amici. O meglio, non lo erano affatto. Avevano avuto una relazione, quando avevano venti o trent’anni. Deve essere durata un bel po’, ma lui non veniva qui molto spesso. All’epoca io non venivo ancora a lavorare qui, ma la cugina di mia madre fece la cameriera qui per un breve periodo, negli anni Sessanta... Diceva che, secondo lei, quel tizio non sposava Harriet, nonostante avessero avuto due figlie, perché aveva già una moglie. Non so se fosse davvero così, ma Sally ne era sicura. A Harriet, però, non piacevano i pettegolezzi, quindi Sally non è che ne parlasse più di tanto.»
Quel lungo discorso bastò a Samuel per comprendere quale fosse l’interesse della sua interlocutrice: fare congetture sulla vita sentimentale altrui. Di solito le persone che amavano quel genere di argomento non sottovalutavano nemmeno le disgrazie, perciò non sarebbe stato difficile spostare la conversazione sull’incidente in cui Albert Wilkerson aveva perso la vita. Decise comunque di non interromperla, perché sembrava avere anche altro da dire.
«Sa qual è la cosa strana? Me lo ripeteva sempre Sally. Sia Harriet sia Marissa erano due ragazze madri. Marissa era stata fidanzata con un amico di Albert, un certo Phil, Philip o qualcosa del genere che, dopo che lei rimase incinta, non si fece più vedere. Qualcuno diceva che era stata proprio Marissa a voler chiudere con lui, perché la figlia era di un altro. Harriet e Albert, comunque, si conobbero proprio grazie al fidanzato di Marissa. Ogni tanto Albert tornava a trovarla, più per darle dei soldi che per altro.» La donna ridacchiò. «In realtà veniva anche per qualcos’altro, ovviamente, ma a Harriet interessavano di più i soldi. Se avesse voluto trovarsi un altro uomo, avrebbe avuto tante altre occasioni, dato che Albert era sempre lontano.»
«Poi Albert morì» azzardò Samuel, a quel punto.
«Esatto» confermò la donna. «Ero stata assunta da un paio di mesi per fare le pulizie e Albert era venuto proprio qui. Io non c’ero, non era il mio giorno di turno, ma so che il giorno prima era arrivato anche il fidanzato di Marissa, anche se non avevo fatto in tempo a vederlo perché io lavoravo soltanto la mattina. Era tornato dopo tanti anni, quasi come se fosse uscito dal nulla, ma non ebbi occasione di vederlo: non so quanto a lungo si fosse fermato, ma era già ripartito quando tornai. Non vidi nemmeno Albert, perché per qualche ragione era partito anche lui, lasciando la stanza praticamente impeccabile... anche se in effetti, quando chiesi a Marissa se per caso l’avesse pulita lei, viste le ottime condizioni in cui si trovava, lei ebbe una strana reazione. Non ci pensai più di tanto, comunque. Harriet mi pagava per pulire, non certo per fare domande, e mi sembrava di avere capito che di Albert si dovesse parlare il meno possibile. Non era un problema, per me. Anzi, meno c’era sporco e prima facevo a svolgere il mio lavoro.»
«E dopo? Come morì Albert?»
«Non lo so di preciso. Qualche tempo dopo Harriet comunicò a Marissa - io sentii tutto, perché ne parlarono a pochi metri di distanza da me, non certo perché mi fossi presa il disturbo di origliare - che Albert era deceduto. Aveva fatto una brutta fine, credo. Per quanto ne so, dovrebbe essere precipitato in un burrone.» La donna sospirò. «L’ho sempre detto io, che le automobili saranno la rovina del mondo! Pensi che la macchina di Albert prese addirittura fuoco, un po’ come succede nei film.» Sul suo volto comparve un’espressione di disgusto. «Non mi faccia pensare a quali dovranno essere state le condizioni del cadavere. Sarà stato riconosciuto dalla targa dell’automobile, con tutta probabilità.»
Samuel annuì.
«È molto probabile.»
Dal momento che la donna scuoteva la testa, con aria affranta, e sembrava non avere più niente da dire in proposito, Samuel decise che era giunta l’ora di cambiare discorso.
«La signora Harrison ha due figlie, ha detto?»
«Sì.»
«Una lavora qui, mi pare.»
«Sì, Suzy.» La donna sorrise. «È una brava ragazza.»
«E l’altra?»
«È una brava ragazza anche lei.»
«Non lo metto in dubbio» puntualizzò Samuel. «Le stavo soltanto chiedendo se anche lei lavora qui.»
«Oh, no» replicò lei. «Michelle vive in un’altra città... a... mhm... Scarlet Bay. Non viene molto spesso a trovare la madre, ma la chiama tutte le sere.»
«E la figlia dell’altra donna?» azzardò Samuel, cercando di rimanere impassibile nonostante la conferma appena ricevuta. «Ha mai lavorato qui?»
«No. Non mi ricordo nemmeno il suo nome, né che aspetto avesse. So solo che si sposò a vent’anni e poco dopo divorziò. Se ne andò da qualche parte e non tornò mai a casa. Lei e sua madre non erano più in contatto. Non aveva una buona reputazione, quella ragazza, da queste parti. Per fortuna il suo ex marito trovò una ragazza più adatta a lui. Adesso è sposato con la figlia maggiore di Harriet. E ora mi scusi, mi piacerebbe molto rimanere qui a parlare con lei, ma devo andare in cucina.»
La donna si alzò in piedi e si allontanò.
Samuel non riusciva nemmeno a capacitarsi di quante informazioni fondamentali avesse appreso nel giro di pochi minuti. Per fortuna, ogni tanto, si trovavano persone dalla parlantina facile. Quella signora avrebbe sempre avuto un posto speciale tra i suoi ricordi.

«Suzy, esco!» annunciò John.
Sua moglie, dal bagno, gli domandò: «Come mai così presto?»
«Ho voglia di fare un giro» mentì John. «Ho avuto un lieve capogiro, stamattina, e vorrei vedere se, prendendo una boccata d’aria, starò un po’ meglio.»
«Okay, non fare tardi.»
Il tono piatto della voce di Suzanne non lo preoccupò. Aveva sempre quel tono, quando parlava con lui. Lo vedeva come un incapace, ormai, perché non aveva colto il momento opportuno per vendere la videocassetta a Kay Brooks.
Ovviamente non le aveva raccontato dei retroscena che aveva scoperto. Non aveva alcuna ragione per farlo, dato che lei si divertiva a demolire ogni sua intuizione. Di teorie nuove non ne aveva, tutto ciò che sapeva si basava su quanto aveva visto. La volontà di non generare tensioni inutili lo spingeva a fingere che il video non esistesse, almeno finché si trovava entro i confini delle mura domestiche. Al di fuori iniziava la sua libertà.
John uscì e richiuse la porta alle proprie spalle, scese le scale e si diresse verso la macchina parcheggiata in cortile.
Doveva vedere Samuel Jeffrey.
Doveva costringerlo a confessare la propria identità.
Quel tizio voleva qualcosa da loro e John aveva la necessità di sapere che cosa.
Salì in auto, si allacciò la cintura di sicurezza e avviò il motore.
“A quest’ora Harriet sarà a casa.”
Ci sarebbe stata soltanto la nipote - o quello che era - della vecchia Sally, che taceva sempre, a meno che qualcuno non trattasse argomenti che rientravano nel suo specifico interesse. Se anche l’avesse visto all’esterno, non avrebbe fatto caso a lui. O meglio, l’avrebbe senz’altro notato, ma non avrebbe ritenuto la sua presenza fondamentale e non si sarebbe presa il disturbo di chiedergli come mai ultimamente andasse così spesso alla locanda.
Con un po’ di fortuna, Samuel Jeffrey si sarebbe allontanato e avrebbe potuto incontrarlo in un luogo più riservato. Magari si sarebbe stancato di stare tutto il giorno accanto a quella tizia che spacciava per sua moglie, nei confronti della quale John non riusciva a provare un minimo di fiducia. Aveva l’aria dell’oca svampita, e quello era proprio il genere di donna da cui John cercava di stare lontano.
Lungo la strada, decise di fermarsi prima di giungere alla locanda. Poteva lasciare la macchina in un parcheggio a qualche centinaio di metri di distanza e fare il resto del percorso a piedi. Sarebbe stato molto più discreto, da parte sua.

Samuel non c’era, nemmeno al pianterreno. Doveva essere uscito. Per quanto Theresa si sentisse meglio in sua presenza, fu sollevata dal fatto che, in quel momento, non ci fosse. Come ogni donna, di tanto in tanto aveva la necessità di fare telefonate riservate.
Salì le scale, entrò nella stanza e chiuse la porta, dando un giro di chiave per sentirsi più sicura.
Il telefono era sul comodino, accanto alla parte del letto dove aveva dormito Samuel.
Theresa si sedette e fece un profondo respiro.
“Non sarà difficile, è solo una chiamata.”
Compose il numero e rimase in attesa.
A ogni squillo sperò di non ottenere risposta, ma sapeva di non potere sfuggire per sempre al proprio destino.
«Pronto?»
Riconobbe con chiarezza quella voce.
«Ehi. Sono Theresa.»
«Theresa?!» L’altra parve quasi stupita. «Perché mi stai chiamando?»
«Sono in vacanza con Samuel. Sto benissimo con lui.»
«Buon per te. È quello che hai sempre voluto, dopotutto. Almeno adesso potrai sentirti più rilassata, quando fantasticherai sul giorno in cui finalmente potrai stirargli le camicie, o cambiare il pannolino ai vostri figli.»
Quelle parole erano proprio quelle che, in genere, la facevano sognare a occhi aperti, ma Theresa si sforzò di mantenere la concentrazione.
«Siamo vicino ad Ambermount.»
«A-Ambermount?»
«Sì» confermò Theresa. «Siamo proprio nella locanda in cui lavorava Marissa Flint.»
«E tu ti esalti per questo?»
«Non proprio, ma è comunque piacevole essere qui con lui.»
«Ti ha portata lì soltanto perché la donna che gli interessava davvero si stava occupando di quel caso. Com’è possibile che tu non te ne accorga?»
Theresa sospirò.
«Lo so, ma...»
Non c’era altro che potesse dire. Senza aggiungere una sola parola riattaccò. Quella telefonata era stata un errore.

Samuel osservò con attenzione lo stabile accanto alla locanda. Sembrava un magazzino o qualcosa del genere, chiuso da vecchio portone malandato.
Non era molto interessante, da vedere. Proseguì, allontanandosi dal cortile, che non era recintato e che, da quel lato, dava su una specie di boscaglia quasi incolta.
Samuel si diresse proprio in quella direzione, inoltrandosi tra gli alberi e rischiando, a ogni passo, di inciampare sulle sterpaglie.
Si mise a riflettere su ciò che aveva appreso quella mattina.
La figlia minore della signora Harrison lavorava a Scarlet Radio, di questo ne aveva la certezza. Sapeva anche che Michelle era in contatto quasi costante con Harriet. Era convinto che, a proposito di quella parentela, ci fossero ben pochi lati oscuri. Era ormai certo che il lavoro di Michelle alla radio non fosse una semplice coincidenza, ma con tutta probabilità era stata proprio quella la causa scatenante. Rimaneva da chiedersi perché Kay non avesse mai fatto il nome di Harriet Harrison, ma era plausibile che preferisse tenere al di fuori le persone che non avevano niente a che vedere con la morte di Marissa.
Harriet Harrison sembrava essere stata sentimentalmente legata ad un uomo di nome Albert Wilkerson, deceduto nel 1976 in un incidente stradale. Quell’uomo era - stando a quanto scriveva P.C. e a quanto riferiva la collega di Harriet e Marissa - il padre naturale di Suzanne e Michelle. Non aveva mai voluto né sposare Harriet né dare il proprio cognome alle due figlie, ma sembrava avere contribuito al loro mantenimento. I suoi rapporti con Harriet, dopo la fine della loro relazione, sembravano essere stati quasi esclusivamente di tipo economico. Non era chiaro se, dopo la sua morte, quel P.C. avesse davvero aiutato la Harrison, ma Samuel non era sicuro che quella questione aveva importanza.
A seguire c’era un certo Phil, forse proprio l’autore della lettera, che aveva avuto una relazione con Marissa, terminata ancora prima della nascita della loro - sempre ammesso che fosse sua - figlia. Stando a quanto emergeva dalla lettera da lui inviata a Harriet Harrison, sembrava che nel 1976 avesse avuto intenzione di interrompere i propri contatti con Marissa. Dal colloquio avuto con la dipendente della locanda, Samuel sapeva anche che, con tutta probabilità, dopo essersi lasciati, Marissa e Phil non si erano mai più rivisti, almeno fino all’estate del 1976. Phil sembrava essersi presentato alla locanda un pomeriggio o una sera e il giorno successivo era arrivato anche Albert. Nessuno dei due c’era più la mattina immediatamente successiva, quando era arrivata la donna delle pulizie. Nel corso della sera o della notte, Albert Wilkinson sembrava essere deceduto, precipitando con la propria automobile da un burrone, e il suo corpo era probabilmente rimasto carbonizzato. Sembrava che fosse stato Phil a occuparsi della sua sepoltura, prima di trasferirsi altrove, con l’apparente intento di far perdere le proprie tracce. Inoltre, con tutta probabilità, Marissa aveva pulito la stanza in cui Albert era stato, nonostante la presenza di una dipendente alla quale sarebbe toccato quel compito.
Infine c’era la figlia di Marissa che, all’improvviso, sembrava essere stata la moglie di John Brooks. Non si trattava di un dettaglio da poco, ed era curioso che, proprio il giorno precedente, lui ne avesse parlato come se fosse stata poco più di una sconosciuta. In realtà, per quanto quell’uomo avesse senz’altro omesso di riferirgli qualcosa di fondamentale,
, di per sé non era detto che gli avesse mentito: secondo lui quella donna se n’era andata da circa dodici anni, non aveva più avuto contatti con nessuno e non era tornata nemmeno per il funerale della madre. Inoltre era apparso sorpreso, se non addirittura preoccupato, di sentirla mettere in relazione alla città di Scarlet Bay. Forse quella donna non aveva davvero i capelli castani chiari, oppure se li era semplicemente tinti di un altro colore. Dentro di sé era sempre più convinto che si trattasse proprio della donna che aveva invitato Anthony a raggiungerla la sera in cui Kay era stata assassinata.
Stava ancora riflettendo, quando udì un rumore alle sue spalle.
Qualcuno doveva averlo seguito.
Ricevette una spinta che gli fece perdere l’equilibrio, facendolo cadere sul tronco dell’albero che aveva davanti, prima di arrivare a terra.
«Credo che tu abbia molte cose da spiegarmi, Samuel Jeffrey» sibilò una voce, «In primo luogo, che cosa vuoi da noi?»

   
 
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