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Autore: Parmandil    07/10/2023    1 recensioni
Le porte del Multiverso sono aperte! Per tre anni gli avventurieri della Destiny hanno vagato tra le realtà, cercando di ritrovare la propria. Ma tutto ciò non era che il preambolo del vero conflitto.
Catapultati in un sistema stellare costruito artificialmente, assemblando pianeti ghermiti dal Multiverso, i nostri eroi iniziano a comprendere il diabolico piano degli Undine. Divisi dopo una fallita infiltrazione, dovranno scegliere tra la filosofia federale – il bene dei molti conta più di quello di uno – e la propria – tutti per uno e uno per tutti. Riusciranno i naufraghi a sopravvivere sul pianeta Arena, dove i più formidabili guerrieri del Multiverso si affrontano in lotte all’ultimo sangue? Quali segreti si nascondono sulla stazione a forma d’icosaedro? Chi è realmente il Viaggiatore? E soprattutto, di chi ci si può fidare? Tra stargate e monoliti, tra gli Aracnidi di Klendathu e i Vermi di Dune, le differenti realtà si contaminano come non mai. La posta in gioco è più alta, i nemici più agguerriti e le lealtà personali saranno messe alla prova come non mai. Anche radunando i campioni del Multiverso, c’è una sola certezza: stavolta non tutti i nostri eroi si ritroveranno sani e salvi.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Il Viaggiatore, Nuovo Personaggio
Note: Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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 -Capitolo 8: Tutti per uno...
 
   I Magnifici Nove si guardarono attorno, lieti di aver finalmente abbandonato Arena. Oltre ai tre dispersi della Destiny – Rivera, Naskeel e Talyn – c’erano i sei campioni provenienti da altre realtà. Kara Thrace, Johnny Rico, Yo’rek, Azrael, Master Chief e Liara T’Soni si guardarono attorno perplessi. Non erano mai stati su un’astronave della Federazione, né avevano familiarità con le specie che vi erano rappresentate. La sensazione era reciproca, perché nessuno tra quelli a bordo aveva mai visto combattenti del genere, e certo non si aspettavano di vederli sbucare in plancia. Il loro arrivo creò grande agitazione, tanto che gli agenti della Sicurezza impugnarono le armi. A quel punto anche i sei ospiti fecero altrettanto, abituati com’erano a non lasciarsi mai sorprendere. La situazione era incandescente; il minimo errore avrebbe innescato la sparatoria. Intanto il portale aperto dal Viaggiatore si richiuse, impedendo la ritirata ai nuovi arrivati e rendendoli ancora più nervosi.
   «Fermi, per l’amor del Cielo!» gridò Rivera, frapponendosi tra i due schieramenti. Si rivolse dapprima al suo equipaggio. «Questi sono nostri amici. Ci siamo alleati per sopravvivere su Arena. Quindi abbassate le armi, è un ordine!» intimò.
   Vedendo che anche Naskeel era solidale col Capitano, Ruuvan e gli altri agenti riposero i phaser. «Scusi, Capitano. È solo che non ci aspettavamo di vederla tornare così» ammise il Nausicaano, mentre fra sé diceva addio alla sua promozione.
   «Siamo tornati grazie a un altro amico, che purtroppo non ha potuto seguirci» spiegò Rivera, alludendo al Viaggiatore. «Questi resteranno con noi, finché li riporteremo nei loro Universi d’origine. Con la nuova lista di coordinate quantiche dovrebbe essere possibile».
   Vedendo che non c’era più pericolo, anche i sei ospiti abbassarono le armi. Passata la tensione, tornarono a guardarsi attorno, confrontando la Destiny con le navi a loro familiari.
   «È bello rivedervi» disse Losira, sollevata. «Avevamo temuto il peggio dopo lo schianto» ammise, e abbracciò Talyn con forza.
   Intanto anche Giely si era accostata a Rivera, con gli occhi lucidi per l’emozione. «Mi avevi promesso che stavolta saresti tornato presto» sussurrò.
   «Ti avevo promesso che me la sarei sbrigata più in fretta dell’ultima volta. Tre settimane sono meno di un anno» si giustificò il Capitano, abbozzando un sorriso.
   «Devo ricordarmi d’essere più precisa nelle richieste» deglutì la Vorta.
   «E io vorrei tanto accontentarti, querida» sospirò l’Umano. «Ma ci sono troppe cose fuori dal nostro controllo. Beh, l’importante è esserci ritrovati di nuovo, alla faccia di tutte le avversità».
   Si abbracciarono stretti e si baciarono, incuranti di quanti potevano vederli. Dopo di che Giely osservò incuriosita i nuovi arrivati. «Hai messo insieme una bella squadra, laggiù. Non puoi farne a meno ovunque vai, eh, Capitano? È una delle ragioni per cui mi piaci...» sorrise. Non le era sfuggito che, mentre lui era riuscito a radunare una squadra di sopravvissuti nel deserto, Dualla non era stata capace di mantenere il comando della Destiny. Questo la diceva lunga sulle loro capacità di leadership.
   «Sono accadute molte cose su Arena» disse Rivera, rivolgendosi a tutti i presenti. «Vi aggiornerò appena possibile. Prima però devo sapere come si è evoluta la situazione quassù. Ho notato che l’Harvester ha lasciato l’orbita...».
   «Sì, riteniamo che stia per aprire un’altra interfase» confermò Losira. «Ci sono una ventina di bionavi a sorvegliarlo. Le altre hanno cessato l’attività estrattiva e sorvegliano Arena».
   «Allora non c’è tempo da perdere. Dobbiamo approntare un piano d’attacco, se non l’avete già fatto» disse il Capitano.
   «Ehm, in effetti ne abbiamo uno. Siamo anche avanti coi preparativi...» spiegò Losira, reticente. Rivera pensò che fosse per timore della battaglia.
   «Beh, ottimo! Andiamo in sala tattica, così me lo mostrerete» disse il Capitano, facendo strada. «Convocate anche Dualla» aggiunse, ma si stupì nel vedere i musi lunghi dei colleghi. «Beh, è successo qualcosa che dovrei sapere?» indovinò.
   «Ecco... ne sono successe parecchie, e non delle migliori» spiegò Losira controvoglia. «Ti aggiornerò in sala tattica. Così scoprirai che tipo è Dualla; e scommetto che ti pentirai d’averla liberata!».
 
   Fu una strana riunione, perché gli ospiti – ora detti i Magnifici Sei – avevano insistito per partecipare e il Capitano non se la sentì di negarglielo. Nel complesso furono abbastanza disciplinati, anche se Azrael quasi schiacciò la poltroncina col suo peso. La prima a parlare fu Losira, che riassunse quanto accaduto sulla Destiny. Giely e Irvik intervennero sporadicamente per aggiungere qualche dettaglio.
   Sulle prime Rivera fu incredulo; poi sentì montare la rabbia. «Stai dicendo che Dualla ha preso il comando?!» s’indignò. «Ed è stata lei a bloccare ogni tentativo di soccorso? E tu l’hai lasciata fare?!».
   Losira dovette faticare per calmarlo. Cercò di spiegargli la confusione in cui era caduto l’equipaggio e come molti avessero visto Dualla come un’ancora di salvezza, nel caso in cui fossero tornati alla Federazione.
   «Uhm, dovevo immaginarlo che ci avrebbe provato. Dopotutto questa era la sua nave» grugnì Rivera, maledicendo la propria ingenuità. «Beh, sentiamo che avete combinato in mia assenza. Avete la nuova lista di coordinate, giusto? Allora siete tornati alla Federazione?!».
   A queste parole gli avventurieri si scambiarono sguardi avviliti, quasi vergognosi. Nessuno aveva voglia di rispondere, finché Irvik decise che toccava a lui. «Ecco, c’è un problema inaspettato...» cominciò.
   Scoprire che la via del ritorno era preclusa fu un duro colpo per il Capitano, anche perché questo gli rendeva difficile mantenere la promessa fatta ai Magnifici Sei. E le sorprese non erano ancora finite. Losira gli spiegò come, non potendo contare sulla Flotta, avessero deciso di attaccare l’Harvester solo con le due Destiny, la loro e quella dello Specchio. Poi narrò come la crescente insoddisfazione nei confronti di Dualla li avesse spinti a destituirla e imprigionarla. Rivera s’impresse bene in memoria i tre che avevano destituito la Deltana coi codici di comando. Su Losira e Giely non aveva dubbi; Irvik fu una piacevole notizia.
   Man mano che Losira parlava, Shati s’irrigidì, temendo che rivelasse al Capitano i loro screzi. Ma non fu così. La Comandante non volle metterla in cattiva luce, ora che tutto sembrava superato, e non accennò alla loro discussione. Gradualmente Shati si rilassò, per quanto lo consentivano le circostanze. Tuttavia aveva il timore che, se avessero superato l’emergenza, la faccenda sarebbe tornata a galla.
   «Groan... certo che Dualla è riuscita a combinare un macello» mugugnò il Capitano. Cominciava davvero a credere che sarebbe stato meglio lasciarla dove l’avevano trovata.
   «Adesso è chiusa in cella. Cosa vuoi che ne facciamo?» chiese Losira. Dal tono sembrava quasi sperare in una risposta del genere “buttatela fuori da un boccaporto”.
   «Ci penserò al termine dell’emergenza, per il momento teniamola lì» rispose seccamente Rivera. «Avanti, spiegami il suo piano d’attacco» esortò.
   Losira rivelò che avevano invertito i nomi delle due Destiny, sperando d’indurre gli Undine a concentrare il fuoco su quell’altra. E spiegò che il piano prevedeva d’esporre l’altra Destiny a un grosso rischio, al punto che la nave era stata automatizzata. Solo sette persone l’avrebbero pilotata dalla plancia: sette ufficiali designati da Dualla, che tutti davano per spacciati.
   «È uno dei motivi per cui ci siamo ammutinati» concluse Losira. «Non potevamo sacrificare sette dei nostri. O dovrei dire... non potevamo lasciare che Dualla li sacrificasse. Perché ora la decisione spetta a te, Capitano. Vuoi andare avanti col piano? O pensi sia meglio lasciar perdere e abbandonare lo Spazio Fluido finché possiamo?» chiese con gravità.
   Rivera sentì tutto il peso della scelta. Aveva sperato che le nuove coordinate gli permettessero di tornare alla Federazione, così che fosse la Flotta Stellare a prendere in mano la situazione. Invece toccava ancora a loro; e il tempo stava per scadere. «Se qualcuno vuol dire la sua, prima che io prenda la decisione, questo è il momento» disse. Il suo sguardo indugiò su Talyn, mentre ricordava le parole del Viaggiatore sul suo talento grezzo.
   Il giovane notò l’occhiata e si accorse che il Capitano stava cercando espressamente il suo parere. Si schiarì la voce, a disagio. «Dopo quel che abbiamo passato su Arena, confesso che mi piacerebbe abbandonare lo Spazio Fluido» ammise. «Ma se ce ne andiamo, gli Undine si prenderanno anche Ferasa. Miliardi di Caitiani avranno la vita rovinata e molti finiranno i loro giorni su Arena. Dopo quel che ho visto, credo che nessuno meriti di finire in quel postaccio».
   «Non spetta a noi sventare tutte le minacce cosmiche» obiettò Naskeel.
   «Tutte no di certo... ma forse questa sì. Magari non è un caso, se siamo gli unici in condizione di farlo» disse lentamente l’El-Auriano. «Un saggio amico mi ha detto che “il tempo non ha importanza; solo la vita è importante”...».
   «E le nostre vite, non contano?!» squittì Irvik.
   «Sì, certo. Ma ciò che stiamo vivendo non è un episodio isolato, fa parte di quella che potremmo definire... Guerra Multiversale» obiettò Talyn. «Questo è un momento chiave del conflitto. E io credo che salvare i Caitiani, in questo frangente, significhi salvare anche noi stessi».
   Vedendo le espressioni perplesse dei colleghi, il giovane li avvertì del pericolo di un’Incursione, cioè di una rovinosa collisione tra Universi, così come gliene aveva parlato il Viaggiatore. «Non è certo che la prossima interfase provocherà un’Incursione, ma ogni volta che gli Undine ne creano una è come se tirassero un po’ più la corda. Il fatto che l’ultima interfase, quella con lo Specchio, non si sia richiusa è un pessimo segno... potrebbe indicare che ci stiamo avvicinando al limite» concluse.
   Ci fu un lungo silenzio. II Capitano aveva già preso decisioni difficili, eppure aveva l’impressione che quella fosse la più cruciale di tutte. Non c’era solo il destino di Ferasa in gioco, ma anche d’altri mondi, e in prospettiva di tutto il conflitto. Quanto al rischio allucinante dell’Incursione, non sapeva se crederci; ma non poteva nemmeno escluderlo.
   «Anche supponendo di riuscire a distruggere l’Harvester... questo salverà davvero qualcuno? O piuttosto gli Undine diverranno ancora più spietati nei loro attacchi?» mormorò Losira.
   «Se non altro ci farebbe guadagnare tempo» ragionò il Capitano. «E se intanto riuscissimo ad avvertire la Flotta...».
   «Possiamo farlo» rivelò Irvik. «Quando l’interfase sarà aperta, non potremo attraversarla con tutta la nave per via della sua polarizzazione, ma potrei far passare un messaggio subspaziale. Abbiamo già preparato una trasmissione compressa coi dati raccolti in questi anni, più i diari di bordo. Al momento opportuno la invieremo attraverso l’interfase. Così la Federazione sarà avvisata, che noi si viva o si muoia» concluse.
   «Questa è una buona notizia» disse Rivera, sollevato.
   «E per quanto riguarda l’attacco?» chiese Losira, sulle spine.
   Il Capitano esitò, osservando i sei campioni che aveva portato lì da Arena. «Signori, vi avevo promesso di riportarvi a casa qualora fossimo tornati sulla Destiny. Ora non so se posso mantenere l’impegno. Non abbiamo tutte le coordinate quantiche che credevo, né il tempo d’accompagnarvi prima della battaglia. E tuttavia non voglio rimangiarmi la parola» ammise, diviso fra gli obblighi contrastanti.
   «Forse non dovrai farlo, Capitano» disse Scorpion, alzandosi in piedi. «Ho visto le Dodici Colonie venire distrutte dai Cylon. Ora non anteporrò i miei interessi a quelli di un intero pianeta. Per quanto mi riguarda, ti sciolgo dall’impegno» disse.
   «Per me vale lo stesso» disse Rico, imitandola. «Mi sono arruolato per fare la mia parte contro gli Aracnidi; non per sacrificare dei pianeti».
   Uno dopo l’altro, i Magnifici Sei si alzarono, sciogliendo il Capitano dall’obbligo nei loro confronti. Fianco a fianco, si dissero pronti ad affrontare la battaglia. Vedere quei combattenti così eterogenei che accettavano un tale rischio commosse Rivera.
   «Grazie di cuore, a tutti voi» disse il Capitano. Poi si rivolse nuovamente ai suoi ufficiali. «Il piano di Dualla è il meglio che abbiamo e non c’è tempo di farne altri, tanto più che avete già automatizzato l’altra Destiny. Ma mi rifiuto di usare sette dei nostri come esca. Non c’è modo d’automatizzare completamente la CSS Destiny?».
   «Se ci fosse, lo avrei già fatto» sospirò Irvik. «Se vogliamo che la nave combatta con piena efficienza, dobbiamo avere quei sette».
   «E se lasciassimo che combatta con ridotta efficienza?» chiese il Capitano, vedendo una scappatoia. «In fondo deve solo lanciare un attacco lampo e poi farsi inseguire».
   «Beh, per avere un’efficienza moderata basterebbero due persone: il timoniere e l’Ufficiale Tattico» rispose il Voth. «Ma a quel punto il rischio per loro sarebbe ancora maggiore. Diciamo pure che sarebbe una missione suicida» ammonì.
   A quelle parole Shati drizzò le orecchie, ma non disse nulla. Un piano disperato cominciava a formarsi nella sua mente.
   «E se rinunciassimo anche a loro, istruendo il computer con una sequenza d’attacco automatica?» insisté il Capitano.
   «In quel caso l’efficienza diventerebbe ancora più bassa» avvertì Irvik.
   «La nave riuscirebbe a compiere almeno l’attacco iniziale?».
   «Suppongo di sì, ma poi le bionavi la raggiungerebbero e la distruggerebbero in fretta. E a quel punto tornerebbero a convergere su di noi».
   «Quindi si tratta di sacrificare sette persone, o almeno due, per accrescere le probabilità che tutti gli altri si salvino» riassunse Naskeel.
   «Si può dire così» convenne Irvik. «Comunque vi avverto che non sono in grado di fattorizzare le probabilità di successo nei vari casi. Ci sono troppe incognite con gli Undine e la loro tecnologia» ammise.
   Il Capitano fissò il tavolo, rimuginando a fondo. La sua filosofia del tutti per uno, uno per tutti giungeva alla prova decisiva. Poteva sacrificare un paio di compagni per accrescere le probabilità che il resto dell’equipaggio si salvasse. I Vulcaniani lo avrebbero trovato logico, persino necessario. Oppure poteva tenere unito l’equipaggio, così che tutti condividessero la stessa sorte. Poteva sembrare illogico... ma era la cosa più umana. E in quel momento, Rivera sentì che se non restava umano, tutta la sua lotta contro gli Undine era inutile.
   Presa la decisione, il Capitano si alzò e passò lo sguardo sui presenti. «Signori, non prendiamoci in giro. Siamo tutti consapevoli che, secondo la logica, dovremmo sacrificare un paio dei nostri. Persino Dualla, un Capitano della Flotta Stellare, era decisa a farlo. Ma è dall’inizio di quest’odissea che cerchiamo di dare un senso al nostro viaggio. E credo che il senso sia proprio questo, restare uniti anche nel pericolo. Io non manderò deliberatamente due di noi a morire, solo nella speranza – tutta da dimostrare – di diminuire il rischio per noialtri. Ora più che mai, siamo legati alla stessa sorte» dichiarò.
   Rivera si aspettava veementi obiezioni, soprattutto da parte di Naskeel e dei Magnifici Sei. Invece, con sua grande sorpresa, nessuno lo contestò. Per quanto si prospettasse una battaglia disperata, erano tutti confortati nel sapere che il Capitano non era disposto a sacrificare arbitrariamente nessuno di loro.
   «Allora è deciso» concluse Rivera, commosso da quella dedizione. «Torniamo alla CSS Destiny e inseriamo la sequenza automatica. Poi attacchiamo l’Harvester. È tempo che siano gli Undine a scoprire cosa significa essere un bersaglio».
 
   L’USS Destiny tornò rapidamente presso la sua controparte dello Specchio. Irvik si trasferì a bordo con una squadra d’ingegneri, per inserire una sequenza d’attacco del tutto automatizzata. Era chiaro che, in queste condizioni, il ruolo degli Exocomp sarebbe stato ancora più importante. Infatti i robottini riparatutto dovevano agire come veri e propri ingegneri durante la battaglia, cercando di far resistere l’astronave il più a lungo possibile. Era un compito che richiedeva più autonomia decisionale di quanta ne avessero solitamente. Fu così che Irvik prese la sofferta decisione di lasciare a bordo Ottoperotto, il più creativo e indipendente degli Exocomp. Il robottino aveva già contribuito più volte a salvare l’USS Destiny, mostrando un notevole spirito d’iniziativa. In effetti si era guadagnato l’affetto degli ingegneri, e ancor più di Talyn, che ormai lo considerava un amico. Se c’era qualcuno che poteva massimizzare l’efficienza della CSS Destiny, era lui. Ma Irvik non si faceva illusioni: la sorte dell’astronave era segnata, e con essa quella degli Exocomp a bordo. Per questo motivo non disse a Talyn che aveva lasciato Ottoperotto sulla nave condannata. Glielo avrebbe spiegato più tardi, a cose fatte, anche a costo d’incorrere nella sua rabbia.
   «Be-beep. Schema d’attacco registrato. CSS Destiny sacrificabile. Exocomp sacrificabili. Ottoperotto... sacrificabile?!» pigolò il robottino quando ricevette le istruzioni finali.
   «Mi dispiace, piccoletto» disse Irvik con un groppo in gola. «Vorrei ci fosse un altro modo. Ma c’è in ballo la salvezza di un intero pianeta, e corriamo già un grosso rischio a togliere l’equipaggio. Non posso rinunciare anche a te. Devi restare a bordo perché il piano abbia qualche speranza di successo. Exocomp numero 64, devi ottemperare!» disse con tutta l’autorità che poté racimolare.
   Ottoperotto stette in silenzio così a lungo che l’Ingegnere Capo temette gli fossero saltati i circuiti. Anche le lucette sul suo carapace si erano del tutto spente. Infine il robottino parlò, con un’intonazione insolitamente avvilita. «Exocomp numero 64 ottempera agli ordini. Be-beep. Ottoperotto vuole ringraziare Talyn per essere stato amico» disse.
   «Io... glielo dirò, va bene? Ma non posso chiamarlo ora. Non voglio che sappia, o si distrarrebbe» spiegò Irvik, sentendosi un verme.
   A queste parole Ottoperotto emise una pernacchia elettronica, mentre le sue lucette sfarfallavano rosse. E sfrecciò all’estremità opposta della sala macchine, come se non volesse più parlare col Voth.
   Irvik scrollò le spalle, sentendo che questa se l’era cercata. Anche a lui il robottino sarebbe mancato, ma che ci poteva fare? Era la guerra, e anche chi rimaneva sull’USS Destiny avrebbe comunque rischiato la vita. L’Ingegnere tornò al lavoro, impostando varie sequenze automatiche nel computer della CSS Destiny. Stava facendo del suo meglio, ma la mancanza dell’equipaggio – specialmente del timoniere e dell’artigliere – si sarebbe fatta sentire.
   A un tratto squillò un allarme. Irvik sobbalzò, interrompendo il lavoro. Guardò il portale addossato alla parete – ora sapeva che si chiamava stargate – ma lo vide inerte. Allora si rivolse a un aiutante di nome Yam, che in quel momento controllava i sensori. «Che succede, il nemico ci ha trovati?!» gemette, sapendo che in tal caso la loro strategia andava in fumo.
   «No» rispose l’interpellato, leggendo i dati sulla consolle. «Ma ci resta poco tempo. L’Harvester s’è attivato e sta aprendo l’interfase».
 
   In quel momento, sulla plancia dell’USS Destiny, anche il Capitano fu informato della situazione. «Sullo schermo» ordinò, sentendo le proverbiali farfalle nello stomaco.
   «Ecco» disse Talyn, inquadrando l’Harvester. «Per ora non c’è molto da vedere, ma le emissioni gravimetriche sono fuori scala. Di questo passo basterà un’ora per aprire l’interfase».
   La stazione Undine campeggiava sullo schermo, simile a un cristallo multisfaccettato. Ogni faccia era irta d’antenne chilometriche, ora in funzione. Scariche simili a fulmini balenavano occasionalmente tra un’antenna e l’altra, forse per disperdere i picchi d’energia. E gli effetti sullo spazio circostante cominciavano a vedersi. Una chiazza di Spazio Fluido appariva arrossata, segno che i fotoni perdevano energia per uscire dall’interfase, scivolando verso frequenze più basse. Ogni tanto c’era un tremolio, come un miraggio; ma era il tessuto spazio-temporale a deformarsi.
   «Non c’è un minuto da perdere» disse Rivera. «Talyn, segnala agli ingegneri di tornare qui. E chiama Shati, la voglio al timone» aggiunse. Quello infatti era il turno Beta, per cui molti ufficiali del turno principale avevano lasciato le postazioni ai colleghi. Data l’emergenza, tuttavia, il Capitano e altri si erano trattenuti. E adesso Rivera voleva la miglior timoniera ai comandi per la battaglia imminente. «Allarme Rosso. Capitano a equipaggio, l’Harvester è entrato in funzione e sta aprendo l’interfase. Ai posti di combattimento!» ordinò, trasmettendo a tutti i ponti.
   L’agitazione si diffuse sull’astronave. Tutti correvano ai propri posti, scambiandosi ordini concitati. Il ritorno del Capitano aveva galvanizzato l’equipaggio, che gli obbediva più volentieri che a Dualla. Il fatto stesso che Rivera fosse tornato, inoltre, indicava che gli Undine non erano invincibili. Tra gli avventurieri serpeggiava il desiderio di vendetta contro gli alieni dello Spazio Fluido, considerati gli artefici delle loro disgrazie, dato che li avevano costretti a quell’odissea nel Multiverso. Ma gli Undine facevano ancora paura: attaccare l’Harvester pareva un’impresa temeraria. Così tra l’equipaggio erano mischiati in egual misura l’esaltazione e il timore.
 
   In quella baraonda c’era una sola persona che non si stava recando alla propria postazione. Shati percorreva i corridoi di buon passo, ma senza correre, lasciando che gli altri la schivassero o la oltrepassassero. Erano troppo frettolosi per notare che, invece d’andare in plancia, la Caitiana era diretta alle prigioni. Aveva con sé un phaser, appena preso dall’armeria, e intendeva usarlo. Nella sua mente ronzava un piano, disperato ma irrinunciabile. Aveva cominciato a pensarci non appena Irvik aveva detto che servivano almeno un paio di persone per manovrare la CSS Destiny. Un timoniere e un artigliere. Beh, lei era la miglior timoniera della nave, e s’era già offerta volontaria per la missione. Quanto al secondo elemento... ora sapeva dove reclutarlo.
   Giunta alle prigioni, Shati ebbe un attimo d’esitazione. Poteva ancora fermarsi... poteva fare dietrofront e andare in plancia, come le era stato ordinato. Nessuno avrebbe mai immaginato cos’era stata in procinto di fare. Oppure poteva procedere col suo piano. Questo l’avrebbe messa contro i compagni e quasi certamente le sarebbe costato la vita... ma avrebbe accresciuto le probabilità di vittoria. E vincere significava salvare Ferasa, il suo pianeta. Un pianeta che aveva abbandonato piena di vergogna, dopo l’espulsione dall’Accademia, e che tuttavia considerava ancora la sua patria. Miliardi di Caitiani in quel momento erano in preda al panico per via dell’interfase. Le loro vite stavano per essere stravolte, se lei non fosse intervenuta. Tra loro c’era anche sua madre.
   Shati chiuse gli occhi e serrò i pugni, ricordando il loro ultimo incontro. Dopo la sua espulsione dall’Accademia, lei e sua madre avevano litigato ferocemente, rinfacciandosi i peggiori difetti. Alla fine Shati se n’era andata, ferita e umiliata, giurando di non tornare. E aveva tenuto fede alla promessa: in nove anni non era tornata su Ferasa, né aveva parlato con sua madre. Ora aveva la certezza che non l’avrebbe fatto mai più. Ma se il suo piano funzionava, avrebbe risparmiato a tanti altri il dolore dell’esilio. Presa la decisione, la Caitiana riaprì gli occhi e rilassò le mani, per sembrare normale. Poi si fece avanti, entrando nella sala di guardia.
   Al suo ingresso, il sorvegliante orioniano la fissò sorpreso. E altrettanto fece l’unica detenuta, ovvero Dualla. La Deltana si alzò dalla brandina e si accostò alla parete di trasparacciaio per osservare ciò che accadeva.
   «Beh, che ci fai qui? Non dovresti essere in plancia?» chiese l’Orioniano a Shati. Anche lui, come tutti, era al corrente dell’Allarme Rosso e della battaglia imminente.
   «Ci sarò fra un momento. Ma Dualla deve venire con me; ordine del Capitano» rispose la Caitiana, cercando di suonare convincente.
   «Uhm, non mi hanno avvisato. Dovrò chiedere conferma» fece l’Orioniano, insospettito. Si portò la mano al comunicatore.
   Prima che potesse attivarlo, Shati estrasse il phaser e fece fuoco. Colpì l’Orioniano in pieno petto, con l’arma tarata su massimo stordimento. Il sorvegliante emise un lamento strozzato e barcollò, intorpidito. Cercò d’estrarre a sua volta il phaser, ma i suoi movimenti erano lenti ed erratici. Maledicendo la resistente fisiologia orioniana, Shati sparò di nuovo, sperando di non mandarlo in arresto cardiaco. Colpito per la seconda volta, l’Orioniano crollò sul pavimento, privo di sensi. Shati gli si avvicinò, verificando che fosse ancora vivo. Lo era, anche se sarebbe rimasto fuori combattimento per un pezzo.
   «Non c’è tempo da perdere» si disse la Caitiana. Presto in plancia avrebbero notato la sua assenza e l’avrebbero cercata. Dette un’occhiata a Dualla, che la osservava attentamente, sorpresa da quella mossa. Poi corse alla consolle e armeggiò con i comandi, finché riuscì ad aprire la cella della Deltana.
   Dualla uscì con circospezione, fissando la sua liberatrice con una strana occhiata. «Perché fa questo? Dovrebbe essere in plancia, non ha sentito l’Allarme Rosso?» le chiese.
   «Se le dispiace essere liberata, posso sbatterla di nuovo dentro!» sbuffò Shati.
   «Lo escludo, dopo quel che ha fatto» ribatté la Deltana, accennando al sorvegliante stordito. «Allora, perché mi ha liberata?».
   «Perché ho bisogno di lei» rispose la Caitiana. Si chinò sull’Orioniano, prendendogli il phaser, e lo gettò a Dualla, che lo prese al volo. «Mi segua, l’aggiornerò strada facendo».
   «Arguisco che lei non fa parte di una ribellione volta a rendermi il comando» fece Dualla, un po’ delusa.
   «Sarebbe difficile, ora che è tornato il nostro Capitano. Non è affatto contento della sua condotta, mentre lui era via» avvertì Shati. Si strappò il comunicatore dall’uniforme, lo gettò a terra e lo disintegrò con un raggio phaser, per essere meno facilmente rintracciabile.
   «Come ha fatto Rivera a tornare?» chiese la Deltana, sempre più accigliata.
   La Caitiana cominciò a spiegarglielo. Intanto le due lasciarono la sala di guardia e si avventurarono nella nave, coi phaser in pugno. Per loro fortuna quasi tutti gli avventurieri avevano già raggiunto le loro postazioni, per cui i corridoi erano semideserti. Shati aveva in mente una destinazione precisa e Dualla la seguiva, ascoltando gli ultimi sviluppi. La Deltana seppe come Rivera era tornato assieme alla pittoresca banda che aveva radunato su Arena.
   «Così quel fuorilegge è riuscito a costituire una squadra di sopravvissuti provenienti da altre realtà... mentre io ho fallito con gli occupanti della Destiny...» si disse Dualla, con crescente invidia. Si costrinse ad ascoltare il resto del discorso. Seppe così che Rivera aveva accettato il suo piano d’attacco, ma lo aveva anche alterato, in modo da non lasciare nessuno sulla CSS Destiny.
   «In questo modo l’efficienza del primo attacco calerà» notò Dualla.
   «Già, ma il Capitano non vuole sacrificare nessuno» spiegò Shati, puntando verso una sala ben precisa. «Irvik ha detto che, perché l’attacco sia efficace, dovrebbero esserci almeno un paio di persone in plancia: il timoniere e l’artigliere. Ecco perché siamo qui» disse, raggiungendo la destinazione. Dualla la seguì, ritrovandosi in una saletta teletrasporto secondaria, senza nemmeno un addetto. Allora le fu tutto chiaro.
   «Vuoi che ci andiamo noi due» mormorò la Deltana, sentendo il destino chiudersi su di loro come una tenaglia.
   «Qualcuno ci deve pur andare, se vogliamo che l’attacco riesca» confermò Shati con amarezza. «Io m’ero già offerta, quindi non fa differenza. Quanto a lei... è il momento di dimostrare se crede a ciò che predica. Quand’era Capitano, voleva mandare sette persone in questa missione suicida. Ora che è una prigioniera in fuga, è disposta ad andarci lei stessa? Insomma, è capace di assumersi l’incarico che voleva dare ad altri?! O preferisce tornare in cella, pur di stare al sicuro?!» chiese con asprezza.
   «Vedo che mi hai teso la trappola perfetta» disse Dualla, sconsolata. «Se mi rifiuto, tutti lo sapranno e trascorrerò il resto del viaggio in cella. Anche se tornassimo alla Federazione, non mi attenderebbe nulla di buono».
   «Quindi è disposta ad accompagnarmi?» la pressò Shati.
   «Altrimenti andrai da sola?».
   «Non ho scelta: c’è in gioco il mio mondo».
   «Se tutti nella Flotta avessero la tua dedizione, la Federazione sarebbe più sicura» sospirò la Deltana. «E sia... in fondo l’ho sempre saputo che questa missione nello Spazio Fluido sarebbe stata la mia fine. E del resto non ho più niente sulla Destiny, dopo il ritorno di Rivera. Meglio finire in una vampata di gloria che spegnersi lentamente, giusto?» ironizzò. Salì sulla pedana di teletrasporto, mentre la Caitiana andava alla consolle, per fissare le coordinate di destinazione.
   Dualla si guardò attorno con nostalgia, consapevole che erano i suoi ultimi momenti sull’USS Destiny. «Sei stata una buona nave, anche se ti ho avuta per poco tempo» si disse. «Spero che sarai più benevola con questi avventurieri».
   Impostato il trasferimento automatico, Shati corse a sua volta sulla pedana. Anche lei disse silenziosamente addio all’astronave e ai suoi compagni, augurandosi che capissero le ragioni del suo gesto. Poi le due fuggiasche svanirono nel bagliore azzurro del teletrasporto, dirette alla CSS Destiny.
 
   Sulla plancia dell’USS Destiny, Rivera osservava con crescente inquietudine l’Harvester all’opera. L’interfase si espandeva sempre più: era già abbastanza ampia da contenere un pianeta. E infatti una forma sferica stava comparendo al suo interno. Per ora era debolissima, appena distinguibile dallo sfondo, ma acquisiva consistenza di minuto in minuto. Era il pianeta Ferasa, che veniva inesorabilmente traslato nello Spazio Fluido. Sulla superficie dilagava già il panico per quel fenomeno sconosciuto. Tutte le navicelle disponibili stavano decollando e le astronavi in orbita imbarcavano più persone possibile, ma non c’era modo d’evacuare tutti gli abitanti nel giro di un’ora.
   «Almeno la Flotta Stellare si sarà messa in allarme» rifletté il Capitano. Questo aumentava le probabilità che ricevesse il loro messaggio, quando tra poco l’avrebbero trasmesso.
   «Abbiamo imbarcato Irvik e la sua squadra» riferì Talyn. «Non c’è più nessuno sulla CSS Destiny».
   «Bene» fece Rivera, guardandosi attorno. L’equipaggio era ai propri posti e anche i Magnifici Sei erano pronti ad aiutare. Scorpion, Rico e Yo’rek erano in plancia, mentre gli altri tre erano in sala macchine, pronti a intervenire se gli Undine avessero abbordato la Destiny. In quella però il Capitano si accorse che qualcuno mancava all’appello. «Dov’è Shati? Ho detto che la volevo al timone» disse irrequieto.
   «Non risponde alle chiamate, sto cercando di localizzarla» disse Talyn. «È strano, non riesco nemmeno a individuare il suo comunicatore. Devo passare ai sensori interni e cercare i suoi segni vitali». Passarono i secondi.
   «Ebbene?» fece Rivera, sempre più inquieto.
   «Qualcosa non va, non riesco a trovarla. E c’è appena stato un doppio trasferimento dalla sala teletrasporto 7 alla CSS Destiny» avvertì l’El-Auriano, inquadrando l’astronave sullo schermo.
   «Qualcuno è tornato su quella nave? Chi, e perché?! Mi servono risposte!» ordinò il Capitano, temendo un sabotaggio.
   «Accedo ai diari del teletrasporto» disse Talyn, rapido come sempre. «Oh, no... gli ultimi schemi di trasferimento corrispondono alla fisiologia Caitiana e Deltana».
   «Shati e Dualla» riconobbe immediatamente Rivera. «Che le è saltato in mente di liberarla?! E tornare su quella nave, poi! Riportatele subito qui!» ordinò, alzandosi di scatto.
   «Impossibile, la CSS Destiny ha appena alzato gli scudi. È del tutto isolata» avvertì l’addetto al teletrasporto.
   Il Capitano si rivolse a Losira, che era rimasta seduta in silenzio, fissando il pavimento. «Non sembri molto sorpresa. Hai idea di cosa sta succedendo?» inquisì.
   «Groan... sì, ho un sospetto» ammise la Comandante. «Devi sapere che, durante la tua assenza, Shati ha simpatizzato con Dualla. Sperava che il suo piano salvasse Ferasa, quale che fosse il prezzo. Pensa che s’è offerta volontaria per la missione suicida. E quando ci siamo ammutinati, è stata l’unica a non partecipare, tanto che ho avuto la tentazione di sbattere in cella anche lei».
   «Ma non l’hai fatto... e non me ne hai nemmeno parlato?!» fece Rivera, sconcertato.
   «Mi sono detta che era in pena per il suo mondo e bisognava darle un’altra possibilità. Poi sei tornato e hai deciso di procedere col piano, quindi ho pensato che quei bisticci non avessero più importanza. Non immaginavo che sarebbe arrivata a tanto!» si giustificò Losira.
   «Così ha liberato Dualla, e ora sono entrambe fuori dalla nostra portata» concluse il Capitano, guardando frustrato la CSS Destiny. Avevano lavorato tanto per rimetterla in linea... solo per consegnarla a quelle due testarde. «Talyn, chiama quella nave su un canale criptato. E preghiamo che gli Undine non ci intercettino» ordinò.
   Mentre il giovane eseguiva, Rivera tornò a sedersi, massaggiandosi le tempie. Quel colpo di testa rischiava di mandare all’aria tutto il piano.
   «Non essere troppo duro verso Shati» lo esortò Losira. «È in ansia per il suo mondo e farebbe di tutto per salvarlo».
   Il Capitano scosse la testa, più avvilito che arrabbiato. Sapeva che la Caitiana era impulsiva, ma questa proprio non se l’aspettava. Si disse che forse non l’aveva mai capita del tutto. Forse, sotto l’apparente allegria e leggerezza, covava una profonda frustrazione per quella vita da fuorilegge. E salvare Ferasa le sembrava un modo per redimersi.
   Finalmente le fuggiasche risposero alla chiamata. Dualla e Shati erano davvero sulla plancia della CSS Destiny, la prima alla postazione tattica, la seconda al timone.
   «Perché ci chiamate? Così rischiate di farvi scoprire!» esordì la Deltana, infastidita.
   «Come v’è saltato in mente di salire su quella nave?! Tornate subito qui! Shati, mi rivolgo a te: è un ordine!» disse Rivera, perentorio.
   La Caitiana tenne gli occhi bassi, non osando guardarlo in volto, e scosse la testa. «Mi spiace, Capitano, ma non posso obbedire. E sappiamo tutti il motivo. Perché il piano abbia successo, questa nave deve combattere in modo efficiente. E per renderla efficiente, bisogna che almeno due persone restino a bordo. Sei fin troppo buono, Capitano, a non voler sacrificare nessuno. Ma stavolta un sacrificio va fatto. Buon per voi che ci siamo offerte volontarie. Nessuno ci ha costrette, è una nostra scelta. Ditelo alle nostre famiglie, se mai tornerete alla Federazione» pregò.
   Davanti a quella cocciutaggine, l’Umano si rivolse alla Deltana. «Dualla, le parlo da Capitano a Capitano. Mi spiace per come si sono messe le cose e capisco che si sia sentita usurpata dal suo incarico. Ma nessuno di noi ha voluto che andasse così. Preferiremmo essere sul nostro vecchio mercantile, ma nella Federazione, piuttosto che sulla Destiny qui nello Spazio Fluido. Se torna da noi, le prometto che non sarà più imprigionata».
   «Mi risparmi le promesse» disse Dualla con pacatezza. «Il destino le ha messo in mano la mia nave e ammetto che ha saputo farne buon uso, tanto che non ho nulla da rimproverarle. Ma poiché l’equipaggio è il suo, ecco che mi trovo fuori posto a bordo. Non voglio creare ulteriori tensioni e conflitti, quindi preferisco uscire di scena».
   «Vorrei che si potesse fare altrimenti. La nave non è troppo piccola, se accettiamo di collaborare; e la sua esperienza mi sarebbe preziosa» tentò il Capitano. Per quanto garbato, stava ammettendo che non intendeva renderle il comando.
   «No, è meglio così. È l’unico modo per salvare Ferasa e al tempo stesso riportare la pace sulla Destiny» insisté Dualla. «Per queste ragioni, con l’autorità conferitami dal Comando della Flotta Stellare, io designo lei, Armando Rivera, quale Capitano dell’USS Destiny» annunciò. Era un gesto puramente simbolico, ma sapeva che l’Umano si era sempre crucciato di non aver mai avuto l’investitura ufficiale, per cui sperava che gli fosse di conforto. «Le affido tre missioni: distruggere l’Harvester, avvertire la Flotta Stellare e riportare a casa il suo equipaggio. Veda di non deludermi!» raccomandò.
   «Farò del mio meglio» promise Rivera. «Ma vorrei che almeno Shati tornasse con noi».
   «Non capisci, Capitano?!» fece l’interessata con voce rotta. «Per tutta la vita mi sono sforzata di fare qualcosa di buono, e non ho combinato altro che disastri. Mi sono fatta cacciare dall’Accademia, diventando una fuorilegge e disonorando la mia famiglia. Anche sulla Destiny ho spesso preso decisioni sbagliate, che vi hanno messi in pericolo. Ho litigato con la mia migliore amica perché non volevo tornare a salvarti» disse riferendosi a Giely, che in quel momento era in infermeria, pronta a ricevere i feriti dell’imminente battaglia. «Insomma, ho deluso tutte le persone che abbia mai avuto a cuore. Ora lasciami fare ammenda. E se tornerete, di’ a mia madre che mi dispiace per tutto!» singhiozzò.
   «Shati, non hai bisogno di...» cominciò Rivera, ma Dualla troncò la comunicazione. Sullo schermo riapparve la CSS Destiny, mascherata con la sigla USS, che fece manovra e partì verso l’Harvester. L’attacco era iniziato, che gli avventurieri lo volessero o no.
   In plancia cadde un cupo silenzio. Si sentivano tutti un po’ responsabili per la scelta estrema di Dualla e Shati, che nessuno si aspettava seriamente di rivedere.
   «Che facciamo?» mormorò infine Losira.
   «Non abbiamo scelta. Dobbiamo procedere col piano, o quelle due si sacrificheranno per niente!» rispose il Capitano, sfogando la frustrazione con un pugno sul bracciolo. «Rotta verso l’Harvester. Pronti a uscire dall’occultamento, non appena avranno fatto la loro parte».
 
   L’Harvester era in piena attività, con le antenne che sfrigolavano di fulmini azzurrognoli. Tutt’intorno l’interfase si era ulteriormente allargata, e dentro di essa Ferasa stava acquisendo consistenza. Il mondo dei Caitiani era sempre più opaco e sulla sua superficie cominciavano a delinearsi i continenti. Le bionavi di pattuglia stavano molto attente a non finire al suo interno, per non restarvi imprigionate man mano che la materia si solidificava. Per coloro che vivevano su Ferasa, il trasferimento era ancora più scioccante. Sole e stelle svanivano, come acquerelli sotto la pioggia, rimpiazzate dalla luminosità uniforme dello Spazio Fluido. Gli allarmi squillavano ovunque, gli abitanti si riversavano nelle strade mentre le ultime navette abbandonavano il pianeta. Chi restava non poteva fare altro che inviare disperate richieste d’aiuto alla Flotta Stellare.
   Nel centro di comando dell’Harvester, il Supervisore seguiva attentamente le fasi dell’operazione.
   «Trasferimento al 20%» riferì il Maestro Formatore. «Tutti gli emettitori sono stabili, nessuna anomalia nel campo».
   «E la Destiny?» chiese il Supervisore.
   «Ancora nessun segno» rispose l’Ufficiale Tattico. «Forse gli avventurieri hanno lasciato il nostro spazio» ipotizzò.
   «No, sento che sono là fuori da qualche parte, pronti a colpirci» ribatté il Supervisore, osservando le vastità dello Spazio Fluido.
   In quella l’Attendente entrò in plancia, camminando svelto sulle tre zampe. Tutti gli Undine percepirono la sua preoccupazione.
   «Ebbene, quali novità da Arena? Perché l’Infiltratore non ha fatto rapporto?» chiese il Supervisore.
   «L’Infiltratore è morto» rispose l’Attendente. «Gli umanoidi l’hanno riconosciuto e ucciso. Hanno usato gli esami del sangue, ma sospetto che abbiano ricevuto l’imbeccata dal Viaggiatore».
   «Il Viaggiatore! Ancora lui!» s’infuriò il Supervisore. «Sono anni che ci ostacola, pur non essendo un guerriero. Che ne è di lui? E degli altri?».
   «Il fortino era abbandonato quando sono arrivato» spiegò l’Attendente. «C’erano i resti della battaglia contro gli Aracnidi, ma nessun indizio su come gli assediati se ne siano andati. Non hanno preso alcun mezzo di trasporto conosciuto, né lasciato tracce dietro di sé. E nessun vascello ha forzato il blocco attorno al pianeta per salvarli. Si direbbero semplicemente... svaniti».
   «Allora è stato il Viaggiatore a trasferirli con uno dei suoi portali» indovinò l’Ufficiale Tattico. «A quest’ora possono essere ovunque... ma è probabile che siano tornati sulla Destiny».
   «E io ne sarei lieto, se solo l’Infiltratore fosse riuscito a seguirli fin lì» disse il Supervisore, che aveva sperato di piazzarlo sull’astronave, pronto a colpire. Invece si trovava senza assi nella manica, nell’imminenza della battaglia.
   «Quali sono gli ordini, signore?» chiese l’Ufficiale Tattico.
   «Ritirate le navi da Arena e portatele qui, a proteggerci» ordinò il Supervisore, temendo più che mai un attacco. Sedette sul suo scranno, giocherellando col teschio di Gort. D’un tratto però avvertì una forte scarica di feromoni nell’aria, che sulle installazioni Undine erano l’equivalente dell’Allarme Rosso.
   «La Destiny è uscita dall’occultamento a distanza ravvicinata. Ci sta attaccando col cannone thalaronico» avvertì l’Ufficiale Tattico, mentre il vascello era inquadrato sullo schermo.
   L’USS Destiny – così riportava il registro – emise un lampo verdastro. La nube di letali particelle thalaroniche si espanse, abbracciando tutto l’Harvester. Dove le particelle colpivano lo scafo, iniziavano la loro opera corrosiva. I tessuti organici si disgregavano, lasciando chiazze nerastre simili a ustioni. Ad essere colpite erano soprattutto le antenne, essendo più sottili e vulnerabili. Anche le bionavi subirono gli effetti nocivi della nube, che provocarono cali di potenza.
   «Perdiamo integrità strutturale» avvertì il Maestro Formatore. «Alcune antenne si disattivano».
   «Compensare, il trasferimento non deve interrompersi!» ordinò il Supervisore. «Ordinate alle bionavi di concentrare il fuoco sulla Destiny!». In quella l’astronave lanciò una salva di siluri transfasici contro un fascio d’antenne già indebolite, distruggendole del tutto. Le antenne spezzate si dispersero nello spazio, mentre la Destiny passava attraverso i detriti. Le bionavi la inseguirono, sparando a tutto spiano. Le loro armi indebolite, tuttavia, non riuscivano a perforare gli scudi degli attaccanti.
   «Gruppo trasmettitore 6 fuori uso, restano gli altri diciannove» avvertì il Maestro Formatore.
   «La Destiny trasmette un segnale attraverso l’interfase» aggiunse l’addetto alle comunicazioni.
   «Che segnale?» volle sapere il Supervisore.
   «Sono dati compattati... ma credo siano i loro diari dei sensori. Hanno deciso d’informare la Federazione delle loro scoperte» spiegò l’addetto.
   «Stolti, eppure li avevo avvertiti delle conseguenze. Disturbate il segnale e continuate a colpirli» ordinò il Supervisore. Osservò la nave attaccante, che schivava con notevole agilità i raggi antiprotonici delle bionavi. Ma alcuni colpi andavano a segno; e per quanto indeboliti dal thalaron era solo questione di tempo prima che perforassero gli scudi. «Perché ci sfidate, pur sapendo di non poter vincere? A meno che...». Le pupille cruciformi dell’Undine si strinsero, mentre i suoi poteri telepatici sondavano l’astronave, cercando di capire se la comandava Dualla o Rivera. Percepì la mente di Dualla, che gli era familiare, e anche un’altra. Ma questo era tutto. C’erano due sole presenze, su un vascello che avrebbe dovuto ospitare centinaia di persone. Allora tutto fu chiaro.
   «È un inganno!» tuonò il Supervisore. «Quella nave è semideserta. Deve trattarsi della controparte dello Specchio, ridipinta per fuorviarci. L’USS Destiny ci assalirà da un momento all’altro».
   «Sarà anche una distrazione, ma quella Destiny ci sta colpendo duro» avvertì l’Ufficiale Tattico. «Ha appena messo fuori uso un altro gruppo d’antenne».
   «Che aspettate a distruggerla? Dove sono i rinforzi di Arena?!» chiese il Supervisore, colpito suo malgrado dall’intensità di quell’attacco.
   «Eccoli» fece l’Ufficiale Tattico, inquadrando la flotta in avvicinamento.
 
   Le bionavi si gettarono compatte sulla CSS Destiny, sparando coi cannoni antiprotonici. Shati fece di tutto per schivare, ma era presa tra due fuochi: da un lato le bionavi che difendevano l’Harvester, dall’altro quelle sopraggiunte da Arena. Queste ultime tra l’altro erano a piena potenza, non avendo subito gli effetti della nube thalaronica. E Dualla era troppo occupata a colpire la stazione per sfoltire le flottiglie, tanto che non aveva ancora distrutto nemmeno una bionave.
   Gli Undine concentrarono il fuoco su un punto dello scafo, dove gli scudi erano già indeboliti. Tre raggi antiprotonici colpirono simultaneamente la gondola di dritta. L’effetto fu devastante: la gondola esplose, facendo saltare un’ampia porzione della sezione ad anello in cui era incastonata. L’hangar e la stiva di carico, adiacenti alla gondola, furono scoperchiati e il loro contenuto si riversò nello spazio. Questo paradossalmente fu utile all’astronave in fuga, perché le bionavi lanciate all’inseguimento si scontrarono col nugolo d’oggetti espulsi. Alcuni erano semplici container colmi di cianfrusaglie, ma altre erano intere navicelle, che esplosero nella collisione. Lo spazio si punteggiò d’esplosioni. Alcune bionavi furono danneggiate e dovettero rallentare, rinunciando all’inseguimento. Altre furono persino distrutte.
   Shati ne approfittò per accelerare a massimo impulso, uscendo dal raggio d’attacco delle bionavi. Ma era solo una tregua momentanea. La CSS Destiny aveva subito un danno catastrofico, che le impediva sia di balzare a cavitazione, sia di occultarsi. In pratica non aveva più alcun modo di sottrarsi all’inseguimento. E le bionavi continuavano a braccarla.
   «È finita, Capitano!» gemette la Caitiana, mentre gli allarmi squillavano ovunque. «Abbiamo fatto il possibile, ora tutto dipende dagli altri».
   «Non ancora» disse Dualla. «Continua a fuggire, dobbiamo farci inseguire dalle bionavi». Lanciò dei siluri quantici, colpendo un vascello Undine e mandandolo fuori rotta. Intanto i raggi antiprotonici balenavano attorno alla CSS Destiny, minacciando di darle il colpo di grazia.
   «Quante c’inseguono?» chiese Shati.
   «Solo una decina» rilevò Dualla, delusa. «Forse si sono accorti dell’inganno. Le altre bionavi sono rimaste a difendere l’Harvester. Stanno anche disturbando le comunicazioni, per impedirci di trasmettere alla Federazione. Spero che il segnale sia passato nei primi momenti dell’attacco».
   «Allora... non resta che farci inseguire, finché ci abbattono?» mormorò la Caitiana, ingegnandosi per schivare i colpi.
   «Forse possiamo fare di più» disse la Deltana, sparando con tutte le armi posteriori nel tentativo di tenere a bada gli inseguitori. «Imposta la rotta per compiere un’ampia circonferenza che ci riporti all’Harvester. Se la nostra è una corsa della morte, non mi dispiacerebbe che gli finissimo addosso».
 
   Dall’USS Destiny, ancora occultata, gli avventurieri seguirono la prima fase della battaglia senza poter intervenire. Videro la CSS Destiny che sferrava l’assalto, distruggendo alcune antenne, e subiva il pesante contrattacco degli Undine. Quando la gondola esplose, per un attimo pensarono che l’intera astronave fosse stata distrutta. Poi Talyn riferì che la CSS Destiny aveva resistito, sia pur con gravi danni, e stava fuggendo, braccata da una decina di bionavi.
   «Meno di quante speravo» commentò Rivera, osservando sconfortato l’Harvester ancora ben difeso. «E va bene, tocca a noi. Usciamo dall’occultamento, fuoco col cannone thalaronico!».
   Come la sua controparte dello Specchio, anche l’USS Destiny si rese visibile nelle vicinanze dell’Harvester. Questo appariva già butterato dal primo attacco: lo scafo arancione era chiazzato di nero e alcune antenne erano infrante. Lo scafo tuttavia era così spesso che persino nelle zone più compromesse non vi erano falle, mentre le antenne erano ampiamente ridondanti. Di conseguenza l’interfase era ancora attiva e risucchiava sempre più Ferasa. Il pianeta appariva già con una certa consistenza e i suoi abitanti potevano osservare la battaglia.
   L’attacco dell’USS Destiny cominciò con una seconda nube thalaronica, i cui effetti si sommarono alla prima. L’Harvester ne fu avvolto e la corrosione del suo scafo si accentuò, al punto che comparvero le prime falle. Anche le bionavi furono colpite, alcune per la prima volta, altre per la seconda, accumulando danni. Intanto la nave federale sfrecciava rasente lo scafo chilometrico, così che le bionavi esitavano a sparare, per timore di colpire l’Harvester. Gli avventurieri invece non avevano remore: la Destiny sparava con tutto il suo micidiale armamentario, prendendo di mira le antenne. Ad ogni attacco, un fascio d’antenne (ciascuna delle quali superava in lunghezza la Destiny stessa) era troncato dalla stazione e si univa ai detriti circostanti.
   Ma c’erano venti facce sull’Harvester, e quindi venti fasci d’antenne. La CSS Destiny, nel suo attacco iniziale, ne aveva distrutti solo tre. E gli avventurieri non sapevano quanti altri ne dovevano eliminare, per sigillare l’interfase. Forse tutti. Erano arrivati al settimo fascio quando un raggio antiprotonico centrò l’USS Destiny sulla fiancata, perforando gli scudi. Si aprì una lunga falla, attraverso cui l’acqua della piscina si riversò nello spazio. I campi di forza entrarono in funzione, sigillando la sezione compromessa, mentre i primi feriti giunsero in infermeria. I danni in sé erano limitati. Ma ora gli scudi della Destiny vacillavano, rendendo il vascello vulnerabile ai successivi attacchi. Come anche agli abbordaggi.
 
   «Signore, la Destiny sanguina» notò l’Ufficiale Tattico, accennando all’astronave danneggiata.
   «Bene, approfittiamone» fece il Supervisore, sempre più convinto che quella fosse la nave federale, con il grosso dell’equipaggio. «Trattenete la nave col raggio traente. Poi abbordatela: una squadra in plancia, una in sala macchine. Uccidete chiunque oppone resistenza. E ricordate: il nostro obiettivo è il Viaggiatore, se si trova a bordo. Lui e il giovane col potenziale» raccomandò.
   «Sì, signore» fece l’Ufficiale Tattico, cedendo il posto a un ausiliario. Lasciò il centro di comando, unendosi alla squadra d’assalto già pronta al teletrasporto.
   «Trasferimento al 40%» riferì intanto il Maestro Formatore, mentre Ferasa acquisiva sempre più consistenza. Con un terzo delle antenne distrutte, il processo era più lento, ma nondimeno continuava.
 
   «Rapporto danni!» ordinò il Capitano, sentendo la nave che si squassava.
   «Breccia sulla fiancata sinistra, perdiamo atmosfera... e anche l’acqua della piscina» riferì Talyn. «I campi di forza reggono. Alcuni feriti, nessuna vittima. Gli ingegneri stanno cercando di circoscrivere i danni».
   «Ma gli scudi vacillano» avvertì Naskeel. «E l’Harvester ci ha agganciati con un forte raggio traente. Sta cercando d’immobilizzarci».
   «Manovre evasive, rimodulare gli scudi!» ordinò Rivera, nel disperato tentativo di liberare la nave. Ma fu subito chiaro che era inutile. Né le brusche accelerazioni della Destiny, né i suoi scudi indeboliti potevano contrastare un raggio traente progettato per agganciare interi pianeti e spostarli nell’orbita desiderata.
   «Perdiamo integrità strutturale, devo rallentare o andremo in pezzi!» avvertì il timoniere.
   «Le bionavi ci hanno circondato, ma hanno cessato il fuoco. Credo che il nemico voglia abbordarci» aggiunse Naskeel.
   «Capitano a nave, siamo a rischio abbordaggio. State pronti a difendervi!» raccomandò Rivera, vedendo concretizzarsi il suo peggior timore. Dopo gli ultimi scontri aveva sperato di non doversi più confrontare con gli Undine. Invece si ritrovò col fucile in pugno, a guardarsi attorno nel timore di un attacco. Attorno a lui i colleghi fecero lo stesso. Imbracciavano tutti i fucili TR-116, caricati con dardi alle nanosonde, già collaudati con successo contro gli Undine. Anche Scorpion e Rico ne erano stati equipaggiati, mentre Yo’rek conservava la lancia da combattimento dell’Alta Guardia. In sala macchine, gli altri tre campioni – Azrael, Master Chief e Liara – erano similmente sul chi vive. Tutti aspettavano l’arrivo degli Undine, mentre anche la battaglia spaziale si era interrotta e la Destiny era immobilizzata dal raggio traente, circondata dalle bionavi.
   E gli Undine vennero. Si materializzarono con un teletrasporto bianco, quasi istantaneo. Era una novità, tanto che il Capitano si chiese se lo avessero ottenuto di recente. Non ebbe modo di scoprirlo. Da un attimo all’altro c’erano sette Undine in plancia; e gli allarmi indicavano che altri erano apparsi in sala macchine.
   «Fermi!» gridò il caposquadra, un Undine più nerboruto degli altri. Come il Supervisore, aveva la mascella umanoide che gli consentiva di articolare parola. Si guardò rapidamente attorno, localizzando l’interlocutore. «Capitano Rivera, le parlo a nome del Supervisore. Il vostro infantile attacco è fallito, e presto la vostra nave gemella sarà distrutta. Ma voi potete ancora salvarvi, se vi arrendete» annunciò.
   «E perché sareste così generosi?» chiese Rivera, per guadagnare tempo.
   «Sappiamo che siete stati... istigati dal nostro acerrimo nemico» rispose l’Undine. «È un essere inafferrabile, dai molti nomi e molti volti. Forse lo conoscete come Klaatu, o anche come il Viaggiatore».
   «Continua» lo esortò Rivera, senza sbilanciarsi.
   «Se mi consegnate quest’individuo, otterrò clemenza per il resto di voi» sostenne l’Undine. In realtà sapeva che, se fosse tornato sull’Harvester col prigioniero, il Supervisore avrebbe ordinato di distruggere la Destiny.
   «Sembra conveniente» fece il Capitano, sempre temporeggiando. «Ma ho qualche difficoltà a credervi così, sulla parola. A proposito, perché ci tenete così tanto a quel tipo?».
   «Non sono qui per rispondere alle vostre domande, ma per avere il Viaggiatore! Consegnatelo subito e potreste sopravvivere!» ringhiò l’alieno, rinunciando alle buone maniere.
   «Arrivi tardi» rivelò il Capitano. «Il Viaggiatore se n’è andato, posto che fosse davvero su Arena. S’è dissolto nell’aria, lasciandoci con molti enigmi. Lo fa spesso?».
   «Rimpiangerete che lo abbia fatto con voi!» ringhiò l’Undine. «Lui e i suoi simili sono una piaga. Ma se non posso prendere il Viaggiatore, allora prenderò quell’altro col potenziale!» disse, ricordando gli ordini. E si avventò su Talyn, mentre anche gli altri alieni attaccavano.
 
   Scoppiò una feroce sparatoria, con gli avventurieri che sparavano i dardi, i quali però tendevano a rimbalzare sulla pelle coriacea degli Undine senza contagiarli. Scorpion, Rico e Yo’rek si unirono allo scontro, battendosi con valore, ma anche loro stentavano ad abbattere gli invasori.
   Vistosi attaccato, Talyn sparò all’Undine mentre cercava di sfuggire alle sue unghiate. Ricordava fin troppo bene le ferite ricevute dall’Infiltratore, le sue cellule che gli divoravano la carne. Schivò il primo attacco, abbassandosi di scatto. Ma l’alieno colpì di nuovo, col dorso della mano, e stavolta lo prese in pieno. Il giovane fu scaraventato contro la paratia e da lì si accasciò a terra, mezzo stordito.
   L’Undine incombeva sull’El-Auriano, pronto a finirlo. Rivera gli sparò alla nuca, ma il dardo rimbalzò come un sassolino scagliato da una fionda. L’alieno si girò per un attimo, infastidito, ma poi tornò a concentrarsi sulla preda. Quella breve distrazione tuttavia gli costò cara.
   Con un fischio acutissimo, Naskeel si gettò a capofitto contro l’Undine, abbrancandolo con le sue numerose zampe. Si rotolarono sul pavimento, in un groviglio d’arti, scambiandosi colpi spaventosi. L’Undine cercò di graffiare il Tholiano, per contagiarlo con le sue cellule divoratrici, ma aveva trovato l’unico avversario immune: gli artigli scivolarono sul corpo cristallino. Allora lo schiacciò al suolo, cercando di frantumarlo con la forza bruta. Prima che potesse riuscirci, Rivera gli balzò in groppa, praticandogli un ipospray nel collo. Erano le stesse nanosonde contenute nei dardi, ma in quantità assai maggiore; e con l’iniezione entrarono finalmente in circolo.
   L’Undine si scosse selvaggiamente, cercando di ribaltare il Capitano per poi straziarlo con gli artigli, ma Naskeel gli tenne ferme le mani, dando all’Umano il tempo d’allontanarsi. La pelle dell’alieno divenne verdastra e rinsecchì a vista d’occhio, mentre i suoi occhi si coprivano di una patina biancastra. Con uno sforzo convulso l’Undine riuscì a liberarsi, ma a caro prezzo: le sue braccia ormai fragili si spezzarono all’altezza dei gomiti, lasciando gli avambracci in mano a Naskeel. L’alieno barcollò in mezzo alla plancia, mutilato e cieco. Intanto anche i suoi simili cadevano uno dopo l’altro, sotto il fuoco degli avventurieri.
   «Non avete idea di cos’avete scatenato» gracchiò il capo degli Undine. «Noi ci saremmo accontentati di Ferasa. Ma ora l’Imperatore prenderà in mano la situazione, e vi annienterà tutti!» minacciò. Infine anche lui si accasciò, assieme ai suoi simili; i loro corpi iniziarono a sfarinarsi.
   Rivera aveva udito quell’oscura profezia, ma non volle commentarla. Aveva problemi più immediati. Corse presso Talyn, trovandolo mezzo stordito, ma senza gravi ferite. Anche Losira gli venne accanto, preoccupata per il figlio adottivo.
   «Come sta?» chiese Naskeel. Gettò via gli avambracci dell’Undine, che gli si stavano sfarinando in mano, e si accostò a sua volta.
   «Si riprenderà» valutò il Capitano.
   «Grazie per averlo salvato» aggiunse Losira.
   «Uccidere l’Undine era l’unica opzione logica, e la logica non chiede ringraziamenti» rispose il Tholiano.
   «Veramente sarebbe stato più logico colpirlo da lontano, mentre lui mi faceva a pezzi» mormorò Talyn, riprendendosi.
   «Ultimamente mi sono trovato a pensare che esistono diversi tipi di logica, in base alle premesse» ammise Naskeel. «In questo frangente, ho ritenuto che la logica dei Moschettieri fosse accettabile» disse, e zampettò alla sua postazione come se niente fosse.
   Talyn e Losira aggrottarono la fronte, non cogliendo il riferimento. Rivera invece sorrise, dicendosi che forse l’esperienza su Arena aveva avuto un certo impatto sul Tholiano. La filosofia del tutti per uno, uno per tutti li aveva tenuti in vita... ma ancora per quanto?
   «Stai bene?» chiese Losira, aiutando Talyn a rialzarsi.
   «Groan... più o meno» borbottò il giovane, ancora dolorante. «Sembra che gli Undine mi odino quanto il Viaggiatore. Ad ogni incontro cercano di catturarmi o uccidermi» si rabbuiò, accorgendosi d’essere sempre il bersaglio numero uno. Perché questo accanimento nei suoi confronti?
   «Lo odiano... o lo temono?» si chiese Rivera, interrogandosi sul suo potenziale. Decise che non doveva dargli il tempo di porsi questa domanda. «Alla tua postazione, svelto. Dico a tutti, tornate ai vostri posti! La battaglia è ancora tutta da vincere!» ordinò. Contattò la sala macchine, verificando che anche lì gli Undine erano stati sconfitti. Azrael e Master Chief l’avevano fatta da padroni, abbattendone molti prima ancora che arrivassero i rinforzi della Sicurezza.
   «Gli scudi sono di nuovo operativi» riferì Naskeel, dirottandovi tutta l’energia possibile.
   «Ma lo è anche l’Harvester, in gran parte» avvertì Talyn. «Infatti continua a trattenerci col raggio traente. E Ferasa è quasi del tutto traslato» aggiunse, inquadrandolo sullo schermo. Ormai il pianeta era divenuto opaco e stava iniziando ad acquisire i colori.
   Il Capitano comprese che la battaglia era senza speranza. Se continuavano a colpire l’Harvester, le bionavi li avrebbero bersagliati fino a distruggerli. Se invece affrontavano le bionavi, l’Harvester avrebbe avuto il tempo di traslare del tutto il pianeta. Non potevano nemmeno ritirarsi, perché coi danni allo scafo l’occultamento non funzionava, e quindi le bionavi li avrebbero inseguiti. Così non restava che vendere cara la pelle. «Al mio via, lanciare i siluri transfasici contro l’emettitore del raggio traente. Al momento dell’impatto cercheremo di liberarci con una rapida accelerazione. Dopo di che continueremo a colpire l’Harvester» ordinò, pur sapendo a cosa andavano incontro. «Talyn, continua a trasmettere i nostri diari attraverso l’interfase» aggiunse, sperando che almeno quelli fossero ricevuti.
   «Capitano, le probabilità di successo sono... esigue» avvertì Naskeel.
   «Lo so» disse Rivera a mezza voce. Ormai era inutile fingere altrimenti. Non avrebbe preso in giro i suoi colleghi, adesso che erano tutti al cospetto della morte. Sedette stancamente sulla sua poltroncina, pronto a ordinare l’ultimo attacco. Stavolta erano davvero al capolinea... e dire che c’erano ancora così tanti interrogativi senza risposta...
   «Un momento, sta arrivando un’altra nave» disse Talyn, notando un segnale in avvicinamento. «È la CSS Destiny, o quel che ne rimane. Dualla sta tornando a darci manforte». 
 
   
 
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