Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Cj Spencer    15/10/2023    1 recensioni
Secondo volume de "Napoleon of Another World!"
Dopo un primo volume introduttivo la situazione inizia finalmente ad evolversi in modo rapido e decisivo.
La Rivoluzione che Daemon ha pazientemente pianificato volta a mettere nelle sue mani la provincia imperiale di Eirinn è finalmente scoppiata, ora lo scopo è portarla a termine affinché diventi il primo passo verso la costruzione del suo impero destinato a unificare Erthea sotto il suo comando e preparare il continente per affrontare l’esercito del Re dei Demoni quando farà la sua comparsa.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

“Metti cento leoni al comando di un cane

e moriranno come cani.”

CAPITOLO 5

LA CADUTA DEL CASTELLO

 

 

Quella sera al villaggio si scatenò una festa come non se n’erano mai viste.

Tutti ballavano, cantavano, bevevano e mangiavano, mentre nel buio della valle ancora si intravedevano i pinnacoli di fumo prodotti dalle pire ormai estinte su cui solo qualche ora prima avevamo bruciato i caduti.

Sembrava quasi che la gioia per la vittoria avesse fatto già dimenticare a tutti il massacro al quale erano sopravvissuti.

Ma non ero troppo sorpreso.

Se c’era una cosa che accomunava gli schiavi e i soldati era il doversi sempre confrontare con la morte, al punto che ormai accettare e metabolizzare il lutto era una cosa che la loro mente riusciva a fare con una facilità sconvolgente.

Quanto a me, tra la marcia e tutto il resto, ero talmente stanco da non riuscire a reggermi in piedi, così decisi di andare subito a dormire in un fienile.

Speravo di concedermi giusto qualche ora di sonno per poi tornare a pianificare le nostre prossime mosse, ma la mia prima, vera battaglia dopo tanti anni doveva aver ridestato in me pensieri funesti.

Mi ritrovai a camminare in una pianura brulla e oscura, immersa in una nebbia spettrale, circondato da tombe e croci.

Mentre cercavo di uscirne, eccolo apparire da dietro uno dei tumuli e fermarsi a poca distanza da me.

Quel cane.

Quel maledetto cane!

Mi fissava con quei suoi occhi scuri, uggiolando e mugolando in modo così fastidioso da farmi scoppiare le orecchie, e per quanto cercassi di mandarlo via non c’era verso che obbedisse. Quell’immagine mi aveva perseguitato per tutta la vita, e ora era tornata per tormentarmi anche in questa.

Smettila. Non guardarmi così. Non è stata colpa mia. Non avevo scelta. Vattene… Lasciami stare. Lasciami in pace!

Uno strattone mi riportò violentemente indietro nel mondo reale, e mai interruzione di un breve momento di riposo fu più gradita.

«Daemon.»

«Scalia.»

«Va tutto bene? Sei pallido e stai tremando, e ti sentivo parlare nel sonno.»

«Tranquilla, non è niente. Solo un brutto sogno. Cosa c’è?»

«Passe vuole parlarti. Dice che è molto importante. Pare abbiano catturato un prigioniero, qualcuno che conta.»

«Arrivo subito.»

Non dico che non mi aspettassi ciò che stava per succedere, tuttavia non fui eccessivamente sorpreso quando dopo essere entrato nella capanna che avevamo destinato a quartier generale trovai ad accogliermi l’enigmatico e decisamente irritante sorrisetto di Adrian.

«Era ora. Non lo sai che il comandante non dovrebbe mai sottrarsi ai festeggiamenti dopo una battaglia? Si dice che porti sfortuna.»

«Daemon!» strillò Scalia snudando gli artigli e sfoderando le zanne «Lasciami uccidere questo bastardo!»

«Calma, Scalia.»

In realtà io stesso non avevo mai deciso realmente cosa fare nel caso in cui mi fossi trovato in quella situazione; per esperienza sapevo che quelli della stessa pasta di Adrian erano capaci nello stesso giorno di guidare il tuo esercito alla vittoria e di scannarti nel sonno.

E io non avevo alcuna intenzione di accompagnarmi di nuovo a simili opportunisti voltagabbana.

«Mia sorella mi ha raccontato quello che le hai fatto. Dammi un solo motivo per cui non dovrei sventrarti qui e adesso.»

«Avanti, non ho fatto niente di così grave. Non l’ho nemmeno toccata, se così si può dire. E comunque l’avevo capito subito che c’entravi qualcosa con tutta quella storia. Avrei potuto dirlo a mio padre e mettervi tutti nei guai, e invece sono stato zitto. Almeno questo me lo devi.»

Onestamente mi ero sempre chiesto come avesse fatto uno con il suo acume a non intuire qualcosa di poco chiaro nel modo in cui avevo fatto sparire Scalia da sotto il suo naso, ma avevo preferito non indagare oltre convincendomi di essere semplicemente riuscito a ingannarlo.

Ora sapevo che la prima impressione che avevo avuto di lui era corretta, e la cosa mi mandava in bestia: perché anche se mi disgustava, allo stesso tempo non potevo fare a meno di ammirarlo.

«Dove l’avete preso?»

«È venuto lui da noi. Si è arreso alla nostra pattuglia nella valle assieme a tutti i suoi uomini.»

«Quei pochi che sono rimasti. Ammetto che non avevano mai visto una battaglia degna di questo nome, ma mai mi sarei aspettato che qualcuno potesse spazzare via la mia unità in modo tanto semplice.»

Sembrava che Scalia dovesse saltargli addosso da un momento all’altro, così per tenerla calma estrassi la spada puntandola contro di lui.

«Hai a disposizione dieci parole per convincermi a non lasciarti qui in mano a mia sorella.»

«Me ne bastano cinque. Posso guidarti dentro il Castello.»

Da che mondo è mondo ogni trattativa è fondata su di un confronto dialettico in cui due o più contendenti mettono sul piatto un’offerta destinata ad ottenere dalla parte avversa il maggior guadagno possibile con il minor sacrificio.

In qualche modo sapevo che malgrado potesse sembrare il contrario stavolta ero io a sedere sul piatto sbagliato della bilancia, una situazione irritante in cui chiunque odierebbe ritrovarsi.

Per prima cosa occorreva eliminare i fattori di disturbo.

«Lasciateci soli.»

«Daemon, ma…»

«Tranquilla Scalia, andrà tutto bene. Fidati di me.»

Dovetti insistere un po’, ma alla fine riuscii a convincerla.

«Io resto qua fuori. Al minimo sentore che qualcosa non va, verrò personalmente a strapparti quel sorrisetto dalla faccia.»

«Lo terrò a mente.»

Così restammo soli, anche se per qualche istante tutto quello che riuscimmo a fare fu fissarci vicendevolmente negli occhi alla ricerca del minimo cenno di esitazione.

«Immagino tu sappia che il nostro scopo è prendere la testa del governatore e reclamare il controllo di questa regione. Perché dovresti agire contro tuo padre?»

«Ho smesso di considerare quell’essere immondo mio padre molto tempo fa. Fin da quando ne ho memoria non ho mai provato altro che disgusto nei suoi confronti. Gli sono rimasto vicino nella speranza che migliorasse, ma ora basta. Non getterò via la mia vita per seguire quell’incapace nella tomba.»

Un pensiero condivisibile; anche se credevo con tutto me stesso nella sacralità dei rapporti famigliari non li davo certo per assoluti.

Il rispetto dovrebbe sempre essere guadagnato, e di motivi per portargli rispetto Longinus non ne aveva neanche uno.

«Fingiamo che io decida di ascoltarti. Di preciso come penseresti di farci entrare lì dentro?»

Al che Adrian richiamò la mia attenzione sulla mappa del Castello aperta sul tavolo.

«Con il più classico dei trucchi. Un passaggio segreto.»

«Non sapevo ne esistesse uno.»

«Perché nessuno si è mai preoccupato di cercarlo. L’ingresso è qui, ai piedi della torre di sud-est.»

«E tu come l’hai scoperto?»

«Se ne faceva menzione in alcune vecchie cronache. Immagino tu sappia che il Castello è stato costruito sopra ad un palazzo più antico risalente a prima delle Guerre Sacre. Il passaggio attraversa le vecchie rovine, scivola sotto la piazza d’armi e sbuca fuori proprio qui, nelle cantine del palazzo.»

Mi colse un dubbio.

«E se il Governatore lo usasse per scappare?»

«Lo farebbe se sapesse della sua esistenza. Non credo che quel porco abbia mai letto un libro in vita sua, e lo stesso vale per i suoi uomini.»

Quasi che si aspettasse ciò che stavo per dire, nel momento in cui alzai lo sguardo dalla mappa lo trovai già intento a fissarmi.

«Interessante suggerimento. Ora che me l’hai dato però, cosa mi impedisce di dire a Scalia di rientrare in questa stanza e lasciare che si occupi di te?»

«Buona fortuna. Quel posto è un labirinto. Io ci ho impiegato dei mesi per trovare il percorso giusto. Senza di me ti perderesti in due secondi.»

«Potrei sempre occuparmi di te dopo aver sistemato tuo padre.»

«Potresti. Ma non lo farai.»

«Perché ne sei così convinto?»

«Per lo stesso motivo per il quale hai salvato quel drago. Perché ti serviamo.»

Ammetto che il modo in cui mi guardò mi fece quasi gelare il sangue.

«Smettiamola con questa commedia. Puoi ingannare quella manica di ingenui, ma non certo me. Non c’è niente di nobile o di buono in ciò che stai facendo. Quello che vuoi è una sola cosa, ed è il potere. Beh, lo voglio anch’io. Ma l’ambizione di entrambi sarà destinata a sfracellarsi contro quelle mura, a meno che non decidiamo di collaborare.»

Malgrado quello che dicevano i preti non avevo mai considerato l’ambizione un vizio, ma quella di Adrian era quasi pari alla mia; era come se stessi guardando allo specchio il me stesso dei tempi di La Fere, un giovane spaccone spregiudicato pronto a qualsiasi cosa pur di raggiungere gli scopi che si era prefissato.

«Io sono stufo, Daemon. Stufo di quegli arroganti incapaci dell’Impero che non sarebbero in grado di amministrare nemmeno un porcile. E io ne ho abbastanza di combattere contro un sistema che si rifiuta di progredire. Mio padre è uno dei peggiori, ma di certo non è l’unico. Comunque vada a finire, dopo quanto successo qui la sua reputazione è destinata a sgretolarsi, ma io non ho nessuna intenzione di andare a fondo insieme a lui.»

«Non ho mai sentito di un impero con due sovrani. E temo che Eirinn sia troppo piccola per tutti e due.»

«Non sono così ambizioso. E anche se sono consapevole delle mie capacità non mi considero certo al tuo livello.»

«E allora si può sapere che cosa vuoi in cambio del tuo aiuto?»

«Non è ovvio? La mia parte di gloria nel mondo che vuoi costruire. Che tu lo voglia o meno ciò che stai facendo qui è destinato a sconvolgere non solo l’Impero, ma più probabilmente l’intera Erthea. E io non intendo perdermi il cambiamento più epocale che questo mondo abbia mai visto. Non solo, voglio esserne parte.»

Quando ci si imbarca in imprese disperate raramente ci si può concedere il lusso di scegliersi i propri alleati, e io lo sapevo bene.

Adrian poteva diventare la risorsa più importante e decisiva a mia disposizione, ma non ero sicuro di poter gestire… un altro me.

«Il tempo sta scadendo amico mio.» mi disse ghignando, e sapendo di avermi messo all’angolo. «Ron sarà pure leale a mio padre fino alla morte, ma non è uno stupido. A quest’ora avrà già ordinato al suo miglior esploratore di correre a Baxos a chiedere rinforzi. E a Baxos in questo momento ci sono sia la Terza che la Nona Legione. Ci vorrà tempo, ma presto o tardi arriveranno qui dal valico a nord per portare soccorso. Sicuro di poter perdere tempo impelagandoti in un assedio al Castello?»

Alla fine, inevitabilmente, strinsi quella mano: che altro avrei potuto fare?

Ma mentire sarebbe inutile: lo ammiravo. Perché chiunque riesca a trasformare una sconfitta rovinosa in una mezza vittoria con ogni mezzo, anche i più subdoli, dal mio punto di vista è degno della massima considerazione.

Naturalmente Scalia non fu per niente contenta di vederlo lasciare la stanza sulle sue gambe, e lo fu ancora meno quando le dissi che tipo di accordo avevamo siglato.

«Daemon ti prego, dimmi che non hai davvero intenzione di farlo.»

«Non abbiamo scelta Scalia. Se quello che ci ha detto è vero presto arriveranno altri rinforzi.»

«E noi li sconfiggeremo, come abbiamo già fatto.»

«Forse. Ma quanti dovrebbero morire per poterci riuscire?»

Lei abbassò gli occhi, digrignando i denti per la frustrazione.

«Però…»

«A volte occorre mettere da parte l’orgoglio sorella. So che quello che ti ha fatto è imperdonabile, però non puoi non ammettere che Adrian potrebbe essere una risorsa molto preziosa.»

«Dovresti averlo capito, quel tipo è l’ambizione personificata. Chi ci assicura che non ci tradirà alla prima occasione se le cose dovessero mettersi male?»

«Non lo farà.»

«Come puoi esserne così sicuro?»

«Perché combattendo per noi otterrà qualcosa che non potrebbe avere da nessun’altra parte.»

«E cioè?»

«Un’intera nazione nelle sue mani, da plasmare a suo piacimento.»

E credimi, io so meglio di chiunque altro quanto grande sia la soddisfazione che viene dal possedere un tale potere.

Scalia non sembrava per niente convinta, ma ormai si fidava a tal punto di me che non si sarebbe mai permessa di mettersi di traverso nelle mie decisioni.

«Dopodomani arriveranno altri rinforzi da Dundee. Per stanotte i soldati possono fare baldoria, ma a partire da domani dovranno iniziare a raggruppare le proprie cose. Questa Rivoluzione finirà prima della prossima luna.»

 

Il Governatore Longinus non aveva mai chiesto di essere inviato ad amministrare una regione così problematica e remota come l’Eirinn.

Tutto quello che voleva nel momento in cui aveva accettato la nomina era concludere quanto prima i dieci anni di incarico per poi tornare a Maligrad e riceverne uno migliore, magari a ovest, lì dove abbondavano pascoli verdi, spiagge incontaminate e fiorenti città commerciali.

Ma per guadagnarsi una nuova assegnazione di maggior prestigio doveva meritarsela, così aveva fatto di tutto per assicurarsi che la situazione rimanesse tranquilla.

Sotto la sua amministrazione le miniere avevano aumentato considerevolmente la produzione di metalli preziosi ed il reunionismo era stato quasi completamente stroncato; poco importava, almeno per lui, che ciò fosse stato possibile attraverso turni di lavoro massacranti per gli schiavi e una lista interminabile di esecuzioni.

E ora che il bubbone era scoppiato, vedeva tutto ciò in cui aveva sperato per il suo futuro sgretolarsi come un cristallo.

Quando aveva visto la leggendaria Quindicesima Legione tornare dalla battaglia quasi dimezzata aveva capito che ormai tutto era perduto, e che quella storia avrebbe macchiato inevitabilmente la sua reputazione.

Tutto quello che poteva fare era limitare i danni e tentare di risolvere la situazione il più velocemente possibile; e dato che l’ultima cosa di cui aveva bisogno era che una banda di bifolchi se ne andassero in giro a raccontare come lui e i suoi uomini si stessero facendo massacrare da un pugno di schiavi ribelli il suo ordine era stato di blindare il Castello e chiudere tutti i valichi ancora sotto il loro controllo, impedendo a chiunque di lasciare la provincia.

Sperava ancora di poter risolvere la situazione internamente per non compromettere ancora di più il suo prestigio e poter ancora sperare nella benevolenza dell’Imperatore, per questo non fu per nulla contento di sapere che il Generale Ron, subito dopo essere tornato, aveva immediatamente ordinato di andare a chiedere rinforzi a nord senza prima consultarsi con lui.

All’inizio aveva protestando minacciando fuoco e fiamme, ma alla fine si era convinto che una reputazione rovinata era comunque preferibile al rimetterci la pelle.

Ma in ogni caso sapeva che per lui non ci sarebbe più stato un futuro nell’Impero.

«Non avete nulla di che temere, Mio Signore.» disse il Generale durante il consueto incontro di metà mattina nella sala delle udienze. «Il Castello è una fortezza impenetrabile, non importa quanto Haselworth possa impegnarsi, e abbiamo ancora forze più che sufficienti per difenderlo senza fatica.»

«E se cominciano a usare quei maledetti cannoni?»

«Questa fortezza è stata pensata proprio per resiste ai cannoni, e oltretutto i loro sono piuttosto piccoli. Anche usandoli tutti insieme impiegherebbero settimane per aprire una breccia. Conosco personalmente i Generali Plinio e Agrippa che comandano la Terza e la Nona Legione, saranno certamente qui al massimo entro dieci giorni.»

«Ci sono notizie di mio figlio?»

«Purtroppo Mio Signore, il Nobile Adrian risulta ancora disperso. La sua unità non ha più dato notizie dopo che si è offerto di coprire la nostra ritirata formando una linea difensiva all’uscita della valle. Dobbiamo presumere che sia morto.»

«Quell’idiota. Si dava tante arie, e alla fine sono bastati un pugno di straccioni per fare a brandelli i suoi sedicenti campioni.»

Se solo ripensava al fatto che la notizia di quanto stava accadendo nella sua provincia era destinata a raggiungere la capitale probabilmente nell’arco di una settimana, Longinus si sentiva ribollire il sangue dalla rabbia.

«Già me li immagino i senatori e i consiglieri che ridono di me. L’Imperatore non vorrà neanche più vedermi. Forse quando questa storia sarà finita farei meglio a mollare tutto e a cercare fortuna altrove. Dicono che le coste di Connelly siano splendide in autunno.»

L’improvviso rimbombare della campana della fortezza preannunciò l’arrivo degli invasori, così il Governatore e Longinus si portarono immediatamente –per quanto Longinus ne fosse capace, data la sua scarsa affinità con gli sforzi fisici– in cima alla torre panoramica.

Preceduta da squilli di trombe e da un vessillo bianco, rosso e blu fatto di stracci, migliaia di soldati armati e vestiti nei modi più diversi fecero la loro comparsa da oltre la collina a sud, disponendosi in formazione allargata e fermandosi ad alcune centinaia di metri dal centro abitato, al di là della portata di arcieri, balliste e altre armi d’assedio.

Ron non dovette neanche fare ricorso alla sua vista affinata per notare il cavallo bianco di Daemon nel cuore dello schieramento nemico; se ne stava lì, come se avesse voluto mettersi in mostra, mezzo nascosto dietro un pesante mantello e circondato da orchi, minotauri e altri colossi a fargli da scudo.

Vedendo arrivare i ribelli gli abitanti della città si lanciarono naturalmente tutti verso la fortezza, trovando però le porte presidiate dalla guarnigione e in procinto di essere chiuse.

Gli ordini erano chiari: nessun civile era ammesso all’interno del Castello, dato che il poco cibo che si era riusciti a stoccare nei granai affamando migliaia di persone bastava a malapena per i soldati.

E non ci fu pietà per nessuno; qualcuno addirittura ci rimise la pelle nel tentativo di mettersi in salvo oltre le mura sfidando le lance dei legionari.

Nel mentre i ribelli avevano portato avanti le proprie armi d’assedio; il Governatore e il Generale si aspettavano di veder comparire quei maledetti cannoni pronti a scatenare una pioggia di proiettili contro le mura e l’abitato, perciò rimasero un attimo basiti da ciò che si palesò davanti ai loro occhi.

«Catapulte!?» disse Longinus

«E fatte di rottami e scarti di lavorazione, per di più. Devono averle assemblate in tutta fretta. Ma che cosa pensano di farci? È impossibile che possano colpirci da così lontano.»

«Forse vogliono spaventarci spianando la città. Che facciano pure. Meno bifolchi di cui doversi preoccupare.»

E in effetti i ribelli lanciarono qualcosa, ma non quello che tutti si sarebbero aspettati.

Un urlo si sollevò tra i cittadini per le strade.

«Pane! Ci stanno lanciando del pane!»

Ma il peggio doveva ancora venire.

«Generale! Mio Signore!» strillò un legionario apparendo in cima alla torre. «Assieme al pane i ribelli stanno lanciando anche questi!» e passò si due un bigliettino.

 

Abitanti del Castello!

Non siamo vostri nemici.

Il governatore e i suoi cani rabbiosi vi stanno affamando e vi usano come scudi umani per proteggersi.

A loro non importa niente della vostra vita.

Lasciate il villaggio e venite verso di noi.

Non vi sarà fatto alcun male.

I vostri fratelli di Dundee e Basterwick sono pronti ad accogliervi.

I nostri soldati hanno l’ordine di non saccheggiare o rubare niente. Le vostre case e i vostri averi non saranno toccati.

Il comandante delle forze rivoluzionarie.

Daemon Haselworth

 

«Brutto bastardo!» sbottò Longinus facendo a brandelli il foglietto «Sparate su chiunque tenti di abbandonare il villaggio!»

Nessuno dei legionari ancora a disposizione di Ron proveniva da Eirinn; molti però avevano degli amici tra gli abitanti del villaggio, qualcuno persino dei famigliari.

Pertanto nel momento in cui un gran numero di civili scelse di rispondere all’invito mettendosi a correre verso l’esercito nemico la maggior parte dei soldati non se la sentì di obbedire, malgrado l’addestramento. Il risultato fu che nel momento in cui alcuni altri iniziarono a mirare sui cittadini in fuga si scatenò sui bastioni una mezza rivolta.

«A quanto pare ha funzionato, si stanno accapigliando tra di loro.» disse Septimus guardando nel cannocchiale che Daemon gli aveva prestato. «Speriamo solo che non si accorgano che io non sono Daemon.»

«E che quel damerino inquietante non ci abbia imbrogliato.» disse Passe, in piedi accanto a lui. «Per me Daemon sta correndo un rischio inutile.»

 

«Per me stai correndo un rischio inutile Daemon.» disse Scalia per la centesima volta. «Che bisogno c’era che venissi anche tu?»

«Dobbiamo proprio parlarne di nuovo?» rispose il giovane con un sospiro. «Ormai dovresti averlo capito. Non sono certo il tipo di comandante che se ne sta al sicuro dietro le linee aspettando che gli altri facciano il lavoro al suo posto. E poi non mi andava di lasciarti da solo in compagnia di questo damerino.»

«Trovo la tua mancanza di fiducia nei miei confronti profondamente offensiva.» replicò platealmente Adrian. «Credevo di averti ampiamente dimostrato la mia affidabilità.»

«Ne riparleremo quando questa storia sarà finita.»

Con i legionari che si azzuffavano tra di loro e la confusione che regnava al villaggio raggiungere la base delle mura del Castello era stato un gioco da ragazzi.

Vista da lì la fortezza sembrava ancora più imponente e minacciosa, e Scalia non poté non provare un po’ di sollievo al pensiero che sarebbero riusciti ad espugnarla senza bisogno di dover scalare quei bastioni sotto una pioggia di frecce.

«Allora? Dov’è questo passaggio segreto?»

«Proprio qui.» disse Adrian tirando leggermente la testa di un gargoyle.

Ci fu un leggero tremore, quindi una parte delle pietre del muro si abbassarono rivelando l’ingresso di un tunnel.

«Prima le signore.»

«Signore un corno. Io non mi fido di te, se ancora non l’hai capito. Tu vai avanti per primo. E se vedo anche solo l’ombra di un soldato lungo la strada…»

«Sì, lo so. Mi affondi i denti nella gola.»

«Vedo che hai capito.»

«Finitela e andiamo, prima che qualcuno si accorga di noi.»

Adrian usò la sua magia per evocare un globo di luce, quindi i tre si avventurarono all’interno un attimo prima che l’ingresso si richiudesse alle loro spalle.

Per un po’ camminarono lungo un corridoio scavato prima nelle mura e poi direttamente nella terra, destreggiandosi tra stretti pertugi, strapiombi e persino un fiume sotterraneo, fino ad arrivare dopo quasi un’ora in quelle che sembravano le rovine di un antico edificio, talmente grande e maestoso da fare impallidire persino quello in superficie e formare un vero e proprio labirinto.

«Mi raccomando, non perdetemi mai di vista. Qui dentro ci si perde con una facilità sconcertante.»

Bastava guardare i corpi e gli scheletri riversi a terra o appoggiati alle pareti per capire che Adrian non stava esagerando.

«Quindi sono queste le rovine dell’antico palazzo. È molto più grande di quanto mi aspettassi.»

«Le cronache antiche parlano di un grande centro culturale che sarebbe esistito qui più di mille anni fa. Probabilmente si trattava di una città santa dedicata a qualcuno degli Antichi Dei.»

Daemon si sentiva strano; per qualche motivo aveva la sensazione di essere già stato in quei luoghi, il che era ovviamente impossibile. Ma nonostante ciò non riusciva a non percepire qualcosa di familiare in quelle volte diroccate, i muri cadenti e i mosaici ormai quasi completamente scomparsi.

«Ecco, ci siamo.» disse Adrian quando giunsero ai piedi di una scala ricavata direttamente nella roccia. «L’uscita è proprio qui sopra.»

Salirono lungo la scala per diversi minuti, mentre alla roccia naturale andavano sostituendosi gradualmente le fondamenta del Castello, fino ad arrivare davanti all’uscita del passaggio segreto celata dietro a un muro.

Prima di tirare la torcia che faceva da interruttore però, Adrian si girò a guardare severamente i suoi compagni.

«Vi avviso. Quello che vedrete potrebbe non piacervi.»

La porta si aprì all’interno di una specie di prigione costituita da sei piccole celle chiuse da delle grate di legno; la puzza era indescrivibile, ed il terreno era ricoperto di paglia e strane piume colorate, lunghe e ispide.

Raccolta una torcia Scalia illuminò l’interno di uno dei loculi, ma ciò che vide la sconvolse al punto da lasciarla pietrificata.

Rannicchiate nell’angolo più lontano dalle sbarre, tre giovani arpie poco più che bambine giacevano più morte che vive su di una misera stuoia di paglia intrecciata, circondate dalle proprie piume e coperte di sporcizia.

«Per tutti gli dei! Ma è orribile!» disse Scalia quasi sul punto di piangere

«Purtroppo mio padre va matto per le uova di arpia. Per parecchio tempo si è limitato a comprarle, fino a quando non ha capito che era molto più economico fabbricarsele in casa.»

Anche le altre celle erano occupate allo stesso modo, come Daemon scoprì dopo averle esaminate tutte; ma la cosa peggiore i due fratelli la videro nella sesta cella, dove una singola arpia, a prima vista un po’ più giovane delle altre, sedeva da sola circondata dai corpi senza vita delle sue due compagne morte di stenti.

Se negli occhi delle sue compagne non vi era altro che rassegnazione, in quelli di quella ragazza bruciava ancora una piccola scintilla di vita, alimentata dalla brace inesauribile dell’odio.

Quando si avvide della presenza di un umano si scagliò urlando contro di lui, ma era talmente debole e malconcia che malgrado gli artigli su mani e zampe non riuscì neanche a scalfire le sbarre della cella.

«Attento con quella. Il mese scorso ha strappato gli occhi ad una guardia.»

«E allora perché è ancora viva?»

«Perché per mio padre un uovo di arpia maggiore vale molto di più di una guardia accecata. Quello che hanno fatto è stato uccidere le sue compagne e lasciarle nella cella insieme a lei. Dopotutto tutti sanno che le arpie non si ammalano anche se lasciate in mezzo ai cadaveri.»

Quella poveretta era così malridotta che Daemon non si era nemmeno accorto che si trattava di un’arpia maggiore, anche se i suoi lunghi capelli arancioni, ancora capaci di scintillare come il sole al tramonto nonostante lo sporco che li ricopriva, gli avevano fatto venire più di un sospetto al riguardo.

Adrian si ritrovò la spada di Scalia puntata addosso prima di potersene accorgere.

«Dovrei ammazzarti subito!»

«Calmati.» rispose calmo il giovane. «Io non ho niente a che fare con tutto questo.»

«Però lo sapevi! Sapevi che queste arpie erano qui!»

«E che cosa avrei potuto fare? Da secoli le arpie hanno perso la capacità di volare. Anche se avessi provato a farle fuggire pensi davvero che sarebbero potute andare lontano? Se non altro qui sono…»

«Sono cosa? Sono vive? Voi umani siete disgustosi! Secondo il vostro punto di vista dovremmo esservi grati solo perché ci tenete in vita! Per molti di noi perfino la morte sarebbe preferibile a questo!»

«Mi credi davvero così amorale? Non sono un filantropo, ma persino io penso che questo sia troppo.»

Daemon nel mentre non aveva smesso un attimo di fissare la giovane arpia maggiore, sostenendo con lei un silenzioso duello di sguardi in cui nessuno dei due voleva soccombere.

«Come ti chiami?»

La ragazza rispose con uno sputo, che Daemon si tolse dalla guancia senza battere ciglio o smettere di fissarla. Appoggiato su di un tavolo lì vicino c’erano gli avanzi del pasto del guardiano.

«Hai fame?» disse ancora Daemon, che non senza una certa dose di preoccupazione da parte dei suoi compagni infilò la mano oltre le sbarre porgendole un pezzo di pane.

Ancora una volta l’arpia lo fissò con rabbia, sibilando e agitando nervosamente le piume irsute e diradate, ma di uno splendido colore dorato.

Di fronte all’impassibilità dell’umano che le stava di fronte l’arpia parve convincersi, e strappato il pane dalla mano di Daemon lo divorò in pochi bocconi.

«Adesso me lo dici il tuo nome?»

«Perché ti interessa tanto?» rispose lei tornando a fissarlo. «Non sei altro che uno sporco umano.»

«Serve un motivo per voler sapere il nome di qualcuno?»

«… Xylla

«Sei un’arpia maggiore e porti un nome importante. Appartieni ad una famiglia reale?»

«Che importanza ha? La mia famiglia e tutto il mio popolo sono stati tutti uccisi. Noi siamo le uniche rimaste. Ci tengono in vita solo per le nostre uova.»

«Se questo destino ti disgusta tanto, perché non ti sei ancora uccisa?»

Al che lei si scagliò nuovamente contro le sbarre, riuscendo stavolta ad incrinarle.

«Credi che non ci abbia pensato? Ma loro hanno detto che se lo avessimo fatto avrebbero ucciso le nostre amiche! Il drago ha ragione, gli umani sono esseri orribili! Dovreste morire tutti!»

Daemon non si scompose, ma raccolto tutto il cibo che rimaneva dal tavolo lo gettò all’interno delle celle sotto lo sguardo incredulo delle altre arpie.

«Per adesso aspettate qui. Appena la situazione si sarà calmata manderemo qualcuno a tirarvi fuori.» quindi si girò verso i suoi compagni. «Muoviamoci. Questa storia è durata anche troppo.»

 

«È inaudito.» sbottò il governatore sprofondando sul suo scranno nelle sala delle udienze. «Adesso i legionari si ribellano agli ordini dei loro superiori? È per questo che l’Impero sta andando in malora!»

Un servo venne a portargli le solite due uova sode profumate al pepe verde di Maharadi, ottime per quando aveva bisogno di distendere i nervi.

«Mi sono occupato del problema, Mio Signore.» disse Ron. «Ho fatto impiccare un paio dei soldati ribelli e ripristinato la disciplina. Ora gli arcieri sparano su chiunque tenti di lasciare il villaggio, e infatti le fughe per adesso si sono arrestate.»

«Credevo che tu avessi il pieno controllo dei tuoi soldati. Quando questa storia sarà finita non potrò fare a meno di segnalare la cosa a Sua Maestà.»

Il Generale era consapevole che il Governatore avrebbe fatto di tutto per scaricare su di lui tutte le colpe pur di salvare almeno in parte la sua reputazione, ma questo non gli avrebbe impedito di fare fino in fondo il proprio dovere; il che purtroppo passava anche dall’obbedire e piegare la testa davanti a quel grassone buono a nulla.

Un baccano fortissimo e improvviso proveniente da fuori fu il preludio alla catastrofe.

«Che sta succedendo?»

I legionari di guardia alla stanza vennero letteralmente scaraventati contro il portone, aprendolo con le proprie schiene e rovinando mezzi morti sul tappeto di seta.

«Buongiorno, Mio Signore. Felice di rivedervi dopo così tanto tempo.» disse beffardo Daemon entrando nella stanza assieme  a Scalia. «Generale Ron. Le ultime due volte che ci siamo visti siete andato via così di fretta che non ho avuto il tempo di salutarvi.»

«Maledetti! Che ci fate voi qui? Guardie!»

«Non sprecare il fiato, grassone!» disse Scalia «Nessuno verrà a salvarti!»

I due legionari che accompagnavano Ron sfoderarono le armi parandosi a difesa del Governatore e del loro comandante, ma Daemon non ebbe pietà e li uccise entrambi con pochi colpi.

«Questo è per tutti i miei amici che hai ucciso!» gridò quindi Scalia colpendo il Generale con tale forza da tagliarlo quasi in due.

Rimase solo un soldato semplice, che però vista la situazione non ci pensò due volte a gettare la spada ed arrendersi.

Vedendo crollare la sua ultima linea di difesa Longinus rimase per un attimo attonito, salvo poi iniziare a tremare in modo incontrollabile nel momento in cui vide Daemon camminare verso di lui con la spada insanguinata.

«D’accordo, avete vinto voi! La provincia è vostra! Tenetevela pure se volete, ma lasciatemi andare!»

«Non è così semplice, Governatore. Ci sono molte cose di cui dovete rispondere.»

«È stato il Generale! Era lui che faceva tutto! Io ero solo un amministratore! E comunque quello che facevo io qui lo fanno anche tutti gli altri!»

«Questo non vi rende meno colpevole. Ma voi siete il Governatore, pertanto siete responsabile di tutto quello che i servitori dell’Impero hanno fatto in vostro nome per tutti questi anni.»

«Non penserete mica di uccidermi? Sua Maestà non ve la farà passare liscia! Finirete tutti scuoiati! Non osate toccarmi!»

I due ormai erano faccia a faccia, e di fronte a quegli occhi di ghiaccio il Governatore si sentì mancare completamente le gambe ritrovandosi da un momento all’altro seduto per terra.

Quindi, dalla porta ancora aperta entrò nella stanza qualcuno che Longinus conosceva molto bene.

«Ben ritrovato, Padre.»

«Adrian! Sei vivo?»

«Vivo e vegeto, e non certo per merito vostro.»

«Avanti.» disse Daemon facendosi da parte. «Fai in fretta e chiudiamo questa storia.»

Adrian, estratta la spada, si avvicinò al Governatore, che gattonò indietro fino a ritrovarsi con la schiena appoggiata al muro.

«Che stai facendo, figlio mio?»

«Le mie scuse, padre. Vi ho dato molte occasioni per dimostrarmi che mi sbagliavo sul vostro conto. Ma d'altronde lo sterco non potrà mai diventare un diamante, per quanto ci si provi.»

«Adrian! Non puoi farlo!»

«Il valore di un uomo si misura dalla sua ambizione. Sono parole vostre. E purtroppo per voi, la mia è troppo grande per perdere altro tempo dietro ad un fallito quale voi siete. Perciò addio, padre. Il piacere è stato tutto vostro.»

Subito dopo, un urlo straziante riecheggiò in tutto il Castello.

 

All’esterno del Castello si era nel mentre venuta a creare una situazione surreale, con i ribelli da una parte, la guarnigione dall’altra, e gli abitanti nel mezzo.

Sembrava la calma che precede la tempesta, e nessuno nei tre gruppi osava fare una mossa nel timore di far precipitare tutto e dare inizio ad un assalto che non avrebbe risparmiato nessuno.

Poi, una voce si alzò tra gli assediati.

«Non ci posso credere! Guardate lassù!»

Da un momento all’altro la bandiera del leone dorato in cima alla torre principale era stata ammainata, e al suo posto sventolava ora un vessillo di stracci rosso, bianco e blu che molti soldati già conoscevano.

Ovviamente la cosa non passò inosservata neanche ai ribelli.

«Ce l’hanno fatta!» esclamò Septimus. «Hanno preso il Castello!»

Di lì a breve Daemon, Scalia e Adrian uscirono nel piazzale sotto gli sguardi attoniti dei legionari, recando in mano due sacchi insanguinati.

«Il Governatore e il Generale sono morti!» esclamò Daemon esibendo i loro macabri trofei. «La provincia è nostra! Gettate le armi, arrendetevi, e sarete tutti risparmiati!»

Quasi che non aspettassero altro quasi tutti i legionari obbedirono subito all’intimazione ricevuta, chi con evidente sollievo, chi semplicemente con dolorosa rassegnazione di fronte alla consapevolezza di come fosse ormai futile tentare di resistere ulteriormente.

Alla vista dei vessilli della Quindicesima Legione che scomparivano dai bastioni un singolo, rimbombante urlo di vittoria si alzò tra le fila dei ribelli.

«Ce l’abbiamo fatta! – Abbiamo vinto! – Lunga vita a Daemon!»

«Allora è vero.» disse Scalia come se non riuscisse a crederci. «Abbiamo vinto. È davvero finita.»

«No, Scalia.» disse severamente Daemon. «Tutt’altro. Questo è solamente l’inizio.»

 

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti!

E alla fine ci siamo.

La Rivoluzione è vittoriosa.

Ma come ha detto Daemon questo è solo l’inizio, e la strada che porta all’unificazione di Erthea e alla sconfitta del Re dei Demoni è ancora molto lunga.

Ho voluto condensare tutti questi eventi in un solo capitolo per non spezzare la narrazione, e vi preannuncio fin da ora che anche l’epilogo sarà piuttosto lungo.

Poi, a Dio piacendo, dovrei tornare a capitoli dalla lunghezza più umana.

A presto!^_^

Cj Spencer

 

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Cj Spencer