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Autore: vannagio    17/10/2023    2 recensioni
Quella era davvero una giornata del cazzo. E JD ne aveva le palle gonfie, di quella merda. Dieci farfalline in un giorno erano troppe per fino per il Santo Protettore Dei Tatuatori. Che forse non esisteva affatto, vista e considerata la ragazzina che era appena entrata nel suo negozio di tatuaggi. C’era solo un tipo di ragazza che JD detestava più della solita Barbie Voglio Una Farfalla Sull’Inguine, ovvero la classica Bellezza Dark.
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Una storia di metallo e inchiostro'
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Dedicata a Dragana!
Un’amica come te meriterebbe una storia migliore… ti prometto che proverò a rimediare in futuro.
Nel frattempo, buon compleanno!




Secondo Extra
-Il segreto di Pulcinella-




Honey aveva appuntamento con JD all’orario di chiusura, perciò era già buio pesto quando imboccò il vicolo del negozio di tatuaggi. La vetrata d’ingresso era lo schermo acceso di un televisore in mezzo a una stanza buia. A una manciata di passi dalla maniglia, Honey si fermò a sbirciare.
Darla era sdraiata di schiena sul divano: il caschetto corvino sparpagliato a ventaglio sul bracciolo, i seni sul punto di straripare da sotto il top nero striminzito, la giarrettiera tatuata sulla coscia lasciata in bella vista dagli shorts cortissimi, i piedi posati sul grembo di JD e dei piccoli batuffoli di cotone incuneati tra un dito e l’altro. JD aveva legato i capelli in un insolito cipollotto alto, con la mano sinistra reggeva una boccetta di smalto nero, con la destra un pennellino. Sul tavolinetto quadrato di fronte al divano, accanto a una bottiglia di tequila piena per metà, c’erano due bicchierini. Uno esibiva come un distintivo l’impronta rossa di una bocca. La stessa tonalità di rosso delle labbra di Darla, che in quell’istante erano tese in una risata sguaiata. JD scuoteva la testa con aria rassegnata, mentre stendeva pennellate ferme e precise sull’unghia dell’alluce. Per qualche istante, Honey si imbambolò a contemplare i movimenti fluidi di quella mano tatuata ed esperta, che fino alla sera prima aveva spennellato carezze altrettanto scrupolose e attente sul suo corpo. Quel pensiero la aiutò a stroncare sul nascere il principio di mal di pancia che minacciava di attanagliarle lo stomaco.
Il campanello trillò quando finalmente Honey si decise a varcare la soglia e fu come spezzare un incantesimo, far esplodere una bolla di sapone o lasciar andare il respiro che non ci si era resi conto di aver trattenuto. La risata di Darla si mozzò a metà e JD sollevò lo sguardo dalla sua opera d’arte col pennellino gocciolante sospeso a mezz’aria.
«Ehi, ciao».
Honey si trattenne a stento dal massaggiarsi il polso destro.
«Sono in anticipo?».
JD sorrise.
«No, affatto. Sei in perfetto orario».
«Faccio sempre un macello con lo smalto», disse Darla. Aveva incrociato le braccia dietro la nuca, in una posa languida, da gatta pigra. La collana di tribali intorno al collo puntava come una freccia in direzione dell’incavo tra i seni. «Ho chiesto a JD di aiutarmi».
Honey rinsaldò la presa sul borsone e annuì.
«Finite pure con calma. Nel frattempo io comincio a prepararmi per la festa».
Con la porta chiusa del cesso alle spalle e il suo riflesso torvo allo specchio davanti, Honey si massaggiò lo stomaco e sospirò.
Sei una cretina, si disse.



Se c’era una cosa in cui Greg senza alcun dubbio eccelleva, dopo la cucina e i consigli di stile, era organizzare feste. Nel suo loft alla moda da socio di uno studio di architettura discretamente affermato, si era raccolta praticamente mezza Williamsburg. Distinguere gli amici di gioventù dai clienti distinti o gli imbucati dagli amici degli amici, però, era praticamente impossibile. Almeno a una prima occhiata.
«Certo che Greg prende le feste di Halloween molto sul serio, eh?».
Honey indicò con un cenno del capo il padrone di casa, travestito da Conte Dracula. Stava flirtando con una Beatrix Kiddo e una Sarah Connor. Contemporaneamente.
«Altroché», confermò JD. «È un’ossessione patologica, la sua».
L’appartamento era stato trasformato in un castello stregato, con scheletri e cadaveri impiccati che pendevano dal soffitto, pareti tappezzate di ragnatele, arazzi impolverati alle finestre e inquietanti strumenti di tortura sparpagliati un po’ ovunque. Sul tavolo del buffet, il cibo aveva un aspetto disgustoso: bulbi oculari in gelatina, spiedini di ragni, vassoi colmi di dita umane arrostite, caraffe di sangue, sandwich ai vermi. Honey tentò con una lingua caramellata e…
«Ohmmioddio, è squisita!».
«Questa sa di menta». JD stava sorseggiando una roba vischiosa color vomito che gli aveva impiastricciato i denti di un verde giallastro. «Ehi, guarda, ci sono anche Connor e Rouge».
Honey li salutò sventolando una mano. Si dovette trattenere dal ridacchiare, perché se da un lato Rouge era da togliere il fiato e perfettamente a suo agio nei panni di una conturbante Jessica Rabbit, dall’altro Connor aveva il volto paonazzo di chi si vergogna come un ladro. O magari stava solo scoppiando di caldo, dentro a quel costume da Roger Rabbit. I due piccioncini risposero al saluto con entusiasmo, ma prima di avere l’occasione di raggiungerla furono intercettati da un gruppetto di persone che sembravano parecchio in confidenza con Rouge.
«Dovrebbero esserci anche Ben e Jonathan», disse Honey, guardandosi intorno. «Greg mi ha detto che potevo invitare qualche amico. È stato carino da parte sua».
«Sai chi altri è molto carino, stasera?». JD la colse di sorpresa cingendole la vita con un braccio e stringendosela contro il petto. Le dita della mano libera si erano già insinuate sotto la gonna, a giocherellare con l’orlo delle calze a righe. «Tu».
Honey avvampò, ma gli posò il dito indice sulle labbra.
«Tieni quei denti verdastri lontano da me, per favore».
«Posso provarci. Non prometto nulla, però». Le sopracciglia di JD fecero su e giù in modo allusivo sotto la tesa del cilindro sfondato, facendola ridere. «Il Cappellaio Matto è un tipo imprevedibile».
Chi sei tu e che ne hai fatto di JD?
«Se devo essere sincera, io Alice l’ho sempre shippata col Bianconiglio».
Di fronte al sorriso malizioso di Darla, apparso dal nulla come (oh, vaffanculo!) quello dello Stregatto, Honey alzò gli occhi al soffitto.
«Il Bianconiglio? Sul serio? Ma se è il personaggio più noioso della storia!».
«Dici? Non lo so. A me l’intellettuale con l’occhialetto sexy attizza. E poi lo sanno tutti che il Cappellaio e la Lepre Marzolina scopano come conigli».
JD mollò (purtroppo) la presa su Honey (per colpa di quella maledetta troia) e sbuffò.
«Questa faceva veramente cagare, Darla».
Lei si strinse nelle spalle.
«Non è colpa mia se non avete senso dell’umorismo».
Si stava arrotolando la lunga treccia finta intorno all’indice, simulando nonchalance. Honey valutò il suo travestimento con una lenta occhiata dall’alto in basso.
«Lo sai che Carrie Fisher detestava questo costume?».
Darla fece ondeggiare i fianchi, strizzandole l’occhio. Le catenine che sorreggevano il lungo velo davanti alla passera tintinnarono in modo sensuale.
«Meno male che non sono Carrie Fisher, allora».
Una pacca sulla spalla risparmiò ad Honey la fatica di elaborare una replica al vetriolo.
«Honey, devi spiegarmi come sei riuscita a convincere JD a mascherarsi», disse Nathan. Per l’ennesima volta, quella sera, si tirò indietro alcune ciocche della parrucca bianca. Continuavano a cadergli davanti alla faccia truccata da teschio. Probabilmente stava rimpiangendo di aver scelto una delle prime versioni di Eddie The Head per il suo costume. «Sono anni che ci proviamo senza alcun risultato».
«Be’, magari Honey è stata capace di presentare delle argomentazioni a sostegno della tesi un tantino più convincenti delle nostre». Greg si era unito alla conversazione insieme a Nathan e amicava da sopra gli occhialetti scuri. «Non so se mi spiego».
Mentre Honey non poteva fare a meno di arrossire (perché in effetti l’accordo sul costume di coppia prevedeva l’uso del costume di coppia anche durante la… consumazione del dessert post-festa), JD si limitò a mandare giù un sorso della poltiglia verde, rivolgendo ai due un’occhiata per niente impressionata.
«Molto sottile. Complimenti».
«Ehi, quello con la mente perversa sei tu, caro mio». Greg ghignò, lasciando intravedere un canino appuntito. Il look di Gary Oldman nel film Dracula di Bram Stoker gli donava parecchio e, se doveva fare una stima sulla base delle occhiate che le altre ragazze alla festa gli stavano rivolgendo, Honey non era l’unica di questa opinione. «Io mi stavo riferendo al suo indiscusso talento come futuro avvocato».
«Comunque non è vero che questa è la prima volta che viene convinto a mascherarsi», si intromise Hiroshi. Aveva sgraffignato un bulbo oculare dal tavolo del buffet e si era messo immediatamente alle calcagna di Greg. Col suo fisico mingherlino e quei capelli nerissimi, impersonava un Elle perfetto col minimo sforzo. «Vi ricordate quando gli abbiamo appiccicato la targhetta adesiva Dio alla camicia?».
«È vero, hai ragione!».
«E poi Darla si è vestita da Giovanna D’Arco».
«Una sexy e succinta Giovanna D’Arco!».
Darla rise.
«Non ero così succinta».
«See, come no. Tu non sei succinta solo quando parli».
«Fatemi indovinare», azzardò Honey. «Giovanna D’Arco perché… anche lei aveva una relazione molto stretta con Dio?».
Cinque bocche si ammutolirono all’improvviso. Cinque paia di occhi sbigottiti si posarono su di lei.
Oddio. Ho fatto un’altra delle mie figure di merda, per caso?
«Che c’è? Che ho detto?». Honey li squadrò uno ad uno, torva. «Non sono mica così giovane da non aver visto Buffy, eh?».
Quattro su cinque distolsero lo sguardo. La quinta, Darla, si schiarì la voce.
«Oh, guardate, sono arrivati Big D e Tiffany. Cazzo, quei costumi da Coniugi Frankestein sono proprio azzeccatissimi!».



Honey si era allontanata dal gruppo di JD con l’intenzione di scambiare quattro chiacchiere con Connor e Rouge. Voleva anche tentare di rintracciare Ben e Jonathan. Chissà dove e con chi si erano imboscati, quei due. Avevano lasciato solo una serie di messaggi sconnessi sulla chat di gruppo. Durante il tragitto, però, aveva deciso di fare una piccola sosta al tavolo del buffet per riempirsi il bicchiere di sangria rosso sangue e il piattino di lingue caramellate. Erano veramente buone.
«…da cosa è vestita secondo te?».
«Boh? Schiava sexy? Danzatrice del ventre sexy? Qualsiasi Cosa Basta Che Sia Sexy?».
Honey spiò di sottecchi alla sua sinistra, da dove provenivano le voci. Due ragazze, una non meglio identificata infermiera e una noiosissima già vista mille volte gatta nera, confabulavano a un volume discreto ma non abbastanza davanti alla torta a forma di testa decapitata. Non le servì origliare a lungo per capire di chi stessero spettegolando.
«Non so, mi ricorda qualcosa», disse la gatta nera. «Credo che abbia a che fare con un qualche film di fantascienza».
«Ah, okay. Quindi si è vestita da troia spaziale».
«Praticamente l’outfit da tutti i giorni per una come lei».
Mentre lo scambio si concludeva con delle fastidiosissime risatine divertite, Honey si ficcò in bocca l’ennesima lingua caramellata e gonfiò le guance come una rana.
Allora.
Dunque.
Sì. Divertente, per carità. Cioè, anche no. Al massimo un po’.

Non era un mistero che tra Honey e Darla non corresse buon sangue. Non era un mistero che lei avesse detto cose ben peggiori di e a Darla. Non era un mistero che Darla fosse a tutti gli effetti una… ragazza generosa? Per qualche motivo, in quel frangente, usare la parola troia per riferirsi a Darla come faceva di solito (diciamo anche di continuo) la metteva a disagio.
Ma.
Insomma.
Voglio dire.

Non era mica la stessa cosa, giusto? Honey era la ragazza di JD e Darla era la migliore amica di JD. Insultarsi a vicenda era… una specie di accordo consensuale? Un contorto leit motiv? Il loro modo di rapportarsi l’una all’altra? Appunto. Di qualunque cosa si trattasse, quel qualcosa era loro. Loro, e basta. Di nessun altro.
Forte di quell’impeccabile e per niente cervellotico ragionamento, Honey ingoiò il boccone, abbandonò bicchiere e piattino sul tavolo e, mettendo su un cipiglio battagliero, picchiettò sulla spalla della gatta nera. Che si voltò lentamente, rivolgendole la stessa identica espressione della gattina Minou quando qualcuno disturbava il suo pisolino pomeridiano. Come osi infastidirmi, sciocca umana?
«Sì?».
«Scusatemi tanto». Honey cercò di iniettare tutto il veleno di cui era capace in quelle due parole. «Non era mia intenzione ficcanasare, ma non ho potuto fare a meno di ascoltare e così mi è sorta spontanea una domanda…». Si grattò il mento con aria pensosa. «Questa ossessione per la vita sessuale altrui serve in qualche modo a nascondere l’insoddisfazione che provate per la vostra, di vita sessuale? O siete semplicemente delle patetiche stronze?».
Forse presa in contropiede, l’infermiera boccheggiò un paio di volte come un pesce, prima di riuscire ad articolare parole di senso compiuto. Che poi era una sola, la parola.
«Prego?».
Honey incrociò le braccia e sbuffò spazientita. Stronze e stupide, di bene in meglio.
«In poche parole, vi stavo chiedendo se scopate abbastanza. Per inciso, secondo me la risposta è no».
L’infermiera tornò a boccheggiare. Troppe informazioni da processare tutte insieme, probabilmente. La gatta nera, invece, rizzò il pelo indignata come… proprio come una gatta. Si è calata parecchio nella parte, si vede.
«Si può sapere chi cazzo sei tu? Chi ti conosce? Chi ti ha chiesto niente?».
«Secondo inciso», continuò Honey, senza curarsi di rispondere. «Quello di Darla è un costume da Principessa Leila, episodio sei della saga di Star Wars. E qui scatta la seconda domanda, quanto cazzo bisogna essere fuori dal mondo per non conoscerlo? In ogni caso, è un costume di Halloween dieci volte più originale di un camice macchiato di ketchup e una calzamaglia nera con le orecchie ficcata sulla testa a mo’ di preservativo».
Con sua grande sorpresa, però, l’arringa finale non sortì l’effetto sperato sulle sue avversarie. O meglio, l’infermiera era ancora in alto mare. La gatta nera, al contrario, non pareva aver prestato molta attenzione alle sue parole: aveva prima aggrottato la fronte e poi inarcato le sopracciglia, come qualcuno che è appena venuto a capo di un difficilissimo rompicapo.
«Oh, aspetta». Applaudì entusiasta. «Molto giovane, capelli biondi, carattere di merda, lingua biforcuta… Adesso ho capito chi sei, sei la baby-fidanzata di JD!».
L’infermiera emise un ooooh di stupore molto genuino.
«Sei molto tenera, lo sai?». La gatta si stava letteralmente leccando i baffi dalla soddisfazione. «Ma… gioia, tesoro della zia, credimi, te lo dico col cuore in mano, dovresti scegliere meglio le persone per cui scendi in battaglia».
Di che cazzo blatera, ‘sta stronza? Decise di parafrasare il concetto.
«Dovrei capire cosa intendi?».
La risposta arrivò a bruciapelo. Come uno schiaffo, anzi no, una zampata in piena faccia.
«Intendo che se fossi in te non sprecherei energie a difendere la tizia che si è trombata il mio ragazzo».
Per fortuna Benedetta le aveva insegnato a incassare. Letteralmente e metaforicamente. Honey fu molto fiera di sé per la prontezza di spirito con cui le scoppiò a ridere in faccia.
«Stronzate. Sono solo un mucchio di stronzate».
«Darla si è scopata chiunque». La gatta roteò le mani in aria. «Che c’è? Credevi che il tuo JD fosse speciale? Credevi di aver trovato l’unico uomo sulla faccia della terra immune al potere della sua figa?».
«Che dolce!», rincarò l’infermiera. Il suo era il tono di voce stucchevole che una vera infermiera avrebbe rivolto solo a un malato terminale. «Sei così dolce che quasi mi dispiace per te».
Honey scosse la testa, più per scacciare la pulce che tentava di insinuarsi nel suo orecchio che per negare.
«Siete… siete penose. Secondo voi mi faccio mettere in crisi da un’evidente minchiata inventata su due piedi da un paio di stronze che cercano di recuperare la faccia? E… ammesso e non concesso che sia vero, perché due tizie qualunque dovrebbero essere a conoscenza di una cosa del genere?».
«Come perché, tesoro! Lo sanno tutti, è il segreto di Pulcinella», sbottò la gatta. «Ad ogni modo, se non credi a noi…». Puntò l’indice munito di artiglio verso qualcosa alle spalle di Honey. «…puoi chiedere direttamente a lei. Tanto siete pappa e ciccia, no?».
Il qualcosa alle sue spalle era qualcuno. E non un qualcuno qualsiasi.
Darla.
Che aveva ascoltato tutto (o almeno l’ultima parte), ce lo aveva scritto in faccia.
Honey tentò di allentarsi il colletto, annaspando.
«Sono solo stronzate, non è vero?».
Darla aprì la bocca, ma la richiuse subito. Fece per portarsi una ciocca dietro l’orecchio, ma a metà del movimento parve ricordarsi che aveva i capelli acconciati in una treccia e lasciò perdere. Infine, abbassò lo sguardo.
«Dovresti parlare con JD».
Greg si sbagliava, era succinta anche nel parlare.
Aria.
Mi manca l’aria.
Non c’è abbastanza aria qui dentro.

Allentarsi il colletto non era più sufficiente. Honey si fiondò verso l’uscita dell’appartamento senza guardarsi indietro, o intorno. Senza sapere chi si fosse accorto di cosa, o se Darla avesse provato a fermarla. Le chiacchiere, gli schiamazzi, la musica… si erano fusi in un brusio di sottofondo che non le dava alcun indizio. Come quando da bambina mischiava tutti i colori insieme e alla fine otteneva solo una indistinguibile poltiglia marrone. Nemmeno la vista la stava aiutando granché, davanti a sé aveva solo un lungo e stretto tunnel claustrofobico che terminava sulla porta d’ingresso.
Aveva quasi raggiunto la meta, quando si sentì trattenere per un braccio.
«Honey, che succede?».
Connor. Con un paio di orecchie da coniglio in cima alla testa. Accanto a lui, una sagoma rossa.
«Io… Mi dispiace, devo andarmene. Non posso rimanere».
Lui la fissò dritto negli occhi per un tempo probabilmente breve ma che le sembrò dilatarsi fino a tendere verso l’infinito. Tre vite (o forse secondi) più tardi, Connor cercò con lo sguardo la sagoma rossa che aveva a fianco.
Oh, Rouge. Giusto.
La ragazza annuì, prima ancora che lui avesse occasione di fiatare.
«Vai».



«Mi dispiace di avervi rovinato la serata, ragazzi».
«Non dirlo nemmeno per scherzo», disse Ben.
«Non era poi questa gran festa», gli fece eco Jonathan.
Seduta a gambe incrociate sul polveroso divano rosso del garage di Ben, Honey rimestava il cucchiaio nella vaschetta di gelato ormai mezzo sciolto. Era il suo gusto preferito, caramello salato. Ben era stato così premuroso da sbriciolarci dentro un bel pugno di oreo, proprio come piaceva a lei. Nel giro di dieci minuti ne aveva spazzolato via la metà, non era una novità che quando era frustrata le venisse fame. Adesso aveva mal di pancia, anche se aveva il sospetto che il gelato c’entrasse poco.
Connor faceva il giocoliere con le bacchette da batterista, appollaiato sullo sgabello dietro la batteria. Si era liberato del costume, aveva tenuto solo le orecchie da coniglio. Quando si accorse di essere osservato, abbozzò un sorriso senza smettere di far roteare le bacchette in aria.
«Non ti preoccupare. Avrei perso almeno mille punti agli occhi di Rouge, se ti avessi mollata lì da sola in quello stato».
«Così però hai mollato lei, lì da sola. Come fa a tornare a casa?».
«Le ho dato le chiavi della mia macchina. E non è sola, ha incontrato degli amici alla festa».
Decisa a ignorare i crampi, Honey si portò un altro cucchiaio di gelato alla bocca. La televisione era accesa in modalità muto sul film La Morte Dei Morti Viventi.
«Se hai lasciato l’auto a lei, come ci siamo arrivati qui?».
Ben sollevò lo sguardo dal solitario a cui stava giocando, sdraiato a pancia in giù per terra, e inarcò un sopracciglio.
«Ehm. Con la mia auto, no?».
«Ah, giusto».
Non aveva un ricordo molto chiaro di quello che era successo fuori dall’appartamento di Greg. In corridoio avevano incontrato Ben e Jonathan, travestiti rispettivamente da lupo mannaro e vampiro, anche se si era accorta dei loro costumi solo dopo, al garage, in seguito alle prime cinque cucchiaiate di gelato. Il tragitto in auto era stato confuso e sfocato, non ricordava di essere salita sul sedile del passeggero, o di aver contemplato il traffico fuori dal finestrino, o di aver parlato con i ragazzi. Nelle orecchie continuavano a risuonare sempre le stesse parole (Lo sanno tutti, è il segreto di Pulcinella!) e davanti agli occhi continuavano ad apparire flash di JD e Darla avviluppati l’uno all’altra come anguille.
«Dovresti smetterla di rimuginarci».
«Wow, Jonathan. Gran bel consiglio, complimenti. Sai anche suggerirmi un metodo efficace per smettere?».
Jonathan, col mantello da vampiro buttato addosso a mo’ di copertina, stava strimpellando il basso cercando di stare dietro agli accordi di Kiss Me, I’m Shitfaced dei Dropkick Murphys, perciò perse un po’ di tempo a elaborare una risposta.
«Potresti pareggiare i conti scopando con uno dei tuoi amici». Le rivolse un sorriso tutto denti aguzzi. «Mi offro io volontario. È uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo».
«Oppure potresti scopare con Darla», gli diede manforte Ben. Stava rimescolando il mazzo del solitario e mimò l’atto di ululare alla luna, prima di specificare: «A patto però che mi sia data la possibilità di assistere».
I piatti della batteria fecero splash.
Honey scagliò un cuscino contro Connor, mirava alla faccia ma la mancò clamorosamente.
«E tu? Non hai suggerimenti geniali da darmi, tu?».
«Uhm». Connor mise su una faccia seria. «Non so, non sono rimaste molte opzioni. Una cosa a tre con Darla e JD?».
Un altro splash chiuse la freddura.
Jonathan si tappò la bocca per trattenersi dal ridere. Una delicatezza che Ben non si sognò nemmeno di imitare (infatti, era sbottato a sghignazzare come un lupo). Solo Connor, dall’alto del suo sgabello, ebbe il buon gusto di limitarsi a farle l’occhiolino.
Honey ci provò, ci provò davvero a indignarsi, a fare l’offesa, a prenderli a randellate sulla testa, o a bestemmiare come un’indemoniata, ma alla fine anche lei (vaffanculo!) si lasciò andare a una sonora risata. E probabilmente di lì a poco il suo mal di pancia avrebbe potuto anche andare via, se non fosse stato per l’improvviso bussare alla porta del garage che glielo mise di nuovo sotto sopra.
«Che vuoi che faccia?», chiese Ben, tornato serio.
Honey scambiò un’occhiata prima con Jonathan, poi con Connor, e prese un bel respiro profondo.
«Vai a vedere chi è».
Lo stridere del metallo contro metallo sovrastò la voce di Ken Casey finché la saracinesca non si fu sollevata abbastanza da lasciar passare una persona adulta. Quando finalmente riuscì a mettere a fuoco la sagoma sulla soglia, Honey scattò in piedi furiosa (e anche un po’ delusa). La vaschetta di gelato ruzzolò per terra.
«Che cazzo ci fai tu qui?».
Darla indossava ancora il costume da Slave Leila, aveva aggiunto solo un giacchino leggero di jeans nel vano tentativo di coprirsi un po’.
«Dobbiamo parlare, Honey».
«Non abbiamo proprio un cazzo di niente da dirci».
«Senti, non siamo all’asilo. Possiamo saltare i convenevoli e andare dritto a punto, per favore? Rimandiamo questa conversazione da troppo tempo, ormai».
I ragazzi si erano come freddati sul posto, spostando lo sguardo alternativamente da Darla a Honey.
«Come diavolo facevi a sapere che ero qui?».
Darla roteò gli occhi.
«Sei andata via con i tuoi amici. Dove altro potevi essere?».
«Chi ti ha dato questo indirizzo? Non dovresti nemmeno conoscerlo!».
Per la seconda volta nella stessa serata, Darla aprì la bocca come per dire qualcosa, per poi chiuderla subito dopo. Brutto, bruttissimo segno. Honey passò in rassegna le facce dei suoi amici, in cerca di un qualche suggerimento. Due di loro parevamo improvvisamente molto interessati alle punte delle loro scarpe.
Honey sbarrò gli occhi. Ti prego, ditemi che ho capito male.
«Mi state prendendo per il culo?».
Connor sollevò le mani in segno di resa.
«Ehi, non guardare me. Mi vedo con Rouge da prima che mi presentassi Darla».
«Sei stata tu a insistere perché socializzassimo con gli amici di JD», si difese Ben.
Honey pestò il piede a terra, ringhiando.
«Non era quello che intendevo!».
«Dovevi essere più precisa, allora», intervenne Jonathan.
Se fosse stata un cartone animato, le sarebbe cascata la mascella per terra e le sarebbero schizzati gli occhi fuori dalle orbite. Darla, intanto, si massaggiava l’attaccatura del naso con aria spazientita.
Spazientita.
SPAZIENTITA, LEI?

«C’è una persona nella mia vita che non ti sei scopata?».
La troia sospirò, come una maestra di fronte a un’alunna particolarmente dura di comprendonio.
«Non credo che rispondere a questa domanda contribuirebbe in modo costruttivo alla conversazione».
«OH. MIO. DIO».
Honey si lasciò cadere a peso morto sul divano e si mise le mani nei capelli. Non può essere vero, questo è un incubo. Un film dell’orrore. Appropriato, in fondo. Era o non era la notte di Halloween?
«Ragazzi, venendo in qua ho visto una tavola calda», disse Darla, dopo qualche istante di silenzio imbarazzato. «Perché non prendete qualcosa da mettere sotto i denti? Ho la sensazione che sarà una lunga notte. Offro io».
Aveva allungato a Ben una manciata di banconote, ma lui non le prese. Insieme a Connor e Jonathan, fissava Honey in attesa che si pronunciasse riguardo alle sue intenzioni.
Massì, che cazzo me ne fotte. A questo punto, cosa ho da perdere? Se vuole parlare, parliamo e vaffanculo.
«Voglio un cheeseburger», disse, all’improvviso esausta. «Con doppio bacon».
Non era una novità, quando era frustata le veniva fame.



I ragazzi erano appena usciti dal garage. Darla lanciò il giacchino di jeans su una sedia, raccolse la vaschetta di gelato dal pavimento e prese posto sul divano accanto a Honey. Dopo aver ingollato una generosa cucchiaiata di caramello salato mezzo sciolto (con un’espressione che avrebbe fatto invidia alla Tiffany dei tempi d’oro), arricciò il naso e storse la bocca in una smorfia.
«Bleah. È troppo dolce. Stucchevole!».
Honey le strappò di mano cucchiaio e vaschetta.
«È il MIO gelato, deve piacere a me, non a te. Non te lo ha mica prescritto il dottore che ti devono piacere per forza le cose che piacciono agli altri».
Le labbra di Darla si incurvarono all’insù.
«Stiamo ancora parlando del gelato?».
«Non avevi detto che volevi saltare i convenevoli?».
Si fissarono. Poi Darla annuì.
«Giusto. Via il dente, il via il dolore. Maledizione, avrei dovuto portare della tequila». Intinse l’indice nel gelato e se lo succhiò voluttuosamente, ignorando il Pensavo ti facesse cagare! di Honey. Infine abbracciò un cuscino a mo’ di peluche e si lasciò andare contro lo schienale del divano. «Tu non mi piaci», esordì, guardando Honey di sbieco. Cominciò a elencare sulle dita della mano destra. «Sei arrogante, infantile, viziata e un’autentica figlia di papà. Tutti ti trattano come la principessa di ‘sto cazzo». Le dita della mano destra si erano esaurite in fretta, passò a quelle della mano sinistra. «Non hai mai dovuto romperti il culo un giorno in vita tua, non ti sei mai guadagnata nulla, tuo zio ti ha regalato una moto che probabilmente vale quanto un anno del mio stipendio e sono convinta che gran parte dei tuoi problemi derivino dal fatto che da bambina nessuno ti abbia detto no o dato una sonora sculacciata quando serviva».
«Sto cercando un part-time», la interruppe Honey, massaggiandosi il polso destro. Aveva infossato la testa nelle spalle come una tartaruga. «E la moto… l’ho venduta. Era superflua. Con mio padre in prigione… ho pensato che era meglio impiegare quei soldi in qualcosa di più utile. Tipo la retta del primo anno di università».
Darla le rubò un’altra ditata di gelato.
«Ti rendi conto che dire che la tua moto vale quanto la retta di un anno di università non ti mette in una luce migliore, vero?».
Chissà cosa ti aspettavi con ‘sta patetica rivelazione, che magicamente cambiasse idea sul tuo conto? Honey si spostò sul pavimento, portando con sé la vaschetta del gelato. Poggiò la schiena alla seduta del divano, lo sguardo fisso sul televisore.
«Questo tuo bel discorso arriverà mai a un punto, a parte insultarmi?».
Fruscio di stoffa. Tintinnio di catenelle. Un sospiro.
«Il mio punto è. Tu non mi piaci. Ma voglio bene a JD. JD vuole bene a te. E questo io lo rispetto. Non farei mai qualcosa per mettere in pericolo la vostra relazione. JD ed io abbiamo fatto sesso una volta sola, è successo eoni fa, prima che tu nascessi». Ah ah ah, che simpatica. Honey si tappò la bocca con una cucchiaiata di gelato. «Non è ricapitato mai più e non è stato altro che una scopata, una botta e via. Non c’è niente tra noi. Nada. Nichts. Zero. Siamo solo amici».
Honey aspettò pazientemente che il gelato si sciogliesse sulla lingua, di percepire la nota salata in mezzo a tutto quel dolce, prima di mandare giù.
«Lo so».
«Bene, perché…». Una lunga pausa. «Aspetta, lo sai?».
Sullo schermo muto del televisore, un gruppo di zombie stava facendo a pezzi una comparsa.
«Per trenta, orribili minuti della mia vita, ho creduto che JD mi avesse tradito. Poi ho mangiato il gelato e sono tornata in me. Lui non è il tipo. Nemmeno tu, nonostante la tua fama».
Di nuovo il fruscio. Ancora il tintinnio. Il primo piano sullo stomaco sventrato venne sostituito dal volto incazzato di Darla.
«Mi spieghi che cazzo ci faccio qui? Perché ci stiamo torturando in questo modo? A quest’ora potevo essere seduta sul cazzo di quel fantastico Jack Sparrow che mi faceva il filo alla festa. E invece sono qui, a ghiacciarmi le chiappe sul pavimento di un fottuto garage. Con te».
«Non te l’ho mica chiesto io di venire qui. Io non ti voglio qui. Perché sei qui? Perché non c’è JD?».
Darla sbuffò.
«Figurati. Era già in macchina per venire da te, quando l’ho raggiunto. L’ho convinto che era meglio se prima ci facevamo quattro chiacchiere, tu ed io».
«Allora fammi il cazzo di piacere di non lagnarti. JD mi ha tenuto nascosto una cosa che a quanto pare mezza New York sapeva già. Senza una fottuta motivazione valida, tra l’altro. Mi è concesso di essere incazzata almeno per una sera, o è chiedere troppo?».
L’espressione accigliata di Darla si sciolse in una più neutra.
«No, non è chiedere troppo».
«Grazie».
«Prego».
Darla, però, non aveva intenzione di mollare l’osso.
«È davvero tutto qua?».
Un’altra lunga pausa. Per non doverla guardare in faccia, Honey si concentrò sul cucchiaio con cui stava grattando il fondo della vaschetta. Aveva davvero intenzione di vuotare il sacco? Con Darla? Ti sei rincoglionita tutta in una volta, per caso?
«Una cosa ci sarebbe. Ma è stupida».
«Tanto con te ormai mi sono abituata alle cose stupide».
Sempre adorabile, non c’è che dire.
«Prima hai detto che siete solo amici, tu e JD. Ma non è così». Lasciò perdere vaschetta e cucchiaio, prese a rincorrere col dito i contorni dei rovi e delle rose intorno al polso. «Detesto l’espressione solo amici. Che significa? Che l’amicizia è meno importante? Mia madre dice sempre guarda che gli amori vanno, gli amici restano. Ed è vero. Magari un giorno io non ci sarò più, tu invece ci sarai ancora per JD. Un per sempre è raro, ma è più facile che si avveri tra amici. Vi conoscete da tanto, sapete praticamente tutto l’uno dell’altra. Tra voi c’è un’intimità e una confidenza che...», si massaggiò sopra l’ombelico, «che mi mette un po’ di mal di pancia, a volte. Non è gelosia, non credo. Nemmeno invidia, perché anch’io ho degli amici». Si sfregò il polso e si strinse nelle spalle. «Non lo so, è una roba ingarbugliata. Sapere che voi due non eravate stati insieme in quel senso mi consolava un po’. Mi piaceva l’idea di conoscere almeno un lato di lui che tu non avevi visto». Finalmente trovò il coraggio di guardarla. «Ti avevo avvertita che era una cosa stupida, quindi risparmiami le prese per il culo, okay?».
«Non è stupida». Darla si portò una ciocca sfuggita alla treccia dietro l’orecchio. Deglutì a vuoto. «Mi dispiace che tu abbia dovuto scoprirlo così. Ho seguito la discussione con le due stronze solo fino a un certo punto. Mi sono distratta un attimo, solo un attimo, e quando ho capito cosa stava per succedere, era già tardi. È successo tutto troppo velocemente».
Honey annuì.
«Va bene. Non è colpa tua».
Darla strisciò al fianco di Honey. Sullo schermo del televisore scorrevano i titoli di coda. Ken Casey cantava imperterrito in sottofondo.
Some may be from showing up
Others are from growing up
Sometimes I was so messed up and didn’t have a clue
I ain’t winning no one over
I wear it just for you
I’ve got your name written here
In a rose tattoo

Darla si schiarì la voce.
«Grazie, a proposito. Per aver preso le mie difese. Non era necessario, ma… grazie».
«Non l’ho fatto perché era necessario». Honey urtò la spalla di Darla con la sua, e le fece la linguaccia. «Solo io posso darti della troia».
Darla ricambiò lo spintone.
«Cristo, che stronza insopportabile».



Si era ripromessa di aspettare fin all’indomani mattina, ma lo stomaco farcito di cheeseburger e bacon l’aveva resa impaziente. Non che normalmente fosse una persona capace di grande pazienza, eh? Diciamo più impaziente del solito, ecco.
Quando JD aveva spalancato la porta dell’appartamento alle tre del mattino, vestito solo di tatuaggi e dei pantaloni del pigiama, con i lunghi capelli neri che gli ricadevano arruffati oltre le spalle, il cervello di Honey era andato in cortocircuito per qualche secondo. Questo è giocare sporco, cazzo. Per fortuna, lui l’aveva tolta dall’impaccio di dover proferire parola intrappolandola in un abbraccio mozzafiato e soffiandole scuse sconnesse sul collo. Le era bastato percepire l’odore di inchiostro e tabacco per sentirsi immediatamente sciogliere in mezzo alle gambe. Okay, ritratto. Questo non è giocare sporco, questo è barare a tutti gli effetti.
Adesso erano in cucina. Il posacenere sul davanzale della finestra era colmo di cicche ancora fumanti. Il tavolo da pranzo non era molto grande, Honey aveva cercato di mettere la maggior distanza possibile piazzandosi di fronte a JD, invece che al suo fianco. Forse percependo una certa tensione, Minou aveva dato la buona notte a entrambi strusciandosi contro le loro gambe e poi era corsa a rintanarsi in camera da letto.
«Lo sai che odio quando mi trattano da stupida o da bambina. Stasera mi sono sentita entrambe le cose. Lo sapevano tutti, JD. Tutti. Perché non me lo hai detto?». Gli puntò gli occhi addosso. «Avevi intenzione di dirmelo, almeno?».
«Certo!», esclamò lui. Di fronte all’espressione scettica di Honey, ingobbì appena appena le spalle ma non distolse lo sguardo. «Mi sono comportato da codardo, me ne rendo conto. Avrei dovuto dirtelo subito».
«Perché non l’hai fatto?».
«Perché…». Si tirò i capelli indietro e sospirò. «Tu e Darla siete sempre ai ferri corti. Avevo paura che sapere cosa era successo potesse peggiorare la situazione tra voi».
Honey aggrottò la fronte.
«Non pensavo che i nostri battibecchi ti dessero tanto fastidio».
«All’inizio erano divertenti, ma…». Fece spallucce. «Tu sei la mia ragazza. Lei la mia migliore amica. È tanto strano desiderare che due persone così importanti nella mia vita vadano d’accordo?».
Oh. Prese a sfregarsi il polso destro.
«È colpa mia».
«No». JD scattò in piedi e si inginocchiò di fronte a lei. «Non sto cercando di fare lo scarica barile. Non sto dicendo che-».
«Lo sto dicendo io, JD. Avrei dovuto comportarmi in modo più maturo». Serrò i pugni. «È il cazzo di ritornello della mia vita».
Come al solito, si era comportata come una bambina. Con i suoi comportamenti infantili aveva messo JD in difficoltà. Perché sceglieva sempre di fare la cosa sbagliata?
«Ehi, guardami». JD strinse delicatamente le dita intorno al tatuaggio di rovi e rose. «Tutti e tre avremmo dovuto comportarci in modo più maturo, ma non dirtelo subito è stata una mia decisione, solo mia. Non hai mai fatto scenate di gelosia, avrei dovuto sapere che non sarebbe stato un problema per te». Le prese il viso tra le mani. «Ti chiedo scusa».
I palmi di JD contro le guance erano calde, confortanti.
«Niente più segreti. Promettimi solo questo», gli disse.
JD la scrutava serio.
«Hai la mia parola. Non commetto due volte lo stesso errore».
«In cambio io ti prometto che cercherò di andare d’accordo con Darla».
«Non voglio che ti senta costretta a farti piacere una persona che ti sta sul cazzo».
Honey scosse la testa.
«A volte nelle relazioni bisogna scendere a compromessi. Tu hai accettato di mascherarti per Halloween, no?».
Le mani di JD, dalle guance, si spostarono sulla nuca. Le sue dita presero ad accarezzarla dietro le orecchie come faceva con Minou. E lei, esattamente come Minou, reclinò la testa per facilitargli il compito. Esattamente come Minou, era a un passo dal fare le fusa.
«A proposito del costume…». La voce di JD si era abbassata di un’ottava. «Sbaglio, o avevo accettato a una condizione?».
Il cuore di Honey fece una capriola. Improvvisamente si rese conto di avere ancora addosso il vestito di Alice e che JD era praticamente inginocchiato tra le sue gambe.
«La condizione prevedeva che anche tu indossassi il costume».
«A questo si può rimediare. Dopo, però. Adesso ho voglia di un’altra cosa».
I grattini dietro le orecchie cessarono di botto, ma JD non le diede il tempo di esternare il suo disappunto. Le raccolse la gonna intorno alla vita, l’accarezzò lentamente sopra le calze a righe nere e bianche, e si chinò a baciarla in mezzo alle cosce. Honey si aggrappò ai suoi capelli per non scivolare come una pera cotta dalla sedia.
Litigare aveva i suoi lati positivi, in fondo.



«Ciao, Darla».
«Ciao, Honey».
«JD?».
«Cliente dell’ultimo minuto. Sta ripulendo l’attrezzatura. Non dovrebbe averne per molto».
«Va bene».
Poco male, avrebbe ingannato l’attesa sfogliando un album di tatuaggi tra quelli allineati sullo scaffale. Sapeva già quale prendere, ma un’imprecazione soffocata la indusse a voltarsi prima ancora di afferrarlo.
Darla si stava mettono lo smalto alle unghie dei piedi. O, almeno, ci provava. Era seduta sul bordo del divano: il busto proteso in avanti verso i piedi poggiati sul tavolinetto, la lingua incuneata in mezzo ai denti e un’espressione corrucciata.
«Porco cazzo, sto facendo un troiaio», borbottò tra sé e sé.
Honey tornò agli album sullo scaffale.
«Non che sia una novità».
«Guarda che ti sento», disse Darla alle sue spalle.
«Non stavo cercando di non farmi sentire».
«Oh, vaffanculo!».
Capì dall'intonazione del vaffanculo che non si stava rivolgendo a lei, ma allo smalto. Honey roteò gli occhi, sbuffando. Tanto gli album di JD li conosci a memoria, ormai. Senza dire nulla, si sedette sul tavolinetto e fece segno a Darla di posare i piedi sulle sue ginocchia. Darla, nonostante il Che cazzo…? perplesso, seguì le indicazioni.
Dopo di che, Honey si fece consegnare lo smalto: era di un nero profondo, ma osservandolo in controluce, scoprì una bellissima e inaspettata sfumatura viola scuro. Si sorprese a pensare che Darla era un po’ come quello smalto, aveva diverse sfaccettature nascoste.
«È un bel colore», disse. E poi, quasi pensando ad alta voce, aggiunse: «Ti dona molto».
Darla non rispose. Sembrava sul chi va là, sulle spine, come qualcuno che si aspetta un’inculata da un momento all’altro. Tuttavia non aveva ancora provato a fermarla, così Honey impugnò il pennellino, lo strizzò contro il bordo della boccetta per eliminare lo smalto in eccesso e si mise all’opera. Dopo aver completato le prima tre dita, si fermò un istante a valutare il risultato.
«Non male», disse Darla, rompendo il silenzio. Si portò i capelli dietro l’orecchio. Aprì la bocca, poi la chiuse. L’aprì di nuovo. «Se ti piace, te lo presto».
Honey abbozzò un sorriso.
«Mi piacerebbe tanto, grazie».
«Figurati. L'ho comprato da Sephora. Quando l'ho visto, ho pensato subito che era il mio. Hai notato il nome sull'etichetta?».
«No, perché? Come si chiama?».
Darla sfoderò un sorriso furbo, e nello stesso momento in cui Honey inquadrava la suddetta etichetta, rispose:
«Gola Profonda».
Porca puttana. Honey afflosciò le spalle, sconfitta. Non sono io se non faccio almeno una figura di merda al giorno.
«Com'è che riesco a insultarti anche quando provo a essere gentile?».
«Non lo so. Sarà un riflesso automatico».
Si guardarono, e scoppiarono a ridere.
«Sai cosa ci vorrebbe, adesso?», chiese Darla poco dopo.
Si guardarono, e…
«Tequila!», dissero all’unisono.







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Note autore:
Se avessi aspettato qualche mese, avrei potuto pubblicare questo extra in occasione del decimo anniversario dalla pubblicazione di Rovi & Rose (DIECI ANNI!!). Questa piccola cosuccia, però, è stata scritta per Dragana, perciò non poteva essere pubblicata in nessun altro giorno se non oggi. Buon compleanno, cara amica mia!
L’idea è nata qualche pomeriggio fa. Cercavo ispirazione per il compleanno di Dragana, così mi sono data alla rilettura delle storie dei miei autori preferiti e delle relative recensioni. Se ci pensate, rileggere vecchie storie e vecchi commenti è un po’ come sfogliare un album di fotografie: torni indietro con i ricordi, affiorano alla mente dettagli che avevi dimenticato, e soprattutto rivivi le chiacchierate e i fangherlamenti con le amichette.
Per questo extra, quindi, galeotte furono la oneshot di Dragana Gatte randagie (che vi consiglio di leggere se amate Darla e già non lo avete fatto), la risposta di Dragana a una ragazza che aveva commentato la suddetta storia, e una recensione che Dragana aveva lasciato a un capitolo di Rovi & Rose.
Piccolo appunto: ho rubato l’idea per il travestimento di Halloween Giovanna D’arco/Dio al telefilm Buffy. Honey, poveretta, pensava di essere incappata in un’innocente citazione pop.
Spero che la storia sia stata di vostro gradimento (ammesso che ci sia ancora qualcuno da queste parti) e spero che sia piaciuta a Dragana. Non è molto, ma ci ho messo il cuore!
Un grazie speciale a OttoNoveTre, partner in crime e beta di prim’ordine, che di recente ha anche pubblicato questo delizioso racconto per la collana La via della seta - Delos Digital: ve lo consiglio caldamente.
Ringrazio anche Francine e fantagiorgia, che con le loro recenti recensioni mi hanno fatto tornare quel leggerissimo prurito alle mani che è indispensabile per scrivere qualcosa.
Un abbraccio,
vannagio
   
 
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