A volte ricordo.
A volte ricordo il periodo in cui non c’ero.
È stato doloroso, Albus? Hai sofferto? Scusami.
“Ti mancavo?”
“Sì, sempre.”
A volte ricordo — immagini.
Il passare delle stagioni fuori dalla mia finestra. Gli alberi carichi di gemme a primavera. Il vento caldo dell’estate sulle guance. La neve che cadeva da cieli piombati. Il profumo di bruciato dell’autunno e dei suoi falò.
A volte ricordo — volti.
Mia madre vestita di bianco, ma non ricordo se fosse davvero lì. Sorrideva, quindi forse non c’era. La chiamavo e, “se n’è andata, Scorp, non c’è più”, e allora chiudevo gli occhi e cercavo di vederla di nuovo. Lei non si faceva mai attendere.
Mio padre accigliato, i capelli venati di bianco, la sua stempiatura; il tremore alle mani; gli occhi lucidi; la sua schiena quando lasciava la stanza senza aver detto neanche una parola.
Mia nonna vestita di nero, l’ho sempre vista vestita di nero, da quando sono nato. Sedeva sul bordo del letto e sentivo il suo peso piegare il materasso, il suo calore lungo il mio fianco. Mi teneva la mano e mi raccontava le sue giornate, così, come se niente fosse. Poi, quando faceva buio, solo quando faceva buio, mi baciava sulla fronte e se ne andava. Credeva che non vedessi le sue lacrime, ma io vedevo tutto.
E Albus. Albus Albus Albus.
Seduto nel vano della finestra, rannicchiato nel suo cappotto e nei suoi maglioni, gli occhiali sul naso, la spira di fumo di sigaretta che usciva dalla stanza e fuori nella sera, o nei tramonti aranciati dell’estate. Fumava Lucky Strike, e ogni volta che penso a lui vedo quel piccolo bersaglio rosso proprio sopra il suo cuore*. Ora non fuma più, ha smesso.
“Milton è a mio avviso il massimo poeta di lingua inglese, più grande di Shakespeare*”, mi ha detto un giorno. Si è voltato dopo aver finito di fumare, e invece di alzarsi e venire verso di me è rimasto là dove stava, inquadrato nella finestra, il nero della notte dietro la schiena ma lui brillava come una stella. “Non so perché te l’ho appena detto, pensavo volessi sapere cosa ne pensavo.”
Ricordo di aver sorriso.
Forse il primo sorriso dopo mesi.
A volte ricordo.
A volte ricordo il periodo in cui non c’ero.
È stato doloroso, Albus? Hai sofferto? Scusami.
“Ti mancavo?”
“Sì, sempre.”
“Come hai fatto a stare senza di me?” gli ho chiesto dopo.
“Non era come se fossi senza di te, non esattamente. Tu eri qui, sei sempre stato qui, ma allo stesso tempo non c’eri. Eppure rimanevi.”
“Non avevo altro posto dove andare, dove sarei mai potuto andare?”
“Rimanevi perché hai scelto di rimanere. Qui. Con me.”
“Anche tu. Anche tu sei rimasto.”
“Dove sarei mai potuto andare? Il mio cuore era qui.”
Allora mi ha preso una mano e se l’è messa sul cuore, proprio dove vedevo quel piccolo bersaglio rosso.
“Il mio cuore è qui.”
♢
NOTE: dopo una breve pausetta, ritorno oggi con questa flash, che diciamo si collega a stretto giro con il capitolo 3. Avete ascoltato la canzone? Se non l'avete fatto, fatelo, è bellissima, e Gracie è bravissima.
Una piccola precisazione, ora:
* “fumava Lucky Strike, e ogni volta che penso a lui vedo quel piccolo bersaglio rosso proprio sopra il suo cuore” e “Milton è a mio avviso il massimo poeta di lingua inglese, più grande di Shakespeare” sono due citazioni da “Dio di Illusioni” di Donna Tartt, uno dei miei libri preferiti (Henry Winter è uno dei miei personaggi del cuore, lo amo tanto), un capolavoro, e anche qui, se non lo avete letto, fatevi questo regalo.
Detto ciò, spero questa raccolta continui a piacervi, io sono sempre su instagram per chiunque voglia seguirmi.
Un abbraccio!