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Autore: rosy03    28/10/2023    3 recensioni
• || Storia Interattiva || Iscrizioni Chiuse || •
Tutto è determinato da forze sulle quali non abbiamo alcun controllo. Vale per l’insetto come per gli astri. Esseri umani, vegetali o polvere cosmica, tutti danziamo al ritmo di una musica misteriosa, suonata in lontananza da un pifferaio invisibile.
È questo il destino? Come vostro Umile Narratore non posso rispondere a una tale domanda.
Finora non ho mai visto nessuno abbandonare la pista, non ho mai incontrato qualcuno che fosse stato in grado di cambiare disco. Il destino è davvero già scritto?
Se sapeste la verità, penso proprio che mi odiereste.
Ma nonostante questo sono qui: a raccontarvi di questa mitica impresa. Sono qui a parlarvi di come la Bestia dagli Occhi di Luna ululerà, di come questo porterà il caos nel continente di Ishgar, di come seguirà un’infinita notte, di come le stelle smetteranno di brillare, di come la luna scurirà il suo colore... e magari anche di come sorgerà una nuova aurora. Chissà.
Il vostro Umile Narratore.
J.C.
|| • «Ho perso tutto. Ho perso la mia umanità, il mio tempo, la mia famiglia. Lei è l'unica cosa buona che mi sia rimasta...»
Genere: Azione, Commedia, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Altri
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ancient Aurora'
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CAPITOLO 13. Come un pendolo che oscilla...
 
 



 
Si fermò davanti a quello che sembrava un rifugio troppo piccolo per poter ospitare tutte le persone che aveva visto entrarvi. Diana drizzò le orecchie e udì i loro passi sprofondare verso il basso.
È una specie di bunker scavato sottoterra. Pensò.
Inspirò ed espirò lentamente, cercando di calmare il cuore che batteva all’impazzata. Non sarebbe riuscita a sentire niente con tutto quel fracasso – e dopo qualche istante, li udì parlare chiaramente.
«Fa’ attenzione, idiota. Mi hai pestato il piede!»
 
«Dobbiamo avvertire il capo.»
 
«E perché mai? Ci scannerà vivi se gli diamo un’informazione campata per aria!»
 
«Potresti anche fare un po’ più di luce con quella torcia, eh.»
 
«Siamo sicuri che sia lei?»
 
«Non posso mica andare a chiederglielo! Lo sai, mi scoprirebbe.»
 
«Però è quello che ha detto lui. Se ne occuperà Dyaspro.»
 
Non seppe grazie a quale forza d’animo, Diana riuscì a rimanere in silenzio. Il corpo fremette e le guance sbiancarono tanto da farla sembrare morta. Tenne lo sguardo basso, puntato sulle foglie secche sparse ai suoi piedi e deglutì a vuoto, terrorizzata come mai prima di allora.
Non può venire qui. No. No. No.
Aveva cominciato a non capire più niente da quando aveva udito le voci di quelle persone nominarlo in mezzo alla boscaglia. Aveva lasciato Nypha da sola ed era corsa in direzione di quegli uomini perché doveva essere certa che non avesse sentito male, che non fosse solo un brutto scherzo.
E, invece, aveva scoperto che quelli lì lavoravano davvero per Dyaspro. Verrà qui a Damocles.
Fu più forte di lei, Diana si acquattò contro la porta del rifugio e, una volta sicura che tutti fossero scesi al “piano interrato”, entrò facendo molta attenzione a non fare alcun passo falso. Il suo sguardo cadde sulla botola, l’aprì e scese le scale silenziosamente.
Ignari della sua presenza, quelli lì stavano ancora decidendo se chiamarlo oppure no.
Poi, udì il suono di uno squillo. E una risatina sommessa.
Diana arrestò il passo, come fosse stata congelata fin dentro le ossa.

 
«Mi state dicendo che l’avete trovata? Ne siete sicuri?»
 
«Ehm. Sì, signore. È senza alcun dubbio la persona che cercate.»

Seguì un istante di silenzio, un istante che alla ragazza parvero secoli. E poi, eccolo.
Dyaspro fischiettò; era al settimo cielo.

«Sto arrivando!»
 
La comunicazione terminò e Diana si sfregò i palmi delle mani sulle braccia. Sentiva freddo, un freddo tremore di morte l’attraversava e per un attimo rivide tutto: il fuoco, il massacro. L’odore acre del sangue le impregnava le narici e la gola e rischiò davvero tanto a trattenere un conato di vomito.
Cazzo. Cazzo. Cazzo. Cazzo. Era talmente concentrata a imprecare silenziosamente – e a cercare di riprendere il controllo dei suoi respiri – che non si accorse di una cosa importante: stavano arrivando altre persone. E quando se ne rese conto era ormai troppo tardi.
«E tu chi- Merda!» Imprecò uno di loro, quello che con in un mano una torcia illuminava la piccola galleria. Un suo compare tirò fuori una pistola magica e fece partire un colpo che Diana schivò all’ultimo secondo.
Non fu molto fortunata con il secondo proiettile che la beccò di striscio sulla spalla ma a quella mediocre distanza era pressoché impossibile restare del tutto illesi – per questo motivo decise di addentrarsi all’interno dei cunicoli. Corse fino a raggiungere la stanza sotterranea in cui gli uomini che aveva seguito avevano contattato Dyaspro e proprio mentre uno di loro apriva la porta attirato dagli spari, Diana gli calciò la faccia ed entrò.
Si guardò attorno. Le pareti erano state rivestite di pietra e c’erano una miriade di casse di legno accostate al muro e impilate l’una sull’altra. «Ma guarda un po’ chi c’è...» Ridacchiò una donna dall’alto dei suoi tacchi. Lei non disse niente – la stanza era priva di porte.
«Signora Yaga, è meglio andarcene. Tanto ci penserà il boss.»
Diana la squadrò. Anche senza quei tacchi vertiginosi, sarebbe comunque rimasta la donna più alta che avesse mai visto – al suo confronto, poteva essere definita un nano da giardino. Indossava un lungo vestito nero allacciato dietro al collo e uno spacco vertiginoso risaliva lungo la coscia destra. I lunghi capelli biondo platino erano legati in una treccia a spiga di pesce che partiva dall’alto della testa con poche ciocche a incorniciarle il viso ovale che sembrava fatto di porcellana.  
La sua testa era un groviglio di pensieri.
«E va bene.» Schioccò le dita e la porta che dava sul corridoio venne chiusa a chiave dall’esterno.
Diana li udì distintamente: stavano bloccando l’unica uscita con un incantesimo per tenerla bloccata lì. No. Il loro obiettivo era un altro.
Rabbrividì soltanto al pensiero mentre l’altra ghignò. «Buona fortuna. Ne avrai bisogno.»
Yaga, la Strega. Era conosciuta con questo nome. I suoi occhi viola si illuminarono e prima ancora che Diana potesse fare qualcosa – qualsiasi cosa – tutti presenti, meno che lei, vennero inghiottiti da una strana ombra biancastra che poi sparì riavvolgendosi su se stessa, senza lasciare traccia.
Da fuori, le voci di chi aveva appena sigillato l’unica via d’accesso si fecero più concitate: «Veloci! Andiamocene!», «Abbiamo un minuto!», «Presto o esploderemo anche noi!».
E avrebbe dovuto capirlo prima, Diana, che dentro quelle casse c’era della polvere da sparo. E non della polvere da sparo normale, ma magica... e lei era bloccata lì dentro come un topo in trappola.
Eppure... «È meglio andarcene. Tanto ci penserà il boss.» Aveva detto quel tizio. Ciò significava che c’era una possibilità. Posso uscire da qui!
Una corsa contro il tempo, ecco cos’era. Mancavano quaranta secondi.
Si guardò attorno in preda all’ansia e solo quando adocchiò una pietra rotta sul soffitto, il cuore fece una capriola.
Trenta secondi.
Tirò fuori il pugnale e si procurò un taglio sull’avambraccio. Il sangue fluì e quando le sembrò abbastanza lo utilizzò a mo’ di frusta per terminare quello che il tempo e la mancanza di attenzione da parte dei proprietari di quel posto aveva cominciato: distrusse quella piccola porzione di soffitto e sorrise. Una botola. Una fottutissima botola.
Quindici secondi.
Non si curò della ferita ma con balzo raggiunse la piccola fessura, ruppe la porticella di legno e agguantò il primo piolo della scala che conduceva all’esterno. Era stretto, troppo stretto per una persona dal fisico robusto e prorompente... ma Diana non aveva questi problemi.
Lei era piccola e non ebbe difficoltà a strisciare lungo le pareti di terra.
Dieci secondi.
Certo, il fango le stava inzozzando i vestiti. E sentiva caldo.
Il cuore batteva nel petto. Avanzava rapidamente, piolo dopo piolo, centimetro dopo centimetro. La paura di morire lì, in quello spazio angusto e deprimente l’annebbiava.
Cinque secondi.
Nelle orecchie, solo l’eco dei suoi respiri strozzati dalla tensione.
Tre secondi.
«Lucas...» Mormorò a denti stretti, con le lacrime che minacciavano di uscire. Non posso morire qui. Non prima di averlo trovato. Intanto, qualcosa – uno spiraglio di luce – attirò la sua attenzione.
E le labbra si piegarono in un sorriso.
Un secondo.
Sollevò la porticina di legno e la testa fece rapidamente capolino tra il fogliame. Poi, semplicemente, un rumore assordante la costrinse a chiudere gli occhi e a lasciarsi sfuggire un mezzo grido di dolore. Perse l’appiglio sul terreno; senza preavviso, venne sbalzata fuori e Diana si ritrovò per aria.
Avrebbe dovuto prestare più attenzione. Era stata stupida.
Aveva sentito quel nome e da quel momento non aveva capito più nulla. Aveva lasciato Nypha da sola, si era intrufolata in un posto sconosciuto da sola. E cosa aveva ottenuto? Sapere che Dyaspro stava per raggiungerla; per raggiungere lei e suo fratello.
Accadde tutto troppo velocemente: precipitò e sbatté la testa. Il corpo le faceva male; vedeva tutto nero. Era a causa della botta o era perché semplicemente aveva gli occhi chiusi?
Cazzo... Cazzo... Diana mugugnò, ben sapendo che sarebbe rimasta cosciente ancora per poco. Si sforzò di rimettersi in piedi ma non ci riuscì. Aprì gli occhi. Non riusciva a mettere a fuoco niente, complice il fatto di avere un occhio completamente ricoperto di sangue.
Avanzò strisciando fino a raggiungere un albero cavo. La pelle bruciava, i muscoli urlavano e le ossa scricchiolavano a ogni minimo movimento. Si lasciò cadere all’interno del tronco e solo lì concesse al suo corpo di rilassarsi, di scivolare nell’oblio.
Non sarebbe morta. Doveva solo riposarsi un po’. Poi, una volta tornata in sesto, avrebbe continuato a cercare suo fratello e l’avrebbe trovato prima di Dyaspro.
È una promessa, Lucas. Ti raggiungerò. Ti proteggerò. Quel mostro non ti torcerà nemmeno un capello... lo giuro.
 

 
§
 

 
Ysami lanciò un grido che quasi stonò la povera Eve.
«Cosa stiamo aspettando, esattamente?» Domandò la rossa.
«Che si dilati.»
In un primo momento non capì, Eve, ma poi vide a cosa la dottoressa stava prestando attenzione e si ritrovò a occhi sbarrati. «Oddio...»
La maga di Bosco non sapeva come riuscire a definire quella bizzarra situazione. Al di fuori imperversava la battaglia – e sperò davvero che quei due non si facessero ammazzare – e intanto, con un’austerità senza precedenti, Nimue aveva fatto stendere Ysami sul letto e le aveva divaricato le gambe. Aveva ordinato a Eve di alzarle la schiena con dei cuscini e la rossa aveva obbedito senza obiettare, consapevole che in caso contrario si sarebbe beccata un’altra ramanzina.
Ysami aveva il respiro pesate e stava già sudando tantissimo, primo segnale di ansia.
«Ehi.» Eve le prese una mano e gliela strinse. «Andrà tutto bene.»
La donna singhiozzò. «Abel- non è qui...» E non si curò di lasciarsi sfuggire due caldi lacrimoni lungo le guance. «Sarò completamente sola.»
Eve si sentì mancare ma cercò in tutti i modi di mascherare il turbamento. Voleva dire qualcosa, qualsiasi cosa per farla stare meglio... ma cosa? Suo marito non era ancora tornato. Lily e gli altri non avevano ancora dato loro notizie – e se non erano ancora tornati voleva dire che c’erano stati dei problemi. Si impose però di non pensarci, non voleva darle ulteriori preoccupazioni.  
«Da questo momento fino a che non nascerà il bambino, Abel è un capitolo chiuso.» Asserì Nimue, sconvolgendo entrambe. Dal fondo del letto, in piedi e con un paio di guanti di lattice indosso, la stava fissando negli occhi e la maga di Bosco quasi sussultò di sorpresa. Non l’ho mai vista così “accesa” finora...! «Cos’è più importante ora?»
La lunga contrazione che colpì Ysami fu provvidenziale – la risvegliò del tutto dallo stato di panico che l’aveva investita. Quando tornò a respirare, annuì. «Hai ragione... mi dispiace.»
«Non deve scusarsi. E direi proprio che è arrivato il momento di spingere. Al mio via, ok?»
«Cos-? Già? Ma io non sono-»
«Si fidi, è da nove mesi che è pronta. Spinga!»
Da lì in poi, Eve credette di assistere a qualcosa di indescrivibile. Ossa della mano stritolate a parte; timpani perforati a parte... Non avrebbe mai dimenticato quel giorno. Ysami spingeva, inspirava e imprecava a mezza bocca a mo’ di sfogo.
Nimue era piegata in avanti e la incitava.
Se prima si era fatta prendere dal panico per via del pessimo tempismo, per tutto il tempo Eve aveva semplicemente dimenticato cosa stesse accadendo fuori. Si dimenticò di Killian e Rehagan che tentavano di tenere testa a dei nemici che si erano presentati lì senza alcun apparente motivo. Si dimenticò del gruppo di Lily che era andato a cercare Abel.
Aveva occhi solo per Ysami.
 
 

§
 

 
«Aspetta.» Lily piantò i piedi a terra e inspirò profondamente. C’era un fortissimo odore di terra che impregnava l’aria – tanto che le sembrò impossibile percepire qualcosa di diverso. Eppure, non poteva sbagliarsi. «Sento puzza di sangue.»
Hydra, a qualche passo da lei, si guardò attorno. Il silenzio li avvolgeva; non c’era anima viva. Poi lo udirono: un verso stridulo e inquietante risuonare lungo le pareti di pietra umida, tanto da far vibrare l’aria. Che diavolo è?
Percepì un micromovimento sopra le loro teste e alzarono lo sguardo.
A Lily mancò un battito e schivò l’animale con il cuore in gola, prima che potesse afferrarla con quelle orribili zampe pelose. «Cos’è che aveva detto Reha?! Grandi quanto una normale falena? Col cazzo!»
Hydra sguainò le sciabole e corrucciò la fronte. Quelle falene vampiro che erano rimaste appiattite contro le pareti confondendosi con la roccia, fecero vibrare le loro ali e quelle sul soffitto caddero con un tonfo sordo. Schifata, Lily cercò di mettere distanza tra sé e quelle creature, dando le spalle al suo compagno di gilda, che fece lo stesso. Erano circondati e nel buio più totale.
«Non pensavo ti facessero schifo gli insetti.»
Lei roteò gli occhi. «Gli insetti no, ma quelli giganti sì. Sono orribili e puzzano.»
Hydra si chiese se fosse il caso di restare lì e uccidere tutte quelle bestiacce col rischio di restarci secchi a causa del già poco spazio a disposizione, o se farsi strada lungo il corridoio. In quel caso, però, c’era la possibilità di non riuscire a restare insieme.
«Cerca di starmi dietro...» Biascicò controvoglia, gettandosi addosso alla falena davanti a lui.
Lily, che non si aspettava questa tattica, sgranò gli occhi e tirò un calcio all’animale che aveva tentato di placcarla, correndo dietro al marinaio che faceva a fette quanti più insetti possibili per liberare la strada.
Non erano affatto grandi quanto delle falene normali. Se avessero potuto stare in piedi su due zampe avrebbero raggiunto i due metri! «Dici che c’è un’uscita o ci stiamo mettendo all’angolo da soli?» Domandò allora la corvina, affilando gli artigli. Per quanto le facesse schifo il sangue di quelle cose sulle mani, l’importante era metterle tutte ko.
«Abbiamo il cinquanta percento di possibilità che non ci sia nulla di simile.»
«E che palle!» Imprecò lei; dopodiché cominciò a urlare il nome di Abel. Ormai, stavano già facendo troppo rumore per sperare di non peggiorare le cose. E, in risposta, straordinariamente, si udì qualcosa. Delle voci. E seguendole, i due si ritrovarono in una galleria più grande delle altre e, appiattiti contro una parete, Abel e un suo compagno di sventure.
Uno era disteso e sudava, febbrile. L’altro, il marito di Ysami, teneva in mano una torcia rudimentale il cui fuoco teneva lontani gli insetti.
Lily e Hydra si accostarono a quest’ultimo – il marinaio si affrettò, tra l’altro, a spostare la benda sull’altro occhio. «State bene?» Domandò lei, sperando in una risposta affermativa.
Abel sospirò, esausto e livido di paura. «Io sì ma lui è stato punto.»
Hydra si guardò attorno. Gli insetti sembravano volersi avvicinare ma qualcosa – la luce, il calore – sembravano spaventarli, tanto da farli stridere come fossero grosse cicale. «Hanno paura del fuoco?»
L’uomo annuì.
«Le gallerie portano a un’uscita secondaria?»
«Purtroppo no... l’unico modo per andarcene è raggiungere l’entrata.»
Che però è bloccata dalle macerie... o speriamo che Naevin riesca a spostarle senza seppellirci, oppure-
Ma il suo flusso di pensieri venne interrotto dalla voce scura di Hydra. «C’è un ruscello.»
Gli lanciò un’occhiata, in tralice. «Come fai a sapere che c’è un ruscello?»
«Non avevi anche tu un finissimo udito? Sta’ a sentire...»
Allora, Lily sbuffò e chiuse gli occhi concentrando la sua attenzione al di là dello stormo di falene, al di là del fracasso che provocavano con le loro ali sfregate tra loro. Sì, effettivamente, c’era un corso d’acqua... e a causa della forte umidità che si respirava nell’aria, non se n’era accorta prima.
Poi guardò Hydra di sottecchi, senza farsi notare. È proprio come dice Killian, a chi solca i mari certe cose mica sfuggono!
«Se c’è un fiume, vuol dire che c’è un’altra uscita.» Concluse.
Abel, però, era confuso. «Eppure, non ho mai visto alcun fiume qui dentro.»
Questa volta fu Lily a chiedere: «Fin dove vi siete spinti nelle ricerche?»
«Fin dove potevamo. Abbiamo ispezionato tutto.»
«Potrebbe essersi creata una stanza naturale a cui nessuno ha prestato la dovuta attenzione. Potrebbe essere nascosta dietro una sottile parete di roccia che nessuno ha mai abbattuto.»
Abel annuì prontamente. «Sì, potrebbe essere. Siamo stati mandati qui con il minimo indispensabile a proteggerci dalle falene vampiro e dall’ansia di non uscirne vivi potrebbe esserci sfuggito qualcosa.»
«Ok. Tu.» Sentenziò il marinaio, indicando Lily con l’occhio scoperto dalla benda. «Questa torcia si spegnerà presto... sai sputare fuoco?»
La corvina sbatté le palpebre, impietrita dalla domanda. Con la stessa verve di chi ascolta una sciocchezza grande quanto il regno di Fiore aprì la bocca per rispondere: «Certo che no.»
«Allora sei inutile.»
 

 
§
 

 
Dominik era un mago, un membro della gilda Goblin Thief.
Kiel Reidar gli aveva affidato l’importante missione di trovare la Spada di Damocles, un tesoro dal valore inestimabile e che – così dicevano i più antichi tomi della tradizione – era stata forgiata a partire dall’artiglio di un drago esistito centinaia di migliaia di anni prima. Persino le tribù Lakad erano a conoscenza di questa storia; la leggenda dell’arma più bella e potente mai esistita.
«Le persone che sono morte a causa delle falene, sono morte per un oggetto che neanche si sa esista davvero!» E sì, anche Naevin aveva sentito parlare della Spada di Damocles. Ma non mi sarei mai immaginato che per questo sarebbero morte così tante persone innocenti... «Cosa diamine vuole fare Kiel? Perché vuole distruggere quel poco che ancora di bello è rimasto a questo paese?»
Dominik non era solo un mago, era un uomo col potere di smuovere la terra su cui tutti camminano. Ed era il braccio destro del Master di Goblin Thief. Aveva occhi verdi e ciglia scurissime, così come i capelli. Indossava una canotta attillata sul petto – dando prova di un notevole atletismo – e un paio di pantaloni cargo con tre tasche per gamba, poggiati su anfibi di cuoio.
Era sicuro di sé, determinato a mettere a tacere gli stolti che avevano ben pensato di interferire. Hoon gliel’aveva detto: «I maghi inviati da Re Rambaud Fiore sono delle mine vaganti. Sta’ attento, Nik Potrebbero finire con l’attaccare le miniere.»
«Questo regno è caduto in miseria, ormai. Non c’è più niente che si possa fare per risollevarlo.»
«Non è vero. Tyrfing è rigogliosa e gli studiosi non hanno ancora abbandonato Durandal! Scommetto che ci sono molte altre città che a modo stanno lottando. Tu sei nato e cresciuto qui, no? Come vuoi dire una cosa del genere?»
Al sentire tali parole, Dominik scoppiò a ridere. «Come puoi tu dire una cosa del genere? Sei un Lakad, o sbaglio?» E indicò con lo sguardo i cerchi d’inchiostro attorno al suo avambraccio, visibili in quanto con l’attacco precedente doveva avergli strappato via un pezzo della manica.
Naevin digrignò i denti. «Sono comunque nato in questo paese.»
«Ma non è casa tua, no?»
Le dita del nomade si strinsero attorno al suo bo. «Anche se te lo spiegassi, una persona come te, che non ha alcun rispetto per la vita, non potrà mai capire.» E partì all’attacco.
Dominik non restò immobile e si piegò sulle ginocchia, attivando il suo incantesimo facendo tremare la terra. Il Lakad non si mostrò preoccupato ed evitò agilmente e all’ultimo secondo tutte le buche che il suo nemico stava aprendo sotto di lui, pronto a trasformare quella sfida in un combattimento ravvicinato. «Ci vuole ben altro per prendermi di sorpresa!»
Si era allenato molto con sua madre, gli aveva insegnato a non distrarsi mai e a non dare nulla per scontato. Per questo non sembrò particolarmente colpito, quando la terra davanti a lui creò prima una piccola montagna poco più alta di lui – ammasso di rocce e fango che poi cominciò a modellarsi fino a creare una figura umanoide.
Dominik si fece divertito. «Vediamo come te la cavi con il mio golem di pietra.»
Il nomade schivò per poco un pugno e con una scivolata si spostò al fianco del mostro di terra. I rovi che prima gli decoravano la pelle, si avvilupparono attorno all’estremità del suo bastone e bon un colpo ben bilanciato distrusse una gamba della creatura facendola cadere in ginocchio. Grazie alla costituzione fisica ereditata da suo padre e agli allenamenti con sua madre, Naevin aveva messo su un corpo tonico e pronto alla battaglia. Vantava spalle larghe e un torso ben scolpito – un tempo usati come arma di seduzione, c’era da dirlo – ma con dei colpi di bo ben assestati, era certo di poter abbattere quell’enorme statua umanoide vivente.
E aveva ragione. Perché con un balzo e un secondo attacco, gli staccò di netto la testa sotto lo sguardo allibito e irritato del suo avversario. Quest’ultimo, allora, lasciò perdere la sua creatura e concentrò la magia tutt’intorno a lui, spaccando il terreno in tante rocce che poi indirizzò verso Naevin, come fosse una vera e propria pioggia di pietre.
Lui fece roteare il suo bo e ne respinse tantissime, salvo poi perdere l’equilibrio a causa di un dislivello nel terreno causato da un incantesimo di Dominik. Non solo è in possesso di una magia versatile, ma è anche un infame! Pensò, maledicendosi per aver perso, per un singolo istante, la posizione, venendo così colpito prima a un ginocchio e poi in faccia. Naevin, che intanto si era rimesso in piedi, si spostò sul lato – il naso dolorante e la fronte macchiata di sangue.
Doveva capire come poterlo battere. Doveva avvicinarsi, ma come? Doveva trovare un posto su cui posare i piedi senza che lui potesse in qualche modo tirargli qualche tiro mancino nel frattempo. E fu proprio allora che il mago di Goblin Thief ghignò. «Proprio dove ti volevo.» E nel dirlo, concentrò il potere magico nella mano. Quando stese le dita, il terreno sotto i piedi di Naevin si fece denso e in un attimo il Lakad capì di esse bloccato in una pozza di sabbie mobili – e più cercava di uscirne, più sprofondava.
«Già finito?» Dominik inclinò la testa e si abbassò, poggiando i gomiti sulle ginocchia. «Sei stato deludente, sai? Pensavo che i nomadi Lakad fossero più... affidabili. I tuoi amici chiusi nelle miniere finiranno per essere divorati dalle falene vampiro se non ti impegni.»
«Sei un tipo a cui piace istigare le persone, vero?» Grugnì, inviperito.
Al che Dominik scoppiò a ridere. «Esattamente!» Il golem di pietra si avvicinò a passi lenti e pesanti, come a voler scandire il poco tempo rimasto per studiare una strategia di contrattacco. «È stato bello aver fatto la tua conoscenza, Lakad. Addio.» E diede ordine alla sua creatura di abbattersi su Naevin con tutto il suo insostenibile peso.
 

 
§
 

 
La verità? Quando Rehagan aveva letto la missiva si aspettava di dover combattere – lui che era un uomo di scienza, di studio e che a stento riusciva a tirare un pugno senza farsi male! Ma, in qualche modo, se l’era fatto andare bene. Che sarà mai, si era detto, ci saranno sicuramente dei tipi tutto muscoli a cui lasciare i nemici più forti. Killian è stato chiaro: mi vuole per il mio cervello. Ma mai – mai – si sarebbe immaginato di sentirsi dire una roba come: «Mh, io odio combattere. Non è che ci penseresti tu?»
Lui l’aveva guardato come fosse pazzo. Cosa? Allora Rehagan si era messo il cuore in pace per la seconda volta e aveva accettato con stoicismo la situazione.
Davanti a loro c’era un gruppo composto da almeno una quindicina di maghi. Certo, era stato abbastanza facile mettere ko alcuni di loro – erano persino più scarsi di Killian! – ed era diventato quasi divertente vederli indugiare dinanzi alla fierezza di Nemeo, lo Spirito Guida che più di tutti incuteva timore. Il leone, infatti, aveva cominciato a squadrare i presenti con occhi feroci e un suo ruggito aveva fatto tremare le fronde degli alberi.
«Mentre combatti assieme ai suoi Spiriti Guida sembri proprio uno sciamano, sai?» Si azzardò a dire il mago di Ancient Aurora, comodamente seduto su un masso.
Rehagan voltò la testa di tre quarti e affilò lo sguardo. «Chiamami un’altra volta così e giuro che non ti aiuto più.»
«Eddai, stavo scherzando. Scherzavo.» Fece l’altro, ridacchiando. «Piuttosto, secondo te come mai tutta questa gente è qui?»
Ma Rehagan non fece in tempo a dire la sua che una fitta lo costrinse a rimangiarsi le parole. Si era distratto. Si era distratto e Nemeo era stato ucciso. Davanti a lui, il grande leone di luce azzurra che mai si era fermato davanti a niente, svanì nel nulla e lo scienziato sbiancò. «Ora siamo nella merda.»
«Perché?» Domandò, invece, Killian.
Perché, quando un mio Spirito Guida viene sconfitto, non posso evocarne subito un altro. Ma non lo disse ad alta voce: la persona che aveva messo fuori gioco il suo leone era lì, pronta e determinata a infilzare qualcos’altro con quella sua assurda lancia d’argento. Era una donna con indosso un paio di pantaloni attillati, stivali – entrambi neri – e una maglietta bianca.
«Non dovreste concentrarvi sul combattimento piuttosto che parlottare come due ragazzine?»
Rehagan studiò i lineamenti taglienti del suo viso, la sua espressione affilata e sprezzante. Questa qui mi sembra una che scuoierebbe un orso a mani nude... Pensò, con un sospiro.
E, in effetti, la sua fisicità non scherzava affatto. «Ha più muscoli di noi due messi insieme.» Constatò Killian, non scomodandosi nemmeno ad alzarsi. «Non so cosa pensare.»
«Ci ucciderà e ci userà come stuzzicadenti.»
Ma nonostante la massa imponente, Nancy non aveva mica perso la sua femminilità! I lunghi capelli biondi e legati in una treccia che ricadeva dolcemente su una spalla, contribuivano a rendere la sua figura ben più sinuosa ed elegante. «Chi di voi vuole essere il primo a morire?»
Killian alzò le mani. «Oh, non guardare me.»
«Neanche io vorrei morire, in realtà.»
Nancy non si lasciò scalfire da quelle inutili moine. C’era solo una cosa che avrebbe fatto: eliminarli. E scattò veloce, come un predatore, colmando in un istante la distanza che li separava. Rehagan si gettò da un lato, Killian dall’altro – la schivarono entrambi ma avevano finito col separarsi.
Guardò prima uno, poi l’altro. «Credete davvero di potermi sfuggire?»
Rehagan sorrise. «Abbiamo parecchi assi nella manica.» Devo guadagnare tempo. Manca ancora un minuto e quarantaquattro secondi. «Non sottovalutarci!»
Nancy ghignò, pericolosa e intimidatoria. «Ah sì?» Si piegò sulle ginocchia e in un attimo lo raggiuse. Lo scienziato si scansò appena in tempo per evitare che la punta acuminata della lancia gli trapassasse la faccia ma un calcio al fianco lo piegò in due. Fatto ciò, la bionda usò il bastone della sua arma per colpirlo sulla fronte e farlo cadere di schiena. «L’ho capito, sai? Quella che hai fatto è la faccia di chi sta cercando di prendere tempo.»
Rehagan cercò di rialzarsi ma dovette trattenere un gemito di dolore quando la lancia penetrò nella spalla. Imprecò sottovoce e sforzandosi di aprire gli occhi.
Nancy mostrò un sorriso carico di sfida e fece per affondare la lama ancora di più, fino a conficcarla nel terreno, ma quello che riuscì a fare fu estrarla di colpo e impedire che qualcosa, una benda bianca, le si attorcigliasse attorno al collo. Guardò prima il bendaggio stretto attorno all’asta della lancia e poi chi l’aveva lanciata, con un ghigno serafico. «Hoon ha fatto delle ricerche su tutto il vostro gruppo e ha scoperto cose più o meno interessanti. Eppure, tu sei l’unico su cui non è riuscito a sapere niente. Cosa sei? Un fantasma?»
«Io avrei una domanda migliore: chi è Hoon?»
 

 
§
 

 
Hoon era uno degli ultimi acquisti di Goblin Thief.
Era un uomo particolare dai capelli bianchi e gli occhi perennemente coperti da una fascia nera che – diceva – gli era stata regalata da una persona molto importante. La sua personalità cozzava con quella della maggior parte degli individui del gruppo di cui faceva parte – infatti, la gilda era composta per lo più da ladri, mercenari, gente poco raccomandabile.
Eppure, nonostante fossero agli antipodi, Hoon aveva scelto di unirsi a Kiel Reidar. Aveva scelto di seguirlo e di sostenerlo nella sua ascesa. Lui, Hoon, i cui occhi non possono andar oltre l’oscurità.
Ricordatevi il suo nome – è un piccolo consiglio.
J.C.
 

 
§
 

 
Hydra tranciò in due l’ennesimo schifosissimo insetto e lo calciò addosso agli altri suoi simili per cercare di rallentarne il passo. Dietro di lui, Abel e Lily continuavano a farsi strada verso il rumore di acqua scrosciante, trascinandosi dietro l’altro uomo ferito e febbricitante.
Stava morendo, era chiaro a tutti. Ma finché non rappresentava un evidente ostacolo alla fuga, avevano accettato di portarselo dietro – magari, alla fine, sarebbe sopravvissuto.
Lily squarciò le ali alla falena che, incurante del calore sprigionato dalla fiaccola, aveva tentato di avvicinarsi al piccolo gruppo. Al che, la ragazza sbuffò. «Dove diamine è questo fiumiciattolo?!»
«È vicino. Lo sento.»
Abel teneva in mano la torcia ma la precarietà di quella piccola fiamma lo terrorizzava. Una volta che si sarebbe spenta, sarebbe stato in balia dell’oscurità. Sarebbe morto anche lui, come tutti gli altri. Ma la peggiore disgrazia sarebbe stata quella di non poter vedere suo figlio, o sua figlia, neanche una volta – non avrebbe più rivisto Ysami, la sua bella Ysami.
«Hai qualche idea per il nome?»
Lei aveva stretto le labbra in un’espressione pensosa, come faceva sempre. «Non è un po’ troppo presto?»
«Forse sì, in effetti. Mancano ancora cinque mesi.»

E inevitabilmente gli occhi si inumidirono, si appannarono, e per riscuotersi dovette sbattere forte le palpebre. Non poteva farsi prendere dal panico. Non poteva essere di peso ai due maghi che erano giunti sin lì per salvarlo. E fu allora che udì un rumore familiare, come di una goccia che scivola giù dalla bocca del rubinetto nel cuore della notte.
Tenendo alta la piccola fiaccola, accostò l’orecchio alla parete umida e la speranza si riaccese nel suo cuore. «Ehi! L’ho trovata! È qui!» Allora, si girò, certo di incrociare gli occhi sollevati di quella ragazzina tanto giovane quanto irritabile ma non vide niente. Il fuoco che teneva lontano le falene si era spento e riuscì a udire appena l’urlo di Lily urlargli di abbassarsi che sentì il pungiglione dell’insetto trapassargli il petto, esattamente tra il collo e la spalla, appena sopra il cuore.
Gridò di dolore e lasciando la presa sul suo compagno – che, intanto, ruzzolò a terra, cercò di spingere via la falena mentre era intenta a banchettare con il suo sangue. Subito dopo, il corpo dell’insetto sembrò sparire nel nulla e la parete alle sue spalle venne distrutta.
Lily non riuscì a non imprecare mentre lo afferrava per le spalle e cercava di tenerlo in piedi mentre Hydra rinfoderava le sue sciabole e concentrava il potere magico. Ora che c’è più spazio posso scatenarmi almeno un po’!
Un manto azzurro lo circondò e dietro le sue spalle presero forma i suoi soliti tentacoli d’acqua. Erano ormai entrati nella grotta e le falene vampiro avevano un solo posto da cui poter entrare: la parete appena distrutta. E fu proprio in quel punto che Hydra concentrò i suoi getti d’acqua, attento a non usare troppa pressione – non voleva di certo distruggere tutto e restare sepolto la sotto!
Intanto, Lily fece sdraiare Abel a terra e gli somministrò l’antidoto messo a punto da Rehagan per l’occasione. «Non preoccuparti, non morirai. Ti faremo tornare da tua moglie.» Poi si guardò attorno, alla ricerca di qualcosa, un’idea su come uscire da lì... e la trovò; trovò uno spiraglio di luce tra alcuni massi. E sorrise. «Lì!»
Hydra si girò e annuì. Puntò i tentacoli d’acqua in direzione dell’uscita, li unì a creare un unico getto d’acqua e sparò. Ci vuole più pressione, pensò subito. Intanto, alle sue spalle, le falene che erano state sbalzate via dall’acqua, stavano man mano tornando e a fermarle ci pensò Lily con i suoi artigli.
Non avrebbe permesso a nessuno di quegli esseri schifosi di avvicinarsi ancora ad Abel!
 

 
§
 

 
Prima dell’impatto, Naevin usò il suo Whip Tattoo per tirarsi fuori dai guai.
Sfuggì alle sabbie mobili e al peso schiacciante del golem, utilizzando l’albero più vicino al punto in cui si trovava – in un attimo era riuscito a salvarsi.
«Avrei preferito ti facessi schiacciare ma forse è meglio così, no? È più divertente.»
Il Lakad sospirò, appollaiato sul ramo. Devo farlo svenire. Se perde i sensi, è fatta. Ma come posso avvicinarmi? Oh, ma aspetta.
«Andiamo, scendi da lì. Cosa sei? Una scimmia? Avevo sentito dire che i Lakad non fossero particolarmente intelligenti e credevo fosse soltanto una diceria. A quanto pare, mi sono sbagliato.»
Naevin trattenne a stento un insulto. Aveva visto con i propri occhi e sentito con le proprie orecchie di cos’erano capaci gli esseri umani più squallidi e raccapriccianti. Erano persone vuote, povere di empatia e sentimenti – eppure, era così odioso sentirsi dire cose del genere. Era così odioso venire trattati diversamente solo perché avevano scelto di vivere diversamente da loro...!
E questo il Lakad l’aveva capito. Aveva capito che quello che aveva di fronte era un tipo che basava tutto sulla provocazione. Ogni frase, ogni parola, era stata pronunciata per offendere, per deridere o per prendersi gioco di lui. E Il vecchio Naevin ci sarebbe cascato in pieno.
Sarebbe caduto vittima della rabbia scaturita da quelle insinuazioni.
Ormai sono cresciuto, si disse. Non sono più il ragazzino scapestrato che seguiva il suo istinto, sono un uomo che deve proteggere la sua tribù e la sua famiglia, a costo di tutto. Ed espirò con calma, lasciandosi scivolare addosso l’odio profondo che aveva imparato a provare nei suoi confronti.
Mi ha detto di scendere. Vuole che scenda. Vuol dire che la sua magia non ha effetto sul legno, ma solo su terra, sabbia e pietra.
Naevin cominciò a muoversi di ramo in ramo, sempre più veloce e sempre più preciso.
«Adesso sì che sembri una scimmia! Eddai, scendi e affrontami, Lakad!»
La prima fila di alberi non era granché vicina al suo obiettivo – distava circa tre o quattro metri. Fu allora che Dominik cominciò a perdere la pazienza e iniziò a indirizzare l’ennesima pioggia di pietre, pietre che andarono a rompere e a mandare in mille pezzi i rami e i tronchi che stava utilizzando come appoggio e come nascondiglio.
Prima che una roccia potesse colpirlo dritto allo stomaco, Naevin balzò in aria imbracciando il suo arco e scoccando velocemente una delle frecce che aveva disegnate sulle gambe.
Dominik, che non si aspettava di certo un attacco aereo, ne restò un po’ spiazzato; ma non abbastanza da lasciarsi colpire – la freccia, infatti, lo prese solo di striscio e andò a conficcarsi a terra, alle sue spalle. Freccia a cui, però, era legata la sua frusta.
E quando se ne accorse era già troppo tardi: questa strisciò e si avviluppò dal braccio cui si era attaccata, fino alle ginocchia e passando per il busto. In un attimo, Dominik era bloccato. Il tatuaggio che prima Naevin aveva utilizzato per svignarsela dalla sua trappola di sabbie mobili, gli si era impressa addosso come una seconda pelle e gli impediva qualsiasi movimento.
E la confusione generata bastò per farlo reagire con estrema lentezza all’attacco successivo. Infatti, fece appena in tempo ad alzare lo sguardo che il Lakad gli aveva già piantato la punta del bastone sulla testa. Dominik balbettò qualche parola sconnessa e poi crollò in avanti, perdendo i sensi.
Naevin sospirò, riassorbendo i tatuaggi e dando uno sguardo al mucchio di terra che il suo avversario aveva smosso durante il combattimento. «Nal or vit, ne hai fatti di danni, eh?»
 

 
[Inizio Flashback]
 

 
«Che cosa? Perché? Perché l’avete lasciato andare?!»
Diana si gettò contro l’istitutrice, disperata e urlante. Ignorò i lacrimoni che scorrevano lungo le guance e tempestò di pugni la grossa figura di Miss Lore, l’unica a essere realmente dispiaciuta per l’accaduto. Con la stessa difficoltà di chi tentava di tener fermo un toro per le corna, la donna cercava di sedare quella drammatica situazione. «Tesoro, cerca di calmarti. So che è difficile, ma-»
«No! Ridatemelo! Ridatemi mio fratello!» Strillò.
Miss Lore si morse la guancia, non sapendo più che pesci pigliare. Gli altri bambini assistevano alla scena; erano disorientati, straniti, impauriti. Non capivano il motivo di tante grida, di tanta disperazione.
E Diana sembrò calmarsi dopo venti minuti passati a piangere e a urlare, stringendo i pugni chiusi lungo i fianchi e lasciando che le lacrime uscissero più copiose, dimenticandosi della rabbia che l’aveva colta e accogliendo semplicemente il dolore. «Lucas è- Lucas è mio fratello... non possono averlo adottato...» Disse, tra i singhiozzi. «Non posso separarmi da lui...»
Miss Lore accolse il corpicino di quella bambina tanto scossa tra le sue braccia e la strinse forte, con fare materno. «Sta’ tranquilla. Andrà tutto bene. Starà bene.»
 

 
[Fine Flashback]
 
 
 
 










 
 
Eccomi! ^^ Tornata. Sono viva. Sto bene. E voi, come state? Spero non mi abbiate maledetto troppo perché ultimamente sono in fissa con Jujutsu Kaisen e ho imparato che maledire le persone è cosa brutta-e-cattiva (quindi se ho mal di schiena è colpa vostra!) ^^ scherzi a parte, rieccomi.

Questo capitolo l’ho scritto tutto – tolte le prime due scene – oggi perché io finora, da genio quale sono, mi sono concentrata su capitoli che potrò pubblicare al massimo tra due o tre anni! Sì, sono un genio. Quel tipo di genio che scrive capitoli che probabilmente non pubblicherà mai perché, se non ci arrivo a quel momento che sto progettando, come posso pubblicarlo?!

Comunque. Qui mi sono un po’ sbizzarrita con i combattimenti. Abbiamo Naevin vs Dominik; l’inizio di un Rehagan/Killian vs Nancy; Lily/Hydra vs le falene vampiro; e... Ysami che sta soffrendo più di tutti loro messi insieme, ma dettagli. Uh, quasi dimenticavo: Diana.

Nel prossimo capitolo vedremo come se la caveranno il nostro magico due contro Nancy, che fine avrà fatto Diana e... Nypha! Sarà ancora viva? Ma più che altro... Hydra imploderà o no? Sappiate solo che originariamente questo capitolo doveva essere unito al prossimo e che avrebbe dovuto chiamarsi “Furioso” – o una cosa del genere. Già, già...

Curiosità n.23 ► Naevin conosce la lingua antica di Damocles. Infatti, quel “Nal or vit “(la R è muta e la V sembra doppia) è una sorta di imprecazione che spazia dal “porca miseria” a “cazzo”.

Curiosità n.24 ► Quando ho creato il personaggio di Nancy mi è venuta in mente Helga Katrina Sinclair (Atlantis – L’Impero perduto), un film d’animazione che ho visto un sacco di tempo fa! E Nancy me la sono immaginata proprio così: spietata, forte ma anche molto sexy, con spalle larghe e muscoli ben pronunciati ma anche sinuosa e sofisticata quando vuole. E niente... mi sembrava una cosa interessante da dire XD

Chi ha visto il film? Vi è piaciuto? Io l’ho adorato!
 
Mi dispiace avervi fatto aspettare così tanto e spero che per i prossimi capitoli non ci sarà da aspettare troppo. Pensavo che una volta fini i tre anni della triennale, fare gli ultimi due sarebbe stato più facile. Palle. Non è vero. E tra problemi vari ed eventuali della vita di tutti i giorni, i CFU per l'insegnamento che non si sa ancora come acquisire (perché mi pare giusto togliere di mezzo tutto senza ancora aver studiato un piano B, grande Italia, continua così), esami con programmi orrendi (io volevo la poesia, dannazione, la poesia è più facile da studiare e più corta da leggere!) e una seconda tesi da scrivere ma su cui non ho alcuna idea... non so più dove sbattere la testa. Ma, ehi, solo alla morte non c'è rimedio, giusto? E la salute è la prima cosa, quindi, tolto il caos sopracitato, direi che non ci si può lamentare, no?

Alla prossima!

Rosy




 
  
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