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Autore: Vale__91    02/11/2023    4 recensioni
Ambientato in un futuro improbabile, una giovane ragazza afflitta dai suoi tumulti interiori, arriva ad un punto di non ritorno, facendo i conti con sé stessa e le conseguenze di decisioni intrise di egoismo.
Una vita senza amor proprio, spinge l’anima in un vicolo cieco.
“Questo testo partecipa al contest Le quattro stagioni si raccontano indetto da elli2998 e Inchiostro_nel_Sangue sul forum di EFP”
Genere: Drammatico, Introspettivo, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Ogni passo pesava come un’agonia. Kelly camminò strisciando i piedi nudi sul pavimento, accaldata e con un incessante mal di testa. L’ennesima doccia fredda non era servita a niente.
Passando per il breve corridoio dal salotto alla cucina, posò gli occhi su un trolley nero poggiato a terra. Sopra, un cappello di paglia a tese larghe, sembrava aspettare solo di essere preso e condotto verso qualche destinazione esotica.
«Non ti spiace se lo porto con me, vero?»
Alle sue spalle, udì una voce fin troppo familiare, praticamente identica alla sua, ma con un’inclinazione diversa, piú squillante.
Kelly alzò distratta lo sguardo e si voltò, notando il viso di una ragazza che pareva il suo ritratto, ma con gli occhi piú vispi e pieni di aspettative, le stesse che lei non sentiva piú di avere, o che forse, non aveva mai davvero avuto.
Fece spallucce e raggiunse il tavolo ad isola in granito grigio, per poi scivolare sgraziatamente su un alto sgabello. Sulla superficie liscia e opaca davanti a sé, poggiavano una piccola pila di fogli disordinati con una penna blu accanto.
“Richiesta di rilascio immediato” citava l’intestazione a caratteri spessi posta in alto al centro. Kelly la rilesse piú volte, quasi sperando di vedere le lettere mescolarsi e formare qualcosa di nuovo, qualcosa che non l’avrebbe portata a raccogliere quella penna o, peggio, a non firmare affatto.
L’afa torrida proveniente da fuori, e filtrata dallo spiraglio di una finestra bloccata, rendeva l’aria all’interno dell’appartamento soffocante, senza dare la benché minima speranza di refrigerio. In quella casa dai mobili pressoché moderni e i toni freddi, funzionava tutto, tranne quella dannata finestra.
«Con tutti i soldi lasciati da papà, perché non ti decidi a chiamare un tecnico a riparare la finestra? E magari far installare un climatizzatore?»
Soldi? Quali soldi, se quasi tutto ciò che Kelly aveva avuto in eredità dal suo unico adorato genitore, perso pochi anni prima, li aveva spesi per lei.
«A te che importa? Tra un po’ te ne andrai, no?»
«Sì, ma prima devi firmare.» le rispose lanciando un’occhiata ai fogli sotto le sue mani, ancora intonsi.
Nell’osservarli di nuovo, provò disgusto e una sensazione di oppressione sullo stomaco ed una serie di domande esistenziali le annebbiò la mente.
«Firmerai, no?»
«Ti fa così schifo stare qui?»
Una pausa, lunga fin troppi secondi.
«Credevo fossimo d’accordo.»
“D’accordo”, non proprio, ma aveva ormai abbandonato l’idea di lottare contro un destino che sembrava avere sempre la meglio su di lei.
«Firmerò, non preoccuparti, voglio solo rileggere un paio di clausole.»
La ragazza di fronte a lei si sciolse in un sorriso e raggiunse poi il trolley lasciato sul pavimento, raccogliendo il cappello che vi era sopra. Mormorando le note di qualche melodia sconosciuta, lo tese saldamente per i bordi e se lo mise indosso, osservandosi nel grande specchio del corridoio, cambiando inclinazione della testa e posizione del corpo ogni tre secondi.
Il cappello, che le stava d’incanto, continuò a seguire i suoi gesti come in una danza, che sembrava unirli e portarli lontano, lontano da quell’appartamento, persino da quella città. Il caldo e l’umidità davano l’impressione di non infastidirla affatto.
Kelly, osservandola muoversi dalla cucina, notò due cose ben distinte: la sinuosità dei suoi movimenti, caratteristica che sentiva di non aver mai avuto, e il considerevole tatuaggio sul dorso della mano destra, raffigurante due grandi pezzi di puzzle incastrati tra loro. Quella macchia nera, all’apparenza, si mostrava come l’unico tratto fisico a renderle distinguibili.
Con una sensazione di fastidio sempre piú crescente nei confronti della sua leggerezza, prese in mano la penna e iniziò a tamburellarla piú volte sui documenti.
“Perché vuoi andartene via? Maledetta ingrata.”
Kelly sentì un fastidioso e lancinante nodo alla gola farsi strada lungo il collo. No, non avrebbe pianto, non piú, mai piú. Aveva sofferto abbastanza.
Il sole cocente dell’una del pomeriggio, puntò con i suoi raggi dritto sul pavimento al di là del tavolo. La luce accecante le rapì lo sguardo, e gli occhi vacui si persero rivangando ricordi, non tanto lontani, che l’avevano portata a quel momento.


«Mi sono detta, se devo sempre aspettare che ci sia qualcuno per far qualunque cosa io voglia, tanto vale farla da soli, no?»
«Miss Loner-»
«E poi ho pensato, allora se esistesse un’altra me, non avrei piú di che preoccuparmi, giusto? Perché penserebbe come la sottoscritta e avremmo gli stessi gusti. E magari insieme, sì, magari in due sarebbe piú semplice, potremmo fare una marea di cose che ho sempre rimandato. Le persone mi sembrano diventare sempre piú egoiste, così distaccate. Ti prendono e ti usano come e quando vogliono loro. Fingono di esserti amiche, ma poi, chi davvero torna a casa e pensa a come stai? Di chi ti puoi davvero fidare? Sono stanca dell’ipocrisia, di questi rapporti così futili e sfuggenti.»
Per quanto forte di carattere, schietta e senza filtri fosse Kelly, il professore di fronte a lei non riusciva a fare a meno di provare un senso di pena nei suoi confronti.
«Miss Loner, cerco di comprendere i suoi sentimenti, ma quello che le serve credo sia un altro tipo di percorso. Ha mai pensato che della terap-»
«Ho i soldi, le ho portato i documenti che lo provano. Non può dirmi di no.»
«Le sto solo suggerendo una strada diversa. Il motivo per cui facciamo questa pratica sperimentale è per lo piú legata a ragioni di salute, lavoro, non certo per compagnia.»
«A lei che importa del motivo? Lo faccia e basta.»
«Preferisco metterla in guardia. Ogni decisione porta le sue conseguenze.»
«Ha ragione, è per questo che sono qui.»

 
Sarebbe stata il suo ritratto, nell’aspetto e nell’animo, o almeno cosí credeva.
Una sorella, un’amica, una compagna, una consigliera, un supporto, un porto sicuro nei momenti difficili, la rivincita ad ogni delusione, la presenza perfetta nei momenti di solitudine, quei momenti che, in fin dei conti, l’avevano portata a compiere quella decisione. Perché niente bussava piú forte del buio che si portava dentro prima di andare a letto, niente le dava conforto, niente le dava speranza che forse, con un po’ di amor proprio, le cose sarebbero potute cambiare.
Kelly era da sempre stata una persona schiva, e questo, nel corso della sua giovane vita, non aveva fatto altro che causarle delle profonde voragini interiori. Una contraddizione vivente, fatta di aperture e chiusure altalenanti, di sensi di colpa e accuse verso il prossimo, che la rendevano scostante nelle relazioni e nella capacitá di mantenere rapporti solidi nel tempo. Le persone non riuscivano ad affezionarsi mai troppo, e se succedeva, un qualunque litigio o incomprensione facevano sprofondare tutto in un baratro senza via di uscita. Perdere il padre poi, l’unico che sembrava aver mai avuto il privilegio di vedere uno dei suoi rari sorrisi, l’aveva resa ancora meno fiduciosa sul futuro.
Le sue giornate, fatte di routine scandite al minuto, si riducevano tutte ad un’unica persistente compagna: la solitudine.
Terminava ogni sera mentendo a sé stessa, dicensosi contenta cosí com’era, ma covando odio per chiunque non riuscisse a comprendere la sua natura.
La soluzione a tutti i suoi conflitti le si palesò facendo zapping in tv, una delle tante sere, in cui si era votata all’autocommiserazione.
Una pubblicità, un minuto e mezzo di parole ed immagini che rapirono la sua attenzione come stregata da un ipnotista. “Miracles Inc.”, citava il grande logo in sovraimpressione, e così come da titolo, si convinse che quello fosse il suo vero e proprio miracolo.
Un’azienda votata alla biologia, ed in particolare, alla sperimentazione dei codici genetici. Nel giro di trent’anni, i numerosi studi ed esperimenti, con il benestare delle istituzioni Governative e dell’opinione pubblica, portarono la clonazione a diventare la loro pratica per eccellenza, disponibile, previa consultazione, a chiunque potesse permetterselo. Impulsiva e decisa nell’ottenere quella che per lei era una rivincita personale, Kelly raccolse tre quarti della sua eredità lasciata dalle imprese del padre, ed investì nel progetto. Un’altra sé, con un solo obiettivo: renderla felice.

«Miss Loner, prima di continuare, ha letto con attenzione i documenti che le abbiamo inviato ieri per e-mail.»
«Sì, ma non ho ben capito cosa significhi la parte riguardante il rilascio immediato.»
Il professore si sorprese. Quella era la parte del contratto descritta nel modo piú elementare possibile. Con molta probabilità, la sua cliente aveva capito benissimo di cosa si trattasse, ma piuttosto che convincersene, preferì sentirlo spiegare da chi, in fondo, ne sapeva piú di lei sull’argomento.
«È molto semplice. Come già le abbiamo spiegato, la sua sé-»
«Può chiamarla Maddie.»
«Maddie?»
«In qualche modo la dovrò pur chiamare, no? Maddie mi piace molto, mi ricorda le bambole con cui giocavo da bambina.»
Ci fu un attimo di silenzio, poi il professore riprese il discorso.
«Come dicevo, M-Maddie sarà legata a lei da un contratto eterno, ma che eventualmente potrà essere interrotto, solo e soltanto per mano sua, tramite il rilascio immediato.»
«Perché mai dovrebbe venirmi in mente di fare una cosa simile? Con quello che mi costa, tra l’altro.»
«C’è un margine di possibilità che Maddie sviluppi una personalità ben distinta dalla sua e decida di staccarsi da lei.»
«Cosa significa? Com’è possibile? Dovrebbe diventare come me, no? Non c’è modo di “spegnerla” se le cose non vanno?»
Il professore sgranò gli occhi sconcertato.
«Non è una macchina, Miss Loner, è una persona.»
«Ah, già è vero.» rispose senza dare alcun peso al tono completamente scialbo della sua voce e l’assenza di empatia nelle sue parole.
«Le nostre sono scienze sperimentali, in continua evoluzione. Il motivo per cui inviamo uno sconsiderato numero di documenti prima di procedere, è proprio per darle quante piú informazioni possibili. Non può esserci certezza che non si verifichino modifiche nella personalità in quanto l’individuo creato non è fonte di un percorso maturato nel tempo, ma di dati recuperati ed elaborati da un altro individuo. Fisicamente sarà la sua copia esatta, ma per gli altri aspetti dovrà metterci anche del suo.»
Le parole del professore non sembravano sortire nessuna reazione in Kelly, che lo ascoltava ormai, solo per inerzia.
«Finora abbiamo avuto casi simili pari al quindici percento. Abbiamo constatato come molto sia dovuto a quanto si decide di interagire con il mondo esterno. Piú contatti ci saranno e piú questi cambiamenti potrebbero verificarsi.»
«Non si aspetterà mica che la tenga in casa come un soprammobile?»
«No, ma il nostro consiglio è di abituarsi prima alla sua presenza, in solitaria, per almeno sei mesi.»
Che idiozie, non aveva certo investito tanto per farle prendere polvere.
«Beh, sono certa che a me non accadrà. In fondo cos’è il quindici percento?»
«È una possibilità molto piú alta di quello che crede.»
«Va bene, mettiamo il caso che succeda, perché mai dovrei accettare il rilascio immediato?»
«Non è obbligata, certo, ma la sua cop-, voglio dire, Maddie… Le potrebbe diventare ostile.»
«Pericolosa?»
«Non necessariamente, ma potrebbe verificarsi l’eventualità che si ritrovi a vivere con una persona totalmente assente ed inespressiva, in quanto non piú interessata al suo scopo originario, in questo caso quello di… Vivere con lei.»
“Che idiozie.”
«Miss Loner, il punto su cui dovrebbe concentrarsi, è puramente una questione etica. Maddie uscirà dalla Miracles Inc. avendo la maggior parte dei suoi tratti caratteriali, i suoi stessi ricordi e una grande devozione nei suoi confronti. Tuttavia, considerato i gravi limiti a cui sarà costretta, sia nella sfera lavorativa, famigliare e nella possibilità di viaggiare, se davvero dovesse sviluppare un’indole differente, e richiedere un rilascio, ci aspettiamo che la sua sensibilità la porti a soddisfarne le volontà. Non deve preoccuparsi, l’abbiamo visto in tutti i casi passati, esistono molti compromes-.»
«Ho capito, chiudiamo qui il discorso. Sono pronta a firmare.»


«Lo sei davvero?»
«Sì, guarda qui.»
Kelly, ridestatasi dai ricordi, annunciò a Maddie le sue intenzioni, e una volta sollevata la penna, iniziò a scrivere decisa il suo nome e cognome su ognuno dei fogli che aveva davanti.
La ragazza, che ancora indossava il largo cappello di paglia, trattenne a stento le lacrime dalla gioia. Non aveva mai davvero sentito un profondo attaccamento nei confronti di quella che avrebbe dovuto essere la sua guida, al punto da implorarla di sciogliere il contratto e darle una possibilità, senza di lei. Quella libertà era ormai agognata da tempo.
Una volta terminato, Kelly le passò i documenti firmati senza mostrare alcuna emozione, con un’espressione indecifrabile in viso, ed aggiungendo con tono piatto, qualche altra informazione utile per concludere le pratiche.
«Per ufficializzare il tutto dovremo presentarci dal professor Ethos e terminare il contratto. Probabilmente ti toglieranno quello.» disse indicando con lo sguardo il grande tatuaggio che aveva sulla mano, su cui ora erano visibili anche una serie di numeri incisi in bianco.
«Però se non ti spiace, vorrei rimandare la visita a domani. Non mi sento un granché e questo caldo peggiorerebbe solo la situazione.»
«Un giorno in piú non mi cambierà nulla, anzi, perché non festeggiamo? Le nostre ultime ore da sorelle, e un nuovo inizio per entrambe. Che ne dici?»
Kelly avvertì le ultime parole come delle profonde coltellate. Il nodo alla gola tornò bruciando piú forte di prima, ma di nuovo, riuscì a trattenersi.
«Certo, se ci tieni tanto.»
La vide allontanarsi a passi svelti verso il frigorifero, quasi saltellando dalla gioia, in cerca della bottiglia di vino bianco aperta la sera prima. Lo sguardo di Kelly si perse un’altra volta nei suoi movimenti, così diversi e distanti dai suoi, constatando come, a tutti gli effetti, il suo obiettivo fosse ormai ufficialmente fallito. I suoi capricci egoisti e votati al solo scopo di saziare il suo bisogno di attenzioni e profondo isolamento, fecero avverare le profezie del Professor Ethos in breve tempo, e quel miracolo in cui tanto aveva creduto, si era inevitabilmente frantumato in mille pezzi. In un torrido giorno d’estate, vide compiersi la conclusione di ogni illusione.
Maddie tornò canticchiando e agitando due calici in una mano e una bottiglia nell’altra. Verso il contenuto nei due bicchieri e ne porse uno a Kelly.
«Prima di brindare, vorrei fare un ultimo tentativo, Maddie. Fore non sono un tipo semplice, ma mi chiedo se ci sia la minima possibilità di risanare il nostro rapporto. Potremmo viaggiare e fare altre cose divertenti insieme, che ne dici?»
Maddie rimase interdetta a guardarla, con il bicchiere a mezz’aria. Un paio di nuvole passarono lente oscurando ad intermittenza il sole, creando luci ed ombre all’interno della cucina.
«Ho creduto tanto in te, in noi, è per questo che ti ho fatta creare.»
“Bugiarda.”
«Strappiamo insieme quei fogli e ricominciamo da capo. Pensaci, Maddie.»
Altre nuvole intervallarono i loro sguardi, finché distante, si sentì il rombo di un tuono.
«Kelly… Io… Ho già deciso.»
“Peccato.”
«E va bene.» concluse Kelly senza distogliere lo sguardo da lei, muovendo le labbra in quello che sembrava l’accenno di un sorriso «Allora, voglio essere felice per te. Su, brindiamo. Questo vino è il tuo preferito, giusto? Alla tua, Maddie!»
Spostò il bicchiere verso il suo, provocando un leggero tintinnio.
Sorpresa, ma contenta di quella insolita vivace reazione, Maddie annuì, sollevata dall’aver evitato un’inutile discussione. Portò il calice alle labbra e fece una lunga sorsata, mentre Kelly, che in realtà non sopportava l’alcool, rimase impalata a guardarla.
Un altro boato, piú vicino, squarciò il silenzio nella stanza.
«Hai sentito che tuono? Magari avremo finalmente un po’ di tregua da questo caldo.» disse Maddie, provando improvvise vampate di calore e nausea, togliendosi il cappello che ancora portava in testa «Chissà, forse questo è un segno, la promessa che qualcosa di bello per noi sta per accadere, sper-.»
Qualcosa le impedì di terminare la frase ed il calice le scivolò dalle dita, rompendosi all’istante e ferendo le gambe nude di Kelly, che con gli occhi sempre fissi su di lei, era rimasta impassibile.
«K-k…kk.»
Provò a dire il suo nome, mentre le labbra le diventavano viola e gli occhi vacui, terrorizzati e agonizzanti dal dolore. Si accasciò poi sul pavimento in preda alle convulsioni e tossendo l’anima, tentando invano di recuperare un barlume di lucidità, ma ogni tentativo, sarebbe ormai stato vano.
«Vivi qui da mesi, e non hai ancora imparato quanto l’alcool mi faccia schifo. Io, invece di te, ho capito tante cose Maddie, ad esempio quanto ami farti fuori bottiglie di quella brodaglia imbevibile.»
Rivoli di saliva misti a sangue iniziarono a uscire dalla bocca di Maddie, che senza fiato, aveva ormai gli occhi fuori dalle orbite, iniettati di paura e veleno.
«Cianuro, se te lo stessi chiedendo.» disse continuando ad osservarla morente a terra, sentendosi uno strano sapore metallico e amaro in bocca, frutto dell’odio impetuoso che ormai si era impossessato di lei.
«Ti ho dato un’ultima possibilità. Avresti dovuto coglierla, Maddie… Ma se davvero vuoi lasciarmi sola, allora, sarà alle mie condizioni.»
Recuperò da terra il cappello che le era finito sui piedi, lanciandoglielo addosso sgraziatamente.
«Portalo pure con te, non mi interessa.»
Con l’anima ormai persa, sorrise.
«Bon voyage, Maddie.»


















NdA - Eccoci qui! Ci tenevo a spendere due parole su questa oneshot. Mi rendo conto che il limite di parole possa penalizzare una storia, ma dovendo attenermi alle regole di un contest, questo é quanto sono riuscita a produrre, cercando il piú possibile di non lasciare nulla al caso. Non é escluso che finite le valutazioni, la storia venga ampliata. Se ci sono degli errori di battitura o simili, vi chiedo scusa, purtroppo nessuno é infallibile e appena sará possibile correggeró. :) 
L'idea di questa storia nasce da una frase che mi sono detta tempo fa, in preda ad un po' di rabbia e delusione, dopo aver visto una mia iniziativa andare in fumo perché le persone attorno a me hanno ben deciso di tirarsi indietro. Mi sono detta: "Certo che se mi clonassi forse non avrei piú problemi nel pianificare qualunque cosa io voglia fare."  Chiaramente me lo sono detta con leggerezza e per via del fastidio di quel momento, ma quel singolo pensiero mi ha fatto riflettere al punto da scrivere ció che avete appena letto, estremizzando il dolore che puó infliggere il poco amore per sé stessi, quello che possono farci all’animo le delusioni, il rancore ed un'eventuale solitudine mai trattata con i giusti mezzi. 
Vivo a Londra da quasi sei anni, e ne ho avuti molti di momenti difficili (causa pandemia e non), lontano da casa, dalle mie abitudini, ma per mia immensa fortuna, ho sempre avuto la forza di non lasciare a nessuna sensazione negativa di consumarmi o impedirmi di godere della mia scelta di vita con felicitá e coraggio.
Questa storia racconta l'esatto opposto, perché per quanto il finale sia (volutamente) estremamente drammatico, e forse per alcuni inverosimile, per me era importante raccontare fin dove questo malessere interiore possa portare, cioè all’autodistruzione. È una storia dura, che tratta temi non semplici, ma scritta con una chiave di lettura che vuole andare dritta al punto, al suo centro, il culmine finale. Spero ovviamente di non aver urtato la sensibilitá di nessuno.
Kelly arriva a non avere pietá nemmeno per qualcuno che a tutti gli effetti, ha il suo stesso sangue. "Si disfa" del suo clone, nel peggior modo possibile, perché non riesce ad accettare l'ennesima sconfitta, che in realtá, ha perso con sé stessa. E sono proprio i suoi occhi che vede morire davanti ai suoi, di fatto Kelly uccide sé stessa (oltre che una persona), e quella parte forse presente dentro di sé, ma mai esplorata, perché incapace di sviluppare maturitá emotiva e compassione. Kelly si odia, ma le risulta piú semplice odiare il prossimo, cosí che possa disfarsi di colpe e fardelli del passato. Il clone é l'ultima spiaggia, l'ultima occasione di poter costruire un rapporto autentico, ma nessun rapporto al mondo puó funzionare se forzato e fondato sul puro egoismo e soddisfazione personale. Non é stata Maddie a perdere un'occasione, ma Kelly, che abbandonado l'ultimo sprazzo di buon senso dentro di sé, premedita un gesto estremo e vigliacco.
Non ci sono barlumi di speranza in questa storia, perché non sempre ci si riesce a redimere e correggere i propri errori e tramite quel gesto criminale, ho consapevolmente tentato di provocare (spero) un senso di disprezzo nei confronti della protagonista e la sua totale assenza di empatia. Perché l'empatia nella vita, é estremamente importante. Perché neanche un'ipotetica copia di noi stessi, che dovrebbe somigliarci in ogni aspetto, ha la capacitá di colmare i nostri vuoti interiori, se non siamo noi ad avere il coraggio di affrontarli, di sentire il dolore e ricominciare, finché non saremo pronti a volerci bene.
Prima di concludere, aggiungo che la scelta dei cognomi Loner ed Ethos non sono affatto casuali, ma la traduzione inglese di "solitario" ed "etica", caratterestiche prevalenti nei due personaggi.
Mi fermo qui, spero comunque vi sia piaciuta, a presto! :)
xxxxx Vale
   
 
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