Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Non Molto    09/11/2023    0 recensioni
"Non appena la famiglia si allontana, Lorena mi scruta per qualche secondo. Dopodiché, si fionda tra le mie braccia, stringendomi forte. «Grazie per avermi riportato la mia mamma anche stavolta» sussurra al mio orecchio. «Tu sei il mio eroe, ed io sarei persa senza di te. Ci vediamo, zio Levi», e poi scappa via raggiungendo le sue madri, che la stanno aspettando a braccia aperte.
Io mi rialzo da terra lentamente, sconvolto. Ricambio con un gesto meccanico gli ultimi saluti di Petra ed Ester, e poi riprendo il cammino verso il quartier generale.
Sono senza fiato. Forse, qualcuno che dentro le Mura aspetta il mio ritorno, ce l’ho anch’io".
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Levi Ackerman, Nuovo personaggio, Petra Ral
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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IV

La morte di Petra

 

Anno 850

 

È sera. È sera, e la gamba mi fa un male cane. Mi fa un male cane, però ci cammino sopra lo stesso. 

Non è una di quelle cagate per cui mi faccio volontariamente del male fisico per non percepire il dolore emotivo, no. Tanto, il dolore emotivo, lo percepisco lo stesso.

Mentre cammino zoppico un po’. Mi sono fatto male perché ho salvato la vita a Mikasa. Dunque, bilancio delle cose positive e delle cose negative: positive, ho salvato la vita a Mikasa e ho recuperato Eren, negative, ho perso per intero la mia squadra, tra cui una madre di famiglia. Della mia famiglia.

Mentre zoppico per la via principale di Karanes, trascino il mio morello per le briglie. La sua camminata è stanca, il suo corpo è rovente, e lo sento sbuffare accanto a me. Non vedo l’ora di togliergli le redini, nutrirlo, spazzolarlo e chiuderlo nel suo box. E poi non vedo l’ora di farlo anche con me. Rannicchiarmi sotto alle coperte e concedermi, almeno per stasera, nel buio della mia stanza, di far finta di non esistere.

Isabel aveva un’affinità particolare con gli animali, e mi aveva spiegato che gli animali percepiscono il nostro stato d’animo. E io credo che il mio morello stia percependo il mio stato d’animo.

Sanguino da ogni dove, mi manca il respiro e mi sento intontito, come se avessi sulle spalle la testa di un altro, e non la mia.

Grazie al cielo però, tra i miei pensieri si fa vivo un ricordo. Ester, Niña, Tommy e Lorena. Lorena mi correrà incontro, saltandomi tra le braccia. E oggi non deve succedere. 

Monto a cavallo, perché ultimamente ho notato che Ester fa una cosa. Forse l’ha sempre fatta e io non l’ho mai notato, però c’è una cosa che fa. 

Prima di lasciare che i suoi figli guardino liberamente tra la folla, cerca il mio sguardo. Lo cerca per capire se Petra è ancora viva, e dunque se può lasciare che i suoi figli si lascino andare alla gioia o se deve portarli via, proteggerli dal dolore e spiegare loro l’accaduto a casa, al sicuro.

Una volta montato a cavallo riesco a scorgerla facilmente. È così piccola, e anch’io sono piccolo, siamo tutti piccoli. I suoi occhi baluginano quando incontrano i miei, e le mie iridi intercettano le sue come calamite. Ester mi guarda e corruga le sopracciglia, come se il mio sguardo l’avesse ipnotizzata. 

Scuoto il capo in segno di diniego. La madre dei tuoi figli è morta là fuori, Ester. È stata uccisa da una persona che sa prendere le sembianze di un gigante, ma che sfortunatamente non ha niente a che vedere con Eren.

Ester capisce al volo, ovviamente. Vedo lo sconvolgimento impossessarsi di lei, ma lei lo domina subito. Fa calare le sue piccole braccia sui suoi figli e li avvolge, proteggendoli. E poi li trascina via.

Non fa capire loro cosa sia successo, una mamma deve fare così. Se quando il bambino si fa male la mamma si dimostra più spaventata di lui, allora il bambino non imparerà mai come si fa a gestire la paura. Però sono pronto a giocarmi la testa che sia Niña che Tommy hanno già capito tutto, e probabilmente anche Lorena. Mi dispiace, mi dispiace e mi dispiace.

Facciamo rientro al quartier generale. Accompagno il mio cavallo nella stalla, nel suo box. Gli tolgo sella, redini e briglie, lo striglio e gli pulisco gli zoccoli. Non penso a niente, e mentre mi occupo di lui mi sento quasi in pace. Gli dò del fieno e dell’acqua, e poi m’incammino verso la caserma e i miei alloggi. Cammino piano, senza fretta. Perché faccio fatica a respirare, credo, e quindi non voglio camminare troppo veloce. Ho paura che se velocizzo i miei movimenti il dolore si farà più intenso. Quindi cammino piano, come quando c’è una bestia feroce assopita e tu cerchi di muoverti il più delicatamente possibile per cercare di non svegliarla.

Arrivo nella mia stanza, è inondata dalla luce. È pomeriggio. Mi tolgo gli stivali e indosso le ciabatte da camera, perché non voglio beccarmi qualche scheggia camminando a piedi scalzi per il pavimento di legno. Mi siedo alla scrivania, che sta addossata contro la parete. Calamaio, pennino e carta.

 

15esimo giorno dell’ultimo mese di primavera dell’anno 850, distretto di Trost

57esima spedizione fuori dalle Mura

Rapporto della Squadra per le Operazioni Speciali (unità Levi)

Membri: Ackerman, Levi (CM)

soldati semplici (in ordine alfabetico): Bossard, Oruo 

Jaeger, Eren

Jin, Erd

Ral, Petra

Schulz, Gunther 

 

La Squadra ha cavalcato in condizioni di normalità fino alla Foresta degli Alberi Giganti: appena effettuato il nostro ingresso nella foresta, ha fatto la sua apparizione il gigante dalle fattezze femminili.

Le squadre di rinforzo lo hanno attaccato senza successo, mentre la Squadra ha continuato a cavalcare, cercando di fuggire dal gigante.

Dopo averlo condotto nella foresta, le operazioni di cattura sono andate a buon fine. Mi sono dunque separato dalla mia squadra affidando il comando a Erd Jin. Dopo aver tentato inutilmente di tirare fuori l’ospite del gigante dalle fattezze femminili e dopo aver assistito alla fuga di quest’ultimo, ho sentito delle urla provenire dall’interno della foresta. Le urla di Eren Jaeger trasformato in gigante.

Sulla via per raggiungerlo ho trovato morti i miei compagni, nell’ordine: Schulz, Gunther appeso a un albero, una lama gli ha aperto la collottola. Intuisco che è stato ucciso non da un gigante ma da un essere umano, forse dall’ospite del gigante femmina. Jin, Erd, Bossard, Oruo e Ral, Petra, più plausibile che siano stati uccisi dal gigante femmina in forma di titano. 

Vedo Eren combattere contro il gigante femmina e quest’ultimo sconfiggerlo e strappargli la nuca, e lo trattiene tra le fauci. Incontro Mikasa Ackerman, soldato semplice appartenente alla Squadra Dita e insieme inseguiamo e mettiamo fuori uso il gigante femmina riprendendoci Eren. Riprendiamo poi la marcia verso Trost.

 

Ripongo il pennino nel calamaio, lascio asciugare la lettera e nel frattempo scelgo dall’armadio delle foglie di valeriana. Voglio prepararmi un infuso e provare a dormire un po’. Voglio prendermi cura di me stesso anche se in questo momento è l’ultima cosa che voglio fare, e proprio perché è l’ultima cosa che voglio fare voglio obbligarmi a farla. Io mi riposerò. Io mi idraterò. Io mi vorrò bene. 

Per questo mi alzo ed esco. La mia meta è l’ufficio di Erwin. Stare con lui mi fa sempre stare un po’ meglio. Mi dà forza, e in questo momento ne ho bisogno.

Busso alla porta. «Avanti» sento la sua voce calda rispondere, ed entro.

«Oh, Levi» mi saluta. «Hai bisogno di qualcosa?».

«Ti ho portato il rapporto della spedizione di oggi».

Erwin annuisce, e io poggio il documento sulla scrivania. Lui guarda le sue scartoffie e io vado alla finestra, guardo fuori. Non è strano, lui fa come se io non ci fossi, come se la mia presenza fosse del tutto naturale per lui e questo mi fa sentire ancora meglio.

«Se hai voglia di bere qualcosa di caldo con qualcuno, io sono qui» lo sento dire.

Gli poggio una mano sulla spalla e la stringo, per ringraziarlo. 

 

È sera, anzi, è notte. Fa freddo, ma io sono stretto nel mantello color verde bosco dell’Armata Ricognitiva, quel mantello che alla mia Lorena piace tanto. Tutto attorno a me tace ed è silenzioso. Il sonno ha stregato tutti, ma non ha stregato me. I miei occhi continuano a lacrimare, come se mi stessero rubando un pianto a cui non voglio concedermi. Non sono passate neanche ventiquattro ore, e i miei ragazzi mi mancano. Mi mancano da morire.

Sono nelle stalle. Tiro fuori il mio morello, lo sello velocemente e gli balzo in groppa. Da Karanes a Trost c’è una mezz’ora di cavalcata, e dai cancelli di Trost alla casa di Ester e Petra un’altra mezz’ora. Non so se il tempo passa in fretta o lentamente, so solo che voglio arrivare in fretta.

Quando giungo davanti all’abitazione lego il mio morello alla staccionata che circonda la casa e poi la scavalco. Mi avvicino alla porta, la casa è completamente immersa nel buio. Busso lievemente, anche se so che non mi risponderà nessuno.

Invece, sorprendentemente, la porta si apre. Ester apre la porta. Era completamente immersa nel buio, neanche col camino acceso. La luce della luna le illumina il volto, livido di pianto. Singhiozzi che probabilmente ha soffocato per non svegliare i propri figli al piano di sopra.

«Sono venuto qui per dirti che mi dispiace tanto. Penserò sempre a lei, giorno e notte, e farò qualunque cosa affinché la tua famiglia sia al sicuro, anche se non vorrai più vedermi».

Ester scoppia a piangere e mi avvolge in un abbraccio tremante, con le sue piccole braccia.

«Tu sei parte della mia famiglia. Sono così felice che tu sia vivo». Sono così confuso e sorpreso, e mi limito a stringerla.

Rimaniamo così per attimi infiniti. Poco dopo, sento tre piccole persone avvolgerci. Niña, Tommy e Lorena ci hanno sentiti, probabilmente non si sono neanche mai addormentati. Noi li stringiamo, ma poi Lorena si stacca e va verso il mio cavallo. Vuole aprire la staccionata e portarlo nella stalla. 

Al contempo, Niña e Tommy tornano in casa. Stendono una coperta davanti al camino e accendono il fuoco. Io e la loro madre ci guardiamo interdetti, e poi ci sblocchiamo. Io corro ad aiutare Lorena, ed Ester ad aiutare Niña e Tommy. Ci sediamo tutti e cinque davanti al camino, abbracciandoci e singhiozzando. E in quel momento capisco, che Petra Ral mi ha lasciato in eredità un regalo estremamente prezioso: una famiglia. Una famiglia da cui tornare.

   
 
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