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Autore: JenevieveEFP    10/11/2023    1 recensioni
La guerra è appena finita, Voldemort è stato sconfitto, Tonks e Lupin sono ancora vivi. Snape è stato salvato in extremis ma versa in condizioni critiche per le ferite inferte da Nagini. La sua mente provata dalla febbre e dal veleno, lo tormenterà con dolorosi sogni e ricordi perduti del suo passato. Harry intanto è pronto a svelare ai pochi membri rimasti dell'Ordine della Fenice la verità dietro il doloroso ruolo dell'odiato preside di Hogwarts, e a confrontarsi con Draco con la calma che solo la fine di un conflitto sa donare. La fine della guerra diventerà un nuovo inizio per tanti, ma una condanna dolorosa per alcuni che non erano pronti a sopravviverle. Le occasioni di incontro e scontro non mancheranno, specialmente quando gli studenti saranno richiamati ad Hogward per ripetere l'anno scolastico brutalmente interrotto e cercare di ricominciare a vivere e ricostruire.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter, Remus Lupin, Severus Piton | Coppie: Draco/Harry
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Come modesta autrice autopubblicata alle prime armi, ogni forma di pubblicità è fondamentale per far arrivare il mio piccolo romanzo agli appassionati di questa nicchia. Se vuoi darmi una mano basta anche solo spargere la voce fra eventuali potenziali lettori in cerca di nuove pagine da divorare!
Intanto ti ringrazio di avermi letta qui ed eventualmente recensita (cosa che, non ti nego, è un piacere immane lato scrittore), arrivederci al prossimo capitolo o alla prossima storia!







La sera di Halloween Hogwarts offrì come ogni anno il suo lauto banchetto, servito nella sala grande riccamente arredata a tema. C’erano zucche animate che distribuivano dolcetti recitando barzellette e freddure all’inglese, più un paio delle gigantesche zucche da record di Hagrid che erano state posizionate agli angoli della sala. Scavate come piccole voragini, in queste ultime si poteva entrare comodamente dalle enormi bocche ghignanti. Il soffitto stellato era infestato da pipistrelli che ogni tanto scendevano in gruppetti verso gli studenti ed esplodevano in una nuvoletta di fumo arancione e glitter, lasciando al malcapitato di turno un cappellino da zucca adagiato sulla testa.
Era la prima vera grande festa dalla fine della guerra, e come sempre accade in tali frangenti, fu un profondo momento di sollievo e relax generale, come se niente di orribile fosse mai successo fra quelle antiche mura.
Il coprifuoco per tutti era stato imposto a mezzanotte, col totale divieto di transitare al settimo piano salvo per coloro che dovevano raggiungere il proprio dormitorio alla torre di Grifondoro. La preside non aveva neppure provato ad inventare chissà quale scusa, tutti sapevano bene che lì c’era l’ufficio del professore di Difesa contro le arti oscure, che fatalmente avrebbe dovuto affrontare la propria maledizione proprio quella notte.
Fuori dall’ufficio di Lupin si erano riuniti a far da guardia in quattro: Tonks dietro le fedeli sembianze di Eli Porter, Snape, Flitwick e la preside. Gli altri docenti erano invece sparsi fra la sala grande e i vari piani a tenere d’occhio la situazione.
Tonks e Snape erano i più vicini alla porta, sbarrata da incantesimi e un robusto passante metallico chiuso dall’esterno. Snape stava in piedi quasi regolarmente, appoggiato un minimo al bastone comunque presente. Aveva recuperato molto, dopo il lungo periodo di degenza. Gli unici ricordi visibili dell’aggressione di Nagini erano le cicatrici sul collo e i capelli tenuti corti.
La professoressa McGonagall era seduta su una panca di pietra accanto alla finestra, intenta a scrutare il cielo nuvoloso delle nove di sera. Quando da dietro la linea dell’orizzonte finì di sorgere la luna, fece un cenno d’intesa ai colleghi. Quasi immediatamente sentirono il rumore di qualcosa che cadeva dentro la stanza di Lupin, un piccolo tonfo che li fece irrigidire. Nel silenzio totale del corridoio udirono chiaramente ringhi, lamenti e qualche altro oggetto che finiva a terra frantumandosi. Durò qualche minuto e alla fine tornò il silenzio assoluto.
Si guardarono serissimi, turbati, ed Eli parlò con urgenza.
«Voglio controllare come sta. Fatemi da retroguardia.» propose agli altri.
«Sei sicuro?» mormorò atterrita la preside, che si alzò e mosse con calma verso la porta.
«Sì. Se la pozione ha funzionato non sarà un pericolo. In caso contrario dobbiamo saperlo, potrebbe essere una situazione d’emergenza.» insistette, sfoderando la bacchetta e mettendo mano al robusto passante metallico.
«Aspetta.» lo bloccò Snape.
«Mh?»
«Lascia andare me. Tu stai indietro: sei sicuramente il più svelto a reagire in caso di problemi.» ordinò secco, con una smorfia di vago disprezzo nel concedergli quel complimento.
«Proprio perché sono il più svelto.» obiettò l’auror, ma il pozionista lo interruppe.
«Io sono quello messo peggio, sono il più sacrificabile. Dovresti averlo imparato, durante l’addestramento.» lo redarguì arcigno. «La pozione l’ho fatta e sorvegliata io per tutto il tempo. So che è impeccabile e nessuno può averla alterata, sta volta.»
Eli guardò intensamente l’uomo che a sua volta impugnò la bacchetta con cautela e si accostò alla porta.
Flitwick e la McGonagall assistettero tesi e la preside annuì a sancire il proprio mesto accordo con la proposta di Severus.
Eli trasse un profondo respiro frustrato, quindi sbloccò la serratura e si fece indietro, bacchetta puntata all’uscio e passaggio libero per Snape.
«Sono pronta.» gli scappò il femminile, tanto era tesa e concentrata.
Severus afferrò la maniglia con mano salda, stringendola qualche istante con forza. Aveva la mascella e ogni fibra del corpo tesa, pronto a scattare, nonostante la sicurezza mostrata a parole. 
I colleghi indietreggiarono di poco prendendo posizione. La preside e l’insegnante di incantesimi animarono le panche di pietra che l’attentatore aveva usato come sbarramenti il mese precedente e ne copiarono la strategia. Le pesanti panche vennero ingrandite e triplicate in numero, quindi svolazzarono come fossero piume da un lato e dall’altro del corridoio, diventando ostacoli e non più comodi supporti.
Snape aprì la porta e venne accolto dal silenzio. Entrò e intanto Eli si accostò all’uscio e lo socchiuse, sbirciando dentro a sua volta, pronto a reagire. Il pozionista avanzò di due passi guardando attento ovunque. La scrivania era disordinata, la poltrona di Lupin riversa a terra insieme ad un paio di libri e la bisaccia dove aveva riposto le bottiglie vuote della pozione. Una era rotolata via e si era infranta.
Fece cautamente il giro della scrivania e infine lo trovò. Quell’enorme lupo grigio che ormai aveva imparato a riconoscere bene, era accucciato tranquillamente sotto la scrivania come un grosso cane intento a riposare. Aveva l’aria tranquilla, la coda rilassata, gli occhi socchiusi.
Severus si immobilizzò lì, a due metri dal licantropo, che alzò pigramente il testone e riaprì bene gli occhi. Lo fissò con l’imperscrutabilità delle bestie feroci, ma sul suo muso non c’era traccia di aggressività o cattive intenzioni.
«Sta bene. È qui sotto.»  Avvisò Severus, cercando con lo sguardo Eli che lo fissava teso dallo spiraglio della porta socchiusa.
«Grazie a Merlino.» sospirò sollevato l’auror, e con lui anche la preside e Flitwick.
Eli rimase un attimo esitante lì, quindi fece un cenno svelto alla preside e il docente rimasti nel corridoio, ed entrò a sua volta nell’ufficio. Si chiuse la porta alle spalle mentre Snape lo guardò interrogativo.
Il lupo intanto si sollevò pigramente e si mosse incontro al pozionista manco un cane tranquillo che trotterella verso il padrone.
Tonks riprese le sue forme originarie, la bacchetta ancora in mano ma la posa rilassata.
«Volevo parlarti un attimo.» spiegò così il suo ingresso.
Severus inarcò un sopracciglio, interdetto tanto dalla premessa quanto dall’avvicinamento di Lupin. Con un movimento della bacchetta fece tornare su la poltrona e gli oggetti che erano finiti a terra.
«Parla, prego.» concesse, serio.
Intanto Remus si fermò ai piedi dell’uomo, e si mise tranquillamente seduto come un cane ben addestrato, per quanto vista la stazza enorme avesse la testa praticamente all’altezza del petto altrui. Tonks guardò la scena con un sorriso strano, a metà fra intenerito e invidioso: il lupo sembrava preso solo dal pozionista e non l’aveva nemmeno degnata di uno sguardo.
«Volevo dirti che penso tu sia un grandissimo idiota, Snape.» dichiarò candidamente.
L’uomo, preso in contropiede, prima sgranò gli occhi poi si accigliò.
«Come prego?» sibilò aspro.
«Hai capito benissimo.» ribadì con un sorriso affabile l’altra. Poi gli indicò il licantropo seduto di fronte a lui che sembrava quasi in attesa di qualcosa. «Prenditi cura di Remus come lui si è preso cura di te mesi fa. Magari tu sei convinto di meritare tutti i mali del mondo, e dopo come l’hai trattato negli ultimi mesi potrei anche essere d’accordo con te.» ammise con un fondo di ironia mesta, ma schietta. «Remus no, però. Non si merita quello che gli stai facendo. Non pretende niente, rispetta te e la tua volontà come io rispetto la sua verso di me, e così almeno un rapporto di amicizia si può tenere su. Smetti di caricarlo anche del tuo dolore, smetti di fare l’idiota.» glielo disse col tono più serio di cui disponesse, in un ordine deciso, stanco.
Snape la fissò interdetto in un lungo silenzio che rimase tale quando Tonks riprese l’aspetto di Eli e lasciò la stanza, senza aggiungere altro. Lo sentì annunciare alla preside e al professor Flitwick che era tutto in ordine, prima che la porta tornasse a chiudersi e lasciarlo solo col mannaro ammansito dalla pozione.
Guardò l’animale negli occhi, ancora del tutto teso, e allungò esitante la stessa mano con cui l’aveva accarezzato mesi prima, a casa propria. L’animale socchiuse gli occhi e piegò il testone al suo cospetto. La mano magra del pozionista trovò la peluria corta e fitta sul capo del lupo, gli fece una carezza esitante fra le orecchie beandosi della sua espressione da bestia mansueta e compiaciuta. Più lo accarezzava più riusciva a rilassarsi.
«Mi dispiace.» ammise pianissimo, prima di ritrarsi esitante. Zoppicò indietro, guadagnandosi un’occhiata fissa dal lupo e una piccola musata contro un fianco, quindi si allontanò verso l’uscita.
Remus seguì i suoi movimenti senza però cercare di fermarlo né accompagnarlo, come se avesse compreso quell’amaro congedo. Tornò semplicemente al posto che si era scelto, quella nicchia riparata sotto la scrivania, e ci si andò ad accucciare.





Verso le undici e mezza, satolli di dolciumi e soddisfatti, i ragazzi iniziarono a fare pigramente ritorno ai propri dormitori sotto gli occhi attenti dei docenti di guardia. Harry, dopo aver appurato che al settimo piano fosse tutto a posto, si era dato appuntamento con Draco in un’aula in disuso al terzo piano per poter passare almeno una mezz’ora di pace insieme. Una volta dentro sigillarono la porta con un incantesimo e controllarono attentamente di essere soli.
Era una stanza ampia, carica di strani strumenti di misurazione rotti e impolverati. Non c’erano tavoli né panche o sedie, solo una cattedra in un angolo. Doveva essere stato il ritrovo occasionale di altre coppie, perché in giro c’erano delle chiazze di pulito sparse qua e là. Lungo una parete correva una fila di finestre finemente decorate, da cui filtrava tenue la luce esterna della luna piena e delle fiaccole lontane.
Appena furono sicuri di non avere sorprese, i due si allacciarono in un abbraccio bisognoso e un bacio affamato come tanti prima d’allora. Nel pieno dei loro diciotto anni carichi di ormoni e desideri insoddisfatti, si staccarono solo quando, col fiato corto, si resero conto di essere a rischio di volere ben di più.
«Non ce la faccio più così.» sospirò Draco leccandosi le labbra nervosamente, il viso accaldato e la tunica stropicciata.
«Idem. Se torniamo a baciarci io non credo di farcela a tenermelo buono.» ammiccò il moro indicando in basso lì dove sotto l’uniforme nera  c’era la patta dei jeans.
Draco arrossì un po’ di più, ma gli rivolse un’occhiata maliziosa.
«Tu … l’hai mai fatto?» chiese piano.
«No.» ammise Harry, in imbarazzo ma incapace di staccare le mani dai suoi fianchi. «Tu?»
Draco distolse lo sguardo quando confessò un po’ controvoglia che:
«Quasi, con Zabini ci siamo baciati, toccati e beh, poco altro. Però no, l’atto in sé manca anche a me.»
Harry fece uno sbuffo e un sorriso stranito, andando a carezzargli via una lunga ciocca bionda che gli era scivolata sul viso. Il biondo aveva smesso da mesi di accorciare i capelli, che ora gli arrivavano quasi all’attaccatura delle spalle.
«Poco altro, tipo?»
«Tipo un lavoro di mano e uno di bocca?» sintetizzò Draco fra imbarazzato, divertito e su di giri anche solo per quel tocco.
«Non avrei mai detto che Zabini preferisse gli uomini.» scherzò Harry.
«Infatti preferisce le donne. Pansy per la precisione. Le muore dietro, ma lei non se lo fila e voleva provare qualcosa di diverso.» iniziò a spiegare divertito ma poi finì per rabbuiarsi.
Harry proseguì con quella carezza sul suo viso, portandolo a rialzare il capo con un tocco gentile sotto il mento.
«Ti mancano, vero?»
«Già.» sospirò il biondo. Ma poi scosse la testa, come a scacciar via l’attimo di disappunto, recuperando decisione. «Parliamo di noi, al diavolo il resto.»
Harry sorrise e annuì.
«Ok, ci sto. Noi.»
Draco si fece coraggio e iniziò a giocherellare con la cravatta rosso oro, annodandola delicatamente fra le dita.
«Se decidessimo di provare a fare qualcosa di più, tu lo faresti qui?» indagò.
Harry inarcò un sopracciglio e si guardò intorno.
«Qui?» chiese dubbioso.
«No, scemo, non qui-qui. Che schifo. Intendevo qui ad Hogwarts.» rise il biondo.
«Ah! Mh, beh sì perché no? Cioè, a patto di trovare un minimo di intimità e sicurezza.» specificò con una smorfia frustrata.
«Praticamente impossibile, senza la stanza delle necessità e facendo parte di casate diverse.» mugugnò funereo Draco. Poi però distese l’espressione, come illuminato da un’idea improvvisa. «Natale.»
«Mh?»
«Potremmo tornare a casa insieme per Natale. Mamma e papà mi hanno intestato una piccola proprietà in campagna per non farsela sequestrare mesi fa.» spiegò divertito.
Harry sorrise con aria un po’ scettica alla proposta, quindi piegò il capo e avvicinò il muso al collo del ragazzo, in un impeto non annunciato e istintivo. Prese a baciarlo e parlare sopra la sua pelle.
«Tu credi di resistere due mesi? Io mi sa di no.»
«Se fai così manco due minuti.» ammise sornione il biondo, reclinando il capo da un lato per dare più spazio alle attenzioni dell’altro che lo fecero fremere.
«Ok, ok. Mi fermo.» sospirò il moro, fra divertito e spazientito. «E Con Zabini dove … ?» indagò dunque tirandosi di poco indietro.
«A casa sua, un’estate.»
Harry lo fissò dritto negli occhi per diversi istanti, in silenzio, tanto che Draco si ritrovò a sbuffare una mezza risata.
«Che c’è? Perché mi guardi così?» gli diede un colpetto col naso contro il mento, le mani appollaiate morbidamente sul suo petto.
«Niente, ho appena capito che non reggerò due mesi.» rise l’altro.
Draco lo abbracciò stretto e col viso arrossato e caldo gli parlò ad un soffio da un orecchio, facendogli venire una piacevole pelle d’oca.
«Non voglio che la mia prima volta né la tua sia in questo postaccio lurido. Ma penso sia necessario darci almeno un minimo di sollievo o saltiamo in aria. Quindi … ti accontenti di una mano o della mia bocca?» propose col viso in fiamme e la voce abbassata dal desiderio.
«Mi sforzerò, ma solo se mi consentirai di ricambiare.» rise Harry, gli occhi accesi dalla medesima voglia.
«Ovviamente sì.» sentenziò l’altro, scoccandogli un bacio su una guancia.
Seguirono diversi altri baci, sempre più intimi e ci volle ben poco per arrivare a realizzare quanto si erano ripromessi sul concedersi finalmente un qualcosa in più.



Quando Harry uscì dall’aula, qualche minuto prima di Draco, aveva in faccia un sorriso serafico e rilassato come non l’aveva da mesi o forse da una vita intera. Risalì fino al settimo piano, deciso a dare un’ultima controllata alla zona dell’ufficio di Remus. Il suo sorriso però si spense subito quando vide che oltre ad Eli Porter e la preside, erano presenti anche Ron, Ginny ed Hermione e che sembravano tutti e tre parecchio turbati. Ron camminava avanti e indietro nervosamente, mentre la sorella lo riprendeva aspra.
«Puoi stare fermo un momento?»
«No?»
La McGonagall e Porter avevano un cipiglio serio e pensieroso, molto simile a quello di Hermione ferma in piedi poco più in là. Harry affrettò il passo e il primo a vederlo fu Ron.
«Harry!» esclamò correndogli incontro.
«Te l’avevo detto che sarebbe passato prima qui!» esclamò Ginny accodandosi al fratello.
«Che ci fate voi qui? È successo qualcosa?» si agitò subito il moro.
Hermione li raggiunse con più calma, sembrava comunque molto tesa e seria.
Ron, appena gli fu davanti gli mise una mano sulla spalla in un gesto strano, quasi fra consolazione e precauzione. Ginny si morse nervosamente un labbro e così a rispondere fu Hermione.
«Harry è successa una cosa.» sembrava in difficoltà.
«Cosa? Avanti, parla. Remus?» ipotizzò agitato scoccando un’occhiata ansiosa anche alla preside e Tonks, che però gli fecero cenno di no.
«No no. Lupin sta bene. È che … » si infilò una mano in tasca e dopo un lungo sospiro teso porse ad Harry un cartoncino rettangolare. « … quando ti sei allontanato dopo cena sono iniziate a circolare queste fra vari studenti.»
Harry afferrò quel cartoncino e lo rigirò. Si ritrovò ad ammirare una fotografia magica in movimento, che ritraeva da un’angolazione un po’ storta lui e Draco intenti a scambiarsi prima una carezza e poi un bacio sulle labbra. La foto era fatta male, ma i soggetti erano indubbiamente chiari, ripresi negli spogliatoi del campo da Quidditch.
Il moro sgranò gli occhi, fissando la scena con uno stordimento quasi nauseato.
«Quando cavolo meditavi di dircelo?» ruggì Ron, che dopo l’accenno di supporto che gli aveva offerto prima con la mano sulla spalla incrociò le braccia al petto fissandolo accigliato.
«È vera?» chiese invece Ginny.
«Piantatela.» li redarguì Hermione.
Harry emise un ringhio basso a denti stretti, un verso di rabbia gutturale che fece indietreggiare Ginny ed Hermione di mezzo passo e sgranare gli occhi di Ron. La McGonagall e Porter scattarono in piedi, e da spettatori passivi che erano si accostarono al quartetto di studenti con aria turbata.
«Harry.» lo richiamò Ron, che lo osservava quasi intimorito. «Ehi, tranquillo, ok? Non volevo aggredirti è che … sì insomma.» bofonchiò teso.
Harry li fissò un po’ smarrito appena vide quelle espressioni sui loro volti.
«I-io. Non, scusate. Non so cosa mi è preso. Non volevo ringhiare a quel modo.» ammise confuso e imbarazzato.
Ginny fu la prima a riprendersi dall’attimo di allerta generale.
«Anche Bill col plenilunio diventa più nervoso.» spiegò con noncuranza. «Mi sa che è normale, niente di grave.»
Hermione annuì a darle man forte, ed Harry trasse un respiro profondo abbassando lo sguardo, dispiaciuto.
«Volevamo dirvelo da giorni.» confessò accennando alla foto che intanto aveva strizzato così forte fra le dita da spiegazzarla malamente. «Non abbiamo trovato un attimo né un’occasione per farlo insieme, ma l’avremmo fatto a giorni. Dico davvero.» garantì tornando ad occhieggiarli serio.
«Da quanto state insieme?» chiese timidamente Hermione.
«Da circa un mese. Quando ho rischiato di rimanerci secco a fine settembre ci siamo parlati, si era confessato e mi aveva spiegato alcune cose in infermeria.»
Ron fece una piccola smorfia indignata ma si tenne per sé ogni commento piccato.
«Di quando è quella foto? Quando ve l’hanno fatta?» chiese invece, un po’ a denti stretti.
«Dopo l’allenamento di giovedì scorso. Pensavamo fossero tutti a cena dato che era molto tardi.» si giustificò il moro passandosi una mano sul viso. Poi sgranò gli occhi. «Hai detto che è iniziata a girare dopo cena fra gli studenti?»
«Sì.» confermò Ginny. «Non abbiamo capito da chi sia partita, ce n’erano diverse copie abbandonate vicino alle zucche. Saranno state una cinquantina in totale, massimo cento. Alcuni le hanno prese, è partito il passamano e praticamente dieci minuti dopo che tu e Draco ve ne siete andati ad ogni tavolata c’erano gruppetti da cinque o sei persone con una foto ciascuno.»
«Le faremo confiscare e distruggere, è un evento increscioso che non passerà impunito.» intervenne la preside.
Harry e i compagni sembrarono ricordarsi di non essere soli solo in quel momento. Il moro incassò un po’ la testa fra le spalle.
«M-mi dispiace, Preside. Non volevo che accadesse niente di simile né noi abbiamo fatto niente di … sì insomma, niente di più.» iniziò a giustificarsi.
La donna gli fece cenno di fermarsi, le labbra strette in una smorfia severa.
«Non vi punirò per un bacio Harry, tuttavia vi invito ad una maggiore cautela in futuro e a scegliere con maggiore cura attività e luoghi consoni al decoro scolastico.»
Harry inghiottì a vuoto e annuì, salvo poi cambiare repentinamente espressione come folgorato da una realizzazione improvvisa.
«Draco!» esclamò allarmato.
Lo videro fare uno scatto e solo Ron fu in grado di acchiapparlo in tempo per un braccio e bloccarlo.
«Harry, fermo.»
«Ron, devo andare da lui.» protestò il moro.
Fu necessario anche l’intervento di Tonks che, con la rinnovata forza fisica del prestante Eli, riuscì a trattenerlo per una spalla.
«Aspetta Harry, ragioniamo.»
«Pensi possa essere in pericolo?»  chiese invece la preside, mortalmente seria.
«Sì.» confermò animatamente Harry. «Lo trattano da schifo da settimane. Per questo aveva mentito a Nott il primo giorno dicendo che la nostra fosse un’amicizia di convenienza.» spiegò concitato un po’ alla donna e Tonks, un po’ agli amici. «Ad ogni allenamento di Quidditch gli tocca passare dall’infermeria per farsi rimettere a posto lividi e slogature con cui i compagni di squadra lo fanno uscire puntualmente.»
«Perché non me ne avete parlato prima?» rispose modestamente alterata la docente.
«Non ha voluto lui, per orgoglio. E anche se ha tagliato i rapporti mesi fa ci tiene ancora ai suoi vecchi amici, a Serpeverde e la squadra. Non vuole metterli nei casini, insomma.» spiegò Harry, smettendo di cercare di liberarsi. «Lasciatemi andare per favore, devo controllare che stia bene.»
«Cosa intendi fare, bussare al dormitorio di Serpeverde finché non ti fanno entrare?» chiese ironica Ginny.
«È un’idea.» sbuffò il moro.
«Una pessima idea.» si intromise Hermione. «Peggioreresti solo la sua posizione senza prima sapere come intenda gestire la situazione.»
«Concordo.» confermò la preside. «Penso sia il caso che voi quattro andiate a svegliare il professor Snape e chiediate a lui di intervenire, per sicurezza. Porter ed io non possiamo lasciare questa postazione. Vi raccomando comunque la massima cautela e di tornare indietro il prima possibile.»
Harry non sembrava troppo soddisfatto della risoluzione, ma prese un respiro lento e spazientito e annuì. Ron ed Eli lo lasciarono andare, così non perse tempo e si mise in marcia, seguito dagli altri tre.
«Se non tornerete tutti entro trenta minuti verrò a controllare.» gli urlò dietro Eli, con una smorfia apprensiva.
Harry si fece di corsa il tragitto sino ai sotterranei e arrivato alla porta dell’ufficio di Snape bussò vivacemente un paio di volte.
Era così agitato e nervoso che Ron tornò ad appendergli una mano su una spalla per sicurezza, manco temesse di vederlo scappare via e mandare al diavolo il piano.
Il professore di pozioni non si fece attendere molto. Quando aprì l’uscio era ancora vestito con la tunica scura, segno che non era stato interrotto nell’atto di riposare. Aveva un’espressione corrucciata, ma appena si ritrovò davanti i quattro Grifondoro intenti a fissarlo atterriti si fece preoccupato anche lui.
«Cosa ci fate qui? È successo qualcosa?» chiese svelto.
«Sì.» confermò Harry, che gli allungò senza troppe cerimonie la foto spiegazzata dove lui e Draco erano intenti a scambiarsi quelle carezze e infine baciarsi.
L’uomo rimase un attimo pietrificato a quella vista, alternando lo sguardo scuro fra la foto e il viso di Harry come se stesse cercando di riconoscerlo, stordito.
«Che diamine significa, Potter?» sibilò ostile.
«Qualcuno ci ha fatto questa foto, giorni fa.» tagliò corto il ragazzo. «E a fine cena l’hanno fatta circolare ovunque appena ce ne siamo andati. Tutta la scuola lo sa, inclusi i Serpeve-»
Manco fece a tempo a finire di nominare la casata che il professore lo scostò spingendogli una mano sul petto e avanzò armato di bastone verso il fondo del corridoio.
Buttò la foto a terra e sibilò al gruppo.
«Andatevene ai vostri dormitori, avvisate la Preside e Porter se non l’avete già fatto e rimanete dentro.» ordinò tassativo.
«No.» ruggì Harry, ringhiando così forte da far fermare e voltare il pozionista che lo scrutò con un lampo di allerta.
Ron acchiappò l’amico più stretto per il braccio, mentre Ginny ed Hermione si misero vicine, come pronte a dargli una mano. Il moro dunque proseguì, parlando a denti stretti, il viso macchiato da una smorfia rabbiosa ben più aspra delle sue normali piccole esplosioni d’ira.
«Prima voglio vedere come sta, poi me ne andrò a letto. La prego.» aggiunse in un minuscolo barlume di conciliazione.
Snape strinse i denti davanti alla foga ansiosa del ragazzo, quindi gli indicò il proprio studio.
«Aspettate lì dentro. Non toccate niente, e non andate in giro.»
Sebbene molto controvoglia, Harry annuì e obbedì. Gli amici lo scortarono ben volentieri dentro l’ufficio di Snape e il docente proseguì la sua zoppicante ma furiosa avanzata verso i dormitori.





Quando Draco tornò alla sala comune di Serpeverde si ritrovò davanti tutti i compagni di ogni anno assiepati fra i divanetti come serpi nella tana. Il suo arrivo interruppe palesemente le vivaci chiacchiere che erano in corso fino a quel momento. 
I prescelti di Salazar non erano mai stati così pochi nella storia di Hogwarts, ci stavano tutti in quell’ambiente ampio senza doversi manco stringere. Lo fissavano più intensamente del normale: alcuni sogghignavano, pochissimi erano semplicemente seri, ma la maggior parte lo puntava con ostilità aperta. Pansy era fra quelle che ghignavano sadicamente divertite, seduta accanto a Kelly, le teneva la mano come a una sorellina un po’ impaurita. Zabini e Nott poco più in là lo fissavano invece con disprezzo. Il secondo in particolare aveva la mascella contratta e le braccia incrociate. Nessuno però disse niente, così il biondo si limitò ad entrare nella tana delle serpi e incamminarsi verso la zona dei dormitori.
L’avevano costretto a cambiare letto fin dal primo giorno, e anziché condividere la stanza con i compagni di sempre del settimo anno, era finito con alcuni del primo e del secondo.
Quando mise la mano sulla porta della stanza però esitò. Aggrottò la fronte e ruotò il capo verso il fondo del corridoio. La sala comune era rimasta completamente silenziosa.
«Che diamine … ?» mormorò a sé stesso. Si ritrovò ad inghiottire a vuoto e rabbrividire dietro un moto improvviso di paura che lo portò a mollare la presa sulla maniglia. Il suo respiro iniziò ad accelerare e sul viso germogliò una smorfia ansiosa.
Ci mise un minuto buono a calmarsi e nonostante l’attesa nessuno aveva ripreso a parlare nella sala comune. Mise cautamente mano alla bacchetta e aprì la porta con una manata brusca, senza tuttavia entrare.
Nulla si mosse, così entrò con una calma guardinga. Prima ancora di inquadrare il proprio letto però si portò una mano al naso e alla bocca, il viso torto in una smorfia schifata. Quando vide il proprio letto si paralizzò del tutto. Le coperte, il cuscino e i lunghi drappi verde e argento che pendevano sul baldacchino, erano zuppi di un denso liquido rosso che ancora sgocciolava lento in alcuni punti. Sembrava una macabra ricostruzione di un orribile delitto e al centro della scena, manco fosse il cadavere, c’era una delle foto in movimento che erano circolate in serata, anch’essa chiazzata di rosso.
Draco si avvicinò tremante di nervoso e timore, e quando vide meglio la foto di sé ed Harry dovette premersi più forte la mano in faccia per non sussultare rumorosamente. Tirò su la testa di poco, scacciando un conato di vomito.
«Che cos’è successo qui?» la voce calda e ironica di Zabini gli arrivò come una frustata e lo fece voltare di scatto.
L’ex amico, seguito da Nott e pochi altri, si erano affacciati dall’uscio e lo fissavano con un ghigno sardonico.
«Che schifo ma è sangue?» proseguì il moro.
Draco levò la bacchetta e la puntò contro il gruppo, che perse immediatamente il sorriso baldanzoso. Nott fu il primo ad estrarre la propria con una smorfia irritata.
«Perché non me lo dici tu, Zabini? Sono abbastanza sicuro che tu sappia perfettamente cos’è questo schifo.» ringhiò il biondo, fissandolo con una rabbia ferita.
«Perché mai dovrei saperlo?» fece ironico l’altro, che mise una mano sulla spalla di Nott, portandolo ad abbassare la bacchetta.
«Sarà stato uno scherzo del Barone Sanguinario.» arrivò un suggerimento da un ragazzone poco dietro, il nuovo capitano della squadra di Quidditch verde argento.
«Già.» ruggì Nott, aspro. «Deve aver visto quelle foto in cui te la fai con Potter e avrà pensato di ridecorare adeguatamente il tuo letto colorandolo di rosso.»
Il gruppo scoppiò a ridere, e dal fondo del corridoio anche diverse voci femminili stavano tornando ad animarsi.
«Dovresti pulire, Malfoy. Io non voglio dormire con questa puzza.» si fece avanti baldanzoso uno dei suoi giovanissimi compagni di stanza. L’audacia del piccoletto fece scoppiare a ridere ancora più forte i più grandi, che lo complimentarono vivacemente con qualche pacca sulla schiena.
Il viso di Draco si colorò di una sfumatura simile a quella dei drappi macchiati al suo fianco. Imbarazzo e rabbia lo portarono a muovere la bacchetta con una frustata che fece indietreggiare i compagni di mezzo passo, congelando i loro sorrisi.
«Diffindo!» ruggì, mentre in contemporanea Nott sibilò un:
«Protego.»
Lo scudo fu inutile, perché Draco non aveva mirato verso di loro, ma alle coperte e ai drappi sporchi del letto. Li tagliò bruscamente, sfogando sulle stoffe tutta la propria frustrazione. Quando ebbe finito a terra c’erano grossi mucchi sporchi che fissò con odio, valutativo. Non ebbe tuttavia il tempo di calmarsi abbastanza per decidere cosa farne, che la voce di Pansy Parkinson si levò dalla sala comune, squillante come un avviso forzato.
«Professor Snape, buona sera.»
Calò un silenzio teso fra tutti, in cui si sentì il pozionista rispondere cupo alla ragazza.
«Andate tutte a dormire.»
«Sì professore, stavamo giusto per farlo.» rispose titubante la ragazza.
Draco puntò la bacchetta contro i compagni e ruggì basso:
«Andatevene!»
Gli altri, ostilità a parte, furono ben lieti di obbedire e filarsela, inclusi i tre ragazzini che erano suoi compagni di stanza. Sciamarono via rapidamente nelle stanze adiacenti, mentre il rintocco del bastone di Snape segnalava il suo arrivo imminente.
Draco fece sparire le coperte sporche, tirò un paio di gratta e netta disperati sul resto del letto rimasto con solo il lenzuolo di sopra e appellò la foto sporca di sangue che si nascose in tasca. Il risultato non fu proprio impeccabile, ma era il meglio che riuscì a mettere su fino all’arrivo del pozionista.
Severus si fermò sull’uscio con una smorfia già contrita in partenza e studiò il figlioccio poco più in là, con una serietà incapace di celare del tutto l’apprensione.
«Che succede qui? Perché sento puzza di sangue?» chiese zoppicando dentro.
«Niente, professore. Un piccolo scherzo di Halloween.» inventò, sebbene la sua espressione tesa dicesse tutt’altro.
Snape lo fissò con un’occhiata di eloquente disappunto per la mal articolata bugia, quindi si chiuse la porta alle spalle e la sigillò.
«Uno scherzo solo a te, suppongo.» considerò con un crudo sarcasmo. «Cos’hanno fatto? Non mentirmi, Draco. Potter è venuto a bussare alla mia porta pochi minuti fa, mi ha mostrato la foto e sembrava pronto a demolire l’ingresso dei dormitori.»
Draco si intesì maggiormente, quindi tornò ad avvicinarsi al letto. Prese a spiegare a capo chino, mentre ogni tanto lanciava qualche altro gratta e netta per ripulire le gocce che gli erano sfuggite.
«Il letto era zuppo di sangue. L’odore era quello, anche se penso sia solo una pozione. Almeno spero.» sbuffò tristemente sarcastico. «Mi stavano aspettando, ma non hanno fatto nient’altro di particolare.»
«Bene.» sospirò Snape, muovendosi nuovamente verso la porta. «Vieni con me.»
«Come prego?»
«Non puoi dormire qui, non è sicuro.»
Draco si accigliò e non mosse un muscolo.
«Vuoi mettermi in una stanza da solo come un malato contagioso?»
«No, voglio proprio toglierti da questi dormitori. Non è sicuro, Draco. Queste cose tendono a peggiorare, quando l’obiettivo di un branco è uno solo. E si inaspriscono sempre di più fino a conseguenze serie.» spiegò, mortalmente serio.
Draco incrociò le braccia al petto, i piedi ben piantati a terra e il capo leggermente sollevato. Aveva ancora le guance arrossate e l’aria agitata.
«No. Non lascerò la mia casa. Impareranno ad accettarmi. Ad accettarci, me e Potter.» dichiarò con fermezza orgogliosa.
Snape picchiò a terra il bastone, in un rintocco secco che fece irrigidire il biondo. Sul viso olivastro dell’uomo germogliò una smorfia di dolore e rabbia.
«Ti avevo avvertito, Draco. Sapevo che i tuoi sentimenti avrebbero avuto conseguenze disastrose sulla tua vita e in parte anche quella di Potter. Perché diamine non mi hai dato ascolto?» ruggì a voce alta. «Sei solo uno sciocco ragazzino con una cotta adolescenziale che gli impedisce di ragionare lucidamente. Quando questo colpo di testa finirà e Potter ti lascerà, perché si sarà reso conto di che vita gli spetterà a starti vicino, ti sentirai sprofondare in una solitudine per cui, credimi, non sei affatto pronto.» lo rimproverò aspro. «Sei disposto a sopportare mesi di tormenti dai tuoi ex amici per pochi flebili attimi di divertimento? Per un rapporto destinato a morire?»
Draco lo fissò a palpebre sgranate, più scosso dalle parole severe dell’uomo che dal ributtante scherzo dei suoi compagni di casata. Si portò una mano alla tasca, lì dove aveva nascosto la foto sporca di sangue, che strinse con mano tremante.
«Sì.» rispose. La voce bassa di paura, gli occhi arrossati e illanguiditi da un accenno di lacrime. «Non sono un idiota. Non ho più undici anni, Severus. Lo so che potrebbe finire in ogni momento. Ma ne vale la pena. Ne vale dannatamente la pena.» inghiottì a vuoto, si passò una mano sugli occhi per cancellare le lacrime e gli propose un sorriso falso, disperato. «Non rimarrò solo, quando se ne andrà. Ci sarai tu, no?» nonostante avesse cercato di lavarsi via le lacrime quelle tornarono prepotentemente indietro più forti di prima. Nel gesto si era pure sporcato una guancia con uno sbuffo di sangue che gli era rimasto fra le dita.
Snape strinse la mascella, stordito dalle parole e l’espressione del ragazzo. Gli si avvicinò titubante mentre quello faceva di tutto per frenare le lacrime, senza successo.
«Ci sarò.» gli disse soltanto, andando a spalmargli una sorta di carezza sulla guancia con la scusa di pulire via lo sbuffo di sangue. «Piangi, se devi sfogarti. Poi datti una ripulita, non farti vedere così dagli altri se vuoi restare davvero qui a testa alta. Manderò su un elfo domestico perché sistemi il letto.»
Draco annuì, lasciandosi andare completamente dopo quell’accenno raro di affetto dal padrino. Pianse, ma mentre lo faceva trovò comunque la forza di spiegare, fra un singhiozzo e l’altro.
«Dì ad Harry che è tu-tutto ok, ti prego. N-on farlo stare in pensiero tutta la notte. Gli parlerò io domani. E non dire niente di tutto questo a mamma e papà.»
«Va bene.» sospirò il pozionista, ancora teso e visibilmente contrariato. «Non c’è rischio coi tuoi genitori, non ci parliamo dalla fine della guerra.» ammise in un blando e amaro tentativo di sarcasmo che fu capace almeno di far sorridere il biondo.
Si separarono pochi attimi dopo, in cui Draco andò a sedersi stanco sul letto sfatto e Snape attraversò la sala comune improvvisamente deserta fino all’uscita dei dormitori.
Tornò al suo ufficio, dove Potter e compagni erano in una nervosissima attesa.
«Sta bene.» li informò serissimo. «Gli ho parlato. I suoi compagni lo ignorano più del normale, ma niente di particolare.» mentì, facendo cenno a tutti verso la porta.
«Va bene, grazie.» scucì Hermione, con un sorriso teso ma grato.
Harry invece fissò il pozionista con un dubbio scettico, ma non obiettò anche perché gli amici iniziarono a tirarlo per la manica per condurlo alla porta. Snape tornò a sedere con una calma stanca alla sua scrivania, e prima che Harry uscisse lo richiamò.
«Potter.»
«Sì, signore?»
L’uomo lo fissò dritto negli occhi, accigliato.
«Occhi aperti. Proteggilo e fa che ne valga la pena.» si raccomandò a denti stretti.
Harry, dopo l’accenno di sorpresa iniziale, annuì serio.
«Sì, signore. Non è un gioco né un capriccio, per me.» garantì, lasciando così a Severus il suo turno di farsi stupire.
Si scambiarono un cenno col capo, fra intesa e freddo commiato, quindi Harry tornò dagli amici che lo attendevano nel corridoio, pronti a tornare alla torre di Grifondoro.

 
   
 
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