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Autore: Scribbling_aloud    28/11/2023    1 recensioni
Siete anche voi dell'idea che un ragazzo come il nostro Harry Potter dopo: infanzia con gravi carenze di affetto e tutori abusivi, traumi pesanti in adolescenza con minacce di morte, perdite di affetti rilevanti nel corso della vita, non avrebbe mai potuto avere una vita troppo facile con una famiglia alla mulino bianco e soprattutto una mente equilibrata e serena?! Secondo me PTSD come se non ci fosse un domani. Questa è una trilogia molto poco magica che, in un crescendo, esplorerà la sua mente e la sua vita famigliare con i suoi mille problemi e difficoltà data da tormenti mai risolti, una popolarità cresciuta a dismisura che non lo fa vivere bene, fragili equilibri nelle sue relazioni che si frantumano. Partiamo diciannove anni dopo, esattamente dove ci ha lasciati la Rowling. Il Natale di quell'anno.
ATTENZIONE: comincia molto leggero, quasi frivolo, ma ci tengo a precisare che non è un testo per bambini. Da più o meno metà del primo libro e poi nel terzo, ci sono parecchi punti intensi, violenza e tratta temi delicati. Specie il terzo libro, dove ho raffinato un po' la mia scrittura quindi le immagini sono più vive.
E' una traduzione dall'inglese.
Genere: Drammatico, Hurt/Comfort, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Harry/Ginny, Ron/Hermione, Teddy/Victorie
Note: Traduzione | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
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Non sta dormendo. Pensavo di sì ma non è così. Si sta continuando a girare e rigirare nel letto inseguito dai suoi ricordi che tornano uno connesso all’altro in una catena indissolubile. Quanto ha già portato alla mente?
Ad un certo punto si tira su e io faccio lo stesso di fianco a lui abbracciandomi le gambe. L’aria fredda della notte sulla mia pelle nuda mi dà i brividi, l’unica parte non affetta è quella che sfiora il suo corpo caldo.
Lascio il silenzio sospeso tra noi e gli cerco la mano nell’oscurità. Trovandola gli poggio la mia sopra.
‘Ho due figli’ sussurra ‘James e Albus’
Confermo la sua affermazione avvicinandomi.
‘Avevo Lily ma ho anche un’altra figlia’ appoggio la testa contro di lui e gli metto un braccio attorno alle spalle.
‘Sunrise. James ha scelto il nome. Io la chiamo in un altro modo però… Un nomignolo… Siry!’ esclama mentre annuisco lentamente domandandomi quanto tempo gli ci vorrà per arrivare a quella connessione che lo porterà a Ginny.
Il silenzio che segue mi lascia inquieta e rabbrividisco ancora di più per il freddo e la preoccupazione di quello che seguirà.
‘Non sei la mamma di nessuno di questi, vero?’ ma non aspetta la mia risposta, continua seguendo il filo dei suoi pensieri ‘Sei sposata con Ron, e hai un… no, due figli con lui!’ annuisco tenendomi vicino.
‘Allora chi…?’
Lo giro verso di me, e lo stringo più forte che posso fino a che quello che temevo accade. Tutto il suo corpo diventa improvvisamente rigido, e boccheggia e so di essere testimone nella mia testa di quello che sta accadendo nella sua.
Vedo Ginny con i suoi capelli rossi, le lentiggini, e i suoi occhi dorati leggermente a mandorla. La vedo quindicenne che corre tra le braccia di Harry quando avevamo vinto la coppa di Quidditch, li vedo baciarsi. Li vedo insieme quella serata estiva sulla spiaggia e li vedo giocare con Albus e James, li vedo litigare e fare pace, li vedo soffrire insieme per la morte di Lily e riprendersi. Vedo lei che lo sgrida e vedo lui che la punzecchia per farla ridere. La vedo in tutte le sue sfumature: ridere, arrabbiarsi, piangere.
Mi tocca così a fondo, la ricordo così chiaramente eppure so che, nonostante tutto, quello che vedo e sento io sono solo un centesimo di quello che vede e sente lui, e il mio petto ansima nel tentativo di non scoppiare a piangere e la testa di Harry ci è premuta sopra, e si aggrappa a me come se fossi l’unica cosa che può salvarlo.
‘Perché?’ ed esce come un suono appena udibile.
Non c’è risposta a questa domanda, non provo neanche a darla: so che non c’è niente che io possa fare perché quello che sta provando e quello che ho provato io tutta una vita vedendolo insieme a Ginny. Quel disperato desiderio per qualcuno che non sarà mai tuo. Lui l’ha perso e io non l’ho mai avuto. È vivo ma solo per torturarmi con la nozione dell’impossibilità.
Non è la stessa pena? Non è lo stesso sentimento?
E comincia a baciarmi il petto e le sue mani si muovono con lussuria sulla mia schiena ora, cercando di scacciare quello struggimento attraverso l’unione fisica nello stesso modo che ha caratterizzato la maggior parte dei nostri rapporti. Ma devo fermarlo. Non possiamo più permetterci di indulgere in questo rapporto contorto nel quale siamo avviluppati.
Quindi, lo allontano da me, ma la sua bocca lascia il mio petto solo per attaccare il collo attirando i nostri corpi l’uno contro l’altro.
Lo spingo via dolcemente tenendo i miei palmi appoggiati al suo petto in modo da tenerlo lontano e scuoto la testa, le mie parole spezzate.
Mi guarda, il suo viso illuminato dalla poca luce che viene dal di fuori e riesco a intravedere la disperazione, la sua faccia contorta in una smorfia tormentata.
E so cosa mi sta chiedendo senza parlare, mi sta supplicando con quell’intenso sguardo verde, di essere Ginny, solo per stanotte, per aiutarlo a sopportare quella solitudine e quel dolore attraverso l’amore.
Capisco tutto questo da uno sguardo, so che stanotte è l’ultima volta che lo farà, perché ora è tornato in sé. Sa perfettamente chi sono, come sa perfettamente chi farà finta che io sia.
Purtroppo, non c’è modo di dimenticarlo stanotte. Tutto è anche fin troppo chiaro. Una chiarezza che non lascia speranza.
E acconsento di recitare la parte senza crearmi nessuna illusione, e sarò brava, non parlerò per non rompere l’incantesimo che sta cercando di creare con tutte le sue forze.
Ritiro le mani lasciandogli carta bianca di fare quello che vuole con me, di usare il mio corpo per ottenere un effimero palliativo.
È dolce ed è amaro. È dolce perché le sue mani sul mio corpo, i suoi movimenti dentro di me, mi fanno esplodere in un’estasi quasi intollerabile ed è amaro perché non sperimenterò mai più niente del genere nella mia vita. E cerco di combattere quel dolore che mi costringe il petto per godermelo.
Tuttavia, devo essere sincera, ho pianto tutta la notte.
 
 
La mattina dopo faccio in modo di alzarmi prima di lui; sono esausta. La notte è stata intensa e i momenti in cui ho potuto dormire non riuscivo a prendere sonno. Penso valga lo stesso per Harry a giudicare dalla frequenza con cui mi ha cercata. Mi prendo un momento per guardarlo mentre dorme, ultima volta che posso concedermi il piacere.
Sotto la doccia, l’acqua lava via Ginny da me, lava via il mio essere un’amante, il mio peccato. Lava via la presenza di Harry da me e in me.
Quando ne esco, sono una nuova creatura, forte e razionale. Lo stordimento è passato.
Quando indosso i vestiti sono di nuovo io, l’io prima di tutto questo. Sono l’amica, sono la sorella, sono quelle che deve reprimere i suoi sentimenti.
Tornerò da Ron e sarò soddisfatta della mia vita. Mi prenderò cura dei bambini; mi prenderò cura della casa e ne sarò soddisfatta. Non desidererò niente di diverso. Mi rassegnerò a una vita a metà.
Faccio una caffè e, aspettando che sia pronto, guardo fuori. Il tempo è deprimente. Grigio e pieno di pioggia, tetro. Mi dirigo alla finestra guardando le gocce che battono sul marciapiede. Un bambino con un impermeabile giallo e degli stivali da pioggia blu passa davanti alla finestra. Sua mamma lo sta prendendo per la mano spronandolo a darsi una mossa mentre lui cerca di liberarsi chiaramente desideroso di saltare nella pozzanghera più vicina.
Penso ai miei di bambini: Rose è già una donna, solo lo scorso anno mi ha scritto che ha avuto il mestruo per la prima volta. Era molto emozionata nonostante i crampi ma forse anche orgogliosa di averli, il primo dolore che segna il suo diventare donna. Non riesco a impedirmi di pensare amaramente che è il primo di molti.
Avrei voluto nascere uomo. La vita è così più semplice per loro. Senza doversi sentire sempre vulnerabile, sempre in guardia. Sempre a dover cercare di farti spazio in un mondo che è di loro proprietà, e combattere continuamente per crearti una posizione, sempre minacciata dal tuo ruolo di madre che deve venire per primo e dal supporto che devi dare a tuo marito che senza di te non sa neanche allacciarsi le scarpe.
Non so, forse sto esagerando. Forse questo tempo mi amareggia. Forse berrò il mio caffè e poi mi sentirò meglio. Non lo so.
Vado a svegliare Harry. Non entro a dargli un bacio perché un’amica non fa una cosa del genere; sto solo lì sulla porta senza guardare nella stanza perché non è vestito. Busso solo per informarlo che sto preparando la colazione.
Mi affaccendo in cucina sentendo l’acqua che scorre in bagno.
Dopo alcuni minuti, è seduto dietro di me.
Nessuno dei due parla. Riesco però a percepire il suo sguardo sulla mia schiena mentre cucino.
‘Mi dispiace’ quella semplice espressione suona chiara nella cucina vuota, così eterea e isolata che un secondo dopo non sono più sicura che sia stata pronunciata.
So perché si sta scusando. Perché non può amarmi, perché mi ha dato un assaggio di quello che non avrò mai sapendo quanto ne avrei sofferto, perché non mi tratterà mai più come i giorni appena trascorsi, perché non mi può salvare dalla mia infelicità.
Chiudo gli occhi e prendo dei profondi respiri per riprendermi. È incredibile quante lacrime un corpo può produrre. Ho pianto così tanto nelle ultime ore che ho veramente pensato di non averne più, eppure, sono ancora qui, che spingono dietro le mie palpebre per uscire. Le rispingo indietro.
Mi faccio forza per pronunciare le seguenti parole compostamente.
‘Ted sarà qui in dieci minuti, puoi apparecchiare, per favore?’
   
 
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