Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Non Molto    07/12/2023    1 recensioni
Freya Ackerman, chirurgo d'urgenza a servizio del Corpo di Ricerca e moglie del Capitano Levi, vi porta con lei in un viaggio colmo di avventura, amore, dedizione al proprio lavoro e legami fraterni.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Levi Ackerman, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo V

Dieci anni dopo: Farlan e Isabel

 

840, Città Sotterranea.

«Il lavoro è diventato molto più facile da quando abbiamo imparato a utilizzare il congegno per la manovra 3D. Le entrate di tutti sono aumentate» commentò Farlan non appena Sika, uno dei quattro ragazzi ch’erano venuti a ritirare la propria parte di denaro ottenuta grazie all’ultimo colpo, se ne fu andato richiudendosi la porta alle spalle.

Farlan Church era… solare. Levi non aveva molta familiarità con il Sole: l’aveva visto perlopiù filtrare tra le crepe della caverna senza soffitto che aveva trovato Freya da ragazzina, e l’unica volta in cui ne aveva avvertito il calore sulla pelle era stata quando si era recato in superficie per rapire la propria futura moglie per conto di Kenny. Comunque, per quel poco che sapeva di quell’astro, a Levi pareva d’intravedere dei frammenti di quella luce raggiante nel carattere gentile e mite di Farlan o nei suoi occhi, che brillavano quando il ragazzo aiutava qualcuno. Levi e Freya l’avevano incontrato otto anni prima, appena qualche giorno dopo la dipartita di Kenny; fin dal principio, i giovani coniugi Ackerman avevano capito di aver trovato in Farlan un amico prezioso.

«E sembra che una in particolare sia aumentata più delle altre» fece Levi, intento a strofinare leziosamente la lama del proprio pugnale con un fazzoletto pulito. «Come mai?».

Farlan sollevò un angolo della bocca per poi farsi nuovamente serio, ma Levi non lo notò. «Sai, cinque anni fa io non ho avuto l’opportunità di seguire Freya Ackerman in superficie, a contrario di te. Perciò, m’impegno ad aiutarla da quaggiù».

«Non dire il mio cognome, anche i muri hanno le orecchie» ringhiò Levi. Poi, mogio, borbottò: «non mi va di parlarne, Farlan».

«Non avevo dubbi» lo canzonò bonariamente il giovane. «È che… la gamba di Jan sta di nuovo peggiorando. Io continuo a medicarlo come mi aveva indicato Freya, ma gli servono cure più efficaci… magari anche un intervento… E i farmaci hanno dei prezzi incredibili, reperirli è diventato difficile anche per me. Per non parlare dell’aumento del pedaggio per raggiungere la superficie», con uno sbuffo, Farlan si abbandonò sul divano. «La gente muore qui sotto, Levi. La mancanza di luce è degenerativa, è fatale. Tutti quelli che si sono ammalati, perfino quelli che sono stati accolti nei migliori ospedali di Mitras, alle fine non ce l’hanno fatta. Il denaro supplementare che ho dato a Jan gli frutterà forse qualche mese di vita in più, ma non ci comprerà una completa guarigione. Morirà, Levi. E io di conseguenza mi chiedo: quando toccherà a noi? Ecco perché non finirò mai di avercela con te per non essertene andato quando potevi, con Freya, cinque anni fa».

Levi non ribatté; anzi, neanche alzò lo sguardo dal coltello. Farlan aveva ragione, lui era un codardo.

Nel giro di dieci anni erano avvenuti innumerevoli cambiamenti. Il primo e più importante, Kenny era andato via. A quindici anni, Levi aveva trovato l’uomo a cui apparteneva il bordello in cui lavorava la mamma, il verme che l’aveva relegata in una camera a morire davanti agli occhi del figlio, e l’aveva ammazzato di botte. Mentre lo aggrediva e gli puntava il pugnale alla gola, Levi aveva in mente un’unica realtà: Kenny era tra la folla, e lo guardava. Era quello il motivo per cui Levi a quindici anni aveva trucidato un uomo, il primo. L’aveva fatto perché voleva far vedere al vecchio che era forte, che avrebbe potuto essergli ancora utile, di modo da convincerlo a non abbandonarlo. Ogni ragazzino di quindici anni ha bisogno di un punto di riferimento, anche se si tratta di una creatura orribile come Kenny; ed è pronto a fare di tutto pur di non farselo portare via, anche uccidere un uomo.

Le azioni di Levi avevano avuto però l’effetto contrario: durante la lotta, il ragazzino aveva lanciato in continuazione occhiate al vecchio. Finché, quando il proprietario del bordello era ormai morto, Kenny si era voltato e si era allontanato. In cuor suo, Levi sapeva che non l’avrebbe mai più rivisto. Difatti, in quel momento si era fermato. Non perché ormai quel verme del proprietario del bordello era deceduto, ma perché il ragazzino non aveva più nulla da comprovare: Kenny l’aveva abbandonato.

Fu però in quella circostanza che la vita di Levi cambiò. Tra la folla non c’erano gli occhi di Kenny ad attenderlo, bensì quelli inorriditi di Freya. Seppur terrorizzata e ripugnata, era lì per lui. Era venuta a prenderlo e a riportarlo a casa. Erano tornati al rudere in cui Kenny teneva Freya segregata. Del vecchio non c’era e non ci fu più traccia. 

Da quel giorno, per i due quindicenni era cominciata una nuova vita. Da Freya, Levi aveva imparato il valore dell’amicizia. Scoprì che avere degli amici era piacevole, oltre che conveniente, e dunque provò ad avvicinarsi a quegli altri piccoli delinquenti con cui aveva sempre avuto un rapporto competitivo, come Rajiv e Farlan. Ed erano diventati amici, compagni. Avevano dato una mano a lui e a Freya a rimettere a nuovo la catapecchia, ch’era diventata la casa dei due giovani coniugi Ackerman.

Sì, perché Freya e Levi erano convolati a nozze. Avevano diciotto anni, ed erano innamorati come non mai. La ragazza temeva che, tenendo il proprio cognome d’origine, Lord e Lady Chastonay avrebbero tentato di ammazzarla di nuovo, una volta venuti a sapere ch’era ancora viva. Si erano uniti in matrimonio per permettere alla giovane di prendere il cognome di Levi, diventando Freya Ackerman.

La loro quotidianità era stata difficile. C’era poco cibo, poca acqua e la criminalità dilagava. «Senti, mi è chiaro che tu non rubi e non uccidi per divertimento ma per arrivare a fine giornata» gli aveva detto più che francamente Freya. «Dopotutto, è così che Kenny ti ha insegnato a vivere. Per me però non va bene. So che probabilmente dovrò rubare e uccidere a mia volta, ma… voglio porre delle condizioni. Un codice morale. Uccideremo unicamente per legittima difesa, e ruberemo solo alla polizia militare. Anzi, tra noi poveri dovremmo aiutarci, altrimenti moriremo più in fretta».

Levi aveva accettato. Da allora avevano tolto la vita a tredici uomini, cinque lui e otto Freya. Gente che tentava di entrare nella loro abitazione o di aggredire Freya per strada. Durante la notte i giovani coniugi Ackerman dormivano abbracciati nel loro letto, tenendo la rivoltella e il pugnale a portata di mano. Freya aveva un particolare talento nel maneggiare le armi da fuoco. Anche perché per lei il coltello non era un oggetto volto a uccidere, bensì a guarire: lei era un medico, un chirurgo. Non aveva ancora la laurea, ma non smetteva mai d’imparare. Studiava antichi tomi di anatomia, biologia, chimica e medicina recuperati in vecchie cantine, e si teneva in continuo allenamento soccorrendo coloro che lo richiedevano. Farlan era meravigliato dall’arte del curare e dalle capacità di Freya, e la seguiva quotidianamente per apprendere da lei e per aiutarla. Sovente i malati avevano delle famiglie, perciò Levi, ch’era bravo col pugnale, intagliava per i bambini dei giocattoli in legno. 

Freya Ackerman si era guadagnata la fama di madonna degli ammalati, di angelo redentore. L’altruismo che predicava a parole e ad azioni aveva aumentato le probabilità di vita degli abitanti dei Sotterranei: i poveri avevano capito che lottare tra loro non avrebbe condotto a nulla poiché i veri nemici, quelli da cui guardarsi e da cui diffidare, erano i ricchi. 

Inoltre, era stata lei ad aver rubato per la prima volta i congegni di manovra 3D alla polizia militare, e ad aver insegnato a Levi e a Farlan a utilizzarli. «C’è da dire che non si tratta proprio di un furto» aveva detto, quando glieli aveva portati. «Sono stata io a teorizzare quest’invenzione, in fin dei conti: avevo quattordici anni, ed è stato il progetto grazie al quale mi sono guadagnata l’ammissione all’università».

Freya era una giovane donna incantevole ed eccezionale. Levi era incredibilmente fiero di poterle camminare accanto, di poter ridere con lei e di poterla stringere a sé durante la notte.

Un giorno però la ragazza, appena dopo il compimento dei vent’anni, aveva rivelato a Levi la propria intenzione di abbandonare la Città Sotterranea per tornare a vivere alla luce del Sole. Il giovane sapeva che prima o poi quel momento sarebbe arrivato, e fu lancinante proprio come se l’era sempre immaginato.

«Vieni con me» l’aveva allora incalzato lei. A Levi però non era sfuggito il modo in cui Freya gli aveva comunicato la notizia inizialmente: le parole della ragazza facevano infatti intendere che il suo progetto prevedeva che lei avrebbe abbandonato i Sotterranei; in altre parole, stava già dando per ovvio che Levi non l’avrebbe seguita. E difatti così fu.

«E che ci vengo a fare in superficie?» aveva balbettato il giovane.

«Starai con me, lavorerai… Dormirai sonni tranquilli perché non dovrai preoccuparti dei malviventi che fanno irruzione in casa nostra, io potrò camminare per strada senza portarmi dietro la rivoltella, e… chissà, magari un domani potremmo anche avere dei bimbi», aveva ridacchiato, e Levi si era un po’ intenerito.

«Guarda che per gli Ackerman non è sicuro vivere in superficie, Freya. La mia famiglia è perseguitata, ricordi? Anzi, mi sa che è più pericoloso se ti fai chiamare Ackerman anziché Chastonay, lassù».

La ragazza aveva agitato in maniera irritata la mano davanti al volto diafano, come a voler neutralizzare la negatività di cui erano pregne le parole di Levi. «Non m’importa, è arrivato il momento di andarmene. Devo laurearmi in medicina e diventare un chirurgo, e devo ricongiungermi a mio fratello. Ho dei sogni da realizzare, Levi».

«E questi sogni non includono me?» aveva domandato Levi, ingenuamente.

«Certo che sì» aveva ribattuto prontamente lei. «Sogno davvero una casa per noi, dove mettere su famiglia, ma la sogno all’aria aperta. Non voglio che uno dei primi insegnamenti che tramanderemo ai nostri figli sarà maneggiare un’arma da taglio».

«Freya, io… Questo fa parte anche dei miei sogni, ma… non sono ancora pronto per andarmene» aveva borbottato Levi. «Ho… paura di quello che potrò trovare, e non voglio abbandonare i nostri amici».

La giovane aveva annuito. «Vedi, io avrei potuto andarmene via di qui molto prima Levi, ma non l’ho fatto. Sono innamorata di te, e ho voluto condividere con te un pezzo della mia esistenza. Ma ora… è arrivato il momento. È tempo per me di andare via, e se tu non ti senti pronto per venire con me va bene. Ci rivedremo quando lo sarai, e se non ci rivedremo mai più… sappi che quella che ho vissuto con te è stata l’avventura più dolce di tutta la mia vita».

Naturalmente, il ragazzo si era un po’ risentito. «L’ho capito ed è normale» gli aveva detto allora Freya. «Ma io a breve andrò via, perciò sta a te: o rimani arrabbiato con me, o ci godiamo questi ultimi giorni nel miglior modo possibile», e così avevano fatto. Ogni occasione era buona per coccolarsi, fare l’amore e ridere. Avevano anche organizzato diverse cene a casa con gli amici.

Poi, era arrivato il giorno. Gli abitanti dei Sotterranei avevano affollato le strade per dare l’ultimo addio a Freya, in molti piangevano. Levi camminava accanto a lei e alcuni amici dietro, tra cui Farlan, che aveva singhiozzato per tutto il tragitto. «Mi hai aiutato a capire chi voglio diventare, Freya Ackerman. Prima o poi ti raggiungerò, e lavoreremo fianco a fianco» le aveva detto. Levi l’aveva accompagnata fino in cima alla scalinata, Freya aveva mostrato alla guardia il Documento di Cittadinanza e, dopo un ultimo bacio, le loro vite si erano separate. La sua Freya sarebbe diventata un eccellente chirurgo, e avrebbe salvato innumerevoli vite. Si sarebbe ricongiunta al suo bellissimo fratello, che Levi s’immaginava come un dio. E magari, un giorno, lui avrebbe trovato il coraggio di seguirla, dimostrandosi finalmente all’altezza di stare al suo fianco.

 

Anno 842, Città Sotterranea.

Levi aveva incontrato Isabel in un giorno come tanti. Un giorno di lavoro, un giorno di lame ripulite dal sangue con un fazzoletto imbevuto di disinfettante, un giorno di conversazioni incentrate sulla preoccupazione per il futuro. Un giorno come tanti.

L’arrivo di Isabel nella vita di Levi, e di Farlan, era stato pienamente congruente con quella che era la personalità di lei: irruente e caotico. I due amici l’avevano trovata poiché la ragazzina aveva iniziato a prendere a spallate la loro porta d’entrata, in un debole tentativo di farsi aprire oppure di irrompere con la forza, per salvarsi da un gruppo di uomini con cattive intenzioni che la stava inseguendo.

E in egual maniera era entrata nel cuore di Levi. Una spallata oggi, una spallata domani, finché il giovane aveva ceduto al genuino tornado d’emozioni che era Isabel. E le si era affezionato, molto.

Levi rivedeva nella propria relazione con Isabel un po’ del rapporto che c’era tra Freya e suo fratello, quel bellissimo ragazzo dai capelli color del Sole di cui lei gli parlava sempre.

A volte il corvino avvertiva un po’ d’invidia nei confronti di quel giovane nobile: Freya glielo descriveva come colto ed elegante, ma non in quel modo ridicolo e tronfio in cui lo erano tutti gli aristocratici. Lui dava l’idea… di qualcuno da ammirare. Di una specie di… adone, o creatura angelica.

La genuina invidia che Levi provava verso di lui però, era perlopiù data dal fatto che Freya sembrava così ammaliata da quel ragazzo. Erwin, quello era il suo nome.

Erwin, con cui faceva lunghi giri a cavallo e che le leggeva libri meravigliosi. Erwin, che si toglieva il cibo di bocca per darlo a lei quando Lord Chastonay la mandava a letto senza cena per qualche idea un po’ troppo “folle” che si era fatta sfuggire.

Gli occhi di Freya brillavano d’ammirazione fraterna quando parlava di lui, e Levi credeva che un paio di iridi potessero luccicare in quel modo unicamente per qualcuno di speciale come lo era quell’Erwin. 

Poi però, era arrivata Isabel. E Levi aveva notato nei suoi occhi quell’identico bagliore. Ch’era rivolto a lui, però. A lui, che non era niente. Non era colto, né caritatevole, né pareva l’incarnazione di una creatura angelica. Eppure, Isabel lo guardava proprio così. Come se fosse qualcuno da ammirare.

Al giovane piaceva l’idea di poter diventare per Isabel ciò che Erwin era per Freya. Gli piaceva l’idea di poter provare la sensazione di trovarsi, almeno un po’, nei panni di quel ragazzo, un individuo ch’era talmente in alto rispetto a lui che Levi neanche era in grado di realizzarne l’esistenza. Difatti, sebbene sapesse che Erwin Chastonay non era un’invenzione di Freya, la sua immaginazione lo associava maggiormente alla sfera mitologica o divina che a quella umana.

Sovente Levi portava Isabel alla caverna senza soffitto. Il ragazzo era certo che anche quell’Erwin avrebbe portato Freya in un luogo del genere.

Quello era il rifugio suo e di Freya, ma Levi aveva capito fin dall’inizio di doverci portare anche Isabel. L’aveva realizzato quando l’aveva vista per la prima volta, e cioè dopo aver scoperto che la ragazzina aveva provato a raggiungere la superficie senza pagare il pedaggio solo per liberare un uccellino ferito che si era disgraziatamente ritrovato laggiù. La prima volta in cui Levi l’aveva portata alla grotta era stata quella in cui lui, lei e Farlan avevano finalmente liberato l’uccellino. E, proprio come Levi aveva previsto, Isabel si era completamente innamorata di quel luogo.

A loro due piaceva andarci e sedersi su una sporgenza rocciosa che dava su un piccolo avvallamento, e rimanere lì con le gambe a penzoloni. Ed era proprio lì con lei che si trovava, in quel momento.

«Ne vuoi un po’, fratello?».

Il giovane fu riportato alla realtà dalla voce dell’amica, che gli porgeva metà della propria pagnotta con fare genuino.

Volgendo lo sguardo altrove, Levi si limitò a scompigliare amorevolmente i ciuffi color borgogna della ragazzina.

«No, Isabel, non ho fame. Mangiala tu».

«Ma fratello!» protestò allora lei, addentando il pezzo di pane. «Dici sempre così!».

Levi sollevò appena gli angoli delle labbra, con gli occhi rivolti a terra. “I fratelli fanno così”, pensò.

I due condivisero qualche minuto di silenzio. Levi si godeva l’aria pulita, e Isabel mangiava con voracità quel tozzo di pane vecchio che avrebbe dovuto tenerla sazia fino a sera.

«Fratello» lo chiamò la ragazza, con ancora la bocca piena. «Tu sei mai stato innamorato?».

«Una volta» replicò lui. 

«Ah, sì?!», Isabel si voltò verso di lui, con gli occhi colmi di meraviglia. «Ed era una lei o un lui? E com’era?».

«Una lei» spiegò il ragazzo, sorridendo appena. «Aveva i capelli biondi e lo sguardo un po’ inquietante, e studiava la medicina, l’ingegneria, la biologia e le scienze naturali».

«Studiava?!», Isabel era ancora più sbalordita. «Ma è un privilegio che hanno solo i nobili! Lei… apparteneva a una famiglia aristocratica?».

«Sì», annuì Levi. «Apparteneva alla famiglia Chastonay, che vive all’interno del Wall Sina».

«Oh» fece Isabel. «E… che ci faceva quaggiù?».

Levi si schiarì la voce. «L’uomo per cui lavoravo quand’ero un ragazzino la rapì. È così che ci siamo incontrati».

«Cavolo!» esclamò Isabel. «Una nobile fanciulla e un famigerato criminale. Fratello, questa sembra una fiaba!».

«Sì, come no» ridacchiò Levi, mentre roteava scherzosamente gli occhi al cielo.

«E anche lei ti amava, vero?».

«Be’, credo proprio di sì. Non mi avrebbe sposato, altrimenti» rivelò il giovane.

«Sposato?! Tu sei sposato?! E da quanto?! Io non—».

«È capitato molto prima del tuo arrivo. Ci siamo sposati e poi lei se n’è andata, tutto qui. Lei… lavora col Corpo di Ricerca».

«Oh», Isabel si rabbuiò appena. «Quindi… è una specie di… sbirro?».

«No», Levi ridacchiò di nuovo. «È un medico, un chirurgo. Si occupa di curare i soldati feriti in battaglia, e—».

«Un giorno vi rincontrerete, lei tornerà da te» lo interruppe Isabel, e Levi percepì dal suo tono che la ragazzina era convinta di ciò che aveva appena detto, e che non aveva parlato in quel modo solo per confortarlo. «Non si può non tornare da te. Tu sei una persona magnifica. Io credo che lei sia là fuori, a guardare il cielo, proprio ora. E sono abbastanza sicura del fatto che stia pensando a te, e che vorrebbe che tu fossi lì con lei. Il che mi riporta all’idilliaca storia d’amore» rise Isabel, e Levi con lei.

«Mi sarebbe piaciuto tanto partecipare al tuo matrimonio, fratello» continuò poi la ragazzina. «Avrei ballato come una matta», e Levi ridacchiò di nuovo.

«Mi avrebbe fatto molto piacere conoscerla, conoscere la donna di cui ti sei innamorato» aggiunse infine Isabel.

«Anche lei sarebbe stata felice di conoscerti» fece Levi. «Ne sono più che certo».

   
 
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