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Autore: Star_Rover    11/12/2023    5 recensioni
Jari e Verner sono uniti fin dall’infanzia da un legame che nel tempo è diventato sempre più intenso e profondo. Nell’inverno del 1915 però i cambiamenti sociali e politici che sconvolgono la Finlandia finiscono per coinvolgerli, così i ragazzi sono costretti a separarsi per seguire strade diverse.
Nel 1918 i destini dei due giovani tornano a incrociarsi sullo sfondo di una sanguinosa guerra civile.
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Il Novecento, Guerre mondiali
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XXX. La lepre
 

I due laghi ghiacciati segnavano il confine a sud di Ruovesi, la città era stata conquistata dalle Guardie Bianche dopo l’ultima battaglia. I Rossi si erano ritirati a nord, dove erano stati raggiunti dai marinai russi, anarchici che avevano deciso di dare il loro supporto alla causa.
Hjalmar apprese tutto ciò ascoltando le conversazioni dei suoi compagni.
«Dunque il villaggio resta l’ultimo avamposto» intuì il ragazzo.
Gli altri confermarono.
«È solo una questione di tempo prima che i Bianchi decidano di attaccare»
«In ogni caso non ci troveranno impreparati»
La conversazione venne interrotta dall’arrivo del sottotenente Grön.
«Forza, non è il momento di oziare! Voi due ai posti di guardia, svelti! Questa sarà una lunga notte»
La coppia di soldati si affrettò ad eseguire gli ordini.
«E tu cosa fai ancora qui? Credevo che il tenente Eskola si fosse già occupato di te»
Hjalmar guardò il suo superiore negli occhi.
«Ho deciso di restare» disse semplicemente.
Grön lo squadrò dall’alto in basso con aria severa. Per qualche istante fu indeciso su cosa fare, al contrario del tenente, egli non aveva preso la questione sul personale. Ai suoi occhi Hjalmar era solo uno dei tanti volontari che, seppur con ingenuità, erano pronti a fare il loro dovere. In fondo, la giovane età non era un ostacolo per un cuore ardimentoso.  
«D’accordo, soldato. Allora vieni con me in trincea, alla mia squadra serve una sentinella»
Hjalmar non esitò a seguire il sottotenente, finalmente si sentì preso in considerazione.
 
I due raggiunsero i margini del villaggio, nella boscaglia erano nascoste le prime linee di difesa.
Hjalmar raggiunse il sottotenente nei camminamenti, i reticolati erano quasi sepolti dalla neve.
Grön si fermò davanti alla passerella di legno che permetteva di sporgersi oltre al muro di terra.
«Ecco, questa sarà la tua postazione. Rapporto ogni mezz’ora, conosci il segnale d’allarme. Soprattutto in queste ore, ogni minimo movimento deve essere segnalato»
«Sissignore!»
Il sottufficiale si congedò, lasciandolo in compagnia altri tre soldati, un giovane di nome Hugo era l’altra sentinella, mentre due russi erano appostati alla mitragliatrice.
Dalle espressioni sui loro volti, Hjalmar riconobbe frustrazione e stanchezza.
«Da settimane siamo appostati in questa foresta…i Bianchi sono ai piedi della collina, attendono solo il momento giusto per attaccare» spiegò Hugo indicando un punto oltre ai reticolati.
Hjalmar si preoccupò: «avete notato qualcosa?»
«No. In realtà questo è un compito piuttosto noioso, il tempo non scorre mai quando si è di guardia»
Hugo si poggiò al muro di terra, si piegò leggermente in avanti per accendersi una sigaretta, poi ne offrì una al suo compagno.
Jänis tentò di rifiutare, ma l’altro insistette.
«Con questo freddo dovrai pur scaldarti in qualche modo»
Con esitazione, il ragazzo prese lo stelo tra le dita, Hugo accese l’estremità con un fiammifero. 
Hjalmar rimase qualche istante immobile, non aveva mai fumato prima, ma non doveva essere qualcosa di complicato.
In modo impacciato tentò di imitare i movimenti di Hugo, portandosi la sigarette alle labbra e aspirando il fumo. La prima reazione fu di disgusto, subito iniziò a tossire.
I due russi sghignazzarono nell’osservare la scena.
Hugo invece fu più comprensivo: «è solo una questione di abitudine, presto ti sentirai meglio»
Jänis diede ascolto al suo compagno, quando gettò il mozzicone nella neve non si sentì meglio, ma almeno aveva imparato a inspirare senza soffocare. L’aria gelida l’aiutò a riprendersi dal leggero mal di testa.
 
Ben presto Hjalmar ebbe prova che il suo compito fosse davvero noioso e stancante. Il buio, il freddo e il silenzio erano sempre più difficili da sopportare. Inoltre anche la stanchezza iniziava a farsi sentire.
Hugo era impassibile nella sua postazione, mentre alle sue spalle i russi continuavano a discutere nella loro lingua.
Scrutando nell’oscurità, Hjalmar si perse nei suoi pensieri, rievocando l’ultima conversazione avuta con il fratello.
 
Verner aveva rinunciato alla sua ultima missione per restare a Tampere quella sera. Voleva salutare suo fratello, consapevole che quello sarebbe potuto essere il loro ultimo incontro.
Nella penombra del lungo corridoio aveva scavalcato i giacigli di decine di soldati prima di raggiungere l’angolo dove riposava Hjalmar. L’aveva svegliato con dolcezza, come aveva sempre fatto, sussurrando il suo nome e scuotendo leggermente la sua spalla. Aveva tentato di fare del suo meglio per nascondere la propria apprensione, così quando egli aveva riaperto gli occhi aveva sorriso.
«Mi spiace disturbarti, ma non avrò altro modo di rivederti prima della tua partenza»
Hjalmar era stato rassicurato dalla presenza del fratello, dentro di sé aveva sperato in una suo visita.
«Il tenente Hedmann vuole che lasci Tampere, mi ha ordinato di unirmi alle truppe destinate a Ruovesi»
Verner aveva annuito: «lo so, sono venuto per augurarti buon viaggio»
«Io non voglio andare via…voglio restare qui con te»
Il fratello maggiore aveva tentato di rassicurarlo.
«Lo so che è difficile, nemmeno io avrei voluto separarmi da te, ma credimi, è meglio così»
«Perché?»
Verner non aveva intenzione di mentire a suo fratello, non quella volta.
«Perché almeno tu devi restare al sicuro»
Hjalmar si era sentito tradito da quelle parole.
«Avevamo deciso di combattere insieme questa guerra, per il bene della nostra famiglia…per rendere giustizia a nostro padre!»
Verner aveva scosso la testa con rassegnazione.
«Ho sbagliato a coinvolgerti in questa storia. Nostro padre non avrebbe voluto questo per noi»
«Non sei stato tu a trascinarmi qui. È stata mia la scelta di seguirti, ho deciso di prendere parte a tutto questo perché credevo che fosse la cosa giusta, lo credo ancora. E sono certo che anche tu non abbia perso fiducia nella nostra causa»
«Sono disposto a continuare a combattere per i nostri ideali, ma prima di essere una Guardia Rossa, io sono tuo fratello»
Hjalmar, pur comprendendo le sue buone intenzioni, aveva protestato.  
«Non sono più un ragazzino, non ho bisogno della tua protezione»
«Non si tratta di questo, lo sai che mi fido di te»
«Allora perché non vuoi darmi la possibilità di dimostrarti che sono pronto ad affrontare questa guerra?»
«Tu non devi dimostrarmi niente. Ti conosco meglio di chiunque altro. So che sei un ragazzo coraggioso, non hai nulla da invidiare agli altri soldati…ma…non posso permetterti di mettere a rischio la tua vita in questo modo»
«Dunque dovrei solo restare in disparte fino alla fine della guerra?»
«Potrai continuare a svolgere il tuo dovere nelle retrovie»
«Perché non lo ammetti? Stai solo cercando di liberarti di me!»
«Hjalmar, ti prego. Sto solo tentando di fare la cosa giusta»
Il ragazzo aveva avvertito gli occhi umidi per la rabbia e la frustrazione.
Verner aveva deciso di essere onesto nei suoi confronti, rivelando ciò che più lo tormentava nel profondo del suo cuore.
«Ho dovuto dire addio alle persone più importanti delle mia vita, non voglio perdere anche te. Se dovesse accaderti qualcosa non potrei mai perdonarmi»
Hjalmar aveva scorto sincero dolore nello sguardo del fratello. Aveva provato sensazioni contrastanti, ma nonostante tutto, in quel momento non aveva potuto far altro che abbracciarlo. 
«Promettimi che resterai lontano dal fronte»
Il minore aveva annuito per non turbare ancor più l’animo del fratello.
Verner l’aveva stretto a sé un’ultima volta.
«Ricordati che ti voglio bene»
Hjalmar non era riuscito a trattenere le lacrime: «anche io ti voglio bene»
 
 
Jänis era consapevole di non aver rispettato quella promessa, ma dentro di sé sapeva che non avrebbe potuto agire diversamente. Non avrebbe potuto sottrarsi al suo dovere, non con l’esempio di suo padre e suo fratello.
Era certo che Verner avrebbe potuto comprendere le sue ragioni. Prima o poi suo fratello avrebbe dovuto arrendersi, non avrebbe potuto proteggerlo per sempre.
Nonostante tutto, Hjalmar si rattristò per non essere riuscito ad avere un equo confronto con Verner.
Avrebbe desiderato una seconda occasione, in quel momento non volle pensare al peggio.
 
Hjalmar tornò alla realtà udendo la voce del suo compagno.
«Sembri nervoso, ragazzo»
«Questo silenzio non mi piace» rivelò.
«Allora parliamo un po’. Da dove vieni?» chiese il soldato con curiosità.
«Dalla Carelia»
«Io sono originario di Turku, laggiù siamo pescatori da generazioni. Cosa facevi prima di arruolarti?»
«Ero un garzone, odiavo quel lavoro e detestavo il mio capo, ma almeno aiutavo la mia famiglia»
«Capisco. Anche io ho fatto molti sacrifici per permettere ai miei cari una vita dignitosa»
Hugo estrasse una fotografia dal taschino e la mostrò al ragazzo. Al tenue chiaro di luna riconobbe il ritratto di una bella ragazza dai capelli biondi e gli occhi chiari.
Hugo sorrise con orgoglio: «lei è la mia fidanzata. Non è stupenda? Diamine…appena torno al mio villaggio me la sposo!»
Hjalmar osservò la fotografia con interesse.
«Tu non hai una ragazza?»
Jänis scosse la testa. Effettivamente aveva avuto le sue occasioni, ma timido come era non aveva mai trovato il coraggio di farsi avanti con nessuna.
«Ovvio, sei giovane e vuoi divertirti un po’ prima di fare sul serio!» commentò Hugo con tono allusivo.
Hjalmar si mostrò sempre più a disagio.
«Dimmi, preferisci le bionde o le more?»
Il ragazzo rimase in silenzio.
«Ho capito! Tu sei uno di quelli che predilige le rosse! Permettimi un consiglio, lasciale perdere! Certo, sono bellissime e sanno come farti perdere la testa, ma sono pazze! Credimi, ti rovinerai la vita se sposerai una donna con i capelli rossi!»
Hjalmar cercò di assecondare il suo compagno, non sapendo in che altro modo affrontare la situazione.
«Fai come me, sceglitene una dolce e carina, possibilmente con un bel seno, e sarai felice per sempre!»
Jänis arrossì per l’imbarazzo. Certo, qualche volta gli era capitato di pensare al corpo delle ragazze, ma sempre con estremo pudore. Una domenica aveva sbirciato la scollatura della figlia del pastore, il suo abito era decisamente troppo provocante per la messa, ma subito aveva distolto lo sguardo per la vergogna.
Probabilmente Hugo avrebbe riso del fatto che non aveva mai visto una donna nuda.
 
Fortunatamente la conversazione cambiò presto argomento, per poi terminare nel nulla. Dopo un’altra mezz’ora il rapporto fu sempre lo stesso.
Hjalmar era ormai rassegnato quando all’improvviso scorse dei movimenti sospetti nella boscaglia.
Uno dei russi diede l’allarme, subito dopo partì una raffica di mitragliatrice. Hugo si affrettò a raggiungere la postazione d’osservazione.
«Dannazione! I Bianchi! Stanno arrivando!»
Hjalmar afferrò il fucile, ma Hugo lo fermò.
«Corri dal sottotenente Grön! Svelto! Abbiamo bisogno di rinforzi!»
Il ragazzo scattò come una scheggia, lasciandosi alle spalle i mitraglieri che imprecavano in russo.
 
Grön aveva già avvertito l’allarme, dando l’ordine ai suoi uomini di prepararsi all’imminente scontro.
Hjalmar riportò con estrema fedeltà ciò che era accaduto. 
Il volto del sottotenente si incupì, probabilmente la situazione era ben più grave del previsto.
Nonostante ciò, cercò di fare del suo meglio per mascherare la preoccupazione.
«Ragazzo, devi trovare al più presto il tenente Eskola. Consegna a lui questo messaggio, come puoi immaginare, è davvero importante!»
Jänis infilò il foglio all’interno della giacca, si congedò rapidamente e uscì nuovamente di corsa.
Il terreno tremò sotto ai suoi piedi, un razzo illuminò il cielo notturno, poi un assordante boato seguì a una grande esplosione. Il villaggio era in fiamme.
Hjalmar aveva appena raggiunto metà della trincea quando fu costretto a rannicchiarsi contro alla parete per lasciar spazio ai soldati che sopraggiungevano dalle retrovie. Mentre i suoi compagni correvano all’assalto, lui doveva muoversi nella direzione opposta. Superare la fiumana di uomini che lo respingeva non fu affatto semplice, ma alla fine, sconvolto ed esausto, riuscì a tornare sul sentiero.
A guidarlo nella notte furono le vive fiamme che stavano inghiottendo l’ultimo avamposto dei ribelli. Non era difficile intuire quel che era successo, i Bianchi avevano circondato la collina, alcune truppe avevano raggiunto il villaggio, si combatteva in strada, il nemico poteva essere ovunque.
Jänis strinse il fucile, si accorse che l’arma tremava nelle sue mani, ma nemmeno per un istante pensò di fuggire. Era lì per combattere ed era quello che avrebbe fatto.
Il primo cadavere che vide fu un nemico, una Guardia Bianca giaceva esanime in una pozza di sangue. Il suo viso era immerso nel fango.
Hjalmar superò il morto con un balzo, credeva che un cadavere gli avrebbe fatto un certo effetto, invece in quel momento non provò nulla. Il suo unico obiettivo era trovare il tenente, tutto il resto non aveva importanza.
 
Ovunque poteva udire gli echi degli spari e le grida dei feriti.
Un sergente con un moncherino insanguinato al posto della mano destra gli disse che il tenente Eskola e i suoi uomini stavano combattendo alle barricate in fondo alla strada.
Hjalmar seguì le sue indicazioni, ritrovandosi nel mezzo dello scontro. Fu costretto a strisciare nell’ultimo tratto, per non farsi notare dal nemico. Lungo tutto il tragitto avvertì i proiettili esplodere sopra alla sua testa.
«Tenente!»
Eskola afferrò il ragazzo per un braccio, trascinandolo immediatamente al riparo. Appena lo riconobbe, il suo sguardo si riempì di angoscia.
«Che diamine ci fai qui? Ti avevo detto di andartene!» gridò.
«Signore, il sottotenente Grön mi ha ordinato di consegnarle questo messaggio!»
L’ufficiale gli strappò il foglio dalle mani e lo gettò via senza nemmeno leggerlo. Ormai era troppo tardi, le sorti della battaglia era già decise. La resa non era contemplata, un buon ufficiale non poteva far altro che affrontare il proprio destino insieme ai suoi uomini.
Eskola era certo di aver adempito al suo dovere, aveva solo un rimorso.
«Oh, Jänis. Perché non mi hai dato ascolto?»
«Signor tenente, io…dovevo rendermi utile»
Una granata scoppiò abbastanza vicino da far sobbalzare entrambi. Eskola sembrò tornare in sé, lentamente raccolse da terra il Mosin-Nagant che era scivolato dalle mani di Hjalmar e lo riconsegnò al suo proprietario.
«D’accordo, ragazzo mio. Questa è la guerra, prendi il tuo fucile e spara prima che qualcun altro spari a te»
Dopo aver detto ciò Eskola tornò a sporgersi dal suo nascondiglio, puntando l’arma verso il nemico.
 
Hjalmar si acquattò dietro a un riparo per proteggersi dalle schegge delle granate. Si mise in posizione e senza esitazione premette il grilletto.
A causa del fumo e dell’oscurità non riuscì a vedere nulla oltre alla barricata. Sentiva le raffiche delle mitragliatrici, intravedeva i bagliori degli spari.
Il tenente Eskola era consapevole della fine imminente, eppure stringeva ancora saldamente il suo fucile. Eroicamente si alzò in piedi ed esponendosi al pericolo sparò fino all’ultimo colpo.
Ferito ed esausto, l’ufficiale si accasciò contro al muro diroccato.  
Jänis si chinò al suo fianco, tentò di soccorrerlo, ma lui rifiutò le sue cure.
«Arriveranno presto, devi andartene da qui» disse l’uomo con le sue ultime forze.
Egli esitò: «non posso abbandonarla in queste condizioni»
Eskola mantenne il suo tono autoritario.
«Il mio è un ordine, soldato»
Il ragazzo capì di non avere scelta, dolorosamente si allontanò e lasciò il suo comandante.  
Appena svoltò l’angolo udì l’eco degli spari.
Jänis si bloccò per un istante, realizzando ciò che era appena accaduto. Tristemente riprese la sua disperata corsa, senza trovare il coraggio di voltarsi.
 
 
Gli echi della battaglia svanirono in lontananza, i bagliori delle fiamme furono inghiottiti dall’oscurità.
Hjalmar continuò a correre ignorando la fitta al fianco e il dolore lancinante alle gambe. Sapeva che la sua sopravvivenza dipendeva da quella corsa, per questo non voleva fermarsi.
Con il fiato corto e il cuore che martellava nel petto, Jänis si gettò nel labirinto di conifere. La neve ormai gli arrivava ai polpacci, ma il giovane non si preoccupò del freddo. Gli abiti erano irrigiditi dal gelo, i piedi bagnati all’interno degli stivali.
Hjalmar inciampò più volte nelle radici che emergevano dal terreno ghiacciato, rotolò nella neve, per poi rialzarsi e riprendere ad avanzare.
Le gambe cedevano dalla stanchezza, ma nella sua mente continuava a ripetere le parole del tenente Eskola.  
Le truppe bianche avevano ormai conquistato il villaggio, probabilmente stavano già perlustrando la foresta. Non avrebbero impiegato molto tempo a notare le sue tracce nella neve, e se l’avessero trovato, sicuramente l’avrebbero giustiziato all’istante.
Jänis sapeva solo di dover fuggire, non aveva un posto dove andare, la sua unica certezza era che se avesse smesso di correre sarebbe morto.
 Il suo unico punto di riferimento era il cielo stellato, la Stella Polare brillava nella notte, come una flebile speranza.
 
Ormai stremato, Hjalmar si trascinò a fatica fino a una piccola radura. Cadde nuovamente nella neve, senza trovare la forza di rialzarsi. Era troppo stanco per muoversi, il suo corpo aveva bisogno di riposo. Hjalmar lottò contro il desiderio di chiudere gli occhi anche solo per pochi istanti, sapeva che se si fosse addormentato non si sarebbe più svegliato. Sarebbe morto assiderato.
Jänis rimase immobile, ad osservare le ombre scure degli alberi sopra di lui. Era solo, aveva paura.
La sua mente lo riportò al ricordo delle persone care. Pensò a sua madre, che attendeva con apprensione il suo ritorno. Desiderò essere in compagnia di Saija, la sua fedele lupacchiotta.
Si rivide stretto nell’ultimo abbraccio di Verner, si pentì per aver litigato con lui prima del loro addio. Non voleva pensare che quello sarebbe rimasto il loro ultimo incontro.
Le lacrime iniziarono a scendere sul suo viso, ancora non riusciva a credere che il tenente Eskola fosse morto.
Quando si fu ripreso da quel momento di sconforto, Hjalmar tentò di pensare più razionalmente. Non aveva più il suo fucile, in ogni caso era rimasto privo di munizioni. Gli restava però il suo puukko, il coltello che teneva appeso alla cintura. Poteva utilizzarlo per tagliare della legna con cui accendere un fuoco. Aveva davvero bisogno di scaldarsi. Doveva correre il rischio, non aveva alternative.
Hjalmar si guardò intorno, poco distante notò una cavità nel terreno, non era un luogo molto accogliente, ma poteva offrigli un riparo.
Il calore delle fiamme servì a ridonargli un po’ di vigore, il ragazzo impiegò le poche energie rimaste per sistemare il suo giaciglio, in modo da non doversi distendere sul suolo ghiacciato.
Hjalmar si rannicchiò accanto al piccolo falò, almeno fino all’alba sarebbe rimasto al caldo.  
Che ne sarebbe stato di lui da quel momento in poi? Era solo, disperso nella foresta. I Bianchi gli stavano dando la caccia. Per sopravvivere doveva continuare a scappare e nascondersi.
Quello era il suo destino, lui era la Lepre. 
   
 
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