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Autore: Yumeji    18/12/2023    0 recensioni
Galvan il mago delle stelle e Lugh Arud, il guerriero arcano, sono una coppia di avventurieri scapestrati e al quanto incompatibili. Uno è un associale snob cui unico passatempo sembra essere quello di dormire, spacciando poi i suoi pisolini come "viaggi extra-corporei"; l'altro invece è un tipo simpatico, un buon combattente che però sembra portare una letale sfortuna ai propri compagni di viaggio, motivo per cui si è trovato suo malgrado ad affiancarsi all'individuo meno apprezzato della gilda.
D'altronde non si può accettare un incarico se si è da soli, ed entrambi sono sempre a corto di quattrini.
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Serie di avventure di una coppia insolita in un mondo fantastico tra le sue luci e le sue ombre.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Stelle e campi nebbiosi -




Quella mattina una leggera nebbiolina era risalita fastidiosa dai campi, avvolgendo il loro piccolo accampamento situato al limite della boscaglia, una bisaccia, due sacchi a pelo e i resti di un misero fuocherello. Era stata una nottata lunga e buia, le stelle non si erano viste. Il mal tempo aveva reso illeggibile il cielo notturno, cosa che Lugh sapeva avesse messo addosso non poca inquietudine al suo compagno di viaggio.
“L'inconveniente di essere un mago delle stelle” aveva detto giusto qualche ora prima, tanto per sdrammatizzare mentre tentava di riscaldarsi le dita rattrappite dal freddo con il proprio fiato. Un fuoco interrato poteva anche nascondere la loro presenza, ma il calore che produceva rimaneva circoscritto e Galvan in quel momento aveva bisogno di spazio personale, molto spazio personale. Ne aveva avuto conferma proprio dalla reazione a quel commento, lo sguardo con cui lo freddò fu letteralmente in grado di abbassargli la temperatura corporea causandogli una leggera formazione di brina sulla punta degli stivali. A quanto pareva era davvero troppo stupido per capire cosa comportava quella situazione, lo aveva apostrofato usando termini aulici e non così diretti ma che in sostanza dicevano quello. Quando si sentiva deriso o era di cattivo umore il modo di parlare di Galvan cambiava in maniera drastica rendendolo simile alla parodia comica di un qualche nobile di alto borgo. Lugh lo trovava uno spasso e, mentre ne riceveva lo sguardo arcigno tutto intirizzito e allo stesso tempo agitato, aveva dovuto trattenersi per non scoppiare a ridergli in faccia. Di base gli occhi di Galvan erano già sottili, ma in quei casi si riducevano quasi ad una linea retta e ricordava un miope nel tentativo di mettere a fuoco il mondo. Cosa che, con le abilità in suo possesso, poteva prendere un significato diverso.
Lugh aveva passato buona parte della nottata appoggiato al tronco di un albero, impaurito all'idea di addormentarsi, avrebbe potuto non risvegliarsi più. Galvan invece non aveva avuto timori, anche per via della sua posizione privilegiata vicino al fuoco e, dopo essersi infilato nel sacco a pelo e avvolgendosi nel proprio mantello, si era sdraiato a terra, cadendo nel sonno con una velocità invidiabile.
O almeno, in un primo momento, aveva creduto fosse così, per poi rendersi conto  fosse invece partito per uno di quei suoi complicati viaggi extracorporei. In un momento di stupore Lugh si era mosso, avvertendo le ossa scricchiolargli per via della posizione scomoda in cui si era costretto per delle ore. Avvicinandosi al compagno aveva quindi verificato il proprio sospetto sollevandogli una palpebra e si trovò a fissarne la pupilla e l'iride, tanto scura da parere un'estensione della prima; il suo sguardo era perso ad osservare lidi lontani, probabilmente a chilometri e chilometri di distanza da quel luogo. Ciò per Lugh aveva significato una sola cosa: il posto vicino al fuoco ora era suo.
Senza troppe remore se lo era caricato in spalla mentre era ancora dentro al sacco a pelo, spostandolo con malagrazia a qualche metro di distanza. Non gli costò troppa fatica, era stato un soldato della legione e si considerava particolarmente forte, mentre Galvan era invece piuttosto magro. Non si preoccupò di potergli causare qualche danno, tanto non se ne sarebbe reso conto prima dell'alba, in più era una piccola vendetta per avergli sporcato gli stivali. Dopo di ciò si era accoccolato vicino al fuoco, stringendosi nei propri vestiti e usando il proprio giaciglio come coperta. A lui non era permesso riposare, nonostante il cielo oscurato gli facesse dubitare sarebbe stata la notte giusta per lo scontro che attendeva, c'era più di un pericolo capace di aggirarsi nel buio.
Il sole era sorto fin troppo presto su quella distesa di campi da poco arati, ammantati dalla nebbia, Lugh nell'osservarlo spuntare all'orizzonte si era chiesto se alla fine non si fosse addormentato, il fuoco aveva finito con lo spegnersi.
“Beh, è comunque passata la notte e, anche se non è successo nulla, il nostro lavoro è finito” pensò alzandosi, prendendo a stiracchiarsi sbadigliando. Era tempo di levare le tende, non vedeva l'ora di mangiare qualcosa di caldo e recuperare le ore di sonno perse.
- Ohi, Galvan! - gli si rivolse rifilandogli un calcio alla gamba per destarlo, non voleva essere troppo irruento ma quando si separava dal corpo diventata abbastanza complicato richiamarlo al presente. In verità il mago si era lamentato spesso con lui perché fosse più delicato, ma a Lugh non dispiaceva essere un tantino brusco, il signorino doveva abituarsi a qualche livido.
- Gal? - ebbe un momento di paura, come sempre gli succedeva quando l'altro non reagiva subito alle sue insistenze. Il fatto che la sua mente andasse ad esplorare lidi lontani, sconosciuti ed irraggiungibili, gli metteva addosso una certa ansia.
Se si fosse perso in quegli anfratti della realtà, come sarebbe riuscito lui, così ignorante in materia, così limitato quando si parlava di magia, a trovarlo?
Non era disposto a perdere di nuovo qualcuno.
- Ugh, mi viene da vomitare – si lamentò con un guaito Galvan, facendolo tornare a respirare, mentre si rintanava nel sacco a pelo fino a quando non fu visibile solo la punta della sua zazzera corvina. - Mi fa male la testa, la gamba, la schiena e il fegato – piagnucolò con quel tono a metà fra il pianto di un cane e lo squittio di un topolino.
- Perché il fegato? - gli domandò Lugh, quello era inaspettato, mentre per la gamba e la schiena poteva dirsi colpa sua e della posizione scomoda in cui lo aveva lasciato di proposito.
- Non lo sapevi? - gli fece il favore di svelare quel suo viso piccolo dal naso all'insù per incrociarne lo sguardo, pur non dando segno di volersi alzare. Aveva il colorito pallido e delle occhiaie spesse e violacee, per quanto il suo corpo non si fosse mosso, quelle avventure spirituali dovevano essere una levataccia. - Il fegato è l'organo dove si concentra e si immagazzina l'energia magica di un mago, per questo è la prima cosa che viene sottratta al suo cadavere – si mise seduto, liberandosi del mantello in cui si era avvolto e sollevandosi la maglia scura e pesante, rivelando l'addome per segnargli dove fosse il fegato. Sul momento Lugh pensò lo considerasse un idiota, solo dopo una manciata di secondi notò che sulla sua carnagione chiara vi era una cicatrice lunga e sottile ancora più bianca.
- E il fatto che ti faccia male cosa significa? - evitò di commentare, sentendosi però un poco turbato. Cosa diavolo celava nel suo passato?
- O ho usato troppa magia, quindi il mio viaggio è durato troppo a lungo – tornò a coprirsi, sussultando per un brivido, per poi cominciare a tenere il conto con le dita mentre usciva dal sacco a pelo. - O sono venuto a contatto con qualcosa capace di alterare la mia essenza, ed adesso il fegato sta facendo fatica ad epurarla – si era alzato, ma durò poco, dopo una manciata di secondi si era di nuovo spaparanzato a terra sedendosi a gambe incrociate.
- Alterato? - ripeté confuso mentre lo studiava, Galvan aveva il fiato corto e fissava i resti del fuoco come se tentasse di concentrarsi sulle sue ceneri. Brutto segno, pensò  andando per istinto a toccare con la punta dell'indice il fodero dello spadino che teneva cinto alla vita.
- Sì, e opto per questa opzione. Qualcosa mi ha afferrato il braccio – con la mente stava ripercorrendo ogni tappa del suo viaggio, raccogliendo gli eventi come i frammenti di un puzzle che aveva bisogno di ricomporre nel giusto ordine per ricordarne il disegno. - Stava tentando di trattenermi – aggiunse sollevando l'arto per mostrargli una serie di segni scuri che lo percorrevano, risalendo per l'avambraccio sino a toccare la spalla destra. Il disegno ricordava un rampicante nero.
- Purtroppo mi hai trascinato indietro prima che lo eliminassi – nel dirlo tornò in se, così da potergli rivolgergli il suo solito sguardo contrariato ed accusatore,
- E quindi? Non ti ho fatto un favore? - in risposta Lugh alzò lo sguardo al cielo. Sul serio lo stava incolpando? Perché invece una volta tanto non la smetteva con quelle sue scappatelle spirituali?
- No, perché ora quella cosa mi avrà seguito – raccolse e lanciò una manciata di cenere sui resti del falò, cui braci ricominciarono ad ardere quasi il loro calore fosse stato celato fino a quel momento. - Preparati, presto o tardi, dovremo affrontarla – lo avvertì mentre anneriva la punta di un bastoncino sopravvissuto alle fiamme.
- Non è certo il primo amichetto che ti porto dietro dai tuoi viaggi – alzò le spalle con indifferenza, osservando il compagno disegnare nell'aria caratteri arcani, per lui illeggibile, i quali divamparono per un'istante bruciando nel vuoto per poi svanire senza emettere alcun suono o calore. - Di che si tratta sta volta? - per quanto non sapesse lanciare incantesimi o leggerli ormai conosceva abbastanza la calligrafia del compagno da comprendere almeno la natura della magia. Stava cercando di percepire eventuali minacce nei dintorni.
- E chi lo sa? Non l'ho mica visto, non me ne hai dato il tempo – dal tono seccato e dall'espressione non doveva aver ottenuto i risultati sperati e questo lo irritava. Se a ciò aggiungeva il fatto non avesse potuto attingere al cielo stellato, per quanto tentasse di nasconderlo, doveva sentirsi piuttosto spaesato e scombussolato. Forse quel viaggio astrale era stato proprio un tentativo fallimentare per aggirare il problema. Non aveva potuto abbeverarsi alla conoscenza cui doveva il proprio dominio e, se ciò per una sola notte non avrebbe dovuto causargli grosse difficoltà, doveva comunque farlo sentire in parte menomato. Quello studente diligente e precisino si faceva prendere dall'agitazione per non aver finito i compiti a casa.
- Ottimo, quindi potrebbe essere qualunque cosa – convenne mentre gli porgeva la mano per invitarlo ad alzarsi, stare in quel luogo non aveva senso, meglio tornare al villaggio e pretendere un pasto caldo. Una buona colazione avrebbe risollevato l'umore di entrambi.
- La prossima volta dammi il tempo di tornare con calma e magari andrà meglio – accolse l'invito non celando un sospiro abbattuto,
- O magari ti farai divorare – lo rimise in piedi rifilandogli una pacca amichevole sulla spalla,
- Pff... questo mai – ribatté sogghignante.


Per quanto un piatto di stufato e un posto caldo fossero di suo gradimento, Galvan non si sarebbe sentito sereno fino a quando non avesse avuto l'opportunità di lavarsi. C'era qualcosa di barbaro e quasi animalesco nella sua figura vestita con quei abiti luridi intrisi di umidità, il corpo ricoperto di un sottile strato di sporcizia dato dall'aver dormito all'addiaccio e i capelli stopposi e unti di terra.
Di norma aveva una soglia d'accettazione un po' più alta, un solo giorno senza sapone non bastava a fargli saltare i nervi, ma quella giornata era iniziata in maniera piuttosto funesta e, per lo meno, si voleva un viziare concedendosi il lusso di un po' di bolle di sapone. Purtroppo per lui, la locanda piccola e modesta di quel villaggio al momento non aveva stanze libere a causa di un gruppo di pellegrini diretti alla Sivistra Cattedrale e solo gli ospiti potevano usufruire della vasca. Di ciò era stato informato dalla moglie del locandiere giusto un momento prima del pasto, un colpo al cuore cui doveva il sapore insipido e stopposo della carne. O forse era solo una pessima cuoca.
D'altra parte però c'era stato un colpo di fortuna, i proprietari della struttura avevano una figlia, non proprio bellissima certo ma giovane e con curve al quanto prosperose, quel genere di proporzioni per cui sapeva Lugh avesse una certa predilezione.
Grazie a ciò Galvan non aveva dovuto insistere poi molto per mandare avanti il compagno, così che si lavorasse la dolce figliuola per fargli ottenere l'accesso alla vasca da bagno.
Alle volte essere accompagnati da un tizio fascinoso aveva i suoi lati positivi, si disse, per quanto più spesso detestasse il modo in cui non esitasse a cercarsi il divertimento di una notte. Per lo meno però si prendeva il disturbo di svolgere quelle interazioni umane che a lui invece tanto pesavano.
Il fisico possente da guerriero, la mascella squadrata mai del tutto sbarbata, gli occhi chiari e il lunghi capelli biondi di Lugh attiravano non poco l'attenzione, soprattutto per quei colori tanto particolari che tradivano la sua natura di meticcio. Uno dei suoi genitori doveva avere del sangue delle tribù delle isole a scorrergli nelle vene, o forse lo avevano entrambi. Non gli aveva però mai chiesto niente a riguardo, non erano affari suoi.
“Ma perché non mi limito ad allungare un po' di denaro?” si domandò mentre osservava a debita distanza Lugh fare il simpatico con la ragazza, la quale aveva già preso a ridere ad un suo probabile approccio. Al momento sia il padre che la madre erano troppo indaffarati ad occuparsi del gruppo ingente di fedeli per accorgersi del bel uomo intento a traviare la loro figlia.
In effetti la questione avrebbe potuto sistemarsi in tutta fretta se solo avesse avuto un po' di liquidi da sperperare, ma purtroppo non era così e il flop della sera precedente, con il cielo oscurato, gli dava a malapena il denaro per il piatto caldo che aveva appena consumato.
Come diavolo aveva fatto a finire in un luogo tanto misero ad elemosinare per un po' d'acqua calda? Arrivò a chiedersi mentre sorseggiava del vino molto allungato, dal solo vago sentore secco e fermo.
Una settimana prima era alla capitale immerso negli studi, chiuso nella sua celletta da quasi un mese senza mai essere disturbato. I viaggi astrali che aveva compiuto in quei giorni gli avevano mostrato i confini stessi della realtà e lui se ne era abbeverato come un alcolista attaccato alla bottiglia. Aveva giocato con il tessuto del presente, districato il pattern del passato e adocchiato i fili che avrebbero composto il futuro, troppo flebili e intangibili per essere toccati, almeno nelle condizioni in cui si trovava attualmente. Forse con il tempo sarebbe riuscito ad interagire pure con quelli, ma doveva essere paziente, non esagerare.
Ed era proprio quando aveva cominciato a destreggiarsi con quell'ambiente alieno ma tanto affascinante, lontano da qualunque luogo e perciò perfetto e confortevole, che si era ritrovato caricato su un carretto da quattro soldi, gettato in mezzo a dei sacchi di verdure e i resti di un equipaggiamento, che poi riconobbe come il proprio.
Lugh lo aveva rapito un'altra volta, trascinandoselo dietro approfittando fosse lontano dal suo corpo. Solo in quei casi mostrava un po' di delicatezza nel maneggiarlo!
Difatti Galvan aveva recuperato i sensi solo quando erano già a tre-quarti della strada per la loro nuova missione, in mezzo ad un sentiero in terra battuta e sterpaglia, circondati dai campi. Senza dirgli nulla Lugh aveva accettato un nuovo lavoro da parte della gilda, aggiungendo il suo nome nel contratto poiché le regole erano chiare e non si poteva prendere una missione se non si era in un gruppo composto almeno da due individui. La loro coppia in effetti si era formata solo per quel motivo. Due perfetti sconosciuti costretti a collaborare per poter racimolare un po' di soldi. Prima che iniziassero a cooperare non si erano in pratica mai parlati, per quanto si conoscessero di vista frequentando entrambi gli ambienti della gilda. Di Lugh all'epoca sapeva solo si trovasse in difficoltà, avendo perso tutti i suoi compagni, morti in missione, su che tipo di incarico si trattasse e come fosse accaduto però non aveva indagati. A pensarci, nonostante fossero trascorsi già due anni da allora, non aveva poi appreso molto del compagno. Gli piacevano le donne e i dolci, ma si era fatto l'idea per il resto fosse un tipo serio e coscienzioso.
Per quanto si trattava di Galvan invece, il motivo per cui avesse bisogno di qualcuno con cui fare gruppo era assai diverso, di norma non ne aveva mai avuti di fissi perché avevano la tendenza ad abbandonarlo. Non ne era mai venuto a male quando gli capitava, sapeva di non essere una persona facile da sopportare, ma soprattutto era per via dei suoi continui e logoranti studi se continuava a venir lasciato indietro. I lunghi periodi di pausa che si prendevano per continuare con le sue ricerche mal si addicevano alla realtà precaria di un avventuriero. Credeva presto o tardi con Lugh sarebbe accaduto lo stesso, stava solo durando un po' più degli altri, ma anche lui alla fine avrebbe trovato qualcuno di più adatto a fargli compagnia.
Durante il resto del viaggio sul carretto, preso in prestito da Lugh in cambio della consegna di quei sacchi di verdure su cui l'aveva malamente gettato, il guerriero gli aveva dato un'infarinatura su quel che stavano andando a fare. A quanto sembrava un branco di lupi stavano tenendo sotto scacco un piccolo villaggio di contadini disperso in una distesa di steppa fredda e secca, a soli cinque giorni di viaggio dalla capitale.
Ovviamente i lupi non erano lupi, ma quella era più una congettura su cui concordarono entrambi e, poiché non vi era stato alcun attacco quando il cielo era stato oscurato, confermava i loro sospetti.
- Ohi, Gal! - Lugh lo riportò alla realtà, senza volerlo si era incantato a guardare il soffitto, perso nei propri pensieri, accarezzato dall'idea di immergersi in un altro viaggio astrale nonostante vi fosse appena tornato. Si stava lasciando affascinare fin troppo da quella dimensione oltre la realtà fisica. - Tieni! - il compagno era tornato al tavolo e gli stava porgendo una chiave facendola scivolare sul tavolo e per un momento lui si trovò a fissarlo con un velo di confusione nello sguardo. - La chiave del bagno. Forza, vai a lavarti – gli ordinò sbrigativo.
Ora la giornata aveva preso un'ottima piega.


L'oscurità lo avvolgeva, la stanza era piccola ma silenziosa, accogliente e calda nonostante fosse poco più di un ripostiglio. Alla fine i coniugi che gestivano la locanda avevano preso in simpatia Lugh, il quale, dopo una vivace cena in loro compagnia, era riuscito ad ottenere una branda per entrambi. Per quieto vivere e per non mettere tutti a disagio, Gal aveva evitato di partecipare fingendo di aver fare “cose da mago” per il buon proseguimento della loro missione. In realtà si era limitato a salire sul tetto dell'edificio e, disteso a pancia in su, aveva osservato il cielo plumbeo di quella sera. Anche per quella nottata non sarebbe stato toccato dall'abbraccio della sue amate stelle.
La cosa lo aveva un po' depresso, ma la possibilità di dormire su un letto, per quanto misero, gli risollevò il morale. Certo doveva condividere quella celletta larga poco più di due metri e lunga tre con Lugh, ma dubitava lo avrebbe fatto per molto. Difatti appena una mezz'oretta dopo che si erano coricati, il guerriero si era alzato ed era uscito dalla stanza. A quanto pareva stava andando bene con la ragazza prosperosa, sperava solo non si sarebbe fatto beccare dai genitori. Una nottata in santa pace, accompagnata da un buon sonno, era il solo evento capace di separarlo da una crisi di pianto.
Due notti senza vedere la volta celeste, era un brutto colpo per il suo equilibrio psichico-emotivo.
Il sonno arrivò presto, così come sperava. Sentì il proprio animo farsi leggero, la mente a rallentare fino a che l'io non scomparve del tutto e rimase solo l'accogliente nulla. Era un'esperienza così diversa dal viaggio in forma spirituale, in cui la consapevolezza di se doveva essere ben ferrea per non perdersi in quell'ambiente splendido e caotico, eppure gli donava la medesima serenità.
Il suo fu un riposo senza sogni, almeno fino a quando un leggero brontolio che gli risaliva dallo stomaco lo riportò ad un leggero ed ozioso dormiveglia. Per evitare quella cena imbarazzante aveva proprio evitato di mangiare.
Un brivido gli percosse il corpo mentre avvertì qualcosa appoggiarsi sull'addome per prendere e risalirgli lungo il petto, una mano a stringersi delicata al suo collo, spezzandogli per un istante il fiato ma con la benevolenza di una carezza. Avvertì un  respiro mescolarsi al proprio, un dolce profumo avvolgerlo, il calore di un corpo morbido contro il suo.
L'entità cui doveva i lividi sul suo braccio lo aveva appena trovato.
- Hai un aspetto più interessante di quel che pensavo – sussurrò alla figura dai contorni eterei, lo sguardo a cadere su un seno morbido dalla pelle color pesca, capelli lunghi, corvini, sottili e setosi; se solo il suo viso non fosse stato una maschera di cera privo di lineamenti e d'espressione, sarebbe proprio stato il suo tipo. L'entità gli stava sopra, distesa sopra al suo corpo, accarezzandogli lo zigomo per spostargli i capelli che gli si erano appiccicati al viso durante il sonno. Non possedeva né naso, né bocca, eppure in qualche modo ne avvertiva il respiro. Sembra un essere partorito dai sogni, o forse da un incubo, invece Galvan sapeva fosse reale e da quale luogo, lontano dai confini della realtà, provenisse. Era incantevole come una pietra preziosa, fredda come un frammento metallico, ma allo stesso tempo morbida come i petali di un fiore, inconsistente quanto una coltre di nebbia.
- lascia-ti divorare – gli sussurrò con una voce che mal si adattava all'ambiente terreno, comunicava a fatica, quasi rantolava incapace di destreggiarsi con quell'atmosfera, come un pesce uscito fuori dall'acqua.
Probabilmente non sarebbe sopravvissuta a lungo lontana da casa.
- Fai pure – la invitò chiudendo le palpebre, assecondandola nello sbottonarsi la camicia, denudandosi l'addome. Lo aveva detto a Lugh giusto quel mattino, la parte più importante del corpo di uno studioso delle arti era il fegato, lì si addensava l'energia magica nella forma più grezza e pura, cosa che faceva gola agli essere ultraterreni.
Ne avvertì le dita sulla pelle, sottili e gelide, lame aguzze che presero a penetrargli nella carne appena al di sotto della cassa toracica, le avvertì deformarsi, allungarsi. Il sangue prese a sgorgare, disegnando rivoli rossi sulla pelle chiara, la sentiva esplorargli il corpo, solleticandoli le costole, risalendo sino quasi a sfiorargli i polmoni.
Il dolore arrivò lancinante quando gli toccò l'organo che gli interessava,  lo strinse nel pugno quasi glielo volesse strappare dal corpo, attaccandosi con la veemenza di una sanguisuga. Era assetata, abbastanza perché Galvan se ne sentisse risucchiare come in un vortice incontrollato, quasi sul punto di perdere i sensi privato man mano di quella fonte vitale.
Più si nutriva però, più diventava corporea.
Rapido afferrò il polso della creatura, facendo improvvisa forza, dandosi lo slancio con i reni per ribaltare le loro posizioni. Non pesava nulla, essendo un'entità cui consistenza si era appena formata, poco più di una piuma o un foglio di carta. La schiantò sul materasso continuando, costringendola a tenere la mano dentro al suo addome mentre famelico si avventava su quel viso privo di lineamenti, del tutto bianco. Lo morse, squarciandolo, strappando via la pelle come se fosse stato un tessuto sottile, sotto di esso il vuoto, un nugolo di nebbia, un respiro condensato.
D'improvviso le parti si erano scambiate, e ora era lui ad abbeverarsi di quella creatura, assorbendone l'esistenza di sola energia, sfruttando a proprio favore quel contatto che lei stessa aveva creato.
Era stata una fortuna quella visita, così aveva potuto riempirsi lo stomaco, dopo quello spuntino il sonno sarebbe stato assai più piacevole.
  
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