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Autore: Yumeji    22/12/2023    0 recensioni
Galvan il mago delle stelle e Lugh Arud, il guerriero arcano, sono una coppia di avventurieri scapestrati e al quanto incompatibili. Uno è un associale snob cui unico passatempo sembra essere quello di dormire, spacciando poi i suoi pisolini come "viaggi extra-corporei"; l'altro invece è un tipo simpatico, un buon combattente che però sembra portare una letale sfortuna ai propri compagni di viaggio, motivo per cui si è trovato suo malgrado ad affiancarsi all'individuo meno apprezzato della gilda.
D'altronde non si può accettare un incarico se si è da soli, ed entrambi sono sempre a corto di quattrini.
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Serie di avventure di una coppia insolita in un mondo fantastico tra le sue luci e le sue ombre.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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 - Profumo e denaro -



Mezzo nudo Lugh si trovò a bussare sconfortato alla porta della propria stanza, quello stanzino striminzito che solo per un colpo di  fortuna aveva attenuto e che condivideva con il compagno di viaggio. Perché diavolo aveva dovuto chiudere a chiave? Si domandò nervoso, imbestialito al punto da far pulsare una vena lungo il braccio allenato, stava decisamente mettendo troppa forza in quell'azione. Avrebbe rischiato di sfondare il legno della soglia se non si fosse dato una calmata, ma l'agitazione lo stava facendo sudare freddo. Quel mattino lo aveva colto di sorpresa, un sole troppo luminoso a destarlo da un sonno pesante e placido, strappandolo con violenza dalle braccia della sua compagna di letto.
-  Vattene, presto! Mio marito tornerà a momenti dalla sua notte di balordi – gli aveva ordinato la locandiera, la dolcezza con cui lo aveva appagato la sera prima, il calore bruciante della sua pelle, già tramutati in effimeri ricordi. Poté solo osservarla mentre si rivestiva con gli abiti di tutti i giorni, coprendosi in tutta fretta quella schiena sinuosa, la splendida pelle abbronzata, un poco screpolata sulle spalla, e i glutei tondi, appaganti, la forma tipica dell'amore. Era stato proprio per quel fondoschiena se infine, la sera prima, era andato a fare visita a lei piuttosto che alla figlia. In più una donna matura, ma soprattutto sposata non si persa in fantasia infantili e romantiche, non avrebbe dovuto temere seccature. Per quanto un poco lo aveva ferito il modo brutale con cui lo scacciò dal  letto matrimoniale, dai suoi modi distaccati gli veniva naturale pensare non fosse la prima volta che si dedicasse a scappatelle simili. Probabilmente pure il marito, il quale si era allontanato dalla locanda per andare a bere da un conoscente, in realtà aveva scorrazzato fra le grazie di un'amante.
Il corridoio sino allo stanzino era stato poi una sorta di viale della vergogna in cui si era sentito un poco umiliato ed imbarazzato per non aver avuto neppure il tempo di indossare null'altro che non fossero delle braghe di tela, il resto del suo vestiario appallottolato malamente e ripiegato sotto ad un braccio.
- Porco cazzo, Galvan! Devo buttare giù la porta o cosa!? - inveì in maniera sgraziata, un profondo accento del continente a storpiarne le parole, e che lo portò ad irritarlo ancora di più. Di norma era più bravo a nasconderlo, ma appena sveglio e con la mosca al naso gli era sfuggito, non poté evitare di sentire il viso accendersi dal disagio.
- Sbaglio o quell'inflessione era quella della città di Fiammella? - ovviamente quello stupido introverso di un'enciclopedia ambulante doveva subito indovinare,
- Fammi entrare – sbatte il pugno un'ultima volta mentre sentiva girare la chiave nella toppa e poté ricambiare lo sguardo smorto del compagno, le occhiaie erano meno nitide del solito, doveva aver dormito bene.
- Perché sei mezzo nudo? - si limitò ad aprire uno spiraglio che brusco Lugh non si fece remore ad allargare, facendogli quasi sbattere in faccia lo stipite della porta nel farsi strada. Non che vi fosse poi molto spazio per muoversi in quel ripostiglio allestito a stanza di fortuna.
- Non sono affari tuoi – non era dell'umore giusto per essere garbato con lui, limitandosi a sedersi sul bordo della propria branda, per poi gettarsi con la schiena contro il materasso, dovevano essere circa le sei del mattino. Poteva provare a dormire almeno un altro paio d'ore, si disse osservando il soffitto sopra di se, per poi tentare di chiudere le palpebre.
- Arrivi e mi rubi il letto? - sbuffò Galvan, commento cui Lugh preferì non rispondere, ignorandolo. Ora almeno capiva perché il materasso striminzito e le coperte gli risultassero calde, trattenevano ancora il calore del compagno di viaggio. C'era però qualcosa ad infastidirlo, il tessuto gli graffiava ruvido la schiena, irritandogli la schiena. Nel grattarsi si portò la mano davanti al viso, trovando i polpastrelli sporchi di rosso.
- Sangue secco? - chiese confuso, alzando il capo appena per cercare Galvan, il quale aveva iniziato a vestirsi e lo colse nel momento in cui finiva di abbottonarsi la camicia.
- Affari miei – si limitò a commentare senza guardarlo, intento a recuperare la sua veste e il mantello, ben riposti in una cassapanca sbilenca, una dei pochi elementi d'arredo messi a loro disposizione. - Esco. Tu non prendere altri impegni per sta sera, il tempo migliorerà – lo avvertì nel prendere la porta, senza aggiungere altro.
Gal che se ne va' in giro di propria spontanea volontà? E' una novità. Pensò Lugh emettendo un lungo sospiro mentre tornava a rilassarsi, la luce della finestrella ad illuminare le danze del pulviscolo presente nell'aria. C'era un profumo dolce ad aleggiare sottile, per un istante Lugh pensò fosse il ricordo del corpo con cui aveva condiviso la notte, poi si rese conto fosse l'odore del sangue quello che sentiva.
Non ci poteva fare nulla, certe cose non cambiavano. Quando sentiva odore di casa se ne sentiva cullato come un bambino.


Il passo cadenzato di Galvan, accompagnato dal proprio bastone da passeggio di un nero ebano, lucidato per l'occasione, era studiato per far avvertire la propria presenza avvicinarsi. C'erano momenti in cui era meglio farsi notare, in più il suono ritmato e preciso che produceva era capace di mettere in una sorta d'agitazione mista ad attesa in chi lo avvertiva. Metteva in soggezione il proprio interlocutore ancor prima di incontrarlo, un ottimo metodi di manipolazione, proprio come sarebbe piaciuto a suo padre. Avvolte tornava utile essere stato cresciuto da un mostro, aveva imparato un sacco di cose peculiari.
La stanza era angusta, più piccola di quanto gli fosse parsa una prima volta, le pareti bianche totalmente prive di decorazioni era soffocanti, sopratutto a causa della luce che accecante entrava dalla porta finestra. L'ometto calvo era seduto dietro alla medesima scrivania, gli occhialetti tondi dalla montatura dorata a scivolargli sulla punta del naso mentre di scatto sollevava il capo dai propri documenti al suo arrivo. Ovviamente era entrato senza farsi annunciare, evitando pure di bussare, bastava i suoi passi a preannunciarlo e, se l'uomo non gli aveva sentiti, tanto meglio. Prenderlo alla sprovvista era comunque una tecnica arrotata.
- La disturbo compagno Irwin? - appropriarsi di una non giustificabile familiarità portava molte persone ad alterarsi, e difatti per un momento poté osservare un lampo di fastidio negli occhi chiari dell'ometto, cui veste ben cucita, con sino l'ultimo bottone chiuso del colletto a stringergli sul collo gonfio, dava l'impressione un colpo di tosse l'avrebbe potuto far strappare tutte le cuciture.
- Maestro Galvan, è un piacere vederla ancora tutto intero – commentò accennando ad un sorriso di circostanza mentre riponeva i fogli sulla scrivania e riponeva gli occhiali.
- I suoi minacciosi lupi non cacciano nelle notti di brutto tempo, po' ringraziare questo - senza attendere un suo invito Gal si sedette sulla poltroncina traballante di fronte alla scrivania, stravaccandosi su di essa quasi fosse il padrone dell'edificio.
- In effetti era una cosa che alcuni di noi avevano supposto, ma se pure degli esperti come lei maestro e cavalier Arud lo confermano allora non posso far altro che crederci – alzò le spalle come se la ritenesse una cosa di poco conto.
A Galvan non era sfuggito come lo sguardo di Irwin si fosse soffermato sulla porta, ora chiusa. Forse sperava di vedere il ben e amato cavaliere che si era attirato la sua simpatia, e sospettava pure qualche fantasia di altro tipo, arrivare a salvarlo da una discussione che dubitava sarebbe stata piacevole. Oppure pregava una delle sue guardie, aggirate da Galvan all'ingresso, giungesse per far portare via l'ospite piacevole come una pigna dove non batte il sole.
- Sono qui per ridiscutere il nostro compenso – evitò giri di parole, prendendo a battere il bastone sul pavimento producendo un suono sommesso sul legno,  
- Non avete neppure riportato indietro una pelliccia, e già vuole fare il prezioso? - intrecciò le mani di fronte al viso, appoggiando i gomiti sulla scrivani, non celando un sogghigno divertito. Probabilmente da un reverenziale timore iniziale ora lo stava valutando come un truffatore codardo, e per il momento glielo l'avrebbe lasciato pensare. Sarebbe stato più propenso a cedere ad alcune insistenze solo per dimostratosi superiore.
- Non faccia il finto tonto! – sbatté la punta metallica del bastone una volta con più forza, - Sa bene che i suoi non sono dei semplici lupi. Si finge ignaro solo per non dover alzare il compenso della caccia – lo accusò non senza una certa veemenza, era piuttosto irritato. D'altronde era solo a causa del suo incarico se era stato trascinato via dalla capitale.
- Mi porti delle prove che il mio giudizio sia errato, e allora potremmo parlarne – aveva il classico temperamento da signorotto locale, faceva il gradasso solo perché circondato da un branco di villici, convinto nessuno potesse essergli superiore.
- Prima mi dimostri che ne varrà la pena, e potrebbe farmi riconsiderare l'idea di andarmene – un personaggio simile, sempre convinto di aver a che fare con dei morti di fame capaci solo di elemosinare le sue briciole, rimaneva interdetto da chi rifiutava le sue offerte. E per quanto Galvan da un parte fosse sì a corto di liquidi, d'altra sapeva pure quanto valesse il proprio lavoro, e non era disposto a fare compromessi.
- A cosa punta? - il sorriso era scomparso dal volto rugoso e gonfio, come se fosse sempre impegnato a masticare. Il fatto che avesse già mostrato un'apertura, dimostrava quanto desiderasse mettere un punto a quella situazione, lasciare che degli avventurieri se se andassero senza aver compiuto la missione avrebbe potuto portare alla nascita di alcune voci affatto positive. La gilda, per quanto fosse una comunità variegate e molto poco congiunta, tendeva invece a dimostrarsi al quanto coesa quando si parlava di guadagno. Se qualcuno non pagava bene o se si rifiutava di farlo, finiva all'istante sulla lista nera e difficilmente sarebbe stata accettata la pubblicazione di una sua altra eventuale richiesta d'aiuto.
- Solo ad una piccola rettifica del nostro accordo, una sorta di promessa diciamo – sta volta fu il turno di Gal di sorridere compiaciuto,
- Qualcosa di legalmente vincolabile immagino? - sbuffò l'uomo tornando con lo sguardo sui proprio documenti, sfogliandoli con una certa svogliatezza, solo per fingere di avere un certo controllo.
- Pensavo più a qualcosa di “magicamente” vincolabile, ma in sostanza sì. Voglio la sua parola di una ricompensa adatta al lavoro e anche un piccolo incentivo – maneggiò il bastone così da colpire la superficie della scrivania, mettendogli in disordine i fogli per semplice capriccio, così da evitare distogliesse da lui lo sguardo.


Era incredibile la fame da cui si era trovato dilaniato Lugh al suo risveglio. Quel paio d'ore di sonno che si era concesso in più l'avevano portato a destarsi ben oltre mezzogiorno e non gli pareva nel frattempo Galvan fosse tornato. Chissà cosa stava combinando? Si domandò nell'alzarsi, sentendo il gorgoglio del proprio stomaco propagarsi nella stanza. Doveva procurarsi del cibo, ma prima era meglio rivestirsi. Nell'indossare gli stessi abiti della sera prima non poté evitare di riconoscere l'odore di lei, percependo delle tracce del profumo della sua pelle. Aveva creduto sarebbe stata una notte piacevole e nulla più, ma doveva ammettere che quella donna si era mostrata fra le migliori esperienze di cui avesse memoria.
Magari se si fossero fermati abbastanza a lungo in quella locanda sarebbe riuscito a convincerla a concedergli un altro incontro. Non pensò neppure per un'istante di poter cambiare obiettivo, magari provando a dedicarsi alla figlia così da non venir meno alla sua regole di “una notte soltanto”, troppo concentrato, inebriato dalla madre. Ogni curva, piega del suo corpo gli tornava in mente, la sentiva ancora sotto i polpastrelli, calda e malleabile quando gli si era concesse. Forte e decisa quando, nel momento dell'apice, lo aveva spodestato prendendo il controllo, conducendolo come se fosse stato un giovane alle prime armi che aveva bisogno di essere indirizzato. Quell'atteggiamento inedito lo aveva fomentato, rendendo il tutto più appagante, la sua passività attiva, giocosa, che lo indirizzava. Lo aveva spuntigliato con carezze e baci, per poi graffiarlo e morderlo come un animale famelico.
Ci mise decisamente più tempo del dovuto per uscire dalla stanza-sgabuzzino. Aveva finito con il soffermarsi un po' troppo sui ricordi piacevoli.


Galvan uscì dall'edificio amministrativo accompagnato dal leggero tintinnio del denaro sonante, le guardie all'ingresso a fissarlo in un misto di sgomento e confusione, li salutò con un cenno sardonico prendendo la via verso il centro del villaggio. Probabilmente si chiedevano quando fosse entrato e come fosse possibile che non avessero notato il suo passaggio. Sogghignò, fiero di se stesso come un baro che aveva appena derubato dei bambini non particolarmente intelligenti. Si sentiva incredibilmente leggero nel maneggiare il proprio bastone da passeggio, facendolo roteare al suo fianco. Quell'oggetto non serviva certo solo a farsi notare, era anche piuttosto efficace quando voleva celarsi ai sensi di taluni non abbastanza ferrati da riconoscere il semplice trucco del martello. Un suono continuo e ripetuto che stordiva i sensi, creando un momento in cui gli occhi non comunicavano con il cervello. Alcuni, i più sensibili, lo avvertivano come un abbassamento di pressione per cui gli si oscurava la vista, gli altri ottusi invece neppure quello.
Nel camminare per la strada in terra battuta, lasciandosi alle spalle il rudere in legno e pietra a vista di appena due piani, con un campanile che svettava dal corpo basso e tozzo, Galvan prese a fischiettare. La povertà di quel luogo lo infastidiva assai meno rispetto a qualche giorno prima. Quella manciata di monete, trentadue in argento e persino una d'oro gli avevano svoltato l'umore facendogli percepire pure il sole sopra la sua testa. Per quanto fosse uno studioso delle stelle non amava particolarmente quella, troppo luminosa ed opprimente per i suoi gusti, tanto narcisista da oscurare tutte le altre. Il vederla però gli faceva ben auspicare per quella notte, presto avrebbe rivisto la sua amata corte notturna.
Alla fin fine non era stato troppo difficile convincere il signorotto locale a collaborare per sborsare qualche spicciolo, gli era bastato allungargli una certa busta. Un invito alla capitale non poteva certo non fare gola a qualcuno che, per i suoi scarsi successi militari era stato esiliato a gestire un villaggetto perso nella tundra. Quando si era presentato a lui e a Lugh, al loro arrivo, l'ex-maresciallo Irwin ci aveva tenuto a mostrare le sue vecchie medaglie, un poco ossidate dal tempo nonostante la pulizia a cui sembravano sottoposte ogni giorno.
Galvan non aveva indagato su cosa l'uomo avesse fatto per meritare quella punizione, in mezzo a nulla era difficile poter fare una qualunque ricerca a riguardo. Dal modo in cui si era comportato era però assai chiaro in lui il sogno di poter tornare all'ovile, anche se solo per una notte. E Galvan aveva giusto un invito ad una festa in maschera di nobili ben pensanti che non avrebbero notato la sua assenza, né la presenza di un imbucato. Se il compagno Irwin Silvercloak se la fosse giocata bene chissà cosa il futuro avrebbe riservato a lui, anche se dubitava sarebbe mai riuscito ad uscire dal pantano in cui lo avevano gettato.
Certo però che poteva sprecarsi a costruire almeno la strada principale, pensò trovando i proprio stivali sporchi di terra mentre doveva fare attenzione a non calpestare le pozzanghere che si erano formate per via del mal tempo di quei giorni. Strano, la sera prima non aveva piovuto, ragionò prima di comprendere la vera natura di quelle pozze d'acqua sporca e nerastra, evitando giusto per puro istinto che un secchio gli venisse svuotato in testa. Quel posto non aveva neppure un dannato sistema fognario!
Disgustato si portò un fazzoletto al viso, coprendosi naso e bocca avvertendo il sudiciume entrargli sottopelle. Voleva tornare a casa il prima possibile! Quel luogo dimenticato dalle divinità avrebbe potuto trasmettergli qualche malattia strana.


Quando era sceso al piano sottostante della locanda, nella sala grande adibita a taverna, Lugh trovò una serie di tavoli già occupati da quel gruppo di circa una quindicina di pellegrini arrivati il giorno prima. La scena era piuttosto calda e vivace, anche grazie al fuoco che ardeva alto nel camino, vi era una sorta di fermento nell'aria poiché, lo comprese nel percepire qualche pezzo di frase in mezzo a tutto quel vociare, i fedeli fossero prossimo alla partenza. Per quella sera quindi ci sarebbero state delle stanza libere e avrebbero potuto abbandonare quello stanzino angusto e polveroso, peccato solo che lui e Galvan sarebbero dovuti tornati all'addiaccio. Il mago aveva detto sarebbe stata una nottata serena, e non dubitava delle sue previsioni, si sarebbero dati alla caccia al lupo.
- Vi vedo sovrappensiero signore – tenendo lo sguardo basso la prima cosa che Lugh percepì di fronte a se fu un corsetto verde consunto e slavato su una gonna lunga gonna beige che ben avrebbe celato eventuali macchie che si sarebbero formate durante la giornata.
- Lilia – si ridestò guardandola in viso, il volto anonimo, non proprio bello o grazioso, ma dalla pelle giovane e fresca. La figlia dei locandieri si vestiva come la tipica ragazza di un borgo contadino, abbastanza per attirare gli sguardi degli avventori, non troppo per subirne attenzioni indesiderate. Il suo seno bianco difatti spiccava senza essere volgare.
La ragazza appena diciottenne gli rivolse un sorriso ammiccante nel dargli il buongiorno con un cenno del capo. Non sembrava sospettare come avesse trascorso la notte precedente e, nel modo in cui gli riservò un rapido bacio sulla guancia, intuì stesse ancora sperando in una sua visita.
- Spero la cena di ieri sia stata di tuo gradimento – il sorriso non nascose il modo in cui le guance gli si colorarono di rosso, la castità un poco ingenua di chi aveva avuto poca esperienza con l'altro sesso. - Mi ha resa felice che tu abbia accettato di partecipare, sei stato simpatico a papà – gli cinse un braccio, stringendosi a lui, e Lugh poté sentirne il battito cardiaco accelerato, attraverso il seno morbido contro la sua pelle.
E non sai quanto sono piaciuto a tua madre, pensò, la memoria ad andare a confrontare quel corpo con quello che aveva tra le mani solo qualche ora prima. A differenza del giorno precedente, la giovane non l'allettava più, per quanto quel contatto potesse essere piacevole, non desiderava andare oltre. Se poteva scegliere, avrebbe piuttosto preferito un'altra notte con la madre. Chissà dov'era lei? Si chiese mentre la cercava con lo sguardo, giudicando però che, visto il numero di avventori e della presenza del marito dietro al bancone, dovesse trovarsi in cucina a preparare i piatti per i presenti. Non gli pareva avessero un cuoco, quindi doveva occuparsi di tutto da sola.
- Non dovresti essere a dare una mano ai tuoi? - tardi si rese conto della sua maleducazione, pentendosi di aver aperto bocca nel vederne l'espressione delusa, era stato brusco. Non voleva ferirla, aveva solo pensato a quanto in difficoltà dovesse essere in quel momento la madre, senza alcuno a supportarla visto che il locandiere era impegnato a gestire i clienti al bancone.
Lilia gli si era avvicinata come un cucciolo pronto a fargli le feste, forse attendendolo tutta la mattina in trepidazione, lui invece non solo non le aveva mostrato il medesimo entusiasmo ma l'aveva praticamente invitata a tornare al suo lavoro.
Poteva non avere più alcun interesse verso di lei, ma ciò non lo giustificava dal comportarsi da bastardo delicato come un toro in carica.
- Scusa, mi sono espresso male – tentò di correre ai ripari mentre si portava una mano al capo, avvertendo un'improvvisa fitta colpirlo dietro agli occhi, - Mi fa piacere che sei venuta a salutarmi, ma credo potremmo parlare meglio più tardi – non era certo si fosse espresso bene neppure sta volta, ma per lo meno Lilia gli rivolse un  sorriso rasserenato. L'aveva convinta.
- Sì, in verità hai ragione. E suppongo che pure tu sia sceso con un certo appetito. Trova pure posto, arriverò il prima possibile e prendere il tuo ordine – lo invitò dandogli un'innocente buffetto sul naso, lasciandosi scappare una leggera risata nel vedere la sua espressione, sorpresa da quel gesto. Lo salutò poi con un cenno, svanendo dietro una porta oltre al bancone in fondo alla sale, vicino all'entrata, la quale suppose essere la cucina.


Quando tornò alla locanda gli stivali di Galvan erano ormai insozzati, coperti di fango e fluidi non proprio identificati. Per lo meno era riuscito ad evitare di sporcarsi i vestiti, ma temeva l'odore “rustico”  del luogo gli si fosse appiccicato addosso. Sarebbe stato costretto a bruciare tutto. Forse anche la stessa cittadina, ma quello era un discorso a parte.
Aveva sempre creduto che con il tempo si sarebbe abituato a certa cose, e di aver pure aumentato di un bel po' il proprio limite di sopportazione per quanto riguardava lo sporco e la povertà, ma a quanto pareva si era di gran lunga sopravvalutato. Era un ragazzo di città tutto sapone, cibo ricercato e sarcasmo, e lo sarebbe stato fino alla morte. Non poteva negarlo, alcuni atteggiamenti ed insegnamenti era sedimentati in lui al punto che estirparli avrebbe significato cancellare una parte di se stesso. Per quanto tentasse di raccontarsela, l'animo dell'avventuriero da bisacce e cibo insipido era lontano anni luce dal suo essere. Non attecchiva nonostante il trascorrere degli anni e, difatti, la prospettiva di un'altra sera all'addiaccio lo metteva al quanto a disagio, solo la speranza di farlo sotto ad un cielo stellato un po' lo rincuorava. La volta celeste aveva da sempre rasserenato il suo spirito, per questo aveva deciso di donargli il proprio cuore.
- Ma che..? - mentre si stava dirigendo verso le scale alla sua camera-stanzino, ogni pensiero gli si frizzò non appena il suo sguardo cadde su di un tavolo dove riconobbe la testa bionda del compagno di viaggio, chino su una ciotola. Gli si avvicinò avvertendo una sensazione di sgomento deformargli il viso in un'espressione che alla vista doveva risultare al quanto comica.
Lugh stava pranzando e quello non sarebbe stato di per se strano visto l'orario, il numero di piatti vuoti che riempivano il tavolo però faceva pensare vi fosse stato un susseguirsi di molteplici avventori famelici intenti a consumare un pasto luculliano.
- Gal? Dove diavolo eri finito? - lo accolse il selvaggio con la bocca ancora intenta ad ingerire l'ultimo sorso di zuppa, pulendosi poi maldestramente la bocca con il dorso della mano. Prese poi il boccale di fronte facendo una lunga sorsata della brodaglia acquosa spacciata come vino.
Galvan rimase in silenzio facendosi un rapido conto. C'erano otto piatti da portata,  cinque da contorno e almeno nove da primo, questi ultimi impilati l'uno sull'altro a cui Lugh aggiunse il decimo appena ripulito.
Tralasciando il quesito su come avesse potuto confondere l'ordine di consumo dei piatti, che in un primo momento fu la cosa da cui più si sentì sconvolto Gal, seguita dall'enorme quantità di cibo consumato da un solo individuo. C'era un'altra domanda che non poté evitare di porgli, non riuscendo a celare un certo tono allarmato e un tantino irritato: - Lugh, come hai intenzione di pagare tutto questo? - gli stava dando dello squattrinato e neanche troppo velatamente, non tanto perché lo considerasse un abbietto senza un centesimo. Cosa che in effetti sapeva fosse, quanto perché fino alla sera prima non avevano il becco di un quattrino e si erano a malapena permessi una zuppa calda. Passare da quello ai rifornimenti di un piccolo reggimento di folletti degli alberi, gli faceva domandare se forse non avesse ricevuto un qualche tipo di pagamento per essersi coricato con la gentil donzella la notte prima.
- Ah – dall'espressione un poco ottusa e la monosillaba spiccia comprese di essersi preoccupato per nulla. Un'idea simile non si era di certo  mai insinuata nell'anticamera del cervello del guerriero, per quanto, a rifletterci, ci avrebbe di sicuro ben guadagnato visto il suo aspetto.
- Non ci avevi pensato, vero? - sospirò incrociando le braccia al petto, stizzito ma anche nel tentativo di nascondere il tintinnio delle monete che nascondeva sotto al mantello grigio.
- Eh – annuì lui adocchiando il fondo del proprio boccale, trovandolo vuoto così come la brocca da cui caddero solo poche gocce di un rosso vivo quando provò a riempirlo.
- Oh, ma andiamo! Non ho intenzione di pagare! - sbottò sbattendo con troppa forza i denti dalla rabbia, arrivando a farsi male,
- Io ti ho fatto avere una stanza gratis – alzò le spalle, il fare un po' lento ed indolente di chi ha appena finito di consumare un lauto e meritato pasto.
A pensarci, Gal invece non aveva ancora messo nulla sotto ad denti, il sapore di melassa e timo a sostargli sulla lingua dall'ultimo boccone ingurgitato. Credeva il sostentamento ricevuto gli sarebbe bastato per almeno quattro giorni, quando sperava sarebbe già tornato alla sua amata capitale.
- Ora non fingere di esserti sacrificato! - lo additò alzando i toni, approfittando la sala fosse quasi vuota e non temendo di causarsi troppo imbarazzo. - Sei un animale: scopare e mangiare sono le tue uniche priorità! - era un piccolo sassolino nella scarpa che pregustava già da un po' di tirare fuori.
- Parla quello che si lascia morire di fame per seguire le “sue” di priorità – scioccò la lingua, intoccato dalle sue parole, impassibile come una statua di pietra, appena un po' annoiato.
A differenza sua invece Galvan si trovò preso in contropiede, impreparato a quel rimprovero, sopratutto perché consapevole non avesse torto. Prese ad annaspare come un pesce preso all'amo,
- N-non è che mi capita così spesso – aveva perso tutta la veemenza e la spina dorsale con cui gli si era scagliato contro.
- Già il fatto sia capitato più di una volta è allarmante – si era riportato il boccale alla bocca, dimenticando fosse vuoto e per nascondere la delusione cercò di raccogliere gli ultimi rimasugli d'alcool.
- Comunque, suppongo tu abbia racimolato un po' di grana – riprese dopo aver finto di bere, si era a malapena bagnato le labbra.
- Perché lo credi?! - sussultò Gal senza riuscire a fermare le proprie labbra, che sentì piegarsi in una smorfia contrita. Era strano come di norma fosse un abile bugiardo e manipolatore, ma con l'altro si sentisse sempre in difetto. Con Lugh gli riusciva impossibile bluffare, e forse ciò era causato dal modo in cui era andata la loro prima spedizione. Molto sangue, fango, ogni genere di sporco e pure un accenno di lacrime.
Ne era rimasto traumatizzato.
- Hai appena detto che non pagherai. Devo quindi supporre in effetti tu abbia un po' di liquidi a portata di mano e, poiché non derubi le vecchiette e in questo buco di posto c'è una sola persona abbastanza ricca da valer la pena rapinare; devi essere andato dal nostro caro amico, l'ex-maresciallo Irwin. E se ti sei fatto dare dei soldi da lui, avrai usato la missione come scusa per ricevere un'extra – talvolta il guerriero tutto muscoli svelava un cervello da fine investigatore, facendo supporre a Galvan dovesse aver ricevuto un qualche tipo di istruzione degna di tale nome. O forse era solo bravo a tenere i scacco i ciarlatani dalle mani leste come lui a causa di esperienze personali.
- E sicché abbiamo accettato assieme il contratto essendo ufficialmente una squadra, la metà di quello che hai guadagnato è mia. Lo dicono le regole dell'associazione e tu non vuoi ricevere l'ennesimo reclamo, vero, signor mistificatore oscuro? - si era appellato al contratto come un vero bastardo, in più era un sogghigno quello? Ma chi si credeva d'essere? Aveva pure tirato fuori quel imbarazzatissimo titolo con cui era conosciuto all'interno della gilda.
- Credevo il passato dovesse rimanere passato – bofonchiò.
Il motivo per cui Galvan faticava a trovare un gruppo a cui aggregarsi non era solo per via delle sue lunghe peregrinazioni extra-corporee. Oltre a quelle aveva anche una piccola tendenza ad intascarsi più denaro di quanto pattuito. O almeno, così gli altri lo accusavano di fare, lui riteneva piuttosto di accaparrarsi solo ciò che gli spettava. Non era colpa sua se i suoi compagni tendevano ad essere dei lavativi incapaci di approfittare della situazione. Intendeva, ad impegnarsi per ottenere qualche gratifica aggiuntiva di denaro sonante.
- Mi hai fatto venire voglia di picchiarti – commentò mentre lento infilava una mano nella saccoccia, estraendo una manciata di monete che lanciò in maniera brusca sul tavolo.
- Galvan – lo sguardo del guerriero gli fece intendere di non provare a fregarlo, una sottile minaccia che gli fece avvertire il freddo di una lama gelida puntata all'altezza del fegato. Perché diavolo aveva dovuto dirgli fosse quello il primo organo a cui puntare? Se avesse trovato un compratore, ovvero un qualunque mago con un minimo di preparazione, cosa l'avrebbe mai fermato ad ottenere una  probabile ricchezza?
Sarebbe stato meglio nasconderglielo, e tenerselo buono era un'ottima maniera per evitare andasse a cercare un necrofago per  il suo eventuale cadavere.
Senza aggiungere altro, limitandosi a lasciar defluire la rabbia, si strappò il borsello, scucendosi la tasca interna del mantello dove lo teneva e lanciandolo in faccia a Lugh con una certa forza. Poi prese le scale a passo pesante, diretto alla propria camera-stanzino tenendo un'espressione dura ed offesa. Sforzandosi per non far trapelare altro.
Tanto, per ogni evenienza, si era già premurato di prendere la propria parte del guadagno, aggiungendoci un paio di monete in più. Poteva non riuscire a mentire a Lugh in maniera decente, ma di certo non si sarebbe fermato da tentare.
  
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