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Autore: Yumeji    27/01/2024    0 recensioni
Galvan il mago delle stelle e Lugh Arud, il guerriero arcano, sono una coppia di avventurieri scapestrati e al quanto incompatibili. Uno è un associale snob cui unico passatempo sembra essere quello di dormire, spacciando poi i suoi pisolini come "viaggi extra-corporei"; l'altro invece è un tipo simpatico, un buon combattente che però sembra portare una letale sfortuna ai propri compagni di viaggio, motivo per cui si è trovato suo malgrado ad affiancarsi all'individuo meno apprezzato della gilda.
D'altronde non si può accettare un incarico se si è da soli, ed entrambi sono sempre a corto di quattrini.
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Serie di avventure di una coppia insolita in un mondo fantastico tra le sue luci e le sue ombre.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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     - Cuore e corazza -

Un leggero bussare distrasse Galvan dai suoi studi, non c'era una scrivania su cui potesse appoggiarsi, si era quindi disteso sul letto, coprendosi con le lenzuola. Per quanto avesse spalancato gli oscuranti alla finestra, i vetri erano tanto opachi da impedire alla luce di illuminare la stanza in maniera efficace, si era quindi costretto ad aprire la finestra per non affaticare la vista. Già di base passava la maggior parte del tempo al buio, non poteva rischiare di perdere altre diottrie, c'era un limite a quanta magia poteva utilizzare per nascondere i propri problemi agli occhi.
Sospirando si alzò dal materasso chiudendo la sua agenda, essendo un esperto delle stelle sapeva che le costellazioni influenzavo l'efficacia di certi incantesimi, doveva sempre ripercorre i loro movimenti per essere certo di non sbagliare. Poco importava se ne conosceva i percorsi a mena dito. Prima di un eventuale scontro si ripassava sempre, si trattava di una sorta di rituale in cui lo studioso cercava di immaginare ogni possibile scenario, così da saper rispondere celermente agli imprevisti e non farsi cogliere impreparato.
Il bussare si era interrotto dopo i primi timidi colpi. Galvan dubitava Lugh si fosse dimenticato la chiave un'altra volta, per questo non esitò dall'andare ad aprire, il tocco era anche piuttosto delicato rispetto al pugno del guerriero, si era quindi già fatto un'idea di chi avrebbe trovato dietro la soglia.
- Ah, salve – la delusione che vide dipingersi sul volto della giovane dalla pelle candida e i lunghi capelli castani a incorniciarle il viso, gli fece intuire non fosse lui chi cercava. Dopo una notte di passione la figlia del locandiere si mostrava abbastanza intrepida da andare a trovare il proprio innamorato direttamente nella sua stanza. Di certo le chiacchiere fra gli avventori non sarebbero mancate.
- No, non farlo – la interruppe con un gesto della mano prima potesse aggiungere altro, consapevole le sue parole successive sarebbero state: “scusi, c'è sir Lugh?”. - Senti signorina, forse non hai capito il genere di uomo sia il mio compagno di viaggio. Quello che avete avuto ieri sera sarà l'unica cosa che avrai da lui. Non è il tipo da giacere con una donna più di una volta – la vide sgranare gli occhi da moffetta, il viso a tingersi rapido di rosso imbarazzo. Le sue parole dovevano averla colpita come un pugno, ma per lui era meglio essere rudi per rendere chiaro il messaggio piuttosto che indorare la pillola solo per non ferire l'animo altrui.
Per questo si azzardò a rincarare la dose:
- E se te lo posso dire, cosa ti aspettavi? E' un avventuriero itinerante, ovviamente le relazioni amorose non sono il suo forte. Meglio che ti tenga i bei ricordi e non pretenda altro, non è in grado di darti quello che probabilmente desideri – questa era più un'osservazione acida nei confronti di Lugh, per questo non fu preparato quando lei gli rifilò uno schiaffo cui schioccò si poté probabilmente avvertire sin dal piano inferiore.
- Signore non si permetta di parlarmi in questo modo! Non può  insinuare che tra me e il buon cavaliere sia accaduto alcunché! Noi non abbiamo giaciuto assieme! State mettendo in imbarazzo la mia persona e siete pure un mascalzone maleducato -
- E quindi allora con chi è stato ieri notte? -
- E cosa vuole che ne sappia?! Pensavo potesse esserci qualcosa tra me e il signor cavaliere, ma a quanto pare mi sbagliavo – si stava mettendo a piangere, la voce gli si era spezzata e le ciglia erano già umide. Il peggio del peggio, Gal non sapeva come reagire alle lacrime. Non le sopportava.
- Oh, mi dispiace. Comunque entro sera ce ne andremo, quindi non si deve preoccupare dell'eventuale imbarazzo nel rincontrarlo – e si limitò a chiuderle la porta in faccia.


La stanza della dispensa era semibuia, vi era un'unica, piccola finestra a rischiarare l'ambiente, la tapparelle in legno erano però tenute appena socchiuse in modo da lasciare vi fosse un unico spiraglio di luce. Per tenere il cibo meglio conservato doveva essere lasciato al buio, ma allo stesso tempo bisognava poter vedere cosa vi fosse all'interno. Lei gli dava le spalle, china sullo scaffale più in basso a sistemare o a raccogliere qualche ingrediente nelle esigue cassette di legno.
Per un momento Lugh credette non si fosse accorta della sua presenza, approfittando così per osservarne le pieghe del suo corpo, soprattutto sui glutei.
- Ti pregherei di chiudere la porta, signor cavaliere – voltò leggermente il capo, un sorriso ammiccante nel fargli comprendere la sua presenza non fosse stata affatto ignorata.
Lugh di riflesso obbedì, desideroso di poter colloquiare con lei senza rischiare di essere interrotti. La locandiera gli fece segno di avvicinarsi mentre abbandonava i suoi ingrediente per rialzarsi e voltarsi verso di lui.
- Sei gentile, non solo hai atteso finissi il mio lavoro, ma pure che mio marito uscisse. Non volevi mettermi in difficoltà – lo ringraziò annullando la distanza fra loro, andando ad incrociare le mani dietro al suo capo, facendo aderire il proprio corpo al suo. Lugh la lasciò fare, appoggiando entrambe le mani sui suoi fianchi, beandosi della morbidezza della pelle, o al meno del suo ricordo, non avendo modo di toccarla attraverso i vestiti ruvidi da lavoro.
- Mi sono accorto di non sapere ancora il mio nome – avevo lo sguardo basso, quasi in imbarazzo, poiché quella suonava come una scusa. Non poteva ignorare come sembrasse innaturale, lei di certo pensava fosse venuto per ottenere ben altro.
- Oh, davvero? - rise, un sorriso effimero pregno di un altro sentimento che Lugh non seppe per bene identificare ma capace di far calare un'ombra su di lei. Ora che vi rifletteva, era la prima volta in cui la guardava per bene in viso, per tutto il tempo trascorso assieme i suoi occhi erano stati dediti a ben altro.
La donna aveva un viso dai tratti eleganti, zigomi alti e labbra sottili, ma soprattutto avevano uno sguardo dal taglio felino ammaliante, seducente. Quel volto sembrava aver ben poco in comune con quello della figlia.
- In effetti Lilia mi ha solo presentato come sua madre e nulla più. E per essere chiari, per quanto quella ragazza mi voglia bene, in realtà sono solo la sua matrigna – gli spiegò quasi gli avesse appena letto nel pensiero, ma non ciò non era abbastanza per distrarre Lugh.
- Stai evitando di dirmelo? - notò stringendola appena di più a se, sentendo una certa fame destarsi dal basso ventre.
- No, non ho motivo di tenertelo nascosto – rise negando, scostandosi rivolgendogli una leggera carezza al viso, il volto a tradire una traccia di senso di colpa. - E' che pensare a come sia stata Lilia a presentarci mi ha reso un po' malinconica -
- Malinconica? - non la comprendeva, si stava forse pentendo di aver tradito il marito? Eppure dal modo in cui si comportava sembrava non fosse stato lui il primo, credeva fosse una cosa abitudinaria. Forse non era così? Magari lui era speciale?
- Dubito tu non ti sia accorto di come ti guardava – no, si stava sbagliando. - La piccola ha una bella cotta – aveva remore nel timore quel suo comportamento potesse ferire la figlioccia.
- Io non l'ho illusa – ci tenne a specificare, non voleva si sentisse colpevole, ma allo stesso tempo non voleva potesse addossare a lui la colpa di qualche cosa. Limitarsi a chiacchierare con qualcuno non poteva essere considerato come sedurre.
- E' giovane. Le basta un gesto cordiale per vedere segnali che non esistono, e forse anche tu? - aveva messo distanza fra loro, incrociando le braccia al petto mentre gli rivolgeva un sorriso amaro.
- Eh? - si trovò interdetto, impreparato a quella insinuazione: cosa voleva dire?
- Ti sei infatuato di me? Mi cerchi in un luogo appartato e invece di approfittarne chiedi semplicemente il mio nome? - l'aveva notato e, per quanto Lugh di principio sperasse il contrario, ora temeva di ciò che aveva letto nelle sue intenzioni.
- Magari infondo sono un tipo romantico – alzò le spalle mostrando indifferenza, per quanto in realtà le sue parole avessero insinuato in lui un vago dubbio. Doveva ammettere di non aver mai smesso di pensare a lei da quando si erano separati quel mattino. - Ma non mi faccio illusioni, voglio solo sapere come posso chiamarti – insistette cercando di mostrarsi noncurante, ma dubitava di apparire sincero.
- Signor cavaliere ti stai contraddicendo, il semplice pronunciare un nome creerebbe un legame – quella sua affermazione dimostrava come lo stesse facendo di proposito. Forse temeva potesse raccontarlo in giro? In effetti era un prevenzione da poco ma poteva risultare efficace, se non conosceva una cosa semplice come un nome il suo poteva essere un semplice vanto da taverna. - Ti affezioneresti a me, meglio se per te rimango la mamma di Lilia o la moglie del locandiere, no? - insistette cercando di mostrarsi ragionevole e, per quanto Lugh potesse comprenderne le ragioni, la sentiva come una privazione ingiusta.
- Così però non mi permetti neppure di ricordati, non lo credi crudele? - si sentiva trattato come un bambino piagnucoloso che insisteva per essere accontentato.
- La vita è crudele, tesoro. Però posso concederti un altro po' di calore se ti accontenti – aveva intuito nel suo sconforto e, per dargli un contentino, gli porgeva una metaforica caramella. A Lugh però non piaceva essere trattato come un bamboccio,
- Potrei chiedere a Lilia come ti chiami o a tuo marito – il suo tono di voce si era indurito, e allo stesso modo fece lo sguardo di lei.
- Fallo e sospetteranno qualcosa – lo freddò per poi tornare a sciogliersi, tornando all'atteggiamento ammiccante di poco prima. - E tu sei troppo gentile per rischiare di mettermi nei guai o per rompere il fragile ed ingenuo cuore della mia figlioccia – gli rivolse un sorriso carico di promesse, tornando ad avvicinarsi quel giusto per allungare una mano dietro alla sua nuca, afferrandogli i capelli biondi per farlo chinare alla sua altezza. Lugh la lasciò fare potendone sentire il profumo inebriargli la mente, ogni qual volta si allontanava gli mancava terribilmente.
- Torna da me per un'altra notte e ti prometto che placherò la tua fame – gli sussurrò all'orecchio, il respiro caldo a soffiargli sulla pelle, provocandogli un brivido mentre con l'altra mano andava ad accarezzargli il cavallo dei pantaloni. - Sta volta non dovremmo preoccuparci per la stanza, si sono liberate tante delle camere – aggiunse, succosa come una pesca piena e matura.
- Io... non dovrei – per la prima volta tentò di scostarsi, sentendo però la stretta alla nuca farsi quasi dolorosa. - Ho un impegno, devo – bofonchiò sentendo però la propria forza di volontà venir meno. Lui voleva stare con lei, non poteva negarlo o sottrarsi.
- Vieni da me – insistette, ferma e decisa, tramutandolo in un ordine privo di alcun velo di seduzione.
- Sì – si trovò ad annuire mansueto, ingoiando un grumo di saliva formatosi in gola.


Il sole stava calando sulla linea dell'orizzonte e Galvan, appollaiato sul ramo di un albero osservava il cielo, cui tinta sanguigna stava scivolando verso il viola dalla quale sarebbe poi sopraggiunta la volta celeste con i suoi primi adorati astri. Già poteva ammirare la prima stella della sera, che solitaria si mostrava imperturbabile di fronte al sole calante, quasi a sfidare il giorno a concludersi al più presto per dar libero spazio alle sue sorelle.
“Ora mi sto dando anch'io ai pensieri romantici? Cos'è una malattia infettiva?” sospirò, il suo fiato a condensare con l'aria gelida. Sarebbe stato bello accendere un fuoco, ma non se lo poteva permettere. Era solo, e della luce avrebbero reso troppo plateale la sua posizione. Se con la presenza di Lugh era una cosa auspicabile, ora invece era tutto il contrario. Doveva rimanere nascosto il più possibile per sperare che la sua caccia andasse a buon fine. Incredibile come aveva creduto, fino a poche ore prima, sarebbe stato un lavoro semplice, avendo idea di affidare la parte più pesante e pericolosa al guerriero. Adesso invece rischiava sul serio di rimetterci le penne se non avesse prestato la giusta attenzione.
Saggiò la corda che lo teneva legato in vita, era abbastanza stretta da impedire al suo corpo di muoversi e di scivolare dal ramo, una sicurezza per quando si sarebbe separato da esso. Non aveva la medesima forza di Lugh e non era tanto sciocco da mettersi in prima linea, né in seconda e men che meno nelle retrovie. Preferiva un approccio ben diverso, in cui il suo corpo-ancora si sarebbe trovato ben lontano dalla battaglia. Avrebbe partecipato allo scontro solo in forma spirituale, cosa che in realtà non comportava rischi zero, poiché non lo rendeva del tutto invulnerabile. Alcuni danni si sarebbero potuti ripercuotere anche sul suo corpo fisico e se ne avesse ricevuto troppi c'era sempre l'eventualità di spezzare quel legame che gli impediva di perdersi in quella dimensione spiritica.
Un viaggio senza ritorno era un'eventualità a cui era sempre stato pronto, ma gli sarebbe seccato finire la propria esistenza solo perché quell'idiota di Lugh si era preso una cotta per una contadinotta qualunque. O almeno, supponeva si trattasse di una contadinotta, non gli era riuscito di ricavare alcuna informazione sui motivi per cui il guerriero si era sentito male al punto da non poter muovere un passo al di fuori delle loro stanza alla locanda. Di certo però, grazie a Lilia, sapeva ci fosse in mezzo una donna.
Lugh aveva giustificato il suo malessere con un problema di digestione causato da tutto il cibo ingurgitato a pranzo. Una volta però  Galvan lo aveva visto mangiarsi un ratto cotto allo spiedo e dubitava esistesse qualcosa che potesse mettere K.O. quel suo stomaco d'acciaio.
In quel momento si stava di certo divertendo in dolce compagnia, di questo ne era sicuro, non che lo invidiasse, lui non provava quel genere di interessi per l'altro sesso, o per il suo stesso sesso. In verità non provava desiderio proprio per nessuno, almeno non nel senso romantico e fisico del termine. Preferiva di gran lunga indugiare sui propri studi e spazi lontani, questo gli dava un appagamento mentale che supponeva essere di gran lunga superiore a qualunque esperienza corporale potesse mai avere.
Anche se, quando aveva tentato di spiegarlo a Lugh, lui lo aveva guardato in maniera al quanto sconcertata, incapace di comprenderlo. Non che si aspettasse un decerebrato simile potesse farlo, per lo meno però il cavaliere non era sceso in squallide domande come: “perché dici non ti interessa il sesso quando non lo hai mai provato?” o “ma almeno ti masturbi?”; si era limitato ad un semplice “okay”, accettando la questione come se fosse stata una faccenda da nulla, cosa che per Galvan era. E in quel frangente, doveva ammetterlo, si era trovato davvero ad apprezzare il proprio compagno d'avventura. Lo aveva rivalutato almeno in parte.
In lontananza un ululato cominciò a farsi sentire, a cui succedettero un secondo e un terzo, e per un momento Galvan si sentì il cuore saltargli in gola, distogliendolo dai suoi pensieri. Si stava distraendo e non era un bene visto che ne sarebbe andata della sua vita.
L'assenza di Lugh lo stava destabilizzando più di quanto non volesse ammettere, un tempo era abituato a lavorare da solo, per un motivo o per l'altro. Ora invece gli mancava qualcuno al proprio fianco, il quale era ben disposto a correre in mezzo al pericolo attirando l'attenzione dei nemici.
“Potrei fargli una visitina fingendomi la sua coscienza e farlo sentire in colpa” cominciò a riflettere, non sentendosi troppo spavaldo in quella situazione e preferendo ricorrere ad uno dei propri consueti sotterfugi per non uscire dalla zona di comfort.
Al terzo ululato se ne era aggiunto un quarto. Se fossero stati dei semplici lupi alla fine, in qualche modo l'avrebbe potuto gestire, ma aveva già appurato non lo fossero e già più di uno diventavano troppi.
Sollevò lo sguardo sopra di sé, trovando al di là dei rami spogli quel cielo notturno che tanto gli era mancato in quei giorni. La luna era piena, come lo era sempre stata da più di un mese a quella parte.
Per quanto arrivare in quel luogo fosse stato per lui inaspettato, non aveva certo atteso per fare ricerche in merito, esplorando la volta celeste aveva subito notato quella stranezza dell'astro, nonostante le nubi a coprirlo dal loro arrivo. Quasi volessero accecarlo, aveva sospettato ad un certo punto, il maltempo poteva essere dovuto alla sua presenza? Eppure non era una capacità legata alle creature che pensava stesse cacciando.
Non aveva però avuto il tempo di indagare sulla stranezza delle luna, consapevole però nel resto dell'isola il satellite aveva percorso il suo normale ciclo. Solo sopra a quel minuscolo paesello perso nella tundra, sembrava rimanere sempre in quella forma, tonda e brillante, piena in eterno.
Nella sua forma spiritica Galvan sorvolò gli alberi e i campi, fino a raggiungere il limitare del villaggio, riconoscendo quel tetto su cui si era appollaiato solo la sera prima. Il suo aspetto era quello di un piccolo corvo, cui penne nere si tingevano di rosso come se vi fossero delle braci pulsanti fra le loro pieghe. Difficilmente però qualcuno avrebbe notato quella particolarità, gli individui comuni non lo avrebbero percepito e solo chi fosse un profondo studioso delle arti magiche avrebbe compreso la natura di quella sua forma. La maggior parte l'avrebbero scambiato per un famiglio, nulla più.
“Speriamo Lugh sia abbastanza distratto da non capire sia io” si disse, chiedendosi subito dopo se non sarebbe passato da guardone se fosse stato scoperto. Di certo il guerriero si sarebbe incavolato, ma ciò magari poteva andare a suo vantaggio. Dalla rabbia Lugh avrebbe mollato i propri affari e sarebbe corso da lui a vendicarsi.
Galvan dovette riconoscere di essere al quanto disperato.


Attese a lungo, trepidante, i muscoli tesi a fremere. Non riusciva a tenere la gamba a freno, sbattendo ad intermittenza sul pavimento con il tallone. Il suo cuore batteva a mille mentre si limitava a fissare il cielo al di fuori delle finestra nella speranza il sole calasse al più presto. La notte però sembrava tardare ad arrivare e, quando il cielo divenne di un tenue rosato, i suoi nervi saltarono portandolo a cercare le braccia di lei ben prima di quanto avessero prefissato. Di norma si considerava un uomo paziente ma, come assuefatto da una droga, doveva avere al più presto una nuova dose o sarebbe impazzito. Sentiva di fatti non solo il proprio autocontrollo venir meno, ma anche i suoi pensieri farsi sempre più radi, incentrati solo su quella donna. Lei era il suo fulcro. Non ricordava neppure più perché quel primo pomeriggio aveva tanto esitato ad accettare il suo invito.
Sceso nella sala principale della locanda trovò alcuni avventori intenti a cenare, assai di meno rispetto a quel mattino e molti più silenziosi. Vi era una certa calma nell'aria, poteva quasi sentire il crepitio del fuoco. Dietro al bancone vi era Lilia, e per un istante gli parve strano, sino a quel punto vi aveva visto solo il padre in quella postazione. Chissà dov'era finito?
La giovane gli dedicò appena uno sguardo, voltando subito il capo dall'altra parte. Un modo piuttosto plateale di ignorarlo, pensò fra se e se, chiedendosi subito dopo cosa avesse fatto per meritare un simile trattamento, opposto a quello del mattino in cui lo aveva affiancato come un cucciolo speranzoso in cerca di attenzioni. Aveva in qualche modo scoperto di lui e della matrigna? Imbarazzante, ma dubitava qualcuno gli avesse colti in flagranti, tutti gli avventori che avrebbero potuto beccarli se ne erano andati da ore. Allora forse era stata la madre a raccontarglielo? No, o avrebbe dovuto confessare il tradimento, un rischio che non poteva permettersi essendo la moglie di seconde nozze. Forse si era limitata a mettere in guarda la figlioccia raccontandogli qualche diceria fasulla sui suoi confronti. Questo poteva anche accettarlo, per quanto non gli piacesse essere messo in cattiva luce visto il suo passato da guerriero. Aveva un orgoglio da mantenere.
Senza esitare si diresse verso la giovane, poco incline ad assecondarne l'umore, C'era altro nella sua testa, un pensiero più pressante, forte abbastanza da portarlo a superare il vago senso di disagio.
- Lilia – la chiamò avvicinandosi al bancone, lei esitò un istante, titubante ad alzare lo sguardo per incrociare il suo, le labbra a piegarsi in una piccola smorfia.
- Si? - stava stringendo la mascella, forse mordendosi la guancia, pareva star trattenendo un insulto a fior di labbra. Voleva recriminargli qualcosa ma, forse perché vi erano altri clienti, si stava azzittendo. Nel mentre però, per lo sforzo, il viso gli si stava tingendo di un rosso acceso.
- Tra breve ripartirò e mi serviranno delle scorte, molte scorte, ne posso discutere con te? - era una domanda cui sapeva già la risposta, ma non poteva dirigersi in cucina senza prima passare da lei. Sarebbe sembrato troppo sospetto.
- No, meglio se ne parla con mia madre, è lei che si occupa delle cibarie. La trova sul retro – ed indicò la porta di fianco al bancone da cui si sentiva arrivare il profumo di un pasto cotto e il calore tipico delle pentole sul fuoco.
A quella risposta Lugh si limitò ad annuire, andandosene senza aggiungere altro, dimenticandosi persino di ringraziarla, troppo smanioso di colmare il desiderio martellante nelle tempie.

- Quanto sei impaziente, signor cavaliere – la colse per la seconda volta a dargli le spalle, intenta a ripulire pentole e tegami all'interno del catino. Nel parlargli si era ripulita le mani con uno strofinaccio, voltandosi verso di lui. Aveva le dita arrossate dall'acqua, eppure erano tanto fini ed eleganti da dargli un senso di stonatura. Non parevano le mani di chi aveva passato la vita a fare lavori di fatica.
- Come mai c'è Lilia al posto di tuo marito? - non rispose alla frecciatina mentre si assicurava di chiudersi per bene la porta alle spalle. Non aveva intenzione di fare nulla in un luogo come quello, ma se lei avesse dato il proprio consenso, non voleva rischiare eventuali interruzioni.
- Il signor locandiere – lo disse in modo scherzoso ed ironico, apostrofandolo in quel modo quasi ci tenesse a nascondere anche il suo di nome. - Ha da fare, capita spesso che si allontani la sera – per quanto tenesse un tono divertito, a Lugh non sfuggì la nota malinconica che gli ombrò il viso. - E' ormai un'abitudine per Lilia ricoprine il ruolo in sua assenza. D'altronde è meglio che impari se desidera ereditare l'attività – gli si era avvicinata, appoggiandogli una mano sul petto, mettendo una leggera pressione per spingerlo indietro, con la schiena contro la porta. Lei profumava. Nonostante avesse passato la serata a preparare pasti di ogni tipo, sul suo corpo continuava ad aleggiare un sentore di noce ed arance. Era un odore che, assieme a quello della cenere, riportava alla mente di Lugh i ricordi di casa.
- Lilia ci tiene così tanto a questa locanda? Di norma non dovrebbe essere ceduta come dote ad un suo eventuale marito? - non era di suo interesse, ma gli suonava strano, di norma una famiglia di quello status sociale con una figlia puntava tutto sul matrimonio di questa per un riscattarsi in termini economici. Non esisteva l'emancipazione femminile quando c'era di mezzo la povertà.
- Sarebbe tipico per un paesino piccolo e sperduto come questo, non è vero? - rise lei, mentre appoggiandosi al suo petto, si allungava per andare a girare la chiave nella toppa, cancellando ogni suo timore sulla possibilità di essere interrotti. - Eppure non sarebbe ingiusto nei confronti della ragazza? Così, se sfortunatamente fosse incappata in un matrimonio infelice non avrebbe alcuna possibilità di riscattarsi non possedendo nulla – era palese stesse parlando per esperienza personale, ma era stata chiara sul non voler creare un legame fra loro, quindi non era nella pozione di fare domande. Per quanto ormai conoscerla, accaparrare di lei anche il più piccolo dettaglio fosse come poter abbeverarsi di solo poche gocce per volta ad un fonte dopo giorni di disidratazione.
- Ma non parliamo di questo – cancellò ogni traccia di rammarico dal proprio viso, andando a stringerlo in un abbraccio intrecciando le dita dietro al suo collo e facendo aderire del tutto i loro corpi. Ne sentiva le forme morbide attraverso i vestiti ruvidi e la pelle calda.  - Ti avevo fatto una promessa per sta sera, giusto? - ammiccò suadente, la voce a tramutarsi in un sussurro lussurioso, carico di promesse.
  
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