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Autore: Maqry    24/12/2023    4 recensioni
Nina si risvegliò distesa sul prato, il sole alto nel cielo che le carezzava il viso.
Per un attimo non capì cosa ci facesse, esattamente, distesa su un prato, e cosa fosse quello strano ronzio che le pulsava nelle orecchie, nel sangue e in ogni frammento d’osso: non aveva mai avuto una simile percezione del proprio corpo, quasi che per la prima volta potesse realmente sentire ogni singola cellula dividersi, riprodursi o scoppiare. Poi alzò lo sguardo sulle pietre che la circondavano e la memoria di cosa fosse accaduto poco prima si riaffacciò alla mente. Non che spiegasse qualcosa: ricordava solo di essere salita sulla Collina delle Fate, come la chiamavano a Inverness, aver sentito quel forte richiamo che l’attirava verso le pietre e aver appoggiato le mani alla pietra al centro del cerchio.

{ Helnik | Outlander!AU }
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Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jarl Brum, Jesper Fahey, Kaz Brekker, Matthias Helvar, Nina Zenik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Promettimi il tempo 

 

A niny95 

 

 

 

 

 

Sing me a song of a lass that is gone 
Say, could that lass be I? 
Merry of soul, she sailed on a day 
Over the sea to Skye... 

 

 

Nina si risvegliò distesa sul prato, il sole alto nel cielo che le carezzava il viso. Aprì gli occhi poco alla volta, imprecando tra i denti per le macchie verdi che sarebbero rimaste sul suo bellissimo vestito rosso – l'ultimo regalo che Genya, la sua capo infermiera e la persona più simile a una madre che avesse mai conosciuto, le aveva spedito da Londra per consolarla di essere stata assegnata a uno sperduto ospedale delle Highlands. 

Per un attimo non capì cosa ci facesse, esattamente, distesa su un prato, e cosa fosse quello strano ronzio che le pulsava nelle orecchie, nel sangue e in ogni frammento d’osso: non aveva mai avuto una simile percezione del proprio corpo, quasi che per la prima volta potesse realmente sentire ogni singola cellula dividersi, riprodursi o scoppiare. Poi alzò lo sguardo sulle pietre che la circondavano e la memoria di cosa fosse accaduto poco prima si riaffacciò alla mente. Non che spiegasse qualcosa: ricordava solo di essere salita sulla Collina delle Fate, come la chiamavano a Inverness, aver sentito quel forte richiamo che l’attirava verso le pietre e aver appoggiato le mani a quella al centro del cerchio. Come fosse poi finita a rovinarsi il vestito di Genya rimaneva un bel mistero. Un mistero che però non era intenzionata a risolvere a stomaco vuoto, non dopo aver scoperto quanto fossero deliziosi gli scones con la marmellata che sapeva preparare Mrs. Fizz della pasticceria in paese.  

Così Nina iniziò a scendere il pendio, ma d’un tratto una mano forte e callosa le strinse il braccio, cogliendola di sorpresa e costringendola a voltarsi. Di fronte a lei stava un uomo alto e dallo sguardo di ghiaccio, capace di far gelare il sangue nelle vene anche a lei e a tutta la sua spavalderia. Indossava una divisa rossa e l’aver ascoltato a volte, per caso, le noiosissime “lezioni” di storia militare di Nikolai le suggerì si rtrattasse di quella dei Dragoni. Gesù Cristo d’un Roosevelt, aveva ragione Genya a dire che la gente in Scozia non era tutta a posto: che ci faceva questo vestito come nel Settecento? 

«Che ci fa in giro una sgualdrina per le terre di Sua Maestà?». 

Nina recuperò tutta d’un colpo la propria spavalderia, liberando il braccio con uno strattone dalla presa ferrea dell’uomo: «Sgualdrina sarete voi, vecchio bavoso! Si dà il caso che io possa camminare ovunque ne ho voglia e Sua Maestà può pure baciarmi il cul...». 

Nina non fece in tempo a vedere la mano dell’uomo avvicinarsi all’elsa della spada e sfoderarla, così come non vide il cavallo nero che sfrecciò tra di loro, colpendo con una zoccolata l’uomo in divisa e mandandolo lungo disteso. Ancora stordita si ritrovò ad afferrare la mano guantata che il cavaliere – e a quanto pare suo inaspettato, e certamente non richiesto, dato che sapeva benissimo cavarsela da sola, eroe – le offriva. Il ragazzo – perché se da cavallo, con il lungo mantello nero e la spada che gli pendeva al fianco con l’elsa intarsiata a forma di corvo, sembrava un uomo, da vicino era solo un ragazzo non troppo più grande di lei – la issò a cavallo e, senza darle tempo di fare altro che non fosse aggrapparsi a lui, sfrecciò via da Craigh Na Dun 

«E tu chi diamine saresti, si può sapere?». 

«Uno che non ha mai sentito una donna imprecare». 

«Allora devi conoscerne ben poche. Probabilmente sarà colpa di quell’orrendo taglio che ti ritrovi». 

Il ragazzo non arrossì, ma le scoccò un’occhiataccia di fuoco, che però Nina liquidò in fretta con un’alzata di spalle: non era certo lei a dettare legge in fatto di moda, ma era sicura che in nessuna epoca un taglio simile sarebbe mai stato ritenuto passabile. 

«E uno che vi ha appena salvata, milady» continuò lo sconosciuto nel suo forte accento scozzese. 

«Nessuno ve l’ha chiesto, milord» rispose Nina facendogli il verso. 

«Brum vi avrebbe presa su alla Collina delle Fate, nel migliore dei casi. O imprigionata a Fort William. Ho visto di cosa è capace, non l’augurerei nemmeno a un maledetto Sassenach1». 

«E ora vorreste la mia riconoscenza?». 

«No, solo che teniate la bocca chiusa ed entriate nella baracca: non ho tutto il giorno da perdere con voi». 

 

 

*** 

 

 

«Capo, hai finalmente deciso di prendere moglie?». 

La catapecchia dove il ragazzo l’aveva portata era stipata con una decina di highlanders, i kilt scuri e i capelli arruffati illuminati dalla luce fioca del fuoco acceso, che ne metteva in evidenza solo la sporcizia e la giovane età. 

«Io di sicuro non mi sposo uno con un gatto morto in testa...» ribatté lesta Nina, che non si curò minimamente delle dieci paia di occhi puntate su di lei, intente a squadrarla dalla testa ai piedi fissando inorridite il suo vestito rosso tutto macchiato di erba e fango. Giustamente per seguire un simile incivile dovevano avere anche loro cattivo gusto, perché quel vestito era stupendo e le stava addosso una meraviglia, anche con il fango e tutto il resto. 

«E pure Sassenach...». 

«Jesper, fa’ silenzio! L'ho solo salvata dalle grinfie del Capitano Brum». 

«Da cui mi stavo salvando da sola, grazie tante. Ora sarei tranquilla a Inverness a mangiare scones, invece che qui su con voi... che siete? Ladri?». 

«Più fuggitivi che altro» le rispose il giovane di prima con un largo sorriso sotto la barba troppo curata, per un ladro. «O meglio, lui è un fuggitivo» aggiunse, indicando un giovane seduto in disparte, che Nina non aveva notato fino a quel momento e per questo si maledisse: Gesù Cristo d’un Roosevelt, era bello da mozzare il fiato, pure con i capelli biondi ispidi e sporchi di terra, la camicia strappata e la mandibola contratta! 

«Noi lo abbiamo solo fatto evad...». 

«Jesper! Adesso tutti zitti: se Brum è nei paraggi, i Dragoni non saranno lontani e noi dobbiamo andarcene il prima possibile. Matthias, te la senti di viaggiare?». 

Il giovane nell’angolo grugnì e Nina si ritrovò a pensare che dopotutto qualche difetto doveva averlo anche lui, e probabilmente era l’essere un po' barbaro a sua volta. 

«Serve prima che qualcuno mi rimetta l’osso nella spalla» sibilò in scozzese, digrignando i denti dal dolore. Solo a quel punto l’occhio allenato di Nina notò la posizione innaturale del braccio. Beh, a sua discolpa doveva dire che il giovane aveva cose più interessanti da notare che un braccio dislocato, non era certo colpa sua se non aveva subito attivato i sensi da infermiera. Ma una volta attivati, era impossibile spegnerli, e così si intromise nella concitata discussione in gaelico che era nata tra i vari uomini e ragazzi mentre si preparavano a “operare”. 

«Oh, fermi tutti, razza di bifolchi con badili al posto delle mani. Non permetterò a nessuno di voi di toccare quel braccio. E sì» aggiunse, «sono una Sassenach che capisce lo scozzese. So parlare sette lingue e sono un’infermiera, quindi ora levatevi dalle palle e lasciate fare a me». 

«Una donna non dovrebbe imprecare» ci tenne a ricordarle un tale alla sua destra. «Lo dice san Paolo». 

«E allora digli di andare a...». 

«Questa sì che è una Sassenach divertente, Capo» intervenne il ragazzo che poco prima era stato chiamato Jesper. 

«Anche tu non sei troppo antipatico. Il che non vuol dire molto, dati gli standard bassi dell’intera stanza, ma è qualcosa» ammiccò lei. 

«Smettetela entrambi: la Sassenach è una nostra prigioniera finché non verrà portata a Castel Leoch e il clan deciderà cosa fare». 

«Col caz...». 

«Zitti, ho detto! E tu vedi di fare qualcosa, allora, o chiedo a Jesper di spararti seduta stante e ci liberiamo del problema». 

«No, grazie. Ma apprezzo il passaggio al tu amichevole. E da buona amica curerò quell’altro di voi bifolchi. Forza, dolcezza, stringi qualcosa tra i denti che farà un male cane». 

Matthias – così avevano detto che si chiamava - arrossì fino alla punta dei capelli, sotto il sudore e il sangue incrostato, e Nina sorrise soddisfatta sotto i baffi. Poi, senza preavviso, afferrò il braccio del ragazzo e con una manovra secca e precisa, come le aveva scrupolosamente insegnato Genya, reinserì l’osso nella spalla, mente Matthias sbiancò di colpo, senza però staccare gli occhi azzurri dai suoi. Nina ordinò non troppo educatamente a qualcuno di strapparsi la camicia, così che potesse fasciargli il braccio e tenerlo in posizione, poi lasciò andare il giovane scozzese. 

«Grazie» bofonchiò lui, dopo aver ripreso il respiro. 

«È stato un piacere, dolcezza».  

«In sella!» ordinò secco il capo della banda. «La Sassenach viaggerà con Matthias, così da tenergli le redini. E niente ammiccamenti vari o tentativi di fuga, siamo intesi? Jesper è bravissimo con i bersagli in movimento». 

«Signorsì, capitano» borbottò Nina. L'idea dell’intero viaggio con il corpo alto e muscoloso di Matthias premuto contro il suo, però, non le dispiaceva poi così tanto.  

 

 

*** 

 

 

Il viaggio verso Castel Leoch e i successivi mesi nelle terre dei McKenzie scivolarono via veloci, nello stordimento iniziale che avvolse Nina. Non era una messa in scena o qualche strano scherzo – che potevano tranquillamente averle architettato Genya, Nikolai e Zoya, data la sottile crudeltà del tutto – ma era davvero finita nel Settecento, tra clan scozzesi e Dragoni inglesi, pronti a spararsi a vicenda per qualsiasi bazzecola fosse venuta loro in mente.  

Nina ringraziava ogni santo giorno la sua grandissima capacità di adattamento – quella che l’aveva già salvata varie volte durante la guerra – e la sua incrollabile sicurezza in se stessa, che le permettevano di non perdersi d’animo davanti alla vita di una donna del Diciottesimo secolo. Aveva avuto la fortuna di andare subito d’accordo con Jordie, il capoclan dei McKenzie di Leoch e fratello maggiore del ragazzo che l’aveva salvata dal Capitano Brum, Kaz. Diversamente dal fratellino, infatti, era un uomo di cultura ed era rimasto subito affascinato dal suo talento per le lingue e le sue conoscenze mediche. Aveva colto il suo potenziale, permettendole di utilizzare una stanzetta del castello come ambulatorio perché curasse i suoi fittavoli, togliendoli dalle grinfie del parroco del villaggio vicino, convinto che qualsiasi disturbo andasse curato con l’acqua santa. Nina gli era riconoscente: aveva imparato abbastanza dalle lezioni di storia di zio Lamb – il fratello archeologo di suo padre che l’aveva cresciuta da bambina, quando era rimasta orfana – per sapere che le veniva concesso molto più di quanto una donna di quel tempo avesse diritto a fare – e dire. Non tutti, al castello, avevano ancora imparato a tollerare la sua lingua lunga e sfacciata, ma la maggioranza aveva imparato a conviverci, quantomeno, giustificandola probabilmente come una stranezza dei Sassenach e decidendo che, se il loro signore aveva deciso di accogliere la straniera, a loro non restava che rispettare il suo volere.  

Eppure, nonostante tutto, la prima notte a Leoch, davanti alla certezza che davvero non si trovava nel suo tempo, perché quel castello, nel Ventesimo secolo, era solo un vecchio rudere che lei e Genya avevano visitato mesi prima, si era sentita spezzata dentro. Aveva di nuovo avvertito con precisione ogni singola parte del suo corpo, ogni angolo che le doleva al solo pensiero di essere lontana da casa di ben duecento anni, di non essere ancora nata. Il peso di tutta quell’assurdità le era crollato addosso di colpo, mentre rifaceva la fasciatura per Matthias. Cosa poteva farci, lei, nel Settecento? E come poteva tornarci, ora, a casa? Da Genya, Nikolai, Zoya... sì, anche la mancanza di Zoya le pulsava prepotente nel petto, togliendole il respiro. E così era scoppiata a piangere. Era andata avanti a lungo, anche dopo che Matthias l’aveva goffamente stretta a  col braccio sano, facendole appoggiare la guancia sulla sua spalla tesa, e le aveva sussurrato dolci parole all’orecchio mentre le carezzava i capelli.  

«Finché ci sarò io, qui, non avrai nulla da temere» l’aveva poi rassicurata, quando la ragazza aveva a malincuore sciolto l’abbraccio, tirando su col naso e asciugandosi gli occhi rossi. 

«So badare a me stessa, dolcezza» aveva ribattuto pronta, ricevendo in risposta uno scettico schiocco di lingua decisamente molto scozzese.  

Matthias McTavish aveva però mantenuto la sua promessa, approfittando di ogni occasione che gli era lasciata libera dal lavoro nelle stalle – era bravissimo con gli animali, aveva scoperto Nina, dicevano anche che avesse addestrato un lupo – per scortarla in giro per il villaggio nel suo giro ai malati, o anche solo per farle conoscere quel pezzo di Highlands, che sembrava così simile e allo stesso così diverso da quello che Nina aveva conosciuto durante i mesi a Inverness. La ragazza adorava provocarlo e stuzzicarlo in ogni modo – specie da quando aveva scoperto che era ancora scapolo e desiderato da tutte, a Leoch – ma soprattutto vedere come il ragazzo, sempre silenzioso e impettito, arrossisse a ogni sua battuta, per poi ammonirla.  

«Una brava donna scozzese non parlerebbe mai così». 

«Grazie al cielo che allora il Signore mi ha fatta nascere più a sud. Che noia, altrimenti!». 

«Dovreste stare attenta, miss Zenik». 

«E voi imparare a ridere, mister McTavish, anche se sospetto che questo non sia il vostro vero nome...». 

«Certe cose è meglio non saperle, miss. E poi io so ridere, solo che le vostre battute non sono divertenti». 

«Questo non è assolutamente vero: Jesper le trova spassosissime». Matthias rispose con un grugnito sarcastico dal fondo della gola: Nina ormai aveva dovuto imparare a decifrare quei suoni, in mancanza di parole da parte del giovane. «Siete voi che avete un palo su per il cu...». 

«Miss Zenik!». 

«...lo!». 

La ragazza scoppiò a ridere e, insieme a un sospiro rassegnato, anche un sorriso divertito spuntò sulle labbra di Matthias. Nina pensò che avesse il sorriso più bello del Diciottesimo e del Ventesimo secolo messi insieme. 

 

 

*** 

 

 

Quando Jordie McKenzie le aveva detto di seguire il gruppo di uomini che girava per le terre del clan a riscuotere le tasse, così che poi potessero riaccompagnarla a Inverness, Nina aveva storto il naso. Per quanto la compagnia del misterioso McTavish le piacesse più del dovuto, il Settecento e tutte le sue stupide leggi su come una donna dovesse o non dovesse comportarsi le andavano fin troppo strette, come quando cercava di infilarsi i bellissimi vestiti di Genya, sempre di diverse di taglie troppo piccoli. Non si aspettava certo che Kaz McKenzie, dietro i guanti neri e la spada col corvo, nascondesse un animo da ribelle giacobita e sfruttasse la riscossione delle tasse – lavoro che doveva ammettere gli calzava proprio a pennello – per raccogliere anche oro e sostenitori per la causa scozzese. E così quello che era un viaggio regolare, si era ben presto trasformato in un rischio di finire sulla forca. Rischio che si era concretizzato quando alle loro spalle era spuntato il Capitano Brum con tutto il suo squadrone di Dragoni e l’aveva riconosciuta. Non aveva trovato prove concrete per incastrarli come ribelli – McKenzie pareva anche bravissimo coi giochi di prestigio, e tutto era scomparso, insieme a Matthias – ma questo non aveva fermato il Capitano dal provare a portarsi a casa la sua dose di soddisfazione, cercando di farla prigioniera.  

Per fortuna – o forse no – Kaz sembrava saper tirare fuori dai guanti soluzioni come se nulla fosse, e per toglierla dall’impiccio l’aveva liberata dalla stanza della locanda dove Brum la stava interrogando per accusarla di essere una traditrice della Corona, in combutta con gli scozzesi. Oltre a quello, le aveva anche offerto su un piatto d’argento la giusta scappatoia perché nessun soldato inglese potesse più sequestrarla a suo piacimento. Era molto facile, le aveva detto senza guardarla negli occhi, le carte già pronte in mano: bastava che si sposasse uno scozzese. A quel punto sarebbe stata a sua volta scozzese, davanti alla legge, e non avrebbero potuto vantare diritti su di lei in quanto cittadina inglese. Nina aveva sbottato crudele che anche no, grazie tante, come aveva già detto lei non se lo sposava uno con un gatto bagnato in testa. Kaz aveva riso. 

«Non sono io quello che devi sposare, Sassenach, ma McTavish... Altrimenti sarò ben contento di lasciarti nelle grinfie di Brum, questa volta, senza rischiare la pelle mia o dei miei uomini per un’inglese dalla lingua lunga»2. 

Nina aveva sbattuto gli occhi più volte a quelle parole. Lei sposare Matthias? Lei sposarsi? 

Ma i calci nei fianchi di Brum durante l’interrogatorio e la sua pistola contro la tempia ancora le dolevano e la lasciavano inerme davanti alla paura, l’istinto di sopravvivenza che le diceva di accettare.  

E così poche ore più tardi si trovava seduta su un sasso, nel mezzo della brughiera, a leggere le carte dell’accordo matrimoniale. 

«Volete bere qualcosa, miss Zenik?» le domandò titubante Matthias avvicinandosi, il sole che gli faceva risplendere ancora di più i capelli, rendendolo simile a un angelo. Nina scosse la testa, a quei pensieri, poi allungò la mano e tracannò un lungo sorso di whiskey, sotto il sopracciglio sollevato del ragazzo. 

«Ma a te sta davvero bene?» chiese lei, ignorando la sua chiara espressione di rimprovero e passando al tu: dovevano sposarsi di lì a poche ore, che si prendessero qualche confidenza. 

«Io... sì. Per salvarvi lo faccio volentieri: vi ho promesso che vi avrei protetta...». 

«Piantala con queste cavolate da cavalier servente. Non hai una ragazza a casa che ti aspetta? Non sei di Leoch, no? Ti stanno solo proteggendo dopo averti fatto evadere. Ma nelle tue terre magari qualcuna che ti aspetta c’è, di sicuro meno irriverente e inglese». 

«No» rispose lui sincero, sedendole accanto. «Dubito che qualsiasi padre sarebbe d’accordo a concedere la mano di sua figlia a un uomo con una taglia sulla testa». 

Nina sorrise: «Direi proprio di no, anche se probabilmente la figlia sarebbe d’altro avviso, specie dopo averti visto senza camicia quando tagli la legna». Poi gli schioccò un occhiolino divertito, che fece arrossire e balbettare Matthias. 

La ragazza tornò seria: «Non sono vergine, però. Questo non è un problema, per voi cattolicissimi scozzesi?». 

Matthias la guardò sorpreso: «Siete vedova?». 

Nina scosse la testa, poi gli lanciò uno sguardo eloquente. 

«Oh, beh, ecco... no. Sempre che non sia un problema per voi che io invece lo sia. Immagino che qualcuno dei due debba sapere cosa fare, dopotutto»3. Poi se ne andò, tutto rosso. 

Nina finì tutta la bottiglia in un sorso: non avrebbe certo fatto una cosa tanto folle come sposarsi con un ricercato, pur alto, prestante e biondo, da sobria. 

 

 

*** 

 

 

La cerimonia era stata veloce e lei aveva dovuto indossare un orrendo abito con un corpino tanto stretto che a malapena era riuscita a strizzarvicisi dentro e a respirare. Non sapeva dove l’avessero recuperato, così come non sapeva dove Matthias avesse trovato un anello da metterle al dito, anche perché se le fosse stata lasciata voce in capitolo avrebbe scelto qualcosa di decisamente più allegro e vistoso per entrambe le cose, e fatto decorare la chiesetta spoglia dove gli uomini del clan McKenzie si erano stipati ad assistere alle loro promesse eterne. Le faceva strano l’idea di sposarsi senza zio Lamb ad accompagnarla all’altare, Genya a reggerle il lungo strascico che avrebbe scelto e Nikolai seduto in prima fila pronto a commuoversi. Zoya non sarebbe mai venuta, nemmeno nel Ventesimo secolo. 

Matthias era stato tirato a lucido a sua volta, con i capelli pettinati ordinatamente, la barba fatta di fresco e una camicia e un kilt nuovi, puliti. Sembrava davvero un principe uscito dalle favole. Se Nina fosse stata più lucida, avrebbe notato come a sua volta la stesse mangiando con gli occhi. 

 

«Io, Matthias Helvar...». 

«Ti chiami Helvar? E me lo dici così?». 

«Non sarebbe un matrimonio legale, altrimenti». 

«Oh, giusto. Prego, continua». 

«Io, Matthias Helvar, prendo te, Nina Zenik, come mia sposa...». 

«Io, Nina Zenik, prendo te, Matthias Helvar, come mio sposo...». 

 

La festa era poi proseguita nella locanda vicina, fino a quando gli uomini del clan avevano deciso che avevano bevuto abbastanza, li avevano caricati di peso – con qualche difficoltà, data la stazza di Matthias e quanto gracilini fossero alcuni, come Jesper e Wylan, il contabile del McKenzie – e trascinati nella loro stanza al primo piano. Un matrimonio scozzese non era valido se non veniva consumato. Matthias era riuscito però ad allontanare tutti, nonostante avessero insistito per rimanere ad assistere secondo la tradizione. Ma essere grandi e grossi e in grado di rompere loro qualche osso a mani nude aveva avuto la meglio su qualsiasi norma imponesse la tradizione. 

 

Rimasti soli, Nina prese l’iniziativa per prima, non sapeva se mossa dal vino e dalla birra che erano scorsi a fiumi al banchetto di nozze o da Matthias che si era tolto la giacca elegante ed era rimasto solo in camicia. Gli si avvicinò, piano, si alzò sulle punte dei piedi e sussurrò: «Per uno che afferma di non essere mai andato con una donna, prima in chiesa hai baciato fin troppo bene...». 

Non capendo del tutto la provocazione, Matthias ribatté a sua volta con un filo di voce: «Ho detto di essere vergine, non un monaco...». 

«Allora rifallo». 

«Non dovrei corteggiarti, prima?» domandò lui, staccandosi a fatica dal corpo caldo di Nina. «Dirti che quando ti ho vista, stamattina, in quel vestito bianco...». 

«Quel vestito osceno, vorrai dire!» puntualizzò la ragazza, sollevando un sopracciglio. 

«Eri bellissima, invece... è stato come quando, in una giornata grigia, d’un tratto un raggio di sole fa capolino tra le nuvole e ti illumina tutto, togliendoti il fiato...». 

«Oh, Gesù Cristo d’un Roosevelt! Pensi di andare avanti molto con questa poesia spicciola o hai intenzione di portarmi a letto? Siamo già sposati, non serve che mi corteggi, non che sia molto interessata alla cosa». 

«E va bene» le soffiò lui sulle labbra, riavvicinandosi e stringendola a sé per la vita, prima di poggiare le labbra sulle sue e baciarla fino a toglierle il fiato.  

Nina pensò che ubriacarsi dei suoi baci fosse mille volte migliore degli scones di Mrs. Fizz. O quasi... 

 

 

*** 

 

 

La luna di miele non durò molto, con il viaggio che doveva proseguire e la minaccia del Capitano Brum che pendeva sulle loro teste. Ma Nina cercava ogni momento buono per trascinare Matthias con sé dietro un cespuglio o in un anfratto della brughiera per ritagliarsi qualche minuto da soli. Il ragazzo agli inizi cercava di ritirarsi, imbarazzato, ma poi era sempre ben felice di farsi rubare baci e altro con l’erba a solleticargli la pelle e il vento fresco a carezzarli. Nina doveva ammettere che imparava in fretta e perdersi tra le sue braccia era sempre più facile, insieme a dimenticarsi da dove venisse e quale fosse il suo posto nel mondo. 

Una volta fatto ritorno a Castel Leoch, Jordie aspettava Matthias con la notizia che il ragazzo agognava da quando l’avevano fatto evadere da Fort William: poteva tornare a casa sua. Nelle ultime settimane trascorse insieme, Nina aveva scoperto che era stato arrestato dopo aver tentato di difendere la sorella dalle attenzioni del Capitano Brum. Ripetutamente fustigato, ancora portava sulla schiena i segni della crudeltà del Capitano inglese.  

Ma davanti alla gioia di Matthias per tornare a casa, portarla a Lallybroch, dove aveva mosso i primi passi da bambino e doveva viveva il suo, di clan, dove era lui il laird delle terre e fantasticava ci fosse il loro futuro, con bambini e un fuoco sempre acceso, Nina si sentì falsa. Non poteva donargli il suo cuore, se non apparteneva nemmeno a quel secolo. E come farlo, senza che soffrisse?

 

 

«Io non sono di questo tempo, mi capisci?! Mi stai ascoltando, Matthias?». 

«Ti sento, Sassenach». 

«Nel futuro ho amici, una vita e un lavoro. E so come andranno le cose qui, vivo ogni giorno guardandovi raccogliere soldi per la causa degli Stuart e sapendo come andrà a finire». 

«Sassenach...». 

«Morirete tutti, Matthias! Gli inglesi piegheranno la Scozia per i secoli a venire e perderete ogni indipendenza. E tu nemmeno puoi capirmi!». 

«No. No, non posso capirti. Ma posso crederti. E io ti credo, Sassenach. Forse tra noi ancora non c’è amore, ma credo che ci sia rispetto, e il rispetto significa che possono esserci segreti, ma non bugie. Per questo so che non mi stai mentendo».

 

 

Poi l’aveva abbracciata, asciugando le sue lacrime di rabbia, e l’aveva baciata. Quello era Matthias: un uomo fermo nei suoi stupidi ideali. Aveva parlato di rispetto e nemmeno per un momento le aveva promesso che avrebbe abbandonato la causa giacobita, per donarle un futuro felice e legarla a quel passato. Era un highlander, dopotutto, e se Nina aveva imparato a conoscerlo negli ultimi tempi, sapeva che non avrebbe mai smesso di lottare per la propria patria. Ma forse si sbagliava, però, realizzò Nina, perché non era del tutto sicura che quello che c’era tra di loro, quel sentimento confuso e sconvolgente che l’aveva presa per le viscere e tirata verso di lui sin dal primo giorno, non fosse qualcosa di simile all’amore. Forse solo un inizio, una promessa. Eppure, era sicuramente qualcosa di più del rispetto, lo sentiva ogni volta che facevano l’amore e le sussurrava nell’orecchio frasi in gaelico di cui non sempre conosceva la traduzione, ma non le era comunque difficile intuire, o ogni volta che lei lo irritava per dispetto e lui arrossiva e scuoteva la testa dicendole che era “una Sassenach impertinente” 

 

E così, presa dalle sue riflessioni e ancora scossa dopo la rivelazione, nemmeno si accorse dove Matthias l’aveva veramente portata. Perché quella che si ergeva davanti ai loro occhi, dopo giorni di galoppo nella brughiera, non era Lallybroch, ma la Collina delle Fate da cui era arrivata quel primo giorno, che ormai le sembrava così lontano, insieme alla sua vita nel futuro con Genya, Nikolai e Zoya, zio Lamb e Mrs. Fizz della pasticceria, l’ospedale e tutte le comodità che talvolta le mancavano dal Ventesimo secolo. 

«Va’, Sassenach» le sussurrò Matthias in un orecchio, aiutandola a scendere da cavallo – per una volta, Nina non protestò – e attirandola a sé per un ultimo bacio. «Quello è il tuo posto nel tempo, non questo. Io rimarrò a vegliare perché questa volta nessun Dragone passi a rapirti. So che sai difenderti da sola, ma un po’ d’aiuto non fa mai male».  

Poi si diresse ai piedi della collina, lasciando Nina davanti al cerchio di pietre, il ronzio della prima volta che tornò a esploderle nelle orecchie, nelle ossa e nelle cellule, attirandola a sé, verso la pietra centrale. Si lasciò guidare dal proprio cuore per compiere il passo successivo. 

 

 

«In piedi, dolcezza. Portami a casa, a Lallybroch...». 

 

 

 

 

Finalmente tu davanti a me 
a promettermi che c’è tutto il tempo che possiamo per il tempo che ce n’è 
fino a che mi chiederai tutto quello che so dare 
avrò cura dei tuoi limiti e anche delle tue paure 
e ti siedi accanto a me 
per lasciami l’orizzonte sempre liberi di scegliere una rotta differente 
non ti lascio andare via 
dai miei occhi visionari che non temono il futuro 
e giorni straordinari. 

 

 

 


Note alla storia: il Grishaverse è un universo dove cerco di muovermi il meno possibile, perché la duologia dei corvi mi è piaciuta moltissimo e ogni volta correrei il rischio di rovinarla. E Outlander, pur essendo un mio guilty pleasure di lunga data (dopo quattro anni sono finalmente arrivata a leggere l’ultimo libro!), è un fandom dove non mi ero affacciata mai prima come scribacchina. Quindi, insomma, questo è un piccolo salto nel vuoto creato appositamente per niny95, la mia destinataria per il Secret Santa di quest’anno, indetto da Mari Lace sul forum “Ferisce la penna”. Non ci conosciamo molto, ma spero che questo piccolo pensierino ti abbia fatto piacere: ho cercato di unire i due fandom che condividiamo, dato che hai anche scritto di amare le AU, e inserire una piccola sorpresa alla fine, dato che ho ascoltato le due tracce che avevi indicato e ho trovato questa particolarmente adatta per la trama! Spero tanto che ti piaccia, tantissimi auguri di Buon Natale! 

Questa storia è piena zeppa di riferimenti a Outlander e molte cose si danno per scontate, e temo possa risultare poco comprensibile a chi non conosce i libri o la serie; quindi, sappiate che non è colpa vostra: sono io che per fare economia ho tagliato e cucito a modo mio la trama. 

Un abbraccio e buone feste anche a chiunque sia passato di qui, nella speranza che la storia vi abbia portato almeno un piccolo sorriso 💜 


1Sassenach: è la parola scozzese per Sassone, inglese. È utilizzato spesso in senso dispregiativo per rivolgersi agli inglesi, e quindi a Claire (qui Nina), anche se pian piano, col tempo e l’evolvere della loro relazione, diviene il soprannome affettuoso con cui la chiama Jamie, abbastanza iconico nella saga. 

2Nella saga originale, a Kaz (alias Dougal McKenzie) fa giusto comodo che Matthias (Jamie) si sposi con un’inglese, perché così nessuno del clan McKenzie sceglierà mai di seguirlo in guerra al posto che seguire lui (Jamie è un McKenzie per parte di madre). Qui non avevo lo spazio per poter inserire tutte le motivazioni dietro la soluzione di Kaz, ma immaginatevi che ci siano anche queste altre implicazioni che lo portano a dare Nina in sposa a Matthias. Kaz, di fatto, pur non essendo il capoclan, ruolo che spetta a Jordie, è il “capo guerriero” del clan, dato che il vaiolo preso da bambino ha lasciato Jordie infermo e fragile (invece che ucciderlo), come nella saga originale accade a Colum, il capoclan dei McKenzie e fratello maggiore di Dougal. 

3Sì, allora, questo scambio di battute della saga originale a me fa volare ogni volta per la faccia di Claire (insieme alla battuta su San Paolo), quindi non potevo non metterlo anche qui. Claire nei libri si presenta come vedova (il marito è rimasto nel ‘900), da qui il commento sul non essere vergine, che ho riadattato perché Nina mi serviva senza marito nel futuro e conseguenti sensi di colpa, per poter volare felicemente tra le braccia di Matthias e velocizzare la trama.

   
 
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