Capitolo Sedici
Periodo tra Luglio e Dicembre 1978, in tanti luoghi
L’estate che seguì la fine
dell’ultimo anno ad Hogwarts trascorse con estrema velocità per Sirius, tra la
ricerca di una nuova casa e quella di un impiego. Nonostante Fleamont ed
Euphemia fossero stati estremamente gentili con lui, assicurandogli che a prescindere
dalla presenza di James poteva restate da loro per tutto il tempo che
desiderava e di cui aveva bisogno, il giovane Black scalpitava dalla voglia di
ritagliarsi il suo posto nel mondo. Aveva iniziato così a cercare un modesto
appartamento al centro della Londra magica, scegliendo comunque qualcosa che
non fosse troppo esagerato. In effetti per lui, che era cresciuto tra le decine
di stanze inutili e prive di calore di Grimmauld Place, bastava un luogo
minimamente confortevole per potersi sentire pienamente soddisfatto. Dunque una
camera da letto, un bagno e una piccola cucina – che sarebbe sempre rimasta
pulita, valutando le sue scarse doti culinarie – avrebbero rappresentato la
perfezione secondo il suo punto di vista. L’unica vera pazzia che commise, con
i soldi ereditati dallo zio, fu acquistare una moto babbana per potersi muovere
in piena libertà tra i due mondi. Infatti presto la modificò con la magia,
rendendola leggermente più grande e soprattutto in grado di volare.
Ad ogni modo ora che aveva
conseguito i M.A.G.O. ed era diventato a tutti gli effetti un adulto, il
peso delle responsabilità gravava sulle spalle di Sirius. Tuttavia per il
giovane Black non era un problema doversi mostrare maturo e gestire i suoi
doveri, d'altronde era stato abituato fin da piccolo a reggere il notevole
carico di aspettative che incombeva su di lui. In effetti a causa del suo
cognome, della sua dinastia e del suo ruolo di erede non era mai stato un
bambino normale. Soltanto ad Hogwarts era riuscito a liberarsi dalle
imposizioni legate al suo lignaggio, cominciando a respirare davvero e dare
spazio alla spensieratezza tipica di quell’età. Lì, in quei corridoio, poteva
ridere e scherzare con i suoi amici senza avere altre preoccupazioni al mondo.
Ma al suo rientro a casa, ecco che doveva tornare il ragazzo serio e
impassibile di sempre. Di conseguenza essere indipendente e libero era sempre
stato il suo più grande desiderio, già da quando aveva capito che la sua
famiglia gli stava stretta. Come il ruolo di figlio perfetto a cui veniva obbligatoriamente
rilegato, durante quei momenti in cui Orion riusciva ad imporsi su di lui.
Quando era ancora debole. Ma adesso poteva fare quello che voleva, senza dover
dare conto a suo padre e a quella pazza della madre.
L’ulteriore passo da
compiere comunque sarebbe stato quello di trovare un lavoro, anche se il mago
non ne aveva alcun bisogno effettivo data l’enorme somma di denaro che gli era
stata donata dallo zio Alphard già prima di concludere i suoi studi ad Hogwarts.
Lo divertiva che il fratello minore di Walburga, nonostante non fosse ancora
morto con grande dispiacere di sua madre, gli avesse elargito una somma così
considerevole solo per infastidire la sorella. Ma non poteva contare solo su
quei galeoni. Inoltre la prospettiva di non avere un obiettivo lo inquietava,
così come l’immobilità generale. Dopo essere stato abituato per tanti anni a
rispettare gli impegni scolastici, presentandosi in orario a lezione e
consegnando i compiti nei termini prestabiliti per non perdere punti, trovarsi
improvvisamente a non fare niente e ad avere troppo tempo a disposizione per
perdersi nei suoi pensieri lo irritava terribilmente. I suoi amici avevano le
idee ben chiare e si erano messi all’opera per realizzarle, quindi anche rispetto
a loro non voleva sentirsi in difetto. Restare indietro, come uno sciocco.
James ad esempio, appena ricevuti i voti degli esami effettuati al castello e
aver superato il rigoroso test preliminare di qualificazione per poter iniziare
la formazione Auror, si era iscritto all’accademia. La suddetta scuola si
trovava a Warlingham, un piccolo villaggio nel distretto Sud-Est di Londra.
L’antico maniero dei Blackbird era protetto agli occhi dei Babbani da una serie
di Incantesimi Occultanti, che facevano apparire l’edificio come una dimora
diroccata. Il cancello esterno era incantato mediante un sortilegio che
consentiva l'accesso alla struttura unicamente agli studenti e agli altri
Auror, limitando quindi il passaggio anche al resto del Mondo Magico. Per
questioni di sicurezza. L'ingresso era costituito da un ampio atrio dal quale
dipartiva poi una gradinata centrale, che conduceva ai sei piani in cui si
sviluppa l'intero edificio. Le aule in cui si svolgevano le lezioni teoriche
occupavano i primi tre livelli, mentre i piani più alti erano destinati alla
locazione di una grande biblioteca e di un archivio centrale. L’ultimo invece
era suddiviso in aree destinate ai singoli esami di apprendimento, con una
singola stanza riservata a quello finale che si svolgeva dopo due anni
dall’accettazione all’accademia. I campi di addestramento erano situati invece
nei sotterranei, dove si svolgevano duelli e in generale i combattimenti magici
di allenamento.
Il programma di studio era
oltretutto davvero arduo e prevedeva diverse discipline: tra cui
l’addestramento magico di livello avanzato con le tecniche di difesa, attacco e
trasfigurazione da duello; la conoscenza dell’applicazione della Legge Magica
con la gestione dei rapporti con gli altri Livelli del Ministero della Magia,
la categorizzazione delle principali tipologie di reati e le restrizioni
sull'utilizzo di Veritaserum nonché della Legilimanzia nello svolgimento delle
indagini; il riconoscimento e le classificazione delle pozioni, dei filtri
magici, delle erbe e dei veleni; le tecniche di indagini con le procedure
penali, le strategie di travestimento e occultamento per passare poi allo
spionaggio e infiltrazione; l’introduzione alle Arti Oscure con l’analisi del Decreto
Crouch – introdotto recentemente da Barty Crouch, ovvero il capo del
Dipartimento di Applicazione delle Leggi Magiche – che permetteva agli
Auror l’uso delle maledizioni senza perdono e in generale la teoria sugli
incantesimi di Magia Nera.
La frequentazione delle
lezioni era obbligatoria, però fortunatamente tutte si svolgevano solo nelle
ore mattutine della giornata lasciando quindi a James il pomeriggio libero.
Nonché le notti, che spesso trascorreva eseguendo diverse ronde per conto dell’Ordine
delle Fenice oppure con Remus durante i pleniluni per non lasciarlo del tutto
da solo. Ora che Hogwarts era finita i Malandrini si erano inevitabilmente
separati, ognuno per cercare di costruirsi il proprio futuro, ma cercavano
sempre di esserci l’uno per l’altro. Le notti di luna piena dunque si
alternavano per stare con Moony, anche se al momento era Sirius che si era
proposto più volte di accompagnare l’amico essendo l’unico ancora libero da
vincoli lavorativi e altri impegni. James in fin dei conti doveva destreggiarsi
tra le lezioni, i suoi appuntamenti con Lily e i suoi obblighi nei confronti
dell’Ordine. E Peter a sua volta lavorava essenzialmente di notte, in un pub
della Londra magica, perciò non aveva tempo di seguire Lupin.
Il suddetto mago ad ogni
modo era a sua volta molto occupato, considerata la sua recente assunzione al
Ghirigoro di Flourish & Blotts di Diagon Alley. Il negozio era uno dei più
forniti all’interno del mondo magico, nonché uno dei più famosi a livello
culturale. Lo stesso Newt Scamander, famoso Magizoologo, nel 1927 aveva tenuto
in quello stesso luogo la presentazione del suo libro Animali fantastici e dove
trovarli. In effetti la libreria era talmente fornita da fare invidia perfino
alla biblioteca di Hogwarts: tutti gli scaffali erano stipati fino al soffitto
con i volumi più disparati per argomento e dimensione, ma alcuni erano
appoggiati perfino sui tavolini situati negli angoli più strategici del locale
considerato che il loro numero era talmente notevole da non riuscire a disporli
solo sulle varie mensole. Era possibile trovare di conseguenza tomi grossi come
lastre di pietra rilegati in pelle, libri dalle dimensioni di un francobollo
foderati in pregiata seta, volumi dall’aspetto sinistro pieni di strani simboli
runici incomprensibili addirittura ai più esperti e tomi talmente antichi da
risultare dei veri reperti storici.
Remus era stato entusiasta
di quell’impiego, nonché di trovarsi a collaborare con Gertrud Woodiwiss. La
giovane strega in effetti era davvero dolce e simpatica, nonché particolarmente
carina con i suoi corti capelli ricci neri e i suoi occhi nocciola. Inoltre si
era mostrata fin da subito molto comprensiva con lui, non battendo ciglio
quando il giovane si era ritrovato a chiedere dei giorni di congedo proprio nel
periodo successivo alla luna piena. Quando gli effetti della sua trasformazione
si facevano particolarmente sentire, indebolendolo e rendendo i suoi muscoli
sensibili al dolore. Era ovvio che Gertrud non fosse a conoscenza della sua
situazione, in fin dei conti il mago era consapevole che se la ragazza avesse
anche solo sospettato di stare parlando con un lupo mannaro non si sarebbe mai
mostrata così disponibile. Ma per Remus era importante poter vivere il più
normalmente possibile, senza sentirsi sempre addosso il peso di quella
maledizione. Per questo nell’ultimo periodo stava assumendo con regolarità la
pozione Antilupo, grazie a Lily che aveva ricevuto la licenza per poterla
produrre da parte dell’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche. Tuttavia
quell’intruglio amaro, che serviva essenzialmente ad alleviare i sintomi e
mantenere il controllo mentale durante il licantropismo, lo rendeva irritabile.
Anche la Evans comunque lavorava a Diagon Alley,
poco distante dal Ghirigoro. Precisamente nel negozio speziale, situato alla
fine della via principale, dove i maghi potevano acquistare gli ingredienti per
le proprie pozioni. Lily in farmacia era incaricata soprattutto di
catalogare i vari componenti utili per i decotti, ma ogni tanto preparava anche
qualche miscela su commissione sfruttando le sue doti di pozionista e rendendo
così il professor Lumacorno indirettamente orgoglioso di lei. Proprio per questo
motivo comunque aveva ottenuto l’autorizzazione dal Ministero per maneggiare
certi elementi, superando solo un esame che per lei era stato alquanto
elementare. Non per niente il suo voto in Pozione alla fine dei M.A.G.O. era
stato Eccezionale, confermando la sua bravura. Era stata una delle poche del
suo anno, insieme ad alcuni eletti e allo stesso Piton, ad
ottenerlo.
Lei stessa ad ogni modo si riforniva proprio lì,
soprattutto quando doveva aiutare il suo amico Lupin. All’inizio era stato uno
shock scoprire la sua natura e comprendere a cosa fossero dovute davvero le sue
periodiche assenze durante le lezioni a scuola, ma subito dopo – una volta che
aveva collegato tutti i punti – si era velocemente ripresa. Allora aveva
guardato Remus negli occhi, letto la sua vulnerabilità e compreso la sua
sofferenza. Come poteva voltagli le spalle? Perché poi avrebbe dovuto farlo?
Lui era sempre quel ragazzo gentile, dolce e disponibile che conosceva da anni.
Il suo piccolo problema peloso, come lo aveva chiamato simpaticamente
James quello stesso pomeriggio in cui aveva scoperto la verità, non lo
cambiava. Non lo condizionava come persona. Era innegabile però che quella
situazione lo caricasse di un peso difficile da gestire, che lo accompagnava
ogni giorno della sua vita. Insieme alla malinconia che troppo spesso oscura i
suoi occhi e le cicatrici che gli sfregiavano il volto, promemoria di
quell’aggressione senza senso che aveva subito da bambino. Era stato naturale
quindi per lei alzarsi dal divano sul quale era seduta – lì vicino al suo amato
Potter, nel piccolo salottino della loro nuova casa – per abbracciare Remus con
forza e fargli capire che non le importava se fosse un lupo mannaro, ricevendo
in cambio un sorriso così carico di gratitudine da farla commuovere. Anche
James l’aveva guardata con riconoscenza, considerato che era stato lui ad insistere
per farle conoscere i fatti e si era fidato di lei con quel segreto. Non voleva
infatti che le notti di luna piena, quando avrebbe assistito Moony durante la
sua trasformazione, la sua ragazza potesse stare in pensiero. Era giusto che
sapesse dove fosse, anche perché presto sarebbe diventata sua moglie (anche se
la diretta interessata ancora non lo sapeva) e non voleva tenerle nascosto
nulla.
Sirius non era stato
presente a quell’incontro, visto che quello stesso giorno era andato a trovare
lo zio. Lo aveva aggiornato sui suoi progressi, per poi lamentarsi di non aver
ancora trovato niente che facesse al caso suo o che almeno lo appassionasse.
Tuttavia non aveva alcuna intenzione di demordere.
«Dovresti pensare alla
carriera politica» gli aveva suggerito Alph con tono divertito, quando era
andato a trovarlo poco dopo la fine della scuola. Si era rifugiato in una delle
sue numerose ville, ma questa in particolare era dispersa tra le verdi colline
inglesi e si trovava lontano dal caos della città. Infatti era un maniero
risalente al Seicento, costruito come dimora estiva – trovandosi in mezzo alla
natura – e diviso in due aree. Nella zona ovest erano situati i suoi
appartamenti privati, mentre quella est era occupata da una biblioteca ben
rifornita e diversi salottini per accogliere gli ospiti. Ogni stanza era
adornata con camini maestosi, cornici in puro oro e tappeti di fattura elfica.
Ma Alphard Black era ricco, grazie ai suoi investimenti e al rispettabile nome
della famiglia che gli aveva aperto negli anni tante porte. Non era preoccupato
quindi per la manutenzione della villa, il costo dell’arredamento o l’eccessivo
spazio che era disponibile per una sola persona. Per lui l’unica cosa importante
era il suo liquore, il camino acceso anche nelle giornate di sole splendente e
la fedeltà del suo anziano elfo domestico. Ad ogni modo in quel momento i due
si trovavano proprio nello studio del padrone di casa, in cui prevalevano tinte
verdi e i mobili erano in chiaro stile rococò. «Sarebbe davvero una beffa, per
i tuoi genitori» proseguì l’uomo con rinnovata leggerezza, bevendo il suo vino
dal calice di cristallo che gli aveva offerto
precedentemente Rupert.
Alphard era un mago alto
ed esile di corporatura, con lunghi capelli neri ad incorniciargli il viso dai
tratti nobili e profondi occhi scuri che risaltavano sulla sua carnagione
pallida. In quel momento, seduto su una poltrona in velluto color prato e con
una vestaglia di pregiata seta a nascondere dei pantaloni di altrettanta alta
sartoria, appariva estremamente elegante. Quasi regale. Le sue dita lunghe ed affusolate tenevano il prezioso calice con estrema
delicatezza, al punto che il flûte sembrava piuttosto fluttuare
nell’aria.
«Walburga ancora non ti
parla?» gli chiese il nipote, imitando la sua posizione e limitandosi invece a
sorseggiare il suo tè. Non aveva voglia di ubriacarsi, alle dieci del mattino.
«Mio caro, la mia
adorabile sorella mi ha cancellato dall’arazzo di famiglia appena il lascito
dei sonanti galeoni che ho elargito a tuo nome è stato depositato sul tuo
conto» lo informò, ricordandogli la sorte che gli era toccata una volta
predisposta quell’eredità nei suoi confronti.
«Non hai più alcun
contatto con loro, quindi?» si accertò il ragazzo, interessato ai rapporti che
lo zio aveva ancora con il resto dei Black.
«No, Sirius» confermò
allora il diretto interessato, distogliendo l’attenzione dal suo calice per
poterlo fissare con malcelato interesse. «L’unica con cui posso parlare adesso,
considerata la mia disprezzabile situazione, è Andromeda» specificò in seguito,
nominando la cugina. «Sono andato a trovarla proprio il mese scorso, ha una
figlia… adorabile» proseguì, pensando alla giovane strega che aveva rinunciato
a tutto pur di sposare quel banale Tonks. Un ragazzo a modo, nonostante la
condizione del suo sangue, ed estremamente affettuoso con sua nipote. La
piccola Ninfadora poi era una vera perla, nonostante la sua strana natura. In
effetti i suoi capelli che cambiavano colore in base al mutare del suo umore
apparivano un po’ strani, probabilmente Walburga non l’avrebbe fatta neppure
entrare in casa se i rapporti con Andromeda fossero stati diversi. «Ma perché
ti interessa?» domandò in seguito, tornando al nocciolo della questione e
smettendo di divagare.
«Avevo bisogno di sapere
alcune cose» ammise Sirius, scrollando le spalle con finta noncuranza.
«Riguardo a chi,
precisamente?» cercò di spronarlo Alphard, sorridendo con una punta di malizia
quando intuì i sottintesi di quel quesito e del suo successivo silenzio. «Vuoi
forse conoscere le implicazioni del fidanzamento di tuo fratello?».
«Cosa sai?» lo interrogò
allora con immediatezza il giovane, confermando così i suoi dubbi.
«Non molto» ammise lo zio,
mettendolo subito dopo al corrente di informazioni che già possedeva. «A quanto
pare Orion ha siglato un accordo con Cornelius, in modo da permettere a Regulus
e Rosalynne di sposarsi tra due anni» continuò, senza aggiungere poi nulla di
interessante. Sirius in effetti non aveva voglia di sentire le divagazioni
dello zio riguardanti le intenzioni di Ludmilla di organizzare il matrimonio
nel periodo di Giugno, oppure la sua insistenza per commissionare il vestito
della sposa al famoso modista francese che usava le lacrime delle sirene –
trasfigurate in perle – per decorare i suoi abiti. «Cosa hai intenzione di fare
a proposito?» gli chiese però successivamente il suo interlocutore, ottenendo
in cambio un’espressione meravigliata. «Suvvia, figliolo, non apparire così
sorpreso!» dichiarò allora il vecchio Black, rivolgendogli un distratto cenno
con la mano. «La tua simpatia per Rosalynne Lestrange non è certo un segreto,
dopotutto» gli fece notare, mettendolo sull’attenti e riducendo comunque
l’entità dei suoi sentimenti. «Almeno per chi ti conosce bene» aggiunse in
seguito, in parte tranquillizzandolo.
«Pensi che mia madre
sospetti qualcosa?» sussurrò il ragazzo, nascondendo la sua angoscia.
«Non necessariamente, ma
Walburga non è tanto ingenua» gli ricordò Alphard, sospirando dopo con fare
serio. «L’ultima volta che vi ho visti insieme, gli sguardi che vi siete
scambiati erano alquanto espliciti» affermò, ricordando quel giorno nel giardino
dei Lestrange e l’evidente interesse che traspariva dall’atteggiamento di
Sirius. Per non parlare poi della giovane Lestrange, che era stata fin troppo
chiara nel mostrare il suo affetto con quell’ultimo innocente bacio con cui
aveva salutato il mago prima di ritirarsi nella sua camera. Senza aver mangiato
neppure una fetta di torta glassata, che enorme peccato.
«Le cose tra di noi sono
cambiate, ad Hogwarts» confessò allora Sir, parlandogli per la prima volta dei
suoi sentimenti. In fin dei conti c’erano un tacito accordo nella famiglia
Black, che riguardava proprio la manifestazioni delle emozioni. Non esistevano,
punto.
«Cambiate come?» si
incuriosì Alphard, non ricevendo alcuna risposta al suo quesito apparentemente
ingenuo. Almeno a voce. «Capisco» proseguì infatti dopo qualche secondo,
notando la luce negli occhi grigi del nipote. «Spera che la notizia del vostro
coinvolgimento non arrivi mai ai tuoi genitori, e soprattutto ai suoi fratelli,
altrimenti per quella ragazza sarà la fine».
«Per questo ho bisogno di
qualcuno che la tenga d’occhio» ammise il giovane, stringendo con forza i
braccioli della poltrona su cui si era accomodato in precedenza per evitare di
balzare in piedi e supplicare lo zio di aiutarlo. Mandando all’aria il suo proverbiale
autocontrollo, la sua rigida educazione e i suoi modi sempre trattenuti. «Con
discrezione» aggiunse, rivelando le sue intenzioni.
«Sai, forse conosco la
persona che fa proprio al caso tuo» disse all’improvviso il diretto
interessato, facendo nascere in lui la speranza.
«E chi sarebbe?» si
interessò Sirius, provando a non apparire elettrizzato per quella svolta.
«Il tuo trisnonno,
Phineas» continuò l’uomo, annuendo con convinzione. Sirius invece, al sentir
nominare proprio quel suo vecchio antenato, si incupì. Non era più tanto sicuro
di potersi fidare di Alphard e forse aveva sbagliato ad andare a trovarlo, ma considerate
le sue conoscenze e soprattutto i suoi agganci gli era sembrata un’ottima idea
coinvolgerlo. Suo zio era un uomo influente, con molti amici altolocati che gli
dovevano dei favori. In special modo quelli che erano stati eletti al
Ministero, grazie ai suoi finanziamenti e alle sue spintarelle. Tuttavia non
pensava potesse proporgli proprio Phineas come loro alleato, quel vecchio
scorbutico che veniva considerato il preside meno popolare nella storia di
Hogwarts a causa della sua evidente antipatia per i giovani e la loro mentalità
così fuori controllo. «Un suo ritratto è appeso a Grimmauld Place e un altro
invece si trova ad Hogwarts, quindi potrebbe controllare Rosalynne e allo
stesso tempo spiare Walburga senza alcun problema» chiarì, spiegando a somme
linee il suo piano.
«E per quale motivo
dovrebbe aiutarmi?» chiese però Sir, apparendo sinceramente confuso. «Lui odia
i drammi adolescenziali».
«Sì, ma è anche un vero
pettegolo» lo mise al corrente l’altro mago, ridacchiando. «Secondo te come
avrebbe fatto altrimenti a resistere per tanti anni in quel castello?»
proseguì, rivelandogli la natura curiosa del suo trisavolo. Phineas in effetti
era un impiccione, sempre pronto a conoscere i fatti degli altri per poter poi
sfruttare le informazioni di cui veniva a conoscenza come più preferiva.
Hogwarts era stato un terreno fertile per lui, considerate le mille chiacchiere
che viaggiavano tra quelle mura. Era un uomo subdolo, ma per le giuste notizie
era disposto a mettere da parte perfino i suoi stessi principi. «Non resisterà
alla tentazione di mettere il suo naso nei tuoi affari e manterrà il silenzio».
«Come fai ad esserne
sicuro?» si preoccupò tuttavia il giovane mago, pensando alla fedeltà che
nutriva Phineas – nonostante fosse morto ormai da tempo e non ricoprisse più
alcun ruolo rilevante – per la sua stessa famiglia.
«Perché lui detesta tua
madre» ammise Alphard, cogliendolo di sorpresa.
«Cosa?» domandò infatti il
nipote, sgranando gli occhi.
«Walburga è quella che
porta i pantaloni nel matrimonio con Orion, se capisci cosa intendo» continuò
lo zio, spiegando con una semplice frase che tipo di unione ci fosse tra sua
sorella e il marito. Walburga era sempre stata fin troppo orgogliosa e sicura
di se stessa, tuttavia sebbene neppure Orion apprezzasse il suo carattere era
stato comunque costretto a sposarla per ordine del suo stesso padre. Però la
loro relazione era stata da subito sbilanciata, perché sua moglie non aveva
alcuna intenzione di farsi mettere i piedi in testa. Era dominante, carismatica
ed estremamente fiera delle sue capacità. Al punto che presto aveva sottomesso
il suo partner, con una certa maestria femminile, trattandolo quasi come un
burattino. Nessuna decisione veniva presa se lei non era d’accordo. «E Phineas
non sopporta che una donna guidi la famiglia Black» aggiunse poi Alph,
ammiccando.
«La sua è un’ottica
arcaica e antiquata» borbottò di conseguenza Sirius, per quanto non gli
piacesse difendere sua madre. Però Phineas non aveva alcun motivo di sentirsi
offeso perché una strega era a capo della loro dinastia, anche perché Walburga
non era certo una persona da sottovalutare. D’altronde tutte le donne Black
ormai non era più confinate al ruolo di moglie devoti, perfino sua cugina
Bellatrix e Narcissa ne erano un’altra grande dimostrazione. Come Andromeda,
che addirittura aveva scelto di essere ripudiata pur di non sottostare più a
certe regole.
«Sì, ma è proprio
quell’ottica che giocherà a tuo favore» lo informò il suo interlocutore,
pensando al risvolto positivo di quella specifica circostanza. «Quindi, per una
volta, metti da parte la tua indole Grifondoro e comportati come un Serpeverde».
«Da scorretto e viscido?»
dichiarò con malcelato sarcasmo il ragazzo, sbuffando.
«No» ribatté Alphard,
scuotendo il capo con rassegnazione. «Da ambizioso e furbo».
Allora Sirius aveva
seguito il consiglio dello zio, permettendogli di fare da intermediario tra lui
e il suo trisnonno. In realtà il giovane Black non sapeva esattamente come
Alphard sarebbe entrato in contatto con il vecchio mago, ma non si sarebbe davvero
meravigliato se il diretto interessato si fosse presentato improvvisamente
nell’ufficio di Silente con la scusa di fargli una visita per ricordare i
vecchi tempi. In realtà a Sir non interessavano i mezzi che avrebbe utilizzato
il parente, d’altronde controllare Rosalynne era più importante di qualsiasi
altra cosa. Quindi non gli sarebbe nemmeno importato se Phineas avesse
accettato quell’incarico solo perché considerava sua madre indegna e voleva farle un dispetto, aiutando il figlio ribelle e traditore.
Non gli sarebbe importato se suo zio avesse dovuto corrompere lo stesso preside
di Hogwarts per poter concretizzare il suo piano, facendolo uscire dal suo
studio con chissà quale giustificazione. Lui voleva solo avere notizie della
sua Rosy e nel frattempo, per distrarsi dall’angoscia relativa al non poter
proteggere lui stesso la Lestrange, si sarebbe occupato degli incarichi
assegnategli dall’Ordine della Fenice. Compiti che consistevano essenzialmente
nella raccolta di informazioni utili per individuare i sostenitori di
Voldemort, appostamenti per seguire coloro che sospettavano fossero Mangiamorte
ed opere di propaganda a favore della loro causa. Più alleati ottenevano,
maggiore sarebbero state le loro probabilità di sconfiggere le forze oscure.
Spesso nelle varie
missioni che compiva si trovava a collaborare anche con gli altri membri, con i
quali fortunatamente aveva stretto fin da subito un buon rapporto.
Alice e Frank Paciock
erano una coppia affiatata, sia nel loro lavoro – erano entrambi Auror, facenti
parte della squadra di Alastor Moody – sia nella vita quotidiana. I due infatti
si erano sposati quella stessa estate, con tanto di annuncio sulla Gazzetta del
Profeta e cerimonia sfarzosa voluta da Augusta. La rigida e severa madre dello
sposo, matriarca della famiglia purosangue dei Paciock, che all’inizio aveva
accettato la nuora con non poche difficoltà. Ad ogni modo Frank e Alice erano
più grande di lui di alcuni anni, ma Sirius li ricordava comunque dai tempi di
Hogwarts sebbene al castello si frequentassero solo per questioni relative alla
casa di Grifondoro di cui anche loro facevano parte.
Il giovane Black si era
poi trovato a parlare spesso anche con Edgar Bones, un mago di mezz’età padre
di famiglia e impiegato al Ministero, e con il simpatico Caradoc Dearborn. Un
uomo di trent’anni che si occupava di fabbricare bacchette, lavorando nell’azienda
di famiglia. Aveva conosciuto anche Dorcas Meadowes, un’abile strega con i
capelli scuri e la carnagione nera che lavorava al San Mungo come tirocinante
medimaga, e la sua amica Marlene McKinnon. Bionda, minuta ed esuberante. Erano
l’una l’opposto dell’altra, non solo a livello fisico ma soprattutto
caratteriale. Infatti mentre Dorcas era ligia al dovere e rigidamente
equilibrata, Marlene era un vero vulcano di energia e sembrava non avere alcuna
preoccupazione al mondo. Oltretutto odiava profondamente la monotonia, al punto
che cambiava impiego fin troppo spesso. Solo quando si trattava dei suoi
familiari diventava subito seria e protettiva, in fin dei conti i suoi genitori
e i suoi fratelli minori erano tutto per lei. Per questo aveva preferito restare
a casa piuttosto che trasferirsi da sola, quando aveva finito gli studi. Non si
era mai pentita di quella decisione, anche se Kyle e Patrick erano talmente
rumorosi a volte da urtarle i nervi, ma soprattutto adesso che la guerra stava
distruggendo la serenità di tante famiglie si sentiva più tranquilla grazie a
quella vicinanza.
Tuttavia i veri
mattacchioni dell’Ordine erano Gideon e Fabian Prewett, due gemelli identici
che si divertivano a scambiarsi le identità e non prendevano nulla sul serio.
Erano entrambi alti, con i capelli castani-rossicci e occhi azzurri. Belli,
affascinanti e divertenti. La loro sorella maggiore, Molly, era l’unica capace
di metterli in riga. La sua esperienza con quei fratelli combina guai la stava
aiutando anche a gestire i suoi figli, al momento ne aveva ben cinque ed era in
attesa del sesto, nonché il marito fin troppo distratto dalle sue cianfrusaglie
babbane. Aveva da poco acquistato una macchina azzurra, anche se non aveva la
minima idea di cosa farci e nemmeno di come si guidasse. In realtà non sapeva
nemmeno cosa fosse, un’auto.
L’unico all’interno
dell’organizzazione che invece si teneva un po’ in disparte era Benjy Fenwick,
che aveva un’indole scorbutica e raramente interveniva nelle discussioni. Era
amico di Alastor, che l’aveva convinto ad unirsi all’Ordine dopo non poche insistenze.
Benjy però era un mago abile, capace di trasfigurazioni complesse e di creare
pozioni avanzate. Un ottimo elemento per l’organizzazione: potente, esperto ed
organizzato. La sua mancanza di socialità era quindi tollerabile, considerato
comunque che quando si trovava in missione era un compagno affidabile e non
esitava mai a coprire le spalle al proprio partner. Essere di poche parole non
era poi un difetto così grave.
Ad ogni modo Sirius,
tralasciando il resto dei Malandrini e la Evans, era uno dei più giovani a far
parte dell’organizzazione fondata da Silente. Emmeline Vance infatti aveva un
anno in più rispetto a lui, si era diplomata ad Hogwarts appena l’anno precedente
ed era un ex-Tassorosso molto talentuosa. Nonché abile con la scopa, infatti
aveva giocato nella squadra di Quidditch della sua casa come Cacciatrice.
Indossava sempre un foulard verde bottiglia, in contrasto con i suoi capelli
castani e gli occhi del medesimo colore.
In generale erano un
gruppo affiatato, senza contare che ne facevano parte anche alcuni professori
di Hogwarts e diversi Auror. Perfino Moody era un membro attivo, sebbene fosse
impegnato per la maggior parte del tempo con il suo incarico di capo al Dipartimento
di Difesa.
Le battaglie alla fine di
quell’anno si erano inasprite e i Mangiamorte si erano fatti più audaci,
portando il caos anche tra gli ignari babbani. Molte persone innocenti, che non
sapevano nemmeno dell’esistenza della magia, erano state dunque uccise per puro
capriccio. Uomini, donne, bambini. Che non avevano alcuna colpa e sinceramente
non capivano neppure per quale motivo erano diventati gli obiettivi di tanta
cattiveria, quando la spaventosa verità era una sola: venivano considerati
inferiori dai sostenitori di Lord Voldemort a causa di assurde ideologie
razziste, perciò dovevano essere eliminati. Come alberi che venivano potati,
togliendo i rami malati per non infettare il resto. Allora loro venivano
esclusi brutalmente dalla società, per permettere soltanto ai degni – ovvero
coloro che possedevano la magia – di esistere.
Il Ministero di
conseguenza si era trovato sommerso di lavoro, essendo costretto a far
cooperare simultaneamente diversi uffici e dipartimenti per poter contenere i
danni conseguenti agli attacchi. I più richiesti erano ovviamente gli Auror, ma
giocava un ruolo importante per le indagini anche l’ufficio amministrativo
della Squadra Speciale Magica. Questa divisione delle Forze dell’Ordine si
occupava delle questioni più generiche legate alla sicurezza e forniva squadre
addette alla cattura dei maghi che usavano la magia contro i Babbani, mettendo
così in pericolo anche lo Statuto di Segretezza. Proprio per questo motivo
anche il Dipartimento delle Catastrofi e degli Incidenti Magici, con il
Comitato scuse ai Babbani e la Commissione per l’Invisibilità, si erano
ritrovati coinvolti. Il loro compito era quello di preservare appunto lo
statuto internazionale, camuffando ogni singolo evento magico potenzialmente
assurdo agli occhi dei normali abitanti di Londra – dopo aver informato
tuttavia il Primo Ministro Babbano – e collaborando con gli Obliviatori.
Anche l’Ordine stava
subendo delle perdite, giorno dopo giorno. Alcuni membri infatti erano
misteriosamente spariti, mentre altri venivano trovati morti nei vicoli.
Sfregiati, mutilati e a volte addirittura ridotti in cenere. Inoltre qualcuno
li stava tradendo, era apparso chiaro alla fine di quello stesso anno. Troppi
maghi in effetti erano stati intercettati dai Mangiamorte durante le loro ronde
notturne ed inoltre diversi luoghi, ovvero quelli che venivano usati ad esempio
per le riunioni dell’organizzazione, erano stati presi di mira.
«Abbiamo una spia
all’interno dell’Ordine» dichiarò Silente con una sicurezza disarmante, durante
un incontro fissato in seguito alla battaglia che avevano affrontato durante la
notte di Capodanno. Quella serata ricca di risate e spensieratezza, che avevano
trascorso a casa dei Paciock, si era trasformata troppo presto in un incubo. I
festeggiamenti erano stati interrotti all’improvviso da diverse esplosioni, che
avevano preannunciato l’apparizione dei maghi oscuri e subito dopo quella del
terribile marchio che aveva guadagnato ingiustamente il suo posto in cielo tra
i fuochi d’artificio.
Le luci degli incantesimi
e delle maledizioni avevano sostituito quelle delle candele fluttuanti, mentre
i vassoi colmi di bicchieri e stuzzichini erano finiti inevitabilmente a terra
in un boato altrettanto spaventoso. Insieme agli aghi degli abeti e alle
palline rosse, quelle stesse che erano state usate per decorare l’albero per
essere poi calpestate senza alcuna considerazione. I frammenti scarlatti, con
le foglie verdi, spiccavano in mezzo agli altri detriti. La villetta di Alice e
Frank infatti era stata distrutta, mentre tutti lottavano per salvare la
propria vita, costringendo la coppia a trasferirsi momentaneamente da Augusta.
Quell’attacco però era
stato evidentemente calcolato, appariva in effetti troppo mirato per essere
stato organizzato all’ultimo. Troppo specifico, nella sua malvagità così
diretta, per venire considerato solo un colpo casuale. Era inutile negarlo.
Per fortuna nessuno era
morto, ma molti erano stati feriti. Per non parlare poi delle ripercussioni
emotive, che si erano trascinate anche la settimana seguente all’attentato.
Perché era impossibile restare impassibili quando un momento di pace e
condivisione si trasformava in attimi di puro panico, quando la dolce ebbrezza
derivante dall’alcool e dalla felicità si tramutava in urla disperate.
«Ognuno di noi potrebbe
essere un valido sospettato» commentò Alastor, studiando i presenti con
particolare attenzione. Il suo sguardo era talmente penetrante che alcuni non
poterono fare a meno di evitarlo, a prescindere dalla loro innocenza.
Peter Minus fu uno di
questi, anche se lui era tutto tranne che estraneo a quei fatti. Era stato
proprio il ragazzo difatti a spifferare ai Mangiamorte il luogo della festa
organizzata dai Paciock, ma nessuno avrebbe mai sospettato del patetico Peter.
Quel mago che in molti all’interno dell’Ordine consideravano quasi un peso,
perché non era particolarmente dotato e preferiva sempre stare nelle retrovie.
Ma in silenzio raccoglieva informazioni ed essere sottovalutato in fondo
giocava a suo favore, perché così il suo incarico per il Signore Oscuro gli
risultava molto più facile. Lui, che aveva sin da subito creduto nelle sue
capacità. Lui, che lo considerava una perla rara. Che lo premiava con elogi e
glorificazioni, soddisfacendo il suo malato spirito Grifondoro. Come nemmeno i
suoi amici erano mai riusciti a fare. Loro, che quando era riuscito a
trasformarsi in topo e ad eguagliare le loro capacità di Animagus erano apparsi
esageratamente sorpresi. Loro, che lo avevano sempre e solo considerato come l’ultima
ruota del carro. Come un semplice gregario, mai al centro della scena. Mai
protagonista. E quel sentimento di rancore, soprattutto in quell’ultimo anno,
era cresciuto in modo esponenziale dentro di lui. La rabbia, l’amarezza e il
risentimento lo avevano corroso. Lord Voldemort invece lo aveva personalmente
reclutato e nessuno, nemmeno i suoi alleati più fedeli, sapevano del suo ruolo
di doppiogiochista. Perché Peter era subdolo e furbo, perfino più dei
Mangiamorte che si vantavano tanto della loro lealtà e dedizione alla causa del
Signore Oscuro. Ma non aveva ancora finito, quello era soltanto l’inizio: piano
piano avrebbe distrutto tutti, permettendo a Voldemort di regnare su quel mondo
indegno. Non avrebbe avuto alcuno scrupolo di coscienza e nessun dubbio morale,
perché la grandezza lo aspettava dietro l’angolo. Avrebbe dunque continuato a
scherzare con James come se nulla fosse, a fingere di idolatrare Sirius con il
suo solito atteggiamento accomodante – lui che aveva rinunciato ai suoi
privilegi solo per appagare il suo superbo orgoglio, dimostrandosi un vero
stupido – e a trattare Remus con una studiata cortesia. Avrebbe fregato il
famoso Albus Silente, quel supponente di Moody e ogni mago dell’Ordine che lo
trattava con sufficienza. Sarebbero caduti uno ad uno e Peter ne avrebbe
gioito, mostrando però all’esterno una faccia spaventata e demoralizzata.
Quella che gli altri si aspettavano di vedere.
«Mi rifiuto di credere che
tra di noi ci sia un traditore» intervenne Potter, mostrandosi come sempre
fiducioso. Tuttavia strinse la mano di Lily tra le sue, sotto la superficie del
tavolo intorno al quale erano tutti riuniti lì nella sala da pranzo della casa
dei Bones, per cercare un appiglio. Per avere un punto di riferimento, mentre
la constatazione del preside – che comunque per alcuni non appariva poi tanto
inaspettata – faceva calare la stanza nel silenzio più assoluto. Anche James in
effetti aveva pensato che qualcuno potesse averli venduti ai Mangiamorte, soprattutto
nei giorni subito dopo l’attacco, ma per quanto quell’ipotesi potesse risultare
credibile l’aveva subito scartata. Non poteva essere vera. Credere fatto che
qualcuno dell’Ordine, di propria iniziativa e in piena volontà, stesse
sostenendo le idee di Voldemort era troppo agghiacciante.
«Dobbiamo prendere atto di
come stanno realmente le cose» stabilì Alastor, con decisione. «Ma soprattutto
tenere alta la guardia» proseguì, mostrandosi serio e rigido.
Gideon e Fabian si
scambiarono un’occhiata carica di determinazione, mettendo da parte la loro
solita leggerezza. Marlene a sua volta rimase in religioso silenzio,
riflettendo sulle parole di Moody e su quello che avrebbe potuto fare per
salvaguardare la sua famiglia. Allo stesso modo Edgar, osservando la moglie e
percependo la sua evidente agitazione, sospirò con gravità e pensò ai suoi
figli. Quei bambini che dormivano ignari al piano superiore, sognando scope
volanti. Dorcas invece si ripromise di studiare ancora più assiduamente, perché
alla prossima occasione non si sarebbe fatta prendere dal panico. La prossima
volta, quando un incantesimo avrebbe colpito un suo amico, avrebbe ignorato il
sangue che macchiava le sue mani tremanti e si sarebbe occupata lei delle
ferite.
Alice e Frank si
consolarono a vicenda, pensando a quello che avevano perso. Non solo la dimora
che avevano scelto per iniziare la loro nuova famiglia, ma soprattutto la
fiducia nei loro compagni. La gioia della condivisione, la serenità determinata
da quei momenti passati in compagnia e in generale la purezza dell’amicizia.
Uno di loro aveva riferito ai Mangiamorte della festa che si era tenuta la sera
di Capodanno, aveva rilevato la loro posizione – incurante di quello che poteva
accadere, delle vittime che avrebbe contribuito a mietere – e aveva permesso
che la loro casa venisse violata.
James e Lily comprendevano
i loro sentimenti, perché ormai da mesi vivano insieme e si erano creati il
loro piccolo rifugio con tanti sacrifici. Adesso addirittura pensavano di
sposarsi, cominciando così a costruire le basi per il loro domani. Però avere
la consapevolezza che da un momento all’altro un loro conoscente potesse
contribuire indisturbato alla loro distruzione, informando Lord Voldemort dei
loro piani e facendolo magari comparire alla loro cerimonia di nozze per la
pura soddisfazione di creare il caos, li aveva particolarmente colpiti. Ma non
per questo si sarebbero lasciati spaventare, smettendo di vivere come più
desideravano.
Quello stesso pensiero era
pienamente condiviso da Sirius, che non avrebbe permesso a nessuno di comandare
le sue azioni. Lo aveva già permesso, per troppi anni, alla sua famiglia. Lo
consolava comunque il fatto che Rosalynne in quel preciso istante si trovasse
al sicuro ad Hogwarts. Là, dove nessuno avrebbe potuto toccarla. Dove nessuno
sapeva della loro relazione e poteva dunque metterla nei guai, proprio per
quella vicinanza inopportuna secondo alcuni.
Lupin invece era
interdetto e preoccupato, perché credeva che se i membri dell’Ordine avessero
scoperto il suo stato di lupo mannaro inevitabilmente in molti – a parte
ovviamente i suoi amici e Silente – avrebbero sospettato di lui. In fin dei
conti i Mannari venivano considerati da gran parte della società come bestie
legate al lato oscure, perfino il Ministero aveva una task-force dedicata a
queste creature da sopprimere in caso diventassero inadatte e pericolose per
vivere all’interno della comunità magica. Per quanto esistesse un registro dei
lupi mannari, che si occupava di censire le persone affette dal licantropismo
in modo da garantire un controllo del fenomeno e stabilire i luoghi sicuri in
previsione del plenilunio, non era un mistero che parecchi maghi e streghe
fossero più predisposti alla loro estinzione che alla loro integrazione.
Dubitare di lui quindi sarebbe stato quasi naturale, soprattutto adesso che
molti suoi simili guidati da Greyback si erano schierati al fianco di Lord
Voldemort. Perché avevano ricevuto in cambio la promessa di poter occupare
finalmente il posto che spettava loro nel mondo magico, senza più nascondersi e
dover reprimere i propri istinti. Ma quelli erano dei veri animali, non gente
che per sfortuna si era ritrovava a convivere con quel fardello.
Albus Silente, rimasto in
silenzio per gran parte della discussione alla quale tuttavia aveva dato inizio
nel momento in cui aveva avviato la riunione dopo essersi confrontato con
Alastor, si concentrò sullo studiare ciascuno dei presenti. Lui sapeva quanto
la fame di potere potesse fuorviare un uomo, non per niente quella stessa brava
molto tempo prima gli era costata una sorella. Perciò poteva in parte
comprendere, anche se non giustificare, il motivo per il quale uno di loro
avesse deciso di schierarsi dalla parte di Tom. Però per quanto si sentisse
demoralizzato da quella circostanza, sapeva che non si trovavano in svantaggio
perché anche tra i Mangiamorte c’era un disertore. Ormai da mesi infatti
riceveva bigliettini anonimi, che gli venivano recapitati direttamente nel suo
studio ad Hogwarts da gufi senza padroni fissi, riguardanti attacchi e
strategie di Voldemort. Grazie a quelle segnalazioni aveva salvato molte
vittime innocenti e perfino alcuni membri dell’Ordine, come Benjy. Lui, che in
base alla sua fonte, sarebbe stato attaccato all’inizio di quell’anno in un
vicolo di Diagon Alley con un Incantesimo Esplosivo che lo avrebbe ridotto in
mille pezzi. Aveva saputo il luogo e l’ora esatta dell’attentato pochi giorni
prima che avvenisse, potendo così avvertire Fenwick.
Non avrebbe informato
nessuno però di quello sviluppo, valutata anche l’instabilità dell’Ordine,
perché proprio grazie a quel vantaggio avrebbero potuto vincere la guerra.
C’era qualcosa di
estremamente preciso tuttavia in quei messaggi, come se il suo informatore
fosse a conoscenza di come avvenissero i fatti ancora prima che questi
realmente si realizzassero. Erano molto dettagliati, descrivendo la scena fino
ai minimi particolari e dando quasi l’impressione di potersi immergere
nell’azione come spettatori esterni. Sembravano predetti. Ed Albus era
particolarmente interessato a questo aspetto, perché non aveva mai conosciuto
nessun mago e nessuna strega che possedessero il dono della chiaroveggenza.
Però sapeva che esistevano, ad esempio nella famiglia Lestrange diversi
antenati avevano un dono del genere. Ma anche tra i Cooman era stata tramandata
la stessa capacità, difatti Cassandra ne era stata la chiara dimostrazione. Ai
suoi tempi era molto famosa per merito appunto della sua dote di prevedere i
fatti del giorno, al punto che la Gazzetta l’aveva assunta per dedicarle
un’intera sezione del giornale.
Sarebbe stato quindi
davvero interessante incontrare una persona con un tale potere, se davvero
esisteva, capace di cambiare le sorti di quel conflitto e di qualsiasi altro
avvenimento. Sapere chi proteggere, dove andare, cosa fare per evitare che
quella guerra degenerasse.
Silente non lo sapeva, ma
la strega con cui desiderava tanto entrare in contatto in quel momento si
trovava proprio tra le mura di Hogwarts. Nel suo dormitorio, celata dalle
coltri blu del suo letto a baldacchino, profondamente addormentata. E stava
sognando, Rosalynne. Ormai ogni notte le sue visioni si presentavano,
svegliandola di soprassalto. Si tratteneva allora dall’urlare, in modo tale da
non disturbare le sue compagne, anche se le immagini vivide di sangue e
distruzione la sconvolgevano ogni volta. Ogni singola volta. Insieme alla
consapevolezza che mentre lei era protetta, nascosta lassù nella Torre dei
Corvonero, la gente moriva. Ma non poteva permetterlo, così come l’anno prima
non aveva potuto tollerare che due ragazze innocenti venissero uccise ad
Hogsmeade. Per questo aveva deciso di fare qualcosa, per evitare di nuovo che
la morte prevalesse. Di conseguenza aveva iniziato a scrivere i suoi sogni su
carta di pergamena, in modo anonimo, per poi arrotolarla e legarla alla
zampetta di uno dei gufi della scuola con l’indicazione di consegnarla al
preside. Solo a lui, per non correre alcun rischio.
Ma Ros non riusciva
comunque a sentirsi tranquilla, perché non le sembrava di fare abbastanza.
Quando leggeva sul giornale i necrologi, un nodo le ostruiva la gola. Perché a
volte, nonostante tutto, arrivava troppo tardi. Com’era successo per quella
famiglia babbana, composta da cinque membri di cui tre bambini, sterminata il
giorno di Natale. Rosalynne aveva visto e vissuto ogni secondo di
quell’accaduto: aveva sentito le urla della mamma nel momento in cui quegli
strani uomini mascherati avevano fatto irruzione in casa, aveva ammirato il
coraggio del padre quando era intervenuto per provare a proteggere i suoi
bambini, aveva osservato il volto pallido del neonato ucciso per ultimo nella
sua culla con le guance ancora segnate dal suo pianto inconsolabile e alla fine
aveva percepito l’odore di bruciato – che le aveva fatto lacrimare gli occhi,
insieme alla sensazione di impotenza che aveva provato – quando la villetta era
stata fatta saltare in aria.
Non voleva mai più
assistere ad una cosa del genere, provare quel senso di impotenza alla
realizzazione della morte, ma notte dopo notte i suoi sogni contenevano la
stessa angoscia e crudeltà. Sembrava una replica continua, con soggetti
diversi. Il futuro a quanto pare era nero, come i mantelli dei Mangiamorte e il
marchio indelebile nei loro avambracci. Allora aveva deciso di intervenire, se
non di persona almeno informando qualcuno in grado di poterlo fare. Qualcuno
che fosse potente e soprattutto potesse crederle, come Silente.
All’inizio comunque non
era sicura che i suoi messaggi venissero presi sul serio, tuttavia a Ros
bastava non leggere articoli sulla Gazzetta del Profeta riguardanti gli omicidi
e gli attacchi che riusciva a prevedere per sentirsi in parte rincuorata. Anche
se era consapevole che il Ministero informava i cittadini di un quarto dei
reali avvenimenti che coinvolgevano Voldemort e i suoi seguaci, perché credeva
che lasciando all’oscuro i maghi e le streghe si sarebbe generato meno panico
collettivo. Ma non le cose non stavano affatto in quel modo, perché perfino lì
ad Hogwarts giravano mille voci sui piani del Signore Oscuro e sulla sua
campagna di stermino degli indegni. Quel progetto che quell’anno si era fatto
particolarmente incalzante, mietendo vittima dopo vittima. Con una selezione
che aveva dell’assurdo. Gli studenti, informati dalle loro stesse famiglie,
sapevano perfettamente quello che si dovevano aspettare una volta lasciata la
scuola: cautela, coprifuoco per le uscite – come se fossero ancora la castello
– e un’estate chiusi nelle loro stanze. Sarebbe stato lo stesso anche per
Rosalynne, anche se lei sarebbe stata sicuramente obbligata dai suoi genitori a
partecipare ad alcuni eventi sociali organizzati dall’élite purosangue. Tra
questi molto probabilmente ci sarebbe stato perfino il suo fidanzamento
ufficiale, perché era certa che suo padre non avrebbe rinunciato alla
prospettiva di usarla per rimarcare la sua influenza. Non adesso che con
quell’unione si sarebbe legato ancora più strettamente ai Black, con cui
comunque aveva già un forte legame considerato il matrimonio di suo fratello
con Bellatrix. Ma Regulus era l’erede della dinastia, quindi ricopriva un ruolo
di maggiore rilievo. Molte aspettative gravavano sulle sue spalle, legate anche
al suo futuro di Mangiamorte.
Tuttavia Ros avrebbe
salvato anche lui, sarebbe stata la sua priorità. Sebbene Regulus in quel
periodo si mostrasse sempre più chiuso e distante da lei, troppo gravato dalle
sue responsabilità. Le parlava a malapena, quando si rifugiavano in biblioteca
alzava raramente lo sguardo dal suo libro per osservarla e aveva smesso di
confidarle le sue preoccupazioni. Non che si fosse mai mostrato particolarmente
propenso al dialogo, però almeno prima qualcosa se la lasciava scappare.
Qualche frase, qualche allusione, qualche battuta. In modo da spiegarsi, in
modo da farle capire. Quel silenzio ostinato invece la allarmava, così come il
comportamento degli altri Serpeverde. Di quelli che sapevano e lo trattavano
con più cautela.
Tutto era cambiato infatti
dalla pausa natalizia di quell’anno e Rosalynne sospettava quale fosse il
motivo. Lo aveva capito dal modo in cui Regulus stringeva spesso, quasi
involontariamente, la stoffa del suo maglione a livello del braccio sinistro:
era stato marchiato, ancora prima del tempo. Mentre lei durante quelle feste si
impegnava per non vomitare a colazione dopo i sogni che sconvolgevano quasi
ogni notte il suo sonno, lui a sua volta cercava di non dare a vedere quanto
quel segno lo destabilizzasse e provava soprattutto a non sussultare quando la
sua pelle bruciava. Perché veniva chiamato, come tutti gli altri, al cospetto
dell’Oscuro Signore. Quell’uomo che ad ogni riunione, quando si limitava a
fissarlo con i suoi spaventosi occhi rossi per poi sorridergli con orgoglio
malato come mai nemmeno suo padre aveva fatto, lo metteva in soggezione. Ma
avrebbe resistito, non per Orion e certamente non per mantenere alto il nome
dei Black. L’avrebbe fatto per se stesso, per il patto che aveva stretto con
Sirius e soprattutto per Ros. L’unico raggio di luce in quel buio pesto.
Regulus avrebbe vinto
quella guerra, schierandosi dal lato giusto. Mettendo tutto in gioco. E quando
il momento sarebbe arrivato, lo avrebbe colto. Avrebbe sconfitto Voldemort ed
era consapevole che per farlo doveva diventare il suo più fidato sottoposto, il
suo pupillo. Scoprire i suoi segreti, i suoi piani, i suoi punti deboli. Anche
se Sirius sarebbe rimasto deluso e avrebbe pensato che alla fine si fosse
venduto al lato oscuro, anche se Rosalynne – conoscendolo davvero – si sarebbe
preoccupata e per questo avrebbe dovuto tenerla lontana. Ma per una volta,
essere un Serpeverde lo avrebbe aiutato. E alla fine avrebbe perfino avuto la
soddisfazione di battere suo fratello in qualcosa, di essere il primo: il più
grande fallimento dei suoi genitori. Già, sempre se fosse rimasto in vita
abbastanza a lungo da vedere il suo nome cancellato dall’albero genealogico dei
Black.
Se fosse rimasto in vita.