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Autore: A_Typing_Heart    06/01/2024    0 recensioni
- La Spada di Dio parte 3 - «Servire la Spada di Dio è il compito più alto che un Caduto possa vedersi affidato nella sua vita, e tu hai già snaturato il tuo ruolo sfruttando la Spada per una tua vendetta. Ora intendi lasciare che commetta un peccato mortale a causa di quello che hai scelto di non fare?»
Genere: Drammatico, Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Crowley Eusford, Ferid Bathory, Guren Ichinose, Mikaela Hyakuya, Yūichirō Hyakuya
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La spada di Dio'
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C’era una profonda pace in quei boschi. Un denso verde lo abbracciava, il lieve fruscio di piccoli animali e il canto di uccelli diversi accompagnava i suoi passi su un sentiero poco battuto. Il clima primaverile era perfetto per il campeggio.

Uno schiocco netto di rami spezzati lo distrasse dalla sua ricerca di scoiattoli sulle cime degli alberi. Era un rumore regolare, inframezzato da quelli che potevano essere passi. Scostò un arbusto per sbirciare in basso da dove proveniva, ma mise il piede su una radice secca che non resse e piombò giù.

Non servì provare a rallentare quella scivolata vertiginosa aggrappandosi a qualcosa, perché un ramo cedette al suo peso e ottenne solo di fare un capitombolo. Si fermò in fondo al crinale, con le gambe in aria, affossato per metà nel letto di un ruscelletto.

«Ughh…»

Scrollò la testa, intontito, e rimase immobile così a fissare Crowley, che lo guardava altrettanto basito con un fascio di rametti sotto il braccio.

«Non era un po’ ripida quella discesa, Mika? Ti potevi far male.»

«Dio ha modi creativi di riportare a casa le sue pecore» replicò Mika, cercando a tentoni un appiglio. «Mi… daresti una mano, per favore?»

Venne esaudito e comprò il silenzio di Crowley promettendogli la migliore bottiglia di bourbon su cui potesse mettere le mani. Non era molto lontano da dove la famiglia O’Brian aveva allestito il campo: se avesse continuato dritto li avrebbe notati alla prima biforcazione a sinistra.

«Morgan!» tuonò la voce di Crowley all’improvviso. «Non giocare con quello!»

Morgan, sempre più simile a un piccolo Ferid con i capelli rossi, mise giù il coltellino svizzero anche se stava giocherellando con il cavatappi e alcuni sassi. Ferid, che gli voltava le spalle per ripulire un punto del terreno per il fuoco, intascò il coltellino subito.

«Aiutami a mettere i sassi intorno al fuoco, Moe. Attento alle dita.»

Il bambino si unì entusiasticamente all’opera architettonica. Ferid alzò gli occhi quando Mika si avvicinò per accatastare i rami lì vicino.

«Sono felice che tu sia venuto, alla fine.»

«Ho pensato che mi sarei pentito di non essere venuto solo perché non ho voglia di fare niente.»

«Hai pensato bene. La vita va avanti, Mika. Anche quando pensi di essere fermo in mezzo al mare la corrente ti sta già portando altrove. Io ne so qualcosa.»

«Non mi va di parlarne, davvero» sospirò il ragazzo, mollando lo zaino a terra. «Possiamo… Divertiamoci e basta, va bene?»

«Certo che va bene, siamo qui per questo! State un po’ a sentire, campeggiatori!»

Si alzò in piedi per attirare l’attenzione di tutti. Crowley lo guardava confuso, ma Eden ed Emma – appena sbucati da dietro la tenda blu – si erano impettiti come piccoli soldati.

«Tengo a precisare che i dolcetti verranno mangiati solo se per cena avremo il pesce appena pescato, quindi dopo aver acceso il fuoco vi voglio tutti pronti~»

I bambini corsero a controllare l’attrezzatura da pesca, litigandosi i galleggianti colorati.

«Di’ la verità… il campeggio diverte più te che i bambini.»

«Ci divertiamo tutti moltissimo! E anche tu, in fondo, no? È la terza volta che vieni al campeggio annuale di famiglia.»

«Mi piace stare con voi e coi bambini. Non ci sono distrazioni e possiamo chiacchierare quanto vogliamo… e soprattutto lavoro molto meno che nei campi. A proposito, ho portato la marmellata di mele con la cannella e quella di albicocche e vaniglia.»

Il gruppo di campeggiatori aveva più dolci di una famiglia media nel giorno di Halloween, ma la sua offerta era l’ideale per consumare la quantità di fette di pane in cassetta per la colazione. Mika mise i vasetti insieme al resto delle scorte e si mise a montare la sua tenda, di un colore verde smeraldino. Quando fu pronta e le sue cose sistemate dentro, Ferid aveva adattato il fantasioso concetto di “muro” di suo figlio a uno più consono e acceso un fuoco scoppiettante.

«Papà, perché il fuoco è così felice?»

«Perché non dovrebbe esserlo? Cucinerà un sacco di cose buone e sentirà tutto quello che diciamo. Gli facciamo compagnia.»

Mika sorrise alla gioia di Morgan e andò a sedersi vicino a loro.

«Sembra una cosa che Krul potrebbe dirgli.»

«Glielo dirà di certo» confermò Ferid. «Tanto vale che lo faccia io, così saranno meno confusi quando lei inizierà a parlargli di spiriti, di energia e di ciclo delle stagioni.»

Ferid si perse a guardare in giro, tra alberi e sprazzi di cielo. Eden riapparve per prelevare il fratellino e arruolarlo per la pesca.

Congedandosi così dal falò Morgan seguì il fratello verso il fiume. Mika cercò tra le attrezzature e scovò il bollitore, lo riempì di acqua da una bottiglia e lo mise sul fuoco. Fece in tempo a trovare anche la tazza di latta di Ferid, e lui era ancora distaccato, perso come se non vedesse che nebbia.

«Stai bene, Ferid?»

«Oh, sì. Sto bene. È che… non è più andato via. Forse non andrà più via.»

«Parli di… quello?»

«Ci si fa l’abitudine… In realtà, a volte è bello. Non ti senti mai solo. È come se ci fosse sempre qualcuno, persino qui. Pensavo che sarei stato più tranquillo in mezzo ai boschi, invece… il vento canta e gli alberi parlano. Sembro pazzo?»

«Non più di quando mangiavi il formaggio pur sapendo di vomitarlo» minimizzò Mika con una scrollata di spalle. «Ma diverso lo sei sempre stato. Fin da quella volta sul tetto, che te ne stavi sotto la pioggia. O a Bluefields. Ho visto troppe cose strane da te per sorprendermi adesso.»

«Sì, è vero» convenne Ferid, lo sguardo fisso verso un acero dietro la tenda. «Hai visto molte cose difficile da spiegare.»

«Riesci a far finta di niente quando fai sesso? Dev’essere fastidioso sentirsi sempre osservati.»

L’argomento riscosse il suo amico dai tronchi della foresta – o qualsiasi cosa vedesse – ma la sua espressione si rabbuiò.

«Al momento non è un problema. Non mi è ancora successo da quel giorno. Lui… sai… è bloccato. Una specie di stress post-traumatico. Ho persino smesso di provarci, mi sento in colpa a provare e vederlo star male perché io ne ho voglia e lui no.»

«Ah… mi dispiace, Ferid. Scusa, non lo sapevo. Non ne avrei parlato se…»

«Ma per favore, Mika, tu parli sempre di sesso» lo pungolò Ferid, con un sorrisetto. «Puoi farlo, ma non quando ci sono i bambini. Non abbiamo ancora deciso se iniziare coi palliativi delle api e del miele, adottare un approccio scientifico, uno cristiano o uno pagano.»

«Perché, qual è l’approccio pagano per parlare ai bambini del sesso?»

Il ghigno di Ferid si allargò mentre spostava il bollitore con un grosso ramo.

«Che diavolo, Misha! Possibile che parli sempre di un solo argomento?»

Scattò così bruscamente che quasi si ribaltò con la seggiola pieghevole. Lì in piedi, con lo zaino in spalla, Yuu stava ridendo della sua reazione.

«C-che cosa… che… che cosa fa lui qui?»

«Ha detto che voleva passare da noi a conoscere i bambini e Crowley l’ha invitato a venire al campeggio. Non pensavamo fosse un problema passare del tempo insieme, per voi due.»

Guardò di nuovo Yuu con una vistosa sensazione di farfalle nello stomaco. Era la prima volta che lo vedeva di persona da quando l’aveva lasciato fuori da un carcere tedesco, ed era splendido: aveva preso un po’ di peso, barattato le occhiaie scure con un colorito sano, e lo sguardo era luminoso, lucido, allegro. Era molto più in salute di Stephan Hirsch, un uomo dal riposo irregolare, stress schiacciante e troppo alcol in corpo.

«Beh? Come mai mi guardi così?»

Mika scosse la testa, per scrollarsi di dosso quei ricordi.

«Stavo per fare del caffè… Ti va?»

«Il tuo caffè mi va sempre.»

 

***

 

«Ma davvero?»

Incredulo Mika cercò lo sguardo di Ferid per una conferma e tornò a guardare Crowley, seduto su una sporgenza rocciosa in attesa di pesci che abboccassero.

«Cioè, la ragazza che la pazza ha messo a badare a te è la bambina scomparsa di quel caso mai risolto da tuo padre? Quella lì?»

«Non era il caso di mio padre, ma lui fu il primo agente a intervenire sulla scena. Gli è rimasto impresso.»

«E la bambina l’avevano presa i Figli di Prometeo?»

«Sì, e venduta al padre della d’Allemand. Eméline è “Baby Hope”, come la chiamavano i giornali.»

Mika restò ammutolito di fronte alla portata degli intrecci che legavano i destini di quella specie di famiglia e ne ripercorse alcuni mentalmente mentre strizzava i suoi vestiti fradici.

«È pazzesco. Non c’è un’altra parola per dirlo. Veramente, quante possibilità c’erano che tuo padre rispondesse a un caso con minore scomparso che trent’anni dopo si occupa di te quando vieni rapito dalla stessa organizzazione che ha provato a vendere Yuu e di cui faceva parte il marito di Ferid?»

Ma sembrava l’unico a essere così interessato a quell’intreccio di destini, o almeno l’unico che aveva voglia di parlarne. Forse perché era l’unico a non essere stato toccato direttamente da quell’organizzazione.

«Mika, rivestiti» gli fece Crowley. «Non è così caldo da fare il bagno e asciugarsi al vento.»

«Di che parli, amore? È figlio della Santa Madre Russia. È calda come un bagno termale, per lui.»

Si avvolse nel telo in microfibra e sedette su una roccia dopo aver spazzato via con la mano le foglie che la coprivano. La prima volta che Ferid aveva tirato fuori la questione della sua percentuale di sangue russo erano dentro Bluefields, e quel commento riportò a galla dei ricordi.

«È il sangue, secondo voi?»

Crowley girò la testa dalla sua parte, mentre Yuu, che era il più distante, gli lanciò un’occhiata intensa, come se avesse notato dei sintomi angoscianti.

«È… non avete l’impressione che fosse tutto deciso? Fin da quando… io e Yuu siamo finiti proprio nell’appartamento accanto al tuo, Crowley, e tu… tu hai mandato via quella gente che mi cercava. E poi, è cominciata con il Vampiro…»

Fili di quattro colori si erano intrecciati tra di loro, legandosi poi con altri, e a volte a Mika sembrava di poterli vedere comporre lo straordinario arazzo della loro storia. Con fantastiche vittorie, e struggenti perdite lungo il suo corso.

«Credo che qui sappiamo tutti che non c’è stato alcun caso» commentò Crowley. «Siamo stati mossi da Dio per un disegno preciso. Abbiamo sofferto delle perdite… e ottenuto delle ricompense. Siamo stati chiamati alle armi e abbiamo risposto… e siamo ritornati.»

Lui tese un sorriso lieve e recuperò l’amo per mettervi una nuova esca.

«So che è stato difficile… Lo è stato per tutti, a un certo punto. Abbiamo avuto tutti momenti di disperazione… momenti in cui ci siamo sentiti abbandonati e soli. Ma adesso è tutto passato. Siamo di nuovo insieme… e camminiamo verso il futuro.»

Mika annuì rigidamente. Sì, forse tutti avevano fatto quei passi in avanti, ma lui si sentiva bloccato. Aveva perso Carmen da bambino, e Madison prima ancora di scoprire che era figlio della terza moglie di suo padre. Non c’era famiglia di sangue per lui, e ora si sentiva isolato, senza una strada da percorrere. Era il motivo per cui era andato al campeggio annuale: sentirsi vicino a qualcosa che assomigliasse a una famiglia. Per vedere una strada che andasse avanti.

 

***

 

Yuu aveva un’espressione che aveva bisogno della stessa sprimacciata dei cuscini usciti dalla borsa sottovuoto. Mika trovava divertente il suo imbarazzo in una situazione che per loro era la più familiare di sempre.

«Che fai lì con quell’aria da cinghiale? Vieni, ho fatto.»

«Mi dispiace… non… Il campeggio non è il mio forte» borbottò lui, facendo un passo. «Non pensavo che mi servisse… insomma…»

«Anche se l’avessi portata, a che pro mettere un’altra tenda? La mia è abbastanza grande per tre persone. Noi siamo l’orsacchiotto uno dell’altro, dormiamo insieme dai tempi dell’orfanotrofio. Di che ti vergogni?»

Ne aveva un’idea, ma Yuu non rispose e fece tutto il possibile per infilarsi nella branda senza sfiorargli neanche un centimetro di pelle. Dopo qualche minuto di silenzio sentirono Ferid coprire il fuoco e la sua ombra passò sulla tenda mentre raggiungeva Crowley e spegneva la torcia.

Un lieve piovigginare teneva il ritmo sulla tela.

«Beh, hai conosciuto i bambini» fece Mika tenendo la voce più bassa. «Come ti sembrano?»

«Per essere bambini non sono male.»

«Me lo puoi dire se ti piacciono. Non devi fare il duro con me.»

Yuu diede segni d’irrequietezza e incrociò le braccia dietro la testa.

«Sono dei bravi bambini. Sono svegli. Il piccolo è carino.»

«Sì, a Moe piaci… Non è espansivo con tutti. Non vuole ancora stare in braccio a suo nonno, per esempio.»

«Si vede che sente dall’odore che siamo entrambi animali diffidenti.»

«Forse sente dall’odore che sei una persona di cui si può fidare. Penso che dovresti ridimensionare la tua idea catastrofica dei bambini. Saresti un bravo papà.»

«Ne dubito. Io e te siamo di una categoria che non dovrebbe avere figli. Siamo sempre irrequieti, come se dopo un po’ non stessimo più bene nello stesso posto. Non siamo fatti per una routine che dura a lungo ed essere genitori è una routine da cui non si può scappare.»

Mika si trovò a ridere, ma non trovava davvero divertente il suo punto di vista. Gli sembrava molto concreto e questo lo infastidiva, perché pensava che prima o poi si sarebbe sentito pronto anche per un’adozione, un affido, o per un uomo che aveva già dei figli.

Yuu sospirò.

«Scusa… in fondo fai la stessa vita da quasi otto anni. Abbastanza per tirare su un bambino prima di un trasloco e una ventata di novità, immagino… Jonathan non sarà già al punto di pensare a mettere su famiglia con te, ma ne avete mai parlato?»

Evitare la domanda come aveva fatto sui suoi ripensamenti avrebbe portato all’ennesima catena di bugie che non si sentiva di reggere.

«Non avrò una famiglia con Lucky. Ci siamo lasciati poco prima di Natale.»

Yuu lo fissò scioccato e anche senza parole Mika seppe che cosa pensava: vedeva le tracce di un dolore e una scintilla di speranza.

«Prima di Natale? Non me l’hai detto quando ti ho telefonato.»

«Era appena successo e… non mi andava di parlarne…»

Come se la rottura con Lucky avesse cancellato delle barriere invisibili, Yuu riempì lo spazio e lo strinse in un abbraccio. Sentire il battito del cuore gli ricordò la notte in cui pensava di poterlo perdere ogni minuto e quanto si fosse sentito sicuro che lui fosse l’anima con cui doveva stare.

«Mi dispiace che non sia andata bene. Dico sul serio, Misha.»

«So che mi volevi vedere felice.»

«E adesso? Con la fattoria… Voglio dire, state ancora lì insieme?»

«No. No, me ne sono andato dopo un po’… a metà gennaio. Sto a Bluefields, per adesso. Mentre decido che cosa fare e dove andare.»

Aveva chiesto a Ferid di non dire a Yuu cos’era successo e dove vivesse nel caso l’avesse sentito. Contava di decidere per la sua vita, riconquistare una specie di dignità e indipendenza prima di dirgli della rottura, ma ora che si sentiva così solo e Ferid aveva ben altri problemi di cui occuparsi non riusciva a tenere un segreto così pesante.

«Misha… senti… Non è un granché, però—»

Mika ficcò le unghie nella schiena di Yuu quando si accorse della figura all’entrata della tenda, ma poi vide che era Morgan che s’infilava in uno spazietto da procioni per sgusciare dentro.

«Moe, che fai qui?»

Il bambino si rimise in piedi, con gli occhi semichiusi per il sonno.

«Letto» borbottò lui.

«Non stavi nella tenda con Eden?»

«Si raccontano le storie brutte» si lagnò Morgan, e si aggrappò alla branda. «Posso stare qui?»

«E i tuoi?» fece Yuu. «La tenda dei tuoi genitori.»

«C’è la luce» fu la sua spiegazione.

«Non fa niente, Moe. Stai qui con noi… Togli le scarpine.»

Morgan scalciò via le ciabattine e Mika lo mise sulla branda in mezzo a lui e Yuu. Il bambino iniziò a sbadigliare, mentre Yuu lo fissava come se potesse azzannarlo nel sonno.

«Cos’è, l’unico bambino che ha paura delle luci?»

«Tengono al luce accesa quando fanno…»

Mika si mordicchiò il labbro e abbassò la voce.

«Sanno che non devono entrare se la notte hanno la luce accesa.»

«Strategia intelligente» commentò Yuu, colpito.

Il bambino si era addormentato immediatamente, ma Mika non sentiva neanche una briciola di sonnolenza nonostante la scarpinata e la nuotata nel fiume. Non resistette alla tentazione di toccare quelle ciocche rosse spettinate.

«Ci pensi mai a come sarebbe avere un figlio?»

«No, perché i bambini non li capisco. Non sono ansioso di averne. Ma sto pensando di prendermi un cane.»

«Eppure Ferid e Crowley sono davvero felici con loro. Anche Crowley credeva di non essere tagliato per fare il papà.»

«Non ti mettere idee strane in testa, per favore. I figli non li puoi mollare quando ti stancano, come i fidanzati. E adesso non hai neanche quello. Prenditi un altro pappagallino, se ti senti solo.»

Yuu si girò sul fianco in un muto rifiuto a proseguire una conversazione. Mika, con la mano sulla testa di Morgan, aveva fin troppe fantasie quando era circondato dai bambini degli altri, ma sapeva che Yuu era saggio a non rimuginarci sopra. Almeno finché non avessero trovato un equilibrio e un posto dove sarebbero stati felici di fermarsi a lungo.

 

***

 

Ferid lasciò uscire un sospiro che aveva un che di sofferente.

«Dio, com’è stancante! Ce la faremo a portarli in campeggio finché non saranno adolescenti?»

«Stai per caso dicendo che il mio vampiro eternamente bello sta invecchiando?»

Ferid rise e scosse la testa.

«Ti prego, non raccontare mai ai bambini quella storia del vampiro…»

«E che gli racconto quando mi chiedono come ci siamo conosciuti?»

«Che hai incontrato un bellissimo libraio in un caldo giorno di luglio.»

«Questa è solo metà della storia.»

«Sì, l’altra metà è che io ho incontrato un bellissimo detective in un caldo giorno di luglio.»

Crowley gli girò il viso e gli diede un bacio come non gliene aveva dati da almeno un anno, e di certo non dopo il sequestro. Quando sentì le sue mani scendere lungo la schiena credette di essersi già addormentato e stare solo sognando.

«Crowley… caro… che cosa fai?»

«Chiaramente sto preparando una zuppa di fagioli. Ma che domanda è, Ferid?»

«Non c’è bisogno di questo sarcasmo, sai» ribatté lui piccato. «Sarà un anno che non lo facciamo, avrò diritto quantomeno alla perplessità?»

Crowley si puntellò sui gomiti e gli si spostò sopra. Anche se il suo peso restava notevole c’era quel qualcosa di eccitante nel sentirselo addosso che non era sfumato con gli anni.

«Mi dispiace… Pensare a lei mi faceva venire l’angoscia. Mi sentivo così… Non volevo farlo con te dopo averlo fatto con lei. Mi sembrava di attaccarti una malattia.»

«E ora non è così?»

Passò le mani sul suo torace, sulla sua schiena. Dopo così tanto tempo doveva esplorare di nuovo forme che prima conosceva a memoria, ma non osò buttarsi più deciso prima di essere sicuro che Crowley si sentisse davvero meglio.

«È per le bambine?»

Lui annuì.

«Vederle mi ha fatto sentire…»

Ancora una volta non trovò le parole che cercava.

«Ferid, nel momento in cui le ho viste ho capito che quel dolore… che tutto quello che ho dovuto sopportare aveva una scopo che andava molto più in là. Mi capisci? Quando hai visto Eden hai sentito la stessa cosa?»

Ferid gli accarezzò il viso.

«Sì. Avrei voluto esserci. Guardare i tuoi occhi accendersi mentre le vedevi per la prima volta.»

«Mi dispiace se non ti ho portato… Io… non ero sicuro di cosa avrei sentito. Non volevo che vedessi qualcosa di brutto.»

«Si vede che non ti conosci quanto io conosco te. Due bambine? Andiamo, non avresti potuto reagire male neanche se ci avessi provato.»

«Sei ancora sicuro, Ferid?»

Per bella risposta lui sospirò roteando gli occhi.

«Me lo chiedi dopo che ho ridipinto la mansarda e tirato fuori tutti i gingilli di quando Emma era piccola? Dopo che sono ammattito con quegli stramaledetti stencil di stelle? Odio quelle stelle storte.»

Crowley rise e lo baciò sul viso.

«Okay… prometto che quando torniamo a casa le sistemo.»

«Ecco, bravo. Due gemelle con tre fratelli maggiori sono già abbastanza snervanti senza che io esca pazzo ogni volta che guardo quel muro.»

Ferid si trovò strizzato da Crowley con un po’ troppo entusiasmo ed emise uno strano singulto, ma lui non vi badò. Non gli vedeva quegli occhi da quando l’infermiera gli aveva messo in braccio Morgan che strepitava a pieni polmoni.

«Due gemelle» ripeté, sorridendo. «Sienna e Blake. Sienna e Blake. Lo sai che più lo dico e più mi piace?»

«Lo spero, visto che lo dirai per il resto della tua vita» commentò Ferid massaggiandosi le costole. «Comunque, per essere quello che ci ha messo mesi a scegliere il nome di Cameron, hai fatto in fretta con Sienna.»

Crowley si sciolse in un sorriso più malinconico.

«È il nome che George avrebbe voluto dare a una figlia. L’ha sempre avuto in mente… Era il nome della sua prima cotta. Non l’ha mai dimenticato.»

Ferid non aveva mai conosciuto George, ma le storie raccontategli da Gilbert e da suo marito l’avevano reso una presenza familiare e gradita, tanto da avere un posto sul caminetto tra le fotografie dei cari scomparsi.

Sorrise e gli diede una goffa carezza, un tentativo di riportarlo a pensieri meno malinconici.

«E per non stare sei mesi a cercarne un altro hai fatto scegliere a me?»

«Ho fatto bene. Io adoro il nome Blake. Non sono d’accordo con zia Odette quando dice che i gemelli devono avere la stessa iniziale. Tu, da dove l’hai preso? Qualche libro?»

«Era un nome che aveva preso in considerazione Krul, ma poi ha scelto Chandra. Gliel’ho rubato.»

«Mh, confessare un reato a uno sceriffo? Sei senza vergogna, signor Bathory.»

«Bathory-Eusford, prego, sceriffo. Mio marito ci tiene.»

«È vero. È molto orgoglioso… chissà poi perché.»

«Me lo chiedo sempre… ma secondo me, è per il mio crine di unicorno.»

Vedeva il suo sorriso divertito anche con la lampada regolata alla luminosità minima. Senza una parola Crowley allungò la mano e illuminò l’intera tenda. Sapeva che cosa significava e gli stava più che bene.

Strinse la sua larga schiena ricambiando il suo bacio passionale, mentre le dita gli passavano nei capelli.

 

***

 

Il giorno dopo splendeva il sole in West Virginia. Yuu sapeva di avere un aspetto tremendo dopo una notte quasi insonne che aveva poco a che vedere con il bambino nella branda e molto col rimorso di essere stato così tagliente con Mika.

Gli ho parlato come se passasse da una storia all’altra ogni settimana… ma Misha ha ventotto anni e alle spalle solo due storie importanti. È molto più di quello che si potrebbe dire di me…

Si sciacquò il viso di nuovo con l’acqua fredda del fiume, ma non l’aiutò a mettere ordine nella testa.

Ma mi fa paura affrettare le cose con lui… Ho paura di sbagliare di nuovo. Di fare progetti che gli faranno pensare che non è la cosa più importante.

Smosse l’acqua con le dita, sfiorando la roccia liscia sul fondo.

Con Jonathan ha avuto una favola… vorrà un’altra storia così. Qualcosa di romantico, di profondo, e dei progetti di vita insieme al prossimo amore… e io non sono il tipo. Quando è stata l’ultima volta che gli ho fatto un regalo solo per farglielo? Che l’ho portato fuori per distrarlo dai suoi pensieri? Cazzo, più ci penso e più mi sembra di averlo ignorato tutto il tempo…

«Non starai pensando troppo?»

Sussultò al rumore del secchio tuffato nell’acqua e alzò gli occhi su Crowley. Aveva un’aria distesa e serena che gli invidiava terribilmente.

«Pensando troppo a cosa?»

«Non sono sicuro, ma se dovessi indovinare direi che pensi a Mika… o Misha. Adesso lo chiami quasi sempre così, no?»

«Ah… sì… in effetti, stavo pensando a lui.»

«Ma Mika ti dà un sacco di pensieri! Non è che ti vuoi sistemare?»

Yuu lo guardò stranito, ancora di più quando rise.

«Non te lo ricordi? Mi dicesti così quella sera a casa mia, quando ti parlai di Ferid. Che non riuscivo a capirlo e a comunicare con lui come volevo.»

«Ah… No, non ricordo d’averlo detto. Però avevo ragione.»

«C’è un’altra cosa che mi dicesti quella sera, e mi è rimasta impressa qui» fece, battendosi il dito sulla tempia. «Penso che tu l’abbia dimenticata. Hai detto “non so se Mika è la mia anima gemella, ma è l’anima con cui voglio stare, e questo mi basta”.»

Restò lì fermo a fissarlo e Crowley fece lo stesso, senza che il silenzio gli intaccasse il sorriso.

«Ho… ho detto questo davvero?»

«Sì, davvero. E siccome hai detto questo… forse ora stai pensando troppo.»

Lanciò un’occhiata a Mika, che stava raccogliendo la canna e l’attrezzatura da pesca dall’altro lato del campo. La nostalgia lo sommergeva a ondate, come l’alta marea.

«Era tanto tempo fa. Ero un’altra persona… e anche lui lo era. È successo di tutto da quando ci siamo separati, e… come si riprende una storia dopo così tanto tempo?»

«Non lo so… forse per quello io e Ferid abbiamo ricominciato dall’inizio. Anche se il nostro inizio è stato piuttosto intenso… Ci pensi che viveva da me due mesi dopo il primo incontro? Non so con che faccia diremo ai nostri figli di non fare le cose di fretta con il loro primo amore.»

Ridacchiò insieme a lui a quel pensiero. I bambini stavano prendendo i retini per andare a giocare vicino al fiume e per fortuna il tempo del loro primo amore sembrava lontanissimo.

«Com’è cominciata?» gli chiese Crowley a bruciapelo. «Mi hai detto che lo tallonavi perché stava sempre da solo, ma come siete diventati una coppia? Non me l’hai mai raccontato.»

Un vuoto completo lo colse mentre cercava una risposta da dare. Non ricordava nessun giorno particolarmente romantico, nessun momento che avesse causato un avvicinamento ulteriore, né un qualche gesto plateale.

«Perché… perché non lo so. Siamo solo… Eravamo bambini insieme e… siamo rimasti insieme.»

Si alzò di scatto e le sue gambe irrigidite barcollarono per trovare l’equilibro. Diede una pacca sulla spalla di Crowley.

«Grazie, Crowley. Non so come andrà, ma almeno ora so da dove riprendere.»

Corse alla tenda frugando freneticamente nelle tasche dello zaino. Recuperò quello che stava cercando e schizzò via.

«Yuu caro, vuoi del—»

Ferid ritrasse il bicchiere di caffè e guardò il marito quando tornò vicino al fuoco con il secchio dell’acqua.

«Che cosa gli hai detto?»

«Segreti del mestiere» replicò lui, baciandolo sul collo.

«Quale mestiere? Lo sceriffo? Il detective? Il papà?»

«Faccio pratica. Eden sta crescendo, non manca molto a quando chiederà consigli di cuore.»

«Ma ci sono io per questo, no?»

«No, davvero. Non dargli consigli. Non dirgli niente. I tuoi ex fanno accapponare la pelle! Non vorrai uno come quelli per tuo figlio?»

Ferid scrollò le spalle.

«Non te la prendere, Bobby.»

«Che?»

Crowley si guardò intorno e poi tornò a guardare lui.

«Hai detto Bobby?»

«Bobby? Bobby chi? Senti le voci, tesoro?»

Ferid bevve un sorso di caffè e si allontanò verso il greto, dove i bambini stavano pescando con i retini. Rimasto al campo, Crowley diede un’occhiata guardinga intorno per poi sedersi per ravvivare il fuoco. Aveva la sensazione di non essere solo.

 

***

 

Yuu uscì dai cespugli incespicando in un rovo che gli aveva intrappolato l’orlo dei pantaloni. Il fatto che gli uscissero ancora imprecazioni in tedesco era indicativo di quanto il suo addestramento intensivo si fosse radicato a fondo, anche se l’accento iniziava a sparire dal suo inglese.

«Ah, eccoti» fece Mika guardandolo dalla sua roccia. «Cominciavo a credere che fossi scappato.»

«No… perché dovevo scappare?»

«Magari pensavi che ti avrei chiesto di sposarmi, o di fare bambini.»

«Nah, perché? Io adoro fare i bambini. È il mio hobby preferito.»

Mika scoppiò a ridere. Non aveva l’aria di essere rimasto ferito o deluso da quello che gli aveva detto.

«Posso stare qui con te?»

«Hai bisogno di chiedermelo?»

Si andò a sedere vicino a lui e per un po’ finse un grande interesse per le piume gialle del galleggiante. Ci volle più tempo del previsto per raccogliere il coraggio.

«Senti, uhm… Visto che non stai più con Lucky, sei di nuovo sulla piazza?»

«Credo che per un po’ non starò sulla piazza… L’hai notato? Io non riesco a immaginare la mia vita senza un altro uomo. Ho lavorato, ho pianificato… ma avevo sempre in mente che la mia era la metà di una vita di coppia. Credo che questo sia un disturbo psicologico.»

«O è il modo in cui vuoi vivere la tua vita. Finché hai dei sogni tuoi non ci vedo niente di malato.»

Mika sorrise e gli diede una carezza sulla mano. Yuu non riusciva a ricordare una prima volta in cui un suo tocco l’avesse fatto sussultare, come succede ai giovani innamorati. Era deprimente, ma rafforzò la sua determinazione.

«Vorrei farti sentire una canzone. Ti va?»

«Una canzone?» ripeté lui sorpreso. «Sssì… sì, okay.»

Yuu srotolò le cuffie del suo lettore, spostandosi più vicino. Si mise un auricolare e l’altro lo mise a lui, che per qualche ragione rise.

«Sono anni che non vedo in giro delle cuffie col filo!»

«Sono ottime se vuoi stare vicino a qualcuno» buttò lì Yuu allusivo. «È una canzone che ho sentito quando stavo da mia madre in Toscana. A lei piace molto. Dimmi cosa ne pensi tu.»

Avviò la traccia e lasciò che Mika l’ascoltasse in silenzio, spostandosi piano, sempre più vicino.

«Sembra bella» commentò Mika alla fine. «Ma non capisco le parole. È italiano?»

«Te la traduco se vuoi.»

Riavviò il brano e si avvicinò, con il bacino contro il suo e il mento contro la sua spalla, abbastanza vicino all’orecchio da sussurrargli la traduzione della canzone. Anche se sentiva rigida la sua schiena non fece niente per spostarsi e non bloccò la mano che gli passò intorno alla vita.

«Una canzone romantica… Yuu, che ti sta passando per la testa?»

«Voglio fare una cosa con te.»

«Ah, di questo non ne ho mai dubitato» ribatté Mika, malizioso. «Ma al campeggio coi bambini non si può proprio.»

«Voglio fare con te una cosa che non abbiamo mai fatto» insistette Yuu. «Ti voglio corteggiare.»

«Cosa, scusa?»

«Noi abbiamo fatto tutto insieme solo perché eravamo curiosi. Tu ti fidavi solo di me, e io… sapevo che se c’era qualcuno che non avrebbe riso di quanto ero buono a nulla saresti stato tu. E poi siamo rimasti insieme. Non ti ho mai dovuto corteggiare, tu avevi in mente soltanto me da sempre…»

«No… Yuu, sul serio» fece lui, spostandogli il braccio. «Non devi cercare di… Non so che cosa pensi di dover fare. Se vuoi consolarmi o—»

«Voglio ricominciare con te. Mi sta bene se non vuoi una storia così presto dopo sette anni con un altro. Lasciamelo fare. Tu resisti, se vuoi.»

Gli diede un bacio leggero dietro il collo e Mika non oppose più resistenza al suo braccio.

«Non ho fretta. Riprendiamoci quello che ci siamo persi. Io che ti conquisto e tu che stai a guardare quanto posso diventare ridicolo per te.»

Nonostante il sospiro teatrale, sapeva di aver fatto breccia con i suoi argomenti.

«Beh, se davvero vuoi questo… chi sono io per impedirti di provarci?»

La vanità latente di Mika non era così ben sepolta, e come sperava aveva risposto ai suoi primi passi. Se era bastato un giuramento di devozione di Jonathan per scuotere tutto il suo mondo, non c’era ragione di pensare che un corteggiamento spietato non avrebbe espugnato le fragili mura che si era costruito intorno.

Yuu esitò. La sua testa gli diceva che stava correndo troppo, ma come Crowley gli aveva ricordato, Mika era l’anima con cui voleva stare. Se non aveva più un compagno non aveva una ragione concreta per trattenersi, se non la paura di non saper più essere un compagno.

«Non sai… non sai ancora che cosa farai? Hai detto che stai a Bluefields, per adesso…»

«Sì… non ho ancora un piano. Pensavo di chiedere a Ferid se ci fosse un posto a Eanverness. Un alloggio, un lavoro… ma non vorrei farlo. Non vorrei dipendere da loro, o dargli l’idea di essere un randagio senza casa. Anche se è come se lo fossi.»

«Allora potresti… Che ne dici di venire con me, in autunno?»

Si girò per incrociare lo sguardo.

«Dove vai? Non torni a Berlino, spero.»

«Clear Springs, Maryland» rispose Yuu con la sensazione di togliersi un mattone dallo stomaco. «Incredibile ma vero, mi hanno offerto un lavoro.»

«Davvero? Che lavoro?»

«Insegnante di tedesco. Lo so, è ridicolo…»

Ma Mika non sembrava aver voglia di riderne.

«Invece è fantastico! Hai fatto domanda? Dove insegnerai?»

«Al liceo di Clear Springs hanno corsi di lingue europee. Mi è stato offerto un posto perché erano sguarniti del loro professore di tedesco dopo il pensionamento. È soltanto per quest’anno, poi chi lo sa… Ma… se ti va, noi… potremmo andarci insieme. Dividere casa, come coinquilini… letti separati, e il resto. E vedere che cosa succede.»

Per la prima volta – forse dai tempi dell’orfanotrofio – Mika era in imbarazzo con lui. Aveva il viso arrossato e non ricordava l’ultima volta che l’aveva visto così.

«Questo è un po’ più di un corteggiamento… non trovi?»

«Scusami, so che è un passo un po’ lungo… ma non devi rispondere adesso. È aprile. C’è tempo.»

«Prometto che ci penserò. Ci penserò con tutta la serietà possibile.»

«Okay. Per adesso essere nei tuoi pensieri mi basta.»

Passò le braccia dietro la sua schiena e si toccarono fronte contro fronte, mentre Mika faceva ripartire la musica.

 

***

 

Da Montmartre il panorama della Ville Lumière era splendido. Dei molti posti che aveva visto, quello restava il preferito di Ismael Montague.

«Che cosa farai ora?»

Produsse un sorriso storto suo malgrado. Non era ancora capace di farlo spontaneamente.

«Quello che ho sempre fatto. Peccare per il mio prossimo.»

«Non sei più smarrito?»

Non guardò dalla parte di Graham, ma il suo sorriso si tese più uniforme. Il cielo di Parigi sfumava nel viola.

«No. In realtà, è la prima volta da tanto tempo che…»

Non ricordava più l’ultima volta che era stato felice. Che aveva sentito quel guizzo di energia dal cuore, quelle scintille di speranza per il futuro. Perché, finalmente, ne aveva di nuovo uno. L’epilogo trascritto dal suo onnisciente antenato non si era concretizzato, per il suo nipote più giovane. Aveva davanti pagine bianche che poteva scrivere di suo pugno, come chiunque altro al mondo. Era libero.

«Meglio così! In fondo, essere un Caduto è una vita meravigliosa.»

Graham si issò sulla balaustra del punto panoramico e spalancò le braccia, come volesse prendere il volo e planare sulla città. Rideva, l’euforia in ogni pagliuzza degli occhi.

«Ah, vorrei avere la tua giovinezza.»

«Ma non è per la giovinezza che sono felice. Ho servito la Spada di Dio! Non so se ne incontrerò un’altra, ma non dimenticherò mai il signor Bathory.»

Ismael inspirò a fondo. Dietro le sue palpebre chiuse rivide tante fugaci immagini, da una mano escoriata che lo portava lontano dal fuoco a una bianca schiena perfetta, fino a una porta blindata che si chiudeva sopra le sue dita in una palazzina di Satbury.

Ismael sorrideva assaporando le proprie memorie e si accarezzava le nocche.

«Nemmeno io.»

   
 
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