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Autore: Emma Speranza    11/01/2024    2 recensioni
Il Ministero è caduto, le lettere di convocazione al Censimento per i Nati Babbani sono state inviate e quando Lydia Merlin riceve la sua, sa che è arrivato il momento di nascondersi. Ma una lezione che ha imparato durante i sette anni ad Hogwarts è che i suoi piani non vanno mai come dovrebbero.
Un incontro fortuito con un ex compagno di scuola ed un bambino troppo chiacchierone le ricorderanno che la fuga non è un’opzione, e che in un mondo magico che ha dimenticato cosa sia l’umanità e la pietà, c’è ancora qualcosa per cui vale la pena combattere.
Una storia di sopravvivenza, ingiustizia e dei mostri che si annidano nei luoghi più oscuri.
Dall'Epilogo:
​«Corri!»
Lydia sapeva che era arrivata la loro fine.
Nulla li avrebbe salvati.
Sfrecciò in mezzo ad un gruppetto di anziane signore, che reagirono lanciandole imprecazioni che mal si addicevano a delle così adorabili nonnine.
«Scusate, scusate!»
E ovviamente Lance perse tempo a cercare di farsi perdonare piuttosto che correre per salvarsi la vita.
Genere: Avventura, Guerra, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mangiamorte, Nuovo personaggio, Ordine della Fenice, Vari personaggi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Capitolo 24
Per tutta l’eternità
 

Il sospiro di Katherine riecheggiò nella cucina semi deserta.
Lydia stava sfogliando una Gazzetta del Profeta vecchia di settimane, un regalo da parte di Silas e Cyril l’ultima volta che erano passati a trovarli (e a recuperare di nascosto altre scorte di pozioni per il loro traffico illegale). Non conteneva nessuna notizia interessante, ma per Lydia era un conforto sfogliare le pagine e ricordarsi che il mondo, per quanto corrotto fosse, esisteva ancora al di fuori delle mura sicure di casa O’Brien.
Ai suoi lati si trovavano Simon ed Henry, entrambi intenti a colorare il disegno di un cesto di frutta in uno strano silenzio. O per meglio dire, un silenzio incantato. Dopo una serie di sfortunati incidenti, a Lydia era stato proibito categoricamente di compiere magie sui bambini tranne in casi di estrema necessità, ma quel giorno aveva avuto la benedizione della stessa signora O’Brien per Silenziarli entrambi durante l’ora di punizione a cui erano stati condannati per aver allagato l’intero terzo piano.
Katherine sospirò di nuovo.
Henry prese un pastello viola dalla marea di matite che occupavano il tavolo e cominciò a colorare una mela. Lydia non si preoccupò di correggerlo.
Al terzo sospiro affranto di Katherine, però, Lydia scoppiò.
«Cosa c’è?!»
Katherine sobbalzò e la tazza di tè che stringeva rischiò di scivolarle dalle mani. «Niente!»
Bene. Se lei non voleva parlarne allora Lydia non avrebbe insistito. Aveva già parecchi problemi da gestire con i due bambini. Anche se doveva ammettere che si stavano rivelando più bravi del previsto. Lydia tornò a concentrarsi sul suo giornale, più precisamente su un articolo riguardante il calo di personale al Ministero della Magia e sulla difficoltà di assumerne di nuovo. Strinse i pugni. Di sicuro non trovavano nuovi dipenderti, avevano fatto sparire metà delle persone che lavoravano lì e stavano braccando i restanti. E avevano anche la presunzione di definirsi come ‘un posto di lavoro ricco di possibilità e in cui la cura del dipendente è messa sempre al primo posto’. Anche Alice avrebbe riso di fronte ad una frase così stupida.
Un raggio di sole illuminò il tavolo della cucina, distraendo Lydia dal pensiero di Alice. Il sole le scaldò le mani. Era ormai arrivata la fine di marzo e la primavera stava iniziando a mostrare timidamente la sua presenza, con grande gioia di tutti gli abitanti di casa O’Brien. Stare rinchiusi tutto il giorno in casa nei mesi più freddi era stato un vero e proprio incubo. La voglia di tornare a vivere in giardino era infinita, motivo che li spingeva ad approfittare di ogni momento di sole per infilare le giacche e correre nel prato.
O almeno, così facevano i bambini che non erano in punizione e gli adulti che non dovevano badare ai suddetti bambini. Non che Lydia fosse dispiaciuta di rimanere in casa. Dopo giorni interi passati in compagnia di quel branco di bambini urlanti, anelava ogni momento di silenzio.
Se non fosse stato per i continui sospiri di Katherine, pensò con stizza all’ennesimo sbuffo.
Henry, colorando con troppa passione, uscì completamente dai contorni della mela. Si era appena guadagnato una ramanzina da parte del signor O’Brien, o un elogio per la creazione di una nuova forma d’arte e il grande intuito artistico dimostrato. Con lui era difficile prevederlo.
Katherine sospirò e Lydia esplose.
«Si può sapere cosa c’è!?» sbottò sbattendo il giornale sul tavolo e facendo sobbalzare Henry e Simon per lo spavento «E se dici di nuovo niente ti Silenzio come questi due.»
Katherine si morse il labbro. «Domani è il 24 marzo.»
«So benissimo che giorno è domani.» rispose Lydia, stizzita. In realtà la maggior parte delle mattine non si ricordava neppure che giorno della settimana fosse, men che meno il numero del mese. Un altro effetto del trovarsi rinchiusa in casa da troppo tempo.
Katherine abbassò lo sguardo sulla sua tazza di tè. «È solo che… i miei genitori si sono sposati il 24 marzo, così come i miei nonni prima di loro… Quando Duncan mi ha fatto la proposta, ho sperato di potermi sposare anche io nello stesso giorno.» Il fastidio di Lydia diminuì, soppiantato da un leggero senso di colpa. «Ingenuamente pensavo che saremmo riusciti a sposarci questo 24 marzo. E invece…» Katherine abbassò lo sguardo sul giornale posato sul tavolo. «Dovremo aspettare un altro anno, se tutto va bene. Ma potrebbero passare anche anni interi prima che si possa tornare alla normalità. Se mai saremo di nuovo liberi.»
Lydia si stupì nel vederla così affranta. Katherine era sempre stata attenta a mascherare la sua tristezza, specialmente davanti ai bambini. «Avrete il vostro giorno.» cercò di consolarla.
Henry agitò un pastello e Lydia gli abbassò il braccio prima che se lo cacciasse in un occhio, o finisse nel suo (come era già capitato qualche settimana prima).
«È quello che dice anche Duncan.» sospirò Katherine «E che un matrimonio o la sua assenza non cambia l’amore che proviamo l’uno per l’altra.»
Henry tirò la manica di Lydia. «Dovete solo aver pazienza.» continuò lei, scacciando le mani del bambino come se fossero una mosca fastidiosa.
«Lo so!» rispose con voce strozzata Katherine. «Ma vorrei solo…» Sbatté velocemente le palpebre per impedire alle lacrime di scenderle sul volto «Vorrei solo sposare l’uomo che amo. Senza guerre e paure…»
«Kate…»
Le mani di Katherine tremavano mentre posava la tazza sul tavolo. «Abbiamo pensato di sposarci in segreto, sai? Di andare in qualche paesino sperduto dell’Inghilterra e farci dichiarare marito e moglie il più velocemente possibile. Ma come possiamo celebrare il nostro matrimonio senza voi al nostro fianco?»
«Kate… arriverà il giorno in cui saremo finalmente liberi, deve arrivare, e… la vuoi smettere?» sbottò Lydia scrollandosi il braccio. Henry si era praticamente arrampicato sulla sua spalla e la guardava con occhi supplicanti. Lui e i suoi maledetti occhioni. Erano sempre stati il punto debole di Lydia. «Va bene!» esclamò «Puoi parlare, ma ti concedo solo un minuto. Hai capito?»
Henry annuì energicamente e Lydia sciolse l’incantesimo, pronta a pentirsene all’istante.
«Potete sposarvi!» gridò Henry.
Katherine sorrise. «Sì, caro, lo so. Ma non sarebbe la stessa cosa senza di voi.»
«No!» Henry si alzò in piedi sulla sedia, preso dall’agitazione. «Potete sposarvi domani!»
Persino Simon lo guardò storto.
«È un po’ più difficile di così, Henry. Servono le carte, un officiante…»
«Allora ti scriviamo noi le carte!» Gli occhi di Henry brillavano al pensiero «Lizzie scrive benissimo e Ewart può fare i disegni!»
Katherine scoppiò in una risatina nervosa. «Non funziona proprio così.»
Henry però non voleva sentire ragioni. «E Simon può offil-offit- » si voltò verso Lydia «Come si dice?»
«Officiare.»
«Officiare! È bravissimo nelle cerimonie di squalifica! Chiedilo a Lydia!»
«Sono stata squalificata a vita da Nascondino, Un-Due-Tre Stella, dal raccontare fiabe e dall’accendere il camino.» confermò Lydia, ancora alquanto dubbiosa.
Al contrario di lei, Simon iniziò a mostrarsi improvvisamente interessato alla vicenda. Katherine, invece, continuava a sorridere con accondiscendenza. «È molto dolce da parte tua, Henry, ma non possiamo sposarci così.»
«Perché no?»
La domanda di Lydia destabilizzò Katherine, tanto da spingerla a guardarla come se fosse ufficialmente impazzita. «Perché un matrimonio del genere non è valido.»
La mente di Lydia però lavorava febbrile, persa in un vortice di pensieri e di idee. «Per le leggi dello Stato e del Ministero no. Ma per le leggi di questa casa sareste sposati.»
Katherine arricciò il naso. «Ti senti bene, Lydia?»
Lydia scattò in piedi e per un istante assomigliò troppo ad Henry, che continuava ad annuire entusiasta. «Pensaci, Kate! Che senso ha aspettare la fine di una guerra che non sappiamo quando e se finirà? Potresti sposarti domani, come hai sempre sognato, con tutti noi presenti.»
«Ma non ha senso!» balbettò Katherine.
Lydia girò attorno al tavolo e le posò le mani sulle spalle. «Ormai questo è il nostro mondo, Kate: casa O’Brien. E nel nostro mondo non servono carte e officianti ufficiali per essere sposati. Faremo un matrimonio nello stile di questa famiglia!»
«Io…» Lo sguardo di Katherine si abbassò sull’anello che portava all’anulare. «Va bene.» Il suo sussurro fu a malapena udibile. «E va bene.» ripeté con maggiore convinzione. «Se anche Duncan sarà d’accordo, che matrimonio sia!»
«Sì!» Henry saltò sulla sedia e fu solo per un miracolo che non cadde. «Dobbiamo preparare tutto! Ci servono fiori, vestiti, cibo, la torta, dobbiamo ricordarci la torta! Al matrimonio della zia Estel, non è mia zia zia ma è amica di mia mamma, ma al matrimonio della zia c’erano i palloncini, possiamo avere i palloncini? E la musica! La mamma mi ha fatto andare via quando è iniziata la musica ma a me piace la musica, Leonard può preparare la musica, o Caitlin! Caitlin ha un giradischi in camera, una volta mi ha lasciato girare un disco ma mi ha detto che se lo rompevo mi rompeva il mio peluche drago, ma nessuno può toccare il mio peluche drago, lo sapete che…» Henry continuò a muovere la bocca convinto e fu solo dopo diversi minuti che si accorse dell’assenza di suoni. Guardò Lydia risentito.
Lydia si limitò a rimettere in tasca la bacchetta. «Il minuto è terminato.»
 
L’idea del matrimonio fu straordinariamente ben accolta da tutti gli abitanti di casa O’Brien, sia adulti sia bambini, diffondendo in casa una nuova linfa vitale dopo l’apatia dell’inverno. I bambini in particolare erano elettrizzati all’idea di poter organizzare un matrimonio tutto loro, senza regole o costrizioni. Almeno in teoria. Nella realtà, Lydia e Caitlin preferirono assistere alla loro riunione d’emergenza per bloccare le idee più strampalate che rischiavano di realizzare i desideri dei Mangiamorte e distruggere l’intera casa.
«Fuochi d’artificio in salotto, adescare un Ashwinder nel camino per illuminare gli sposi… come abbiamo fatto a sopravvivere fino ad oggi?» borbottò Caitlin quando vennero ufficialmente espulse dalla riunione per essersi categoricamente rifiutate di liberare dei pipistrelli al termine della cerimonia.
Lydia scese le scale due gradini alla volta. «Ormai non mi stupisce più nulla. Settimana scorsa li ho trovati in giardino mentre lasciavano una scia di caramelle gommose, per attirare gli unicorni, mi hanno detto.»
«Sempre meglio di quando hanno scavato una buca vicino al vialetto perché volevano andare a far visita agli gnomi. Ci sono quasi caduta dentro… potevo rompermi l’osso del collo!» Eppure Lydia riusciva a percepire un leggero divertimento nelle parole di Caitlin.
Superarono il pianerottolo del secondo piano e ripresero la discesa. «Il problema è che all’inizio erano solo Simon, Daniel ed Henry a cacciarsi nei guai.» continuò Lydia «Ora sembra che si stiano sfidando a chi inventa l’idea più strampalata - oh, scusa!» Barcollò leggermente nell’impatto contro Lance, intento a salire le scale in tutta fretta.
Lance continuò dritto per la sua strada, voltandole immediatamente la schiena. «Niente.»
Ma era tutto sbagliato. La sua andatura, le spalle incurvate, la scia di sangue sulla camicia...
«Lance!» urlò Lydia.
Il ragazzo tentò la fuga. Caitlin fu più veloce e si mise davanti a lui, bloccandolo sulle scale, permettendo così a Lydia di raggiungerli di corsa e costringerlo a mostrarle il braccio che tentava di nascondere.
«Non è nulla, davvero. È solo un graffio.» Lydia lo ignorò e sollevò con delicatezza il lembo insanguinato della camicia. Fu abbastanza per far sibilare Lance di dolore e zittirlo. Il taglio era sottile e preciso, ed attraversava l’intero avambraccio.
«Dobbiamo disinfettarlo e bendarlo.» Caitlin si era avvicinata di soppiatto. «Vado a prendere la cassetta di primo soccorso. Aspettami in camera tua e cerca di non fare altre stupidaggini. Intesi?» Lance borbottò le sue proteste «Lydia, tienilo d’occhio.» E senza lasciare il tempo a nessuno di ribattere, riprese a scendere le scale, lasciando soli i due ragazzi.
Lance sfilò il braccio dalle mani delicate di Lydia. «Posso aspettarla da solo. Non devi stare con me, se non vuoi.»
«Ma io voglio.»
Lance la studiò per un istante, e poi si voltò per dirigersi verso la sua camera, rassegnato. Lydia lo seguì.
Era già stata diverse volte nella camera di Lance, ma come in ogni altra occasione, si stupì di quanto quella stanza le donasse una sensazione di tranquillità. I libri impilati in ogni angolo, le foto e i quadri che riempivano i muri, tutto la faceva stare bene. Tranne quel leggero imbarazzo all’idea di stare da sola con Lance.
Era cambiato tutto e niente dalla sera di Natale. Il giorno dopo avevano provato a parlare di ciò che era accaduto, a cercare di capire cosa comportasse, ma ogni singola volta erano stati interrotti e poi avevano perso entrambi il coraggio. A parole era come se non fosse successo nulla, ben diverse erano le reazioni dei loro cuori.
Era stato più semplice così, cercò di convincersi per l’ennesima volta Lydia, fare finta che nulla fosse successo e che tutto fosse come prima, anche se l’imbarazzo che ancora li colpiva in alcuni momenti come quello persisteva, e non sembrava neanche intenzionato a scomparire. Eppure Lydia non si era pentita di quella sera.
Lance si sedette sul bordo del letto. Con la mano sana iniziò a spostare i lembi della manica, il volto contratto per il dolore. Lydia si sedette al suo fianco e, senza dire una parola, lo aiutò ad arrotolare con tocco leggero la manica. Sentiva il fiato di Lance solleticarle il viso ed il suo cuore accelerò involontariamente. «Grazie.» disse infine Lance, con voce roca.
Lydia fissò la manica sopra al gomito e si arrischiò a sollevare il volto. Per un istante si perse nei suoi occhi celesti. «Cosa è successo?»
La magia si ruppe e Lance distolse lo sguardo. «Solo un piccolo, e stupido, incidente. Ero nell’orto a potare le piante di Aconito, mi sono distratto un solo istante ma il danno ormai era fatto.» Il sangue che fuoriusciva dal taglio si era ridotto ad un rivoletto. «Non volevo farmi vedere dai bambini e così sono entrato di nascosto.»
«I bambini sono rientrati un’ora fa. Appena hanno sentito la notizia del matrimonio sono corsi ad organizzare il tutto.»
La fronte di Lance si corrugò. «Che matrimonio?»
«Nessuno te l’ha detto? Domani Katherine e Duncan si sposano!»
«Sì, sì. Si sposano, tanti auguri a loro e poveri noi che dovremo sorbirci le loro smancerie per le prossime quarantotto ore.» Caitlin era entrata nella stanza, la valigetta del pronto soccorso sotto braccio. «Ho dovuto evitare la mamma. Immagino che tu non voglia che la mamma lo sappia, no? Intanto avete fatto pressione sulla ferita, vero?» Lydia e Lance si scambiarono uno sguardo colpevole. Gli occhi di Caitlin si assottigliarono. «Avete fatto pressione sulla ferita, vero?»
La risposta era ovvia.
«Sono le basi del primo soccorso, ragazzi!» esclamò Caitlin, esasperata «Persino Amelia sa che bisogna fare pressione su una ferita per evitare un’emorragia, e lei ha due anni!» Si avvicinò a grandi passi a Lance. «Per la barba di Merlino, si può sapere a cosa stavate pensando?»
Ad un bacio, al silenzio e al calore del corpo di Lance.
Caitlin non perse altro tempo e la prima cosa che fece fu scacciare Lydia, per evitare ulteriori distrazioni. Lydia accolse con sollievo l’invito; borbottando qualche frase cordiale sul fatto che sarebbe stata nelle vicinanze se avessero avuto bisogno di lei, scappò dalla stanza e si richiuse la porta alle spalle.
«Sei un disastro, Lance.»
Le porte di casa O’Brien avevano la brutta abitudine di essere troppo sottili se non potenziate con un incantesimo Silenziante.
«È stato un incidente.»
«Non intendevo quello.»
Il piede di Lydia rimase sospeso nell’aria. Doveva allontanarsi, lo sapeva, ma era come se un filo invisibile la tenesse ancorata a quella porta.
«Non so di cosa tu stia parlando - Ahia
«Lo sai benissimo invece! È da cinque anni che va avanti questa storia.»
La risposta di Lance fu difficile da udire. «Sette.»
«Sette anni!» esclamò Caitlin «Devi dirglielo e basta!»
«Da quando ti importa qualcosa della mia vita?» Lance sibilò per il dolore.
«Che ti posso dire? Negli ultimi mesi mi sono rammollita.»
Il tono di voce di Lance tradiva il suo sorriso. «Ammettilo, sotto sotto ti piace stare qui con noi. Ahia! La smetti?»
«Ops. Scusa.» Erano le scuse meno sincere che Lydia avesse mai sentito. Non ebbe però altro tempo per pensarci. I passi di Caitlin si avvicinarono e Lydia riuscì per un soffio a catapultarsi nella sua camera prima che la ragazza aprisse la porta. «Niente movimenti bruschi e stasera ti ricontrollo la fasciatura. Ah, e niente coltelli per una settimana.» Lydia trattenne il fiato, la schiena appoggiata alla porta e le orecchie tese a seguire il rumore dei passi di Caitlin nel corridoio.
«Grazie, Cait.»
Caitlin si fermò proprio davanti alla camera di Lydia. «Di niente.» E, per una volta, suonò sincera.
 
Il resto della giornata passò in un turbinio di preparativi che occupò tutti gli abitanti di casa O’Brien, gatto compreso. La mattina successiva, il tanto desiderato giorno del matrimonio, si respirava un’aria elettrizzante, carica di gioia, felicità ma soprattutto, costellata da crisi.
La prima fu la scelta dell’abito da parte di Lydia. Il suo indossare lo stesso vestito rosso che aveva a Natale fu aspramente criticato da Caitlin.
«Ma è l’unico che ho!» aveva provato ad obiettare Lydia. Dieci minuti dopo entrò nella camera di Katherine indossando uno splendido abito dorato, prestatole da Caitlin.
E lì si presentò la seconda crisi. Presa dall’agitazione del momento, la signora O’Brien aveva tenuto troppo tempo nella piastra una ciocca dei capelli neri di Katherine ed ora fissava sbigottita il ciuffo fumante che le era rimasto in mano. Katherine ripeteva che non le importava ma pareva sull’orlo di un collasso, mentre la signora O’Brien era completamente immobile, a fissare con occhi sgranati il disastro che aveva inavvertitamente combinato, senza dire una parola. Fu di nuovo Caitlin a risolvere la situazione costringendo sua madre a sedersi e scambiare la ciocca di ricci con un bicchierino di Gin, oltre a finire di acconciare lei stessa la chioma di Katherine.
«Come sto?» chiese infine Katherine in un sussurro.
«Sei bellissima.» rispose Lydia, sincera.
Una delle grandi difficoltà riscontrate il giorno precedente era stata la mancanza di un abito da sposa. Katherine aveva ripetuto a tutti che andava bene così, che avrebbe utilizzato un vecchio vestito che aveva portato con se’, che l’unica cosa davvero importante era essere lì con tutti loro, sul punto di sposare l’amore della sua vita.
Ovviamente nessuno le aveva creduto.
E così era iniziata la corsa contro il tempo per riuscire a trovare una soluzione. Uscire di casa alla ricerca dell’abito perfetto era fuori discussione, non per questo mancarono altre proposte meno pericolose. Tra queste spiccavano le ipotesi di colorare di bianco un abito appartenente a Caitlin, cercare di allungare un altro oppure farne cucire uno dai topolini del seminterrato canticchiando una canzone, come aveva suggerito Bethany.
Il signor O’Brien aveva però altri progetti. Mentre tutti, bambini e adulti, si concentravano per cercare la soluzione perfetta (ignorando i continui ‘Non importa. Davvero, va bene così’ di Katherine), il signor O’Brien si era alzato, aveva afferrato i vecchi abiti di Caitlin che avevano pensato di Trasfigurare, e si era chiuso nel suo studio per tutta la notte, riemergendo la mattina successiva con occhiaie profonde ed un abito spettacolare tra le braccia.
Lydia vide Katherine illuminarsi appena lo indossò. Il corpetto stretto terminava in una cintura rosa pallido che lo separava dalla gonna di tulle. Su tutto l’abito vi erano delicati disegni di fiori. «Ho dovuto rinunciare a metà guardaroba ma ne è valsa la pena.» annuì Caitlin.
Lydia si chinò ad osservare i disegni più da vicino. «Ho già visto questi fiori.»
Il signor O’Brien riempì nuovamente il bicchiere della moglie, visibilmente più rilassata. «Era un acquerello appeso nel mio studio. Con un semplice incantesimo di Trasferimento sono riuscito ad imprimerlo sulla stoffa. L’ho dipinto la sera in cui avete annunciato di esservi fidanzati. Mi sembrava appropriato.»
Katherine era senza parole, ma la signora O’Brien riuscì a ritrovare le sue. «E ora il velo!» esclamò alzandosi di scatto e rovesciando metà del suo Gin, fortunatamente lontano dall’abito della sposa. Il velo era corto e semplice. «So che non è molto.» ammise la signora O’Brien «È il velo che ho indossato al mio matrimonio. Eravamo appena stati disconosciuti dalle nostre famiglie, non avevamo quasi niente a nostro nome, quel giorno ho indossato un velo solo perché una nostra nuova vicina di casa babbana si commosse e decise di regalarmi il suo. Mi ha portato così tanta gioia che voglio donarlo a te, mia cara.» Con un gesto delicato fissò il velo nell’acconciatura di Katherine «Che vi porti tanto amore quanto ne ha regalato a noi.» Prese tra le mani il viso di Katherine «Non posso darti il benvenuto in famiglia perché è già da tempo che fai parte della nostra. Sappi solo che ti amiamo come una figlia e siamo grati e orgogliosi che tu sia qui con noi.» Gli occhi di entrambe erano intrisi di lacrime.
«Bene!» intervenne Caitlin battendo le mani e rovinando il momento «Ti vogliamo tanto bene, in bocca al lupo e bla bla bla. Molto commovente. Ma è ora di andare. Su! Forza!» e cominciò a spingere tutti fuori dalla stanza.
II matrimonio si sarebbe tenuto nel tendone in giardino. I bambini si erano occupati delle decorazioni, aiutati dagli incantesimi e dalle luci fatate degli adulti. Il risultato era sorprendente: decorazioni di carte si alternavano a candele e luci dorate, e l’intero spazio era stato arricchito da fiori di ogni genere e specie. Lydia si trovò senza fiato quando entrò. Il soffitto era stato incantato allo stesso modo di quello della Sala Grande e, se si guardava in alto, si vedevano le nuvole leggere e il primo sole primaverile che faceva la sua timida comparsa. La volta celeste insieme alla presenza e il profumo dei fiori le dava la sensazione di trovarsi in un giardino incantato, e forse lo era davvero. «Sono i fiori dell’orto.» le sussurrò Lance alle sue spalle. «Aiutati da qualche incantesimo.»
«Sono bellissimi.» Lydia si voltò e per un istante si perse a contemplare Lance nel suo completo beige.
Lance si sistemò il colletto della camicia bianca. «Stai benissimo.» le disse, il solito imbarazzo delle ultime settimane a far tremare la sua voce.
«Anche tu.» rispose Lydia senza pensarci. E poi il tempo a loro disposizione terminò. Henry arrivò di corsa, una cartelletta in mano (completamente inutile considerando che non sapeva ancora leggere) ed iniziò ad ordinare a tutti di andare ai loro posti, per dare così inizio alla cerimonia.
Simon aveva preso molto sul serio il suo ruolo da cerimoniante e si era fatto prestare un farfallino da Lance, il quale era però troppo grande, tanto da ricoprirgli l’intero collo. Tutti i bambini avevano tirato fuori i vestiti migliori, e chi non ne era provvisto si era arrangiato a creare degli abiti da alcuni vecchi mantelli ritrovati in soffitta. L’effetto era un’accozzaglia di colori stranamente piacevole.
Henry, cartelletta sempre alla mano, corse verso Leonard, che si trovava nell’angolo del gazebo con il suo pianoforte, trasferito appositamente dal salotto per l’occasione. Leonard si sgranchì le dita ed iniziò a suonare una marcetta allegra. Quel bambino aveva un vero e proprio talento per la musica e le note si diffusero nell’aria dando il segnale agli invitati di prendere posto.
Lydia non aveva la minima idea di quale fosse il suo.
Lance si era già spostato vicino a Duncan, pronto a compiere il suo ruolo da testimone dello sposo, così Lydia si posizionò vicino a Caitlin, dietro a tutti i bambini.
Katherine fece il suo ingresso nel tendone ed un sospiro collettivo si levò dalla piccola folla. Ma la reazione più bella fu quella di Duncan. Alla vista della fidanzata che avanzava sulla navata improvvisata, accompagnata dal signor O’Brien, sul suo volto comparve un sorriso che non poteva essere definito altro che di pura gioia. All’arrivo di Katherine, i due sposi si presero la mano e rimasero con le dita intrecciate per l’intera durata della cerimonia.
Simon sollevò il mento ed iniziò a recitare solennemente. «Benvenuti. Oggi siamo qui riuniti…» si bloccò e si guardò attorno stranito «Manca un testimone.» Il tono era di vera e propria accusa. Chi osava rovinare il suo momento di gloria? Lydia provò pena per il colpevole, di sicuro la vendetta di Simon sarebbe stata orribile. Katherine si batté il bouquet di fiori rosa sulla testa. «Mi sono dimenticata di avvisarla!» Simon spalancò la bocca inorridito.
«Non ti preoccupare, rimedio subito!» si affrettò ad aggiungere la sposa per non incorrere nelle sue ire. «Lydia, vieni!»
Lydia sapeva di essere l’unica persona presente che si chiamava in quel modo, eppure non mosse un passo.
«Lydia, sbrigati o mi scaccia dal mio stesso matrimonio!» Fu solo grazie ad una spinta un po’ troppo forte da parte di Caitlin che Lydia riuscì a muoversi e, ancora attonita, a prendere posto accanto a Katherine.
Il resto della cerimonia passò in un lampo e con solo pochi incidenti, come un lancio di petali troppo anticipato o l’attimo di terrore provocato dal gatto di Beatrix, intenzionato a tutti i costi di togliersi di dosso il cravattino che i bambini lo avevano obbligato ad indossare. Gli sposi pronunciarono i loro voti, promettendo, ripetendo le parole di Simon, di amarsi per il resto dell’eternità e di essere sempre amici, e furono infine dichiarati dal bambino marito e moglie.
Il loro bacio fu accolto da grida di gioia e qualche verso schifato, e poi, con un colpo di bacchetta del signor O’Brien, i tavoli disseminati ai lati del gazebo si riempirono di vassoi. Mandando all’aria la prudenza per un giorno, i signori O’Brien parevano aver dato fondo alla riserva in dispensa, mettendo a disposizione piatti di ogni tipo e genere, oltre che a tre tipi diversi di torta e file intere di pasticcini, che furono letteralmente presi d’assalto dai bambini.
«Scusa per prima.» Katherine era radiosa «Pensavo di avertelo detto ieri…»
«Nessun problema.» Lydia sorseggiò il suo bicchiere di champagne «Ma se Simon vorrà vendicarsi scaricherò tutta la colpa su di te.»
«Giusto.» rise Katherine «Grazie, per aver accettato.» Lydia pensò che ‘accettare’ non fosse il termine più appropriato. «Impazzirei senza di te, lo sai vero? Io amo la famiglia O’Brien, con tutto il cuore, ma sono grata che tu abbia accettato di vivere con noi. Perché così ho anche un’amica, e non so come avrei fatto a superare questi mesi e sopportare tutto questo senza un’amica al mio fianco.»
Lydia rimase spiazzata per la seconda volta nell’arco di un’ora. Katherine non se ne accorse, si limitò ad afferrare uno dei bicchieri da brindisi che volavano nell’aria e tornò quasi svolazzando da suo marito. Eppure le sue parole continuarono a riecheggiare nella mente di Lydia, che si trovò inconsciamente a sorridere. Perché in fondo anche lei aveva iniziato a considerare Kate un’amica, così come tutti gli abitanti di casa O’Brien erano diventati per lei come una famiglia. Sia gli adulti sia quei ventisei pestiferi bambini, dal primo all’ultimo. E forse quella giornata era qualcosa in più che il matrimonio di Katherine e Duncan, era anche una celebrazione dell’amore che tutti loro erano riusciti a costruire in un mondo che aveva dimenticato cosa fosse.
Era il suo posto, su questo Lydia ne era certa. Per un breve istante si chiese cosa sarebbe successo se quella sera di agosto non avesse seguito Lance e Henry. Si perse a guardare i bambini che ridevano e si rincorrevano, facendo scorpacciata di pasticcini, i signori O’Brien che danzavano un lento su una musica che sentivano solo loro, Caitlin che cercava di costringere Lance a lasciarsi mettere alcuni fiori nei capelli e Katherine e Duncan, che ridevano ed erano felici come mai prima. E il cuore di Lydia si riempì di troppe emozioni per poterle distinguere. Gioia, amore, nostalgia, gratitudine, speranza…
«Lydia! Simon ha detto che oggi comanda lui! Ma non comanda lui, ho io la cartellina!» Henry corse verso di lei.
Lydia, senza smettere di sorridere, gli scompigliò i capelli. «Ed è una cartellina veramente bella. E sì, dì pure a Simon che non comanda lui.»
Henry la guardò implorante «Puoi dirglielo tu? Sei l’unica che ascolta!» Lydia cercò con lo sguardo il bambino e lo individuò a pochi metri di distanza. Era da solo, intento a saltare per cercare di afferrare i bicchieri di alcolici che fluttuavano nell’aria e si sollevavano per non farsi prendere dai minorenni, tra pernacchie e bollicine. «Simon!» Il bambino si bloccò. «Non comandi tu e lascia stare quei bicchieri!» Simon rimase fermo immobile per un momento, e poi la sua mano si alzò verso il cielo, andando a sfiorare un bicchiere di passaggio. «Simon Williams, questo non lo dovevi fare.» Simon scappò terrorizzato, urlando a squarciagola.
Sì. Lydia adorava stare lì.
 
Al calare del sole le luci fatate si illuminarono con maggior calore e si diede ufficialmente inizio alle danze. Una radiolina incantata diffondeva musica in tutto il gazebo. Lenti, classici, melodie babbane e magiche, persino alcune canzoni per bambini, dando l’occasione a tutti di ballare. Il signor O’Brien fu il primo ad invitare Lydia per un ballo, poi fu il turno di Caitlin, Henry e persino Duncan.
«Congratulazioni!» gli disse Lydia mentre volteggiavano, cercando allo stesso tempo di non investire nessun bambino.
«Mia moglie mi ha ordinato di ringraziarti per aver reso possibile tutto questo.»
Un sorriso sghembo si allungò sulle labbra di Lydia. «Tu che mi ringrazi? Sei sicuro di stare bene?»
«Kate mi ha detto che se non ti ringraziavo avrebbe immediatamente chiesto a Simon di organizzare il nostro divorzio.»
«Simon ne sarebbe entusiasta. Penso che ci abbia preso troppo gusto per questa faccenda dell’officiante.» Si voltarono per un istante a guardare il bambino, intento a dichiarare Elinor e Christine amiche del cuore. «E comunque devi ringraziare i bambini.» continuò Lydia, ricominciando a danzare «Sono loro ad aver fatto la maggior parte del lavoro.»
Duncan le fece fare una veloce giravolta. «Chi l’avrebbe mai detto che Lydia Merlin sarebbe stata una dei testimoni alle mie nozze?»
«Neanche nei miei peggiori incubi.» lo punzecchiò Lydia.
Duncan guardò oltre la spalla della ragazza ed un sorrisetto perfido gli distorse le labbra. Sollevò il braccio e la fece roteare di nuovo un paio di volte.
Lydia non capì bene cosa accadde.
Sapeva solo che un attimo prima stava danzando con Duncan e quello successivo si trovava tra le braccia di Lance.
La spiegazione si presentò nella scena che riuscì ad intravedere dietro alle spalle di Lance: Katherine che batteva il cinque con Duncan. I suoi futuri piani di vendetta verso i due coniugi la aiutarono ad evitare di perdersi nel ricordo dell’ultima volta che aveva danzato con Lance, la sera del Ballo del Ceppo, un’occasione ben diversa da quella che stavano vivendo in quel momento, in un gazebo, circondati da bambini ed una famiglia che non era la sua. Come era cambiata la vita in pochi mesi. Se qualcuno glielo avesse detto anche solo un anno prima non ci avrebbe mai creduto. Eppure… era difficile nascondere quella parte del suo cuore che non immaginava di poter stare da nessuna altra parte.
«La tua idea è stata un successo.» Alcune margherite erano intrecciate nei capelli biondi di Lance.
«Solo con l’aiuto di tutti.» rispose Lydia «Quando vogliamo sappiamo essere una grande squadra.»
Lydia e Lance continuarono a volteggiare al ritmo della musica, leggermente scoordinati, anche se a nessuno dei due importava.
«Sai, forse dovremmo parlarne.»
Il passo di Lance si fermò per un secondo, prima di riprendere il dolce ritmo della musica. Quando parlò, la sua voce era esitante. «Di cosa, esattamente?»
Lydia invece non aveva più dubbi. «Di quello che è successo a Natale. E al Ballo del Ceppo.»
Questa volta Lance si fermò del tutto. «Se te ne penti non c’è bisogno di parlarne.» Guardava ovunque tranne lei. «Possiamo far finta che non sia accaduto nulla.»
Lydia strinse la mano di Lance, ancora intrecciata alla sua. «Ma io non voglio fare finta di niente.» E Lance finalmente la guardò negli occhi e vi lesse la sua sincerità. Si illuminò e per un singolo istante, Lydia percepì tutta la sua felicità.
Poi il volto di Lance si accartocciò e un gemito di dolore gli sfuggì dalle labbra mentre, con un gesto secco, si portava una mano sul braccio.
«Lance!» gridò Lydia, mentre il panico iniziava già a farsi strada nel suo cuore. Doveva essere il taglio. Magari si era riaperta la ferita, magari si era infettato. Lydia provò a spostare la mano di Lance e si accorse di un piccolo dettaglio. Si stava tenendo l’altro braccio, più precisamente, il polso. «L’orologio.» sussurrò infine.
L’orologio da polso di Lance era completamente impazzito. Le lancette si muovevano frenetiche, roteando vorticosamente. Si soffermavano brevemente su un numero e poi ricominciavano a girare come trottole. Lydia sfiorò il quadrante. Ritrasse il dito con un sibilo. Era rovente. «Toglitelo. È maledetto!» Non c’erano altre spiegazioni. Lydia tentò di sganciarlo ma inaspettatamente Lance la fermò.
«Cosa succede?» Duncan era comparso al loro fianco. Solo allora Lydia si accorse che tutti si erano fermati a guardarli. Il signor O’Brien e Katherine stavano già puntando le bacchette contro l’orologio.
«No… È Paul. È in pericolo.» Tutta la gioia che Lance aveva provato solo un minuto prima si era trasformata in puro e autentico dolore. «Devo andare, Lydia. È mio amico.»
La prima reazione di Lydia fu di tentare di fermarlo a tutti i costi, ma era inutile illudersi, Lance non si sarebbe mai fermato, non l’aveva mai fatto prima e non lo avrebbe di sicuro fatto ora, con l’orologio che continuava a bruciare e vorticare, qualunque cosa significasse.
Il signor O’Brien era dello stesso parere. «Vengo anche io.»
«No!» fu la risposta automatica di Lance e Duncan.
Il signor O’Brien raddrizzò la schiena e si erse in tutta la sua statura sui figli. «Nessuna discussione. Katherine, sei la più abile tra noi, tu rimani qui a proteggere i confini. Io, Duncan, Lydia e Lance torneremo il prima possibile.» Poi prese le mani della moglie tra le sue, e la sua voce si addolcì. «Se dovesse accadere il peggio, sai che cosa fare.»
La signora O’Brien non protestò, né tentò di fermare la sua famiglia. Nei suoi occhi si rifletteva la stessa consapevolezza del marito, sapevano che Lance sarebbe andato comunque, così come sapevano che Lydia lo avrebbe seguito ovunque e Duncan non sarebbe stato da meno.
E prima di quanto Lydia pensasse possibile, si trovarono fuori dal cancello. Lydia si voltò un ultima volta verso casa O’Brien. Tutta la gioia e la felicità provate in quella giornata erano evaporate all’istante, lasciando solo una scia di paura e preoccupazione. I bambini non capivano cosa stesse accadendo, lo si leggeva sui loro piccoli volti mentre li osservavano dall’altro lato del cancello. Henry li guardava con gli occhi sgranati, e Lydia provò l’impulso di correre a consolarlo, a promettergli che non stava succedendo nulla, che sarebbero tornati subito a casa. Katherine invece era stoica. Sembrava la statua di una dea greca, lì immobile sul vialetto, la gonna dell’abito da sposa che fluttuava delicatamente nel venticello primaverile.
Subito dopo Lydia si trovò avvolta nell’oscurità, la stretta ormai troppo famigliare della Materializzazione ad attorcigliarle lo stomaco.
Non avevano avuto il tempo di cambiarsi, né di usare la Pozione Polisucco, l’unica cosa che sapevano era che l’allarme lanciato da Paul attraverso l’orologio era quello di massimo pericolo. I numeri indicati dalle lancette apparentemente impazzite erano in realtà le coordinate del luogo in cui si trovava. Si dovevano preparare alla battaglia. E appena atterrarono sul selciato i loro sensi erano all’erta, le bacchette puntate contro la casetta davanti a loro. L’odore di fumo impregnava l’aria, le finestre erano a pezzi ed una sezione del muro era completamente annerita, del fumo si sollevava ancora da un angolo del giardino.
Lance si gettò immediatamente verso la porta d’ingresso, che cigolava sinistramente sui cardini.
Silenzio, c’era troppo silenzio.
Il signor O’Brien affiancò immediatamente il figlio, avvertendolo di rimanere all’erta. Entrarono in casa insieme e Lydia li perse di vista.
A lei non servì entrare. Sapeva cosa era successo. Lo sentiva, tangibile come il fumo.
Duncan le si avvicinò, e finalmente Lydia trovò il coraggio di alzare lo sguardo verso il cielo.
Il Marchio Nero si stagliava nella luce del tramonto.
L’urlo di Lance lacerò il silenzio innaturale. Lydia sobbalzò e i suoi occhi si riempirono di lacrime.
Non aveva bisogno di entrare in quella casa per sapere cosa vi avrebbe trovato. La Morte aleggiava ancora nell’aria.
Erano arrivati troppo tardi.
 

 
FINE SECONDA PARTE
 
   
 
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